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Introduzione
Il presente lavoro prende le mosse dall‘attività didattica di insegnamento della
Religione Cattolica svolta alla Scuola primaria, nella quale ho constatato
direttamente l‘influsso della figura paterna nella crescita e sull‘andamento scolastico
degli alunni, sia se carente o assente, sia quando positivamente presente. Nel
tentativo di assumere un ruolo educativo, per quanto mi compete nell‘esercizio del
ruolo professionale, sempre più adeguato verso un‘infanzia in situazione di crescente
difficoltà esistenziale, ho cercato di approfondire le dinamiche relazionali ed
educative di questa figura famigliare, osservandola anche dal punto di vista delle
scienze religiose. La valenza funzionale ed educativa del padre è infatti fondamentale
per la costruzione della individualità e la realizzazione della persona, e la condizione
delle nuove generazioni ha a che fare anche con la difficoltà che oggi vive il padre
sotto vari aspetti.
Sulla situazione del padre ha riflettuto la Chiesa, condensando in documenti, in
particolare nel 1999 – proclamato «Anno del Padre», durante la preparazione del
Giubileo 2000 – alcune osservazioni fondamentali. Ne riporto una: «all‘interno della
società civile, la paternità si trova circondata da molta confusione e il padre sembra
svalorizzato, anzi squalificato. Questa crisi della paternità non è estranea alle
difficoltà contro cui si scontra la famiglia. Sappiamo, infatti, che la famiglia oggi
costituisce il bersaglio di attacchi sistematici e radicali. Le famiglie soffrono troppo
spesso dell‘assenza del padre».
1
Il padre è figura intessuta di legami coniugali, sociali, religiosi, la cui crisi
rappresenta un vero rivelatore delle sfide culturali, etiche, istituzionali e spirituali di
una società, che si riversano sulla famiglia. Acutamente il Concilio Vaticano II
osserva, nella Costituzione Pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo
Gaudium et spes, 7 dicembre 1965, n. 47, che «il valore e la solidità dell‘istituto
matrimoniale e famigliare prendono risalto dal fatto che le profonde mutazioni
dell‘odierna società, nonostante le difficoltà che ne scaturiscono, molto spesso
rendono manifesta in maniera diversa la vera natura di questa istituzione».
1
Conclusioni del Congresso su «Paternità di Dio e paternità nella famiglia», Vaticano, 3-5 giugno
1999, EF 3690.
2
Sintomatica è l‘etimologia del gr. krisis che significa «decisione», derivante dal
verbo krinein, «passare al setaccio»: la crisi è un interessante momento di snodo che
mette in luce le questioni radicali. La questione nodale del cambiamento odierno di
ruoli e funzioni paterne che ci sembra emergere da questo lavoro è la perdita di una
statura oltre che di uno statuto.
2
Ma si evidenziano, al contempo, il forte richiamo
della funzione paterna al trascendente e alcune linee che possono aiutare a viverne
appieno le prerogative.
Valutare il significato delle azioni umane, riconoscere gli atteggiamenti e
ragionare sui comportamenti è compito della teologia morale, che ha bisogno del
fatto descrittivo prodotto dalle scienze, da interpretarsi sotto la guida dello Spirito e
della Parola, alla luce di una antropologia, al fine di rispondere alle situazioni
dell‘oggi.
Con l‘ausilio delle scienze umane quindi, usando una sorta di lente di
ingrandimento al contrario, partiamo dalla osservazione di macro-comportamenti
sociali e culturali, focalizzando via via i comportamenti nel micro-ambito della
famiglia, poi della coppia e poi interni all‘individuo, facendo riferimento ad alcuni
fattori di criticità che influiscono sulla concezione e la prassi della paternità odierna.
Tratteggiando una breve storia dell‘idea di genitorialità nel c.1 e poi una
panoramica su alcune funzioni esercitate in famiglia dal padre umano, ci avvaliamo
anche dell‘analisi operata dalla Chiesa su alcuni aspetti di difficoltà odierna
nell‘espletamento delle stesse, con le relative ricadute psicologiche ed educative sui
figli (c.2). Essendo la Chiesa «madre e maestra»
3
ed «esperta in umanità», essa offre
il proprio discernimento, la propria visione globale dell‘uomo e dell‘umanità, in
comunione con le migliori aspirazioni degli uomini e desiderando aiutarli a
raggiungere la loro piena fioritura.
4
Alla luce della sua Tradizione quindi, fondata
sulla Scrittura, si prosegue accennando nel c.3 alla visione biblica del padre, che
sostanzia la paternità umana. Facendo riferimento in particolare alla citazione
evangelica riportata nel titolo della esercitazione (Lc 11,1-13), si cerca di individuare
nei cc.3-4 il modello di filiazione vissuto da Gesù e quello di paternità divina da lui
rivelato. L‘ultima parte (cc.4-5) si concentra sull‘analisi della paternità putativa di
2
LACROIX X., Passatori di vita. Saggio sulla paternità, 14.
3
GIOVANNI XXIII, Enciclica Mater et Magistra, 15 maggio 1961.
4
PAOLO VI, Enciclica Populorum progressio, 26 marzo 1967, n.13.
3
Giuseppe di Nazareth quale testimone di una paternità umana esemplarmente
incarnata, in relazione agli aspetti socio-psico-pedagogici e morali enucleati nella
prima e seconda parte, nonché sul rapporto filiale di Gesù.
1. La crisi
Lo status quaestionis è dato dalla analisi di una stratificazione di più piani, più
orizzonti in cui si estrinseca la funzione paterna. Essa non ha a che fare solo con
compiti riproduttivi della specie umana, ma investe una serie di aspetti che danno
vita al collettivo, cioè la famiglia e la società. Una lettura multidisciplinare sarà
fondamentale per contestualizzare la situazione odierna del padre, visto che si va
svalutando come figura da circa due secoli
5
e nell‘ultimo trentennio viene definita
«in crisi».
6
Prodotto di articolati fenomeni intrecciatisi lungo le epoche storiche e
culturali precedenti e contemporanee a noi, è una figura che occorre considerare nella
sua globalità, essendo l‘uomo una creatura relazionale che interagisce con la realtà
circostante, nelle dimensioni di spazio e tempo.
Non si comprende la fenomenologia di un processo articolato come il
cambiamento del padre se non se ne individuano le radici. Lo sviluppo del concetto
di paternità, incluso nella genitorialità, nelle sue ascendenze storiche è tracciato fra
gli altri, anche dal sociologo Giorgio Campanini,
7
il quale ritiene che l‘idea di
genitorialità sia una scoperta moderna da collocarsi in un lungo processo di
trasformazione della società occidentale.
1.1 . Excursus storico
«Genitorialità», non è semplicemente procreazione ma assunzione consapevole da
parte della coppia, mediante l‘assolvimento diretto e non per delega ad altri soggetti,
del compito educativo e affettivo: oltre al dato biologico e alla percezione del fatto di
essere genitori dei propri figli, occorre la consapevolezza che i figli siano
5
CORDES P.J., L’eclissi del padre. Un grido, Marietti, Genova 2002, 8. Già nel 1500 con Cartesio e
Bacone si sono avuti gli albori della «riduzione al mondo terreno» – secolarizzazione del pensiero,
cornice del mutamento paterno, di cui trattato più ampiamente alle pp.8-10.
6
LACROIX X., Passatori di vita. Saggio sulla paternità, EBD, Bologna 2005, 8.
7
CAMPANINI G., «Genitorialità: storia di un‘idea», in CISF CENTRO INTERNAZIONALE STUDI SULLA
FAMIGLIA, Maschio-Femmina: nuovi padri e nuove madri, a cura di V . MELCHIORRE, Paoline,
Cinisello Balsamo (MI) 1992, 26-38.
4
«un‘avventura da correre, un destino da costruire».
8
Questa «logica della
genitorialità» strutturalmente di coppia, è stata però storicamente messa tra parentesi
da condizionamenti economici a favore della logica della divisione dei ruoli.
Per secoli l‘ottemperamento di compiti rigidamente divisi sessualmente ha
comportato un esercizio di paternità e maternità separate: la donna nella sfera del
«privato» (procreazione e allevamento figli, lavoro domestico) l‘uomo nella sfera del
«pubblico» (guerra, caccia, commercio, il lavoro manuale), cosa che si è riflessa
anche nelle responsabilità educative. Ne è derivata la estraniazione dei padri rispetto
al ciclo di vita dei figli negli anni fra la nascita e l‘adolescenza, per poi recuperare
interesse verso di essi alla pubertà, quando si poneva per loro la scelta professionale
e matrimoniale. La componente affettiva entro le relazioni genitoriali era, nella
famiglia antica e medievale, soffocata dal prevalere di ragioni economiche e di
potere. Molti fattori rendevano i figli quasi degli estranei lungo gli anni della
crescita: una precoce uscita dalla famiglia, a partire anche dai dieci anni di età negli
strati poveri, per essere impiegati – a volte in terre lontane – in vari lavori di basso
livello; l‘impossibilità per essi di mantenere la frequentazione famigliare a causa
delle distanze geografiche allora insuperabili; lo squilibrato rapporto tra gravidanze-
nascite dovuto alle ridotte possibilità rispetto a oggi di sopravvivenza della prole.
Tutto ciò sullo sfondo di un analfabetismo e povertà che comportavano uno sforzo
durissimo per la sopravvivenza, per cui si tramutavano precocemente figli e figlie in
strumenti di lavoro per il nucleo famigliare, nello sforzo di non soccombere per
fame. Le scelte matrimoniali erano imposte dalla famiglia, mentre oggi, in
Occidente, la consapevolezza di essere coppia nasce da una libera scelta
affettivamente fortemente motivata.
Le condizioni igienico-sanitarie e abitative accorciavano la durata media del
matrimonio per l‘alta mortalità per parto di madri soggette a continue gravidanze e
per l‘alto indice di mortalità sul lavoro. Frequentissime le vedovanze e i secondi,
terzi, quarti matrimoni, come pure la commistione fra figli legittimi e illegittimi in
famiglie allargate prive di intimità. Sviluppare la genitorialità richiede una sufficiente
durata del rapporto affettivo perché possano dispiegarsi e rinsaldarsi i sentimenti e
gli uomini dell‘età pre-moderna, di fronte alla continua minaccia di morte dei
8
CAMPANINI, «Genitorialità: storia di un‘idea», 26.
5
congiunti (dei bimbi deceduti rimaneva a malapena la tomba e solo per le classi più
abbienti), assumevano un atteggiamento che alla nostra odierna sensibilità appare
come indifferenza o cinismo, ma che per loro era espressione di adattamento, istinto
di difesa dal dolore causato dall‘interruzione frequente di legami troppo effimeri per
essere coltivati.
Negli ultimi tre secoli con il nascere e crescere della famiglia «borghese», il
miglioramento delle condizioni di vita ed economiche, assieme all‘abbassamento
della durata media del lavoro, hanno fatto scoprire il senso dell‘intimità famigliare,
della sfera del privato. Si sono potute sviluppare e affermare le tradizionali «virtù
borghesi» della fedeltà coniugale, dell‘attenzione educativa per i figli, del risparmio
finalizzato al benessere del nucleo. La mobilità sociale tipica delle società industriali
del 1800 ha scardinato ruoli tradizionali e antichi radicamenti contadini al territorio,
ampliando la libertà delle scelte matrimoniali, prima vincolata al ristretto raggio di
parentado e vicinato. L‘innalzamento della durata media della vita, tuttora in atto, la
drastica riduzione della mortalità infantile dovuta all‘avanzamento
tecnologico/sanitario di mezzi più efficienti che rendono possibile la più sicura
regolamentazione delle nascite (non certo sconosciuta nelle società del passato)
hanno fatto emergere un maggior bisogno di controllo delle nascite, e contribuito a
favorire la legittimazione di questo controllo. Parallelamente, il rapporto genitori e
figli si è personalizzato e arricchito emotivamente. Nel 1900, a partire dal
dopoguerra, nuove teorie scientifiche e pedagogiche sul rapporto madre-bambino
hanno contribuito a far sorgere il sentimento dell‘infanzia; hanno propugnato
l‘allattamento al seno come forma privilegiata di rapporto tra madre e figlio
(relazione che negli USA alcuni padri hanno tentato di mutuare). Nelle classi elevate,
si abbandona via via il baliatico diffuso già nell‘aristocrazia dal medioevo,
appannaggio dei nobili e poi dell‘alta borghesia, posto in crisi dal mutato
atteggiamento che non accetta facilmente il distacco fra genitori e figli.
Tra i motivi culturali che hanno inciso sui cambiamenti che stiamo elencando, vi è
l‘emergere dell‘amore romantico ottocentesco quale appannaggio anche dei ceti non
d‘élite, nel quadro di un prolungamento della durata del matrimonio, della crescita
del valore delle relazioni e delle libere scelte. Nelle epoche successive si assiste al
consolidarsi della famiglia nucleare, fino al Novecento che mette sempre più al
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centro della vita di coppia il riferimento al figlio. L‘arrivo del figlio rappresenta
sempre più il coronamento e prolungamento di un contesto d‘amore non imposto con
matrimoni combinati e non soffocato da impellenti necessità economiche, bensì
consapevolmente scelto e vissuto.
Possiamo delineare le principali tappe di questa evoluzione del pensiero. Dopo:
- l‘Illuminismo, che metteva al centro la ragione e sostituiva alla società e alla
Chiesa la competenza del singolo come fonte della norma morale;
- la conquista della libertà di contrarre matrimoni non combinati del
Romanticismo,
9
che riportava in auge i sentimenti e vedeva l‘amore come
qualcosa che «accade» fatalmente alla persona e che non sopporta costrizioni;
- l‘avvento della psicanalisi, che penetrando per la prima volta nella storia
dell‘uomo dentro all‘interiorità del soggetto ha evidenziato la centralità della
relazione fra sessualità e inconscio nelle relazioni umane,
10
abbiamo oggi una persona che compone in modo nuovo la propria identità, nella
ambivalenza di una post-modernità che crede nella ragione, accetta i sentimenti e
cerca nella psiche i binari del vivere. Il cambiamento antropologico avvenuto
nell‘attuale «complessità» ci mostra un individuo che adotta come criterio di scelte e
comportamenti il proprio «star bene» come riferimento decisivo.
A livello educativo abbiamo attraversato molte fasi in cui si sono verificati
cambiamenti epocali: fino all‘età pre-moderna l‘educazione dei figli (nelle famiglie
altolocate) era affidata a precettori e/o monasteri o Istituti. Tra fratelli e sorelle
vigeva la logica della separatezza riguardo all‘educazione, riservandosi per loro, in
luoghi diversi e non comunicanti, «educazioni parallele», separate per sesso a motivo
sia della diffidenza verso la promiscuità, sia della presunta inconciliabilità di modelli
di riferimento differenti per maschi e femmine. Questa prassi denotava una
sottovalutazione del ruolo paterno e materno nell‘educazione, migliorata nel secolo
scorso solo col nascere del «sentimento dell‘infanzia», che è stato causa della
sostituzione, nel rapporto coi figli, della categoria del potere/autorità con quella
dell‘amore.
9
MELCHIORRE V., Introduzione, CISF CENTRO INTERNAZIONALE STUDI SULLA FAMIGLIA, Maschio-
Femmina: nuovi padri e nuove madri, a cura di V.Melchiorre, Paoline, Cinisello Balsamo (MI) 1992,
15.
10
DIANIN G, Matrimonio, sessualità, fecondità, Messaggero, Padova 2005, 10ss.
7
Tra 1800 e 1900 una sterminata letteratura attesta la ricorrente «paura dei padri»,
letteralmente capovolta nella nostra epoca (sintomatica la svolta contestativa del
1968) dalla trasformazione graduale subìta dalla categoria paternità. Un contributo a
ciò è stato dato dallo sviluppo nel corso del 1900 delle scienze umane, psicologia e
pedagogia in primis, che hanno mostrato l‘importanza referenziale della coppia
parentale per i figli, annullando la storica distanza e separatezza fra infanzia e
maturità. Un mutamento culturale del genere ha prodotto adeguamenti anche
legislativi, nella forma di un diritto volto a garantire l‘esercizio effettivo della
genitorialità e soggetto all‘attenzione/controllo della società. La scelta di generare è
rimasta nella valutazione della coppia,
11
ma lo status di genitore ha cominciato ad
attribuire ai genitori diritti e doveri statuiti, anche per la crescente consapevolezza dei
guasti prodotti in passato dalle carenze genitoriali. Portando in primo piano la figura
paterna, quale portatrice anch‘essa di sentimenti, emozioni, affetti e valenza
educativa, la società contemporanea ha riscoperto il padre, un tempo rimasto
all‘ombra della madre fino alla pubertà dei figli per i motivi suddetti, non solo come
«generatore» e «nutritore». Questi ultimi due termini richiedono un inquadramento.
1.2. Situazione attuale
Come ci attestano studi storici ed etno-antropologici, non esiste automatismo
nell‘assunzione delle funzioni paterne nella specie umana,
12
sia a livello
psicologico
13
che sociale
14
che giuridico. Difatti vediamo che in epoca romana
11
Anche per la Chiesa cattolica oggi vale questo principio. L‘art 3 della Carta dei diritti della
famiglia, documento del PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA FAMIGLIA, 1983, sancisce l‘inalienabile diritto
degli sposi di costruire una famiglia, decidendo il numero dei figli e l‘intervallo fra le nascite, nel
rispetto dei doveri e in conformità all‘ordine morale oggettivo.
12
Vedi per es. in Frère EPHRAÏM, Giuseppe di Nazareth, Áncora, Milano 1998, 50.
13
Il sentirsi e agire da padre e l‘assumersene conseguentemente le relative responsabilità è frutto di
una maturazione da compiersi assieme alla compagna secondo dinamiche assieme relazionali,
affettive, genetiche. A tal proposito lo psicanalista G.Pietropolli Charmet riferisce i decisivi studi di
F.Fornari (fondatore dell‘Istituto Minotauro di Milano e direttore per molti anni dell‘Istituto di
Psicologia dell‘Università di Milano) sull‘analisi coinemica del linguaggio e sulla distribuzione di
ruoli e funzioni che il nuovo contratto relazionale e affettivo stipulato fra i genitori durante le prime
fasi di accudimento della prole ridisegna fra i partners rispetto alla condizione precedente di assenza
del figlio: la zona della mente in cui sono registrati i comportamenti filogeneticamente trasmessi e i
codici affettivi innati porta avanti nel tempo un complicato processo, che integra i modelli di
comportamento attinti dalla cultura esterna al soggetto con le proprie competenze inconsapevoli pre-
simboliche, e il cui risultato fa della donna una madre e dell‘uomo un padre. (G.PIETOPOLLI
CHARMET, «Paternità e maternità: un nuovo contratto», in CISF CENTRO INTERNAZIONALE STUDI
SULLA FAMIGLIA, Maschio-Femmina: nuovi padri e nuove madri, a cura di V.Melchiorre, Paoline,
Cinisello Balsamo (MI) 1992.
8
compare la distinzione fra genitorialità giuridica, fondata sul riconoscimento
pubblico (del pater familias = padre legale), e genitorialità di sangue (biologica),
fondata sulla genetica (genitor),
15
che non si presentano necessariamente coincidenti.
Nel mondo antico occidentale, e ancora oggi in alcuni luoghi del mondo tribale di
altri continenti, i maschi appena nati venivano sollevati al cielo dal padre che li
riconosceva. Ma per le femmine nate il pater si limitava a ordinare di nutrirle senza
sollevarle al cielo, venendo definito per questa funzione, oltre a padre e genitore, con
il terzo vocabolo di nutritor.
16
C‘è anche un terzo fattore da cui sorge la paternità
legale: il matrimonio come istituzione, il cui valore era talmente forte da far rientrare
in sé anche l‘adozione di bimbi non nati dalla coppia, per effetto della sola esistenza
del legame ufficializzato, previa semplice dichiarazione di riconoscimento del
pater.
17
La volontà del padre, la procreazione del genitore e la contrazione del patto
come marito si assommano armonicamente nella storica, classica e piena figura
maschile.
Il problema è che oggi a mio parere si separano sempre più questi tre aspetti:
frammentando la funzione, dissociando la persona, squilibrando l‘assetto sociale,
relazionale ed educativo, come ci mostrano alcune ricerche recenti,
18
sotto l‘influsso
di altri fattori più profondi cui vorrei seppur per sommi capi accennare.
Nel quadro della «complessità» (cioè compresenza di una pluralità di modelli
culturali e comportamentali che hanno effetto sull‘etica), in particolare è da
14
Vedi CORDES, L’eclissi del padre: un grido, 48-49. Nel trattare della scomparsa dei riti di
iniziazione nelle società tradizionali, Cordes afferma: «I ruoli sociali non derivano solo da elementi
fisici, bensì anche dai concetti sociali di questi ruoli. […] un ruolo del sesso maschile che viene
considerato nel mondo come connaturato ma che di fatto non esiste mai e poi mai è la paternità
[…]sarebbe connaturato se la specie umana fosse dotata – a somiglianza di alcuni animali – di un
istinto paterno innato che entra automaticamente in funzione. Ma di un simile istinto la natura non ci
permette di riconoscere nulla, come testimonia ad es. il rifiuto di alcuni padri ―naturali‖, cioè
illegittimi, di pagare gli alimenti per i loro figli».
15
LACROIX, Passatori di vita. Saggio sulla paternità, 36.
16
LACROIX, Passatori di vita. Saggio sulla paternità, 35.
17
Pater est quem nuptiae demonstrant (Il padre è colui che le nozze indicano) era la massima
giuridica sotto Traiano dal II sec., quella che ancor oggi è chiamata la «presunzione di paternità»
stabilita dall‘art.231 C.C., secondo cui: «Il marito è il padre del figlio concepito durante il
matrimonio».
18
Una panoramica significativa delle norme legislative che regolano i divorzi negli USA. si trova in
RISÉ, Il padre. L’assente inaccettabile, 82, che cita in nota un‘indagine politologica partita dalla
Howard University di Washington nel 2002 (in S.Baskerville, The Politics of Family Breakdown.
How No-fault Divorce Turns Fathers into Deadbeat Dads, in Family Policy, vol.15, n.1 -genn-febb-
2002-, 5-7). Essa fotografa la situazione di oltre 700 mila persone l‘anno che si ritrovano «divorziate»
sulla base di considerazioni essenzialmente soggettive, opinabili ed extragiuridiche. I dati di questa
ricerca sono ripresi più avanti, nota 40 p.15.