2
In seguito si passerà all’approfondimento delle normative, che, nel corso del tempo,
hanno previsto il servizio psicopedagogico all’interno della scuola, fino ad arrivare a
prendere in esame le più recenti leggi sull’autonomia delle scuole e l’ attuale Riforma
Moratti che, si anticipa già qui, non sembrerebbe prendere neppure in considerazione la
figura dello Psicopedagogista.
Nel secondo capitolo si passerà quindi ad analizzare le trattazioni dell’argomento nella
letteratura di settore pedagogico e psicologico.
Si potrà vedere come tali studi, rinvenuti spesso con notevoli difficoltà, siano
concentrati in periodi temporali prevalentemente legati a momenti particolarmente
rilevanti, per la delineazione del servizio, da un punto di vista legislativo.
Sarà inoltre possibile rilevare una prevalenza di stesura in forma di articoli di rivista,
dovuta probabilmente ad una non definitività delle caratteristiche della figura
professionale ed agli, anzi, continui cambiamenti nel corso del tempo.
Ulteriore apporto, per l’approfondimento e la comprensione il più esaustiva possibile di
questa complessa figura professionale, si troverà nell’analisi (terzo capitolo) del
progressivo delinearsi ed evolversi di un modello di riferimento operativo generale,
condiviso all’interno del Gruppo degli Psicopedagogisti di Bergamo.
Allo scopo, verrà analizzata la documentazione prodotta annualmente da tale Gruppo,
attinente al ruolo, funzione, operatività e strumenti dello Psicopedagogista, nonché le
relative pubblicazioni a volte riportate nelle riviste di settore (“L’educatore” e “Rivista
dell’istruzione”).
Nonostante la difficoltà derivante dalla mancanza di una forma standardizzata, le
differenze di contenuto ed oggetto, nonché la difficile reperibilità, queste fonti
permettono un’analisi che sembra consentire di cogliere una tendenza generale
caratterizzante questa professionalità.
3
In stretto collegamento con queste caratterizzazioni della figura individuate dal Gruppo
di Bergamo, l’ultimo capitolo tratterà di alcune riflessioni e domande che, nel corso
della ricerca sono via via emerse ed a cui si intende fornire una possibile risposta.
Quali le funzioni, le modalità e gli ambiti d’intervento che nel tempo sono andati
delineandosi e consolidandosi come caratteristici della professione di Psicopedagogista?
Permane l’utilità e la necessità di questa o di una simile figura all’interno della scuola?
Come facilitare e ottimizzare qualitativamente la sua attività?
Quali i percorsi necessari per l’acquisizione delle abilità e competenze imprescindibili
per uno svolgimento efficace di questo ruolo?
È nel tentativo di fornire una risposta a queste domande che si arriverà ad ipotizzare un
piano di studi ideale per la preparazione di Esperti nei processi formativi che, in
continuità e necessario collegamento con quanto fino ad oggi portato avanti (quando
presente) dalla figura dello Psicopedagogista, si ritiene potrebbero svolgere
efficacemente all’interno della scuola i compiti tuttora confermatisi attuali ed essenziali.
Data la natura di questi compiti ed il contesto lavorativo, per tali “nuovi” operatori, si
anticipa fin d’ora, è stata scelta la denominazione di “Formatore scolastico”.
4
CAPITOLO I
IL PERCORSO STORICO LEGISLATIVO
1.0. PREMESSA
Premessa necessaria riguardo le successive normative in esame è rammentare che in
materia giuridica è valido il principio gerarchico secondo il quale le fonti del diritto
sono ordinate lungo un’immaginaria scala, per cui sul gradino più alto sono poste quelle
di maggior forza e poi, via via quelle con forza minore.
Tale principio ha come conseguenza che ciascuna regola di diritto non può derogare a
quella posta da una fonte situata su un gradino superiore.
Altro principio è quello per il quale tra norme di pari grado gerarchico (ad esempio tra
due leggi del Parlamento) si deve applicare quella entrata in vigore per ultima, per cui la
norma successiva prevale sempre sulla precedente fatto salvo il fatto che se sono di
grado diverso è il principio gerarchico che va applicato
1
.
Per quanto concerne l’inquadramento legislativo della figura professionale dello
Psicopedagogista i riferimenti sono molteplici nel corso del tempo e si possono
rintracciare diverse leggi (fonti normative primarie) e decreti, ordinanze o circolari
ministeriali (fonti normative secondarie) applicative delle stesse.
1
Vedi a questo proposito qualsiasi manuale di diritto pubblico, ad esempio Carettti P., De Siervo U.,
Istituzioni di Diritto Pubblico, Torino, G.Giappichelli, 2002 (6^ed.), pp. 16-19 e 478-503.
5
1.1. IL FALLIMENTO DELLE EQUIPES MEDICO-PSICO-PEDAGOGICHE
Se la legge che ha dato ufficialmente i natali al servizio psicopedagogico all’interno
della scuola è la L.517/77 per l’integrazione degli handicappati, per comprenderne l’
origine bisogna fare un passo indietro nel tempo.
Precisamente, limitandosi alla storia repubblicana
2
, bisogna risalire al 1962, anno in cui
con la L.1859/62 istitutiva della scuola media dell’obbligo, si prevedeva la possibilità di
organizzare delle classi “differenziali” per alunni “disadattati scolastici” con difficoltà
di apprendimento per un loro successivo reinserimento nelle classi normali
3
.
Riguardo la procedura da seguirsi per l’invio degli alunni alle scuole speciali o alle
classi differenziali Angela Martini, pur rilevando le differenze all’interno dei diversi
gradi scolastici di cui oltre, chiarisce come il D.P.R. 1518/67 sui servizi di medicina
scolastica dia un assetto complessivo a tutta la materia
4
.
Gli insegnanti informavano dei casi problematici il Capo d’Istituto, il quale li
trasmetteva al medico scolastico, che, a sua volta, “se del caso” , sottoponeva ad
accertamenti gli alunni segnalati avvalendosi anche della collaborazione di centri
medico-psico-pedagogici , di Istituti specializzati e dei medici specialisti.
I centri medico-psico-pedagogici erano sorti in Italia tra gli anni ’40 e ’50, con lo scopo
di fornire un servizio pubblico di consultazione per la diagnosi e il trattamento di tutti i
“disturbi” neuropsichiatrici dell’infanzia, dai più gravi ai più lievi.
2
Come chiarito dalla Martini (Martini A.,Servizi psicologici e scuola , “Scuola e Città”, 4, 1983, pp.182-
183), la nascita, pur con differenze, delle classi differenziali e delle scuole speciali (di cui alla nota
successiva) è data già nelle norme della riforma Gentile inserite nel T.U. con R.D. 577/1928 e R.D.
1297/1928.
3
Sulla stessa linea è del 1967 la legge 444 sull’ordinamento della scuola materna statale, che prevedeva
l’istituzione di sezioni speciali per bambini con disturbi dell’intelligenza, del comportamento o
menomazioni fisiche o sensoriali e la creazione per i casi più gravi di scuole materne speciali.
4
Per ulteriori approfondimenti in merito e per quanto attiene ai centri medico-psico-pedagogiche Cfr.
Martini A., 1983,art. cit.
6
Fra i loro principali utenti era appunto la scuola, che, per la diagnosi e il trattamento
degli alunni “anormali e “disadattati”, richiedeva questa assistenza su istanza
ripetutamente ed esplicitamente sottolineata dal Ministero della P.I. che, con
l’emanazione di una serie di circolari, dava ai Provveditori agli Studi la facoltà di
stipulare convenzioni con enti dotati di personalità giuridica a ciò preposti.
Sulla base dell’esito degli esami l’autorità scolastica competente disponeva
l’assegnazione degli alunni alle scuole speciali o alle classi differenziali.
Anche precedentemente comunque la selezione degli alunni segnalati al medico
scolastico nelle scuole elementari era attuata da èquipes medico-psico-pedagogiche o da
una Commissione provinciale nominata dal Provveditore agli studi d’intesa col medico
provinciale e composta da uno specialista in neuropsichiatria infantile, una insegnante
specializzata in ortofrenia, un pediatra ed eventualmente un oculista e un
otorinolaringoiatra
5
.
Similmente nella scuola media, secondo le disposizioni dell’art.12 della L.1859/62 e
del D.M.08-08-63 e successive integrazioni, la decisione definitiva era affidata ad una
Commissione medico-pedagogica presieduta dal Provveditore agli Studi e composta dai
Presidi delle scuole interessate, da due medici, di cui almeno uno competente in
neuropsichiatria infantile, in psicologia o in materie affini, da un esperto in pedagogia e
da un esperto in sociologia o, in mancanza, da un’assistente sociale.
Le classi differenziali, che, pur nella C.M 934/6 del 1963, si avvertiva non dovessero
trasformarsi in istituzioni emarginanti, rivelarono la propria natura discriminatoria e
selettiva risultando un fallimento nell’obiettivo per cui erano state create: quello di
recuperare gli alunni “difficili” per reinserirli poi nelle classi comuni
6
.
5
Martini ricava queste informazioni e le successive valide per la scuola media (confermate queste anche
dalla lettura dei testi di legge) da Dini P.L.,Classi differenziali e scuole speciali, Roma, Armando, 1965,
pp.55-57.
6
La circolare è citata in Sarli M.L., La legislazione scolastica sull’integrazione, “L’educatore”, 13, 1984.
7
Fra l’altro “le percentuali riguardanti questo tipo di alunni, rispetto alla intera
popolazione scolastica, erano semplicemente assurde e comunque tali da non aver
riscontro, quanto a grandezza di valori, in nessun altro paese del mondo occidentale”
7
.
Le stesse èquipes medico-psico-pedagogiche incontrarono notevoli difficoltà.
Fra i suoi compiti rientravano i contatti con gli insegnanti e con il Direttore didattico;
l’esame psicodiagnostico individuale per i casi che lo richiedevano e la stesura delle
relative diagnosi complete della classe da frequentare e sui necessari interventi
ortopedagogici e medici; in seduta collegiale col Direttore didattico ed il medico
scolastico lo stabilire la composizione delle classi differenziali e di scuola speciale; la
consulenza psico-pedagogica durante il corso dell’anno scolastico; approfondimenti
psicologici e pedopsichiatrici individuali per i casi dubbi o che presentassero maggiori
disturbi; esami psicodiagnostici collettivi e riunioni trimestrali dell’èquipe al completo
insieme al Direttore ed eventualmente al medico scolastico; l’orientamento alla
ricerca,l’aggiornamento e la sperimentazione
8
.
Causa del mancato successo delle èquipe le numerose funzioni ad esse assegnate e la
non chiara definizione degli specifici ruoli dei vari componenti, che spesso
mantenevano un linguaggio troppo specialistico ed un egocentrismo professionale, che
non permetteva di comprendere i problemi degli altri e di agganciare le singole
consulenze tra loro
9
.
Con l’arrivo degli “anni caldi” del ’68, la contestazione raggiungeva anche quella linea
culturale e politica che “aveva portato alla mostruosità del proliferare impressionante di
scuole speciali per handicappati e classi differenziali per disadattati”, alle cui
fondamenta erano spesso cause di carattere sociale reinterpretate dalla cultura ufficiale
7
Cfr.Accorsini G., L’inserimento degli handicappati in Italia: riflessioni sulle esperienze fatte, “Scuola e
città”, 5, 1980, p.223.
8
Cfr. Martini A., 1983, art. cit., p.184
9
Cfr. Trisciuzzi L. (a cura di), Le nuove attività della funzione docente, Firenze, La Nuova Italia, 1995,
p.77.
8
come cause sanitarie, cui veniva data conseguentemente una risposta specialistico-
sanitaria e specialistico-didattica
10
.
A ciò conseguente la“scelta politica di gruppi minoritari che vollero coscientemente gli
“inserimenti selvaggi” per mostrare che la valenza medica era mistificatoria e la
soluzione doveva essere trovata su un piano pedagogico-didattico, che non deprivasse i
soggetti svantaggiati della ricchezza del contatto con la società nel suo molteplice
articolarsi”, fenomeno che raggiungeva un tale spessore da costringere le forze politiche
a prenderne atto, varando nel 1971 la prima di una serie di leggi sull’inserimento sociale
degli handicappati (L.118/71)
11
fino a giungere alla L.517/77.
Prima di passare a quest’ultima, focalizzando l’attenzione sull’oggetto in esame nella
presente trattazione, interessante risulta anche la legge delega del 1973, citata da
Trisciuzzi
12
, in cui si prendeva atto dell’inadeguatezza delle èquipes ravvisando la
necessità di “procedere ad una “rivalutazione” delle varie competenze, a partire da
quelle del personale direttivo e docente “con particolare riguardo (…) ai rapporti (che
questi debbono intrattenere) con gli operatori e con gli esperti che collaborano
all’attività educativa della scuola con assistenza medico-socio-psico-pedagogica”
(virgolette nel testo, corsivo mio)” ed in cui per la prima volta si usava questa
denominazione ampliata, che ,insieme alla progressiva sospensione del funzionamento
delle classi differenziali, dalla C.M. 191/17 del 1974 cambiava di nuovo in “servizio
socio-psico-pedagogico”.
10
Cfr. Nocera T., L’integrazione scolastica degli handicappati tra normativa scritta e realtà, “Scuola e
Città”, 2, 1981, p.73.
11
Ibidem.
12
Cfr. in Trisciuzzi L., 1995, Op.cit, p78.