2
Introduzione.
Questo lavoro si propone di descrivere parte dell’universo di sogni,
storie, speranze e utopie, contenuto nel film di Ettore Scola C’eravamo
tanto amati (1974).
Film acclamato da critica e pubblico, C’eravamo tanto amati è un
lungo viaggio nella storia italiana, dal dopoguerra alla metà degli anni
settanta, che Scola ripercorre avvalendosi della collaborazione di due tra i
più importanti sceneggiatori dell’epoca, Agenore Incrocci e Furio
Scarpelli.
Dedicato alla memoria di Vittorio De Sica, il film è frutto
dell’interpretazione corale di Stefania Sandrelli, Vittorio Gassman, Nino
Manfredi, Stefano Satta Flores, Giovanna Ralli e Aldo Fabrizi, i quali
trasportano sullo schermo le speranze, i compromessi, le trasformazioni
della società italiana del tempo.
Ho scelto di prendere in esame questo film perché ritengo che
l’originalità di un racconto non possa prescindere dallo studio,
dall’osservazione, dall’ascolto dell’uomo, filtrati attraverso l’occhio di chi
decide di caricarne la realtà di identità singole e collettive.
C’eravamo tanto amati raccoglie sotto la lente ideologica di Scola uno
spaccato temporale del Belpaese dove la macrostoria italiana si fonde con
le vite dei personaggi interpreti del racconto: la scomposizione del tempo
filmico, gli sguardi e le parole rivolte allo spettatore, i rimandi teatrali e
cinematografici del film, sono espressioni indispensabili per descrivere
l’universo poetico con il quale Scola rende quest’opera uno dei più
memorabili esempi della commedia all’italiana.
Per realizzare questo lavoro sono state analizzate monografie dedicate
al film e al suo regista i cui abstract sono riportati in appendice, nonché
studi sul cinema italiano e sulla storia d’Italia, questi ultimi indispensabili
per poter contestualizzare il racconto e comprenderne appieno le scelte del
regista. La visione della filmografia di Scola relativa agli anni ’60 e’70, ha
permesso di ripercorrere le tappe che il regista ha affrontato per giungere
3
alla realizzazione di C’eravamo tanto amati: capirne le connessioni e lo
stretto legame con la vita sociale e politica proposta sullo schermo.
Ettore Scola è considerato uno dei principali autori di commedie a
sfondo socioculturale. Autore di un cinema realista e dubitativo, le sue
opere sono aperte alla riflessione autonoma nella quale lo spettatore può
facilmente riconoscere se stesso, i propri sogni, speranze, desideri e
delusioni.
Il Capitolo I si propone di tracciare le tappe principali della vita del
regista campano: l’infanzia, i suoi studi, la pubblicazione delle prime
vignette sui settimanali satirici romani, le esperienze radiofoniche, il
successivo lavoro di sceneggiatore, durato 15 anni, fino al suo approdo
alla regia con il film Se permettete parliamo di donne (1964). Viene
inoltre descritto come l’incontro di Scola con i migliori attori e autori del
tempo, abbia permesso al regista di creare un nucleo di riferimento
stilistico, poetico, umano, con cui rinnovare il proprio rapporto con la
commedia all’italiana: affiancando agli elementi della tradizione il suo
umorismo surreale e fantastico; rinnovando l’interpretazione della visione
del reale; ribadendo il contatto tra il cinema e la realtà socio-politica
italiana.
Nel Capitolo II è descritta la trama ricca di intrecci che
contraddistingue C’eravamo tanto amati, seguita dal paragrafo dedicato
alle storie e ai protagonisti che hanno condiviso la nascita del progetto
filmico. L’attenzione di Scola alla psicologia dei personaggi e alle storie di
cui si fanno portatori denota la visione di una umanità la quale, se
estrapolata dal contesto filmico è, per certi aspetti, non solo ancor oggi
attuale, ma definibile in una dimensione astratta del tempo. C’eravamo
tanto amati propone sullo schermo personaggi dai contorni macchiettistici,
popolari, caricature e tragiche iperboli, ricondotte per contrasto alla
dimensione reale attraverso la mediazione fantastica che Scola applica al
suo cinema. Ad ognuno dei protagonisti del racconto ho dedicato un
paragrafo, descrivendone i principali attributi che emergono dalla visione
del film e dalle letture inerenti, contrassegni indispensabili per capire le
4
scelte che i personaggi compiono e lo spaccato di società italiana che
rappresentano.
Il Capitolo III è dedicato all’interpretazione del regista verso gli
elementi di spazio e tempo proposti nel racconto filmico. C’eravamo tanto
amati si sviluppa all’interno di una Roma che Scola eleva a metafora ed
emblema della ritrovata unione e libertà italiana, ove i personaggi litigano,
si rincorrono, amano, tradiscono, sorridono, vivono. Ognuno di essi segue
una propria linea temporale, parallela ma soltanto talvolta associata agli
altri protagonisti del racconto: particolare che rinnova l’unicità delle vite,
degli incontri, delle passioni che si intrecciano sotto lo sguardo della
Storia. Ne consegue un racconto dalla trama fratturata, spezzata da flash
back e flash forward, inserti di repertorio e cinegiornali, parentesi oniriche
e fantastiche, le quali portano la dimensione della vicenda narrata lontano
dai canoni di documentario o sceneggiato, conservandone i tratti della
commedia.
Spetta agli avvenimenti della macrostoria, soltanto suggeriti ma ben
presenti nel film, il compito di accompagnare le vite e le speranze dei
protagonisti. Così facendo, l’intera umanità descritta in C’eravamo tanto
amati assume un ruolo di primo piano agli occhi dello spettatore, il quale
non può fare a meno di riconoscere se stesso, le sue lotte, i suoi
compromessi, le adesioni che ha condiviso in uno dei più importanti
frammenti della storia italiana.
5
Capitolo I − Ettore Scola: l’umorista con la cravatta.
I.1.
Scola: la famiglia, gli studi, la formazione.
Ettore Scola nasce il 10 maggio 1931 a Trevico (AV), un paesino di
montagna nell’entroterra campano che all’epoca contava appena seicento
abitanti. Il padre Giuseppe è medico condotto, la madre, Adelaide
Pentinelli, è laureata in Lettere presso l’università Federico II di Napoli.
Il giovane Ettore nasce da una famiglia medio-borghese campana, colta
e di formazione laica, la quale esercita una particolare atmosfera francese
non solo nella formazione intellettuale del giovane, ma anche nel suo
futuro cinema (Il mondo nuovo, 1982; Ballando ballando, 1983; La
famiglia, 1986; Il viaggio di Capitan Fracassa, 1990). Frequenti sono le
letture che il nonno paterno Piero, notaio del paese appassionato di cultura
e letteratura d’oltralpe, introduce al giovane Ettore: dalla narrativa
popolare, alla letteratura, alla filosofia (Lamartine, Montesquieu), nonché
testi storici come Il memoriale di Sant’Elena (1816), testimonianza della
sua passione per la vita di Napoleone Bonaparte.
Seguendo il lavoro del padre, la famiglia Scola si trasferisce prima a
Benevento, poi, nel 1935 in via Galilei a Roma, a poche decine di metri da
via Tasso dove, durante l’occupazione tedesca, erano reclusi e torturati gli
antifascisti e i partigiani, come poi descritto dal film di Roberto Rossellini
Roma città aperta (1945).
Il ricordo più vivo di Scola nella Roma fascista del tempo è il 4 maggio
1938, quando ebbe luogo la visita di stato di Adolf Hitler a Roma, giorno
nel quale Scola decide di ambientare il film Una giornata particolare
(1977).
La carriera scolastica del giovane Scola si snoda senza affanni.
Nell’ottobre del 1944, con la guerra ancora in corso nel nord Italia, si
iscrive al IV ginnasio presso il Liceo classico Umberto I, poi rinominato
Pilo Arbertelli, professore del medesimo liceo vittima delle Fosse
Ardeatine.
6
Tra gli insegnanti del Liceo figurano il famoso italianista Carlo Salinari
e il quarto dei fratelli Bragaglia, Alberto, che insegna, come Albertelli,
storia e filosofia.
1
Scola trova estremo interesse per la letteratura, il latino
e il greco, ma ciò che le note biografiche segnalano è la precoce passione
per il disegno, il bozzetto e la caricatura: «Io − racconta Scola − già
dall’infanzia avevo una grande passione: mi piaceva disegnare. […] avevo
la necessità di tradurre graficamente, per immagini, tutto quello che
studiavo».
2
Affascinato dai disegni del giornale satirico il «Marc’Aurelio», fumetti
dai tratti grotteschi, buffi, esagerati e talvolta con suggestioni erotiche,
Scola coltiva la speranza di diventare un giorno l’autore di quelle stesse
vignette.
All’età di quindici anni spedisce la sua prima vignetta al giornale
umoristico «Travaso delle idee». «Il “Travaso” − racconta Scola − mi
pubblicò la vignetta su una colonna: raffigurava uno scultore su una
scaletta, di fronte a un enorme blocco di marmo. Di lato c’è una modella
nuda, in posa, e lui con lo scalpello in mano la guarda e dice: “Sorrida”».
3
Nel 1947 la sua passione lo porta ancora giovanissimo a collaborare con la
redazione del giornale satirico da lui più amato, il «Marc’Aurelio», al
quale spedisce le proprie vignette, con relative battute, inserite nella
rubrica fissa La posta dei lettori.
Il bisettimanale satirico, fondato da Oberdan Cotone il 14 marzo 1931,
era caratterizzato da un certo anticonformismo, teso a ridicolizzare con
battute sagaci, sottintesi e allusioni, alcuni aspetti grotteschi del regime:
comicità sposate perfettamente con quelle di Scola «per lo più legate alla
cultura del paradosso e dello humour inglese, di una raffinatezza
esemplare».
4
1
Ennio Bispuri, Ettore Scola, un umanista nel cinema italiano, Bulzoni, Roma 2006, pp. 13-15.
2
Andrea Garibaldi, Roberto Giannarelli e Guido Giusti, Qui comincia l'avventura del signor...:
dall'anonimato al successo ventitré protagonisti del cinema italiano raccontano, La casa Usher,
Firenze 1984, p. 89.
3
Antonio Bertini, Ettore Scola, il cinema e io. Conversazione con Antonio Bertini, Officina,
Roma 1996, p. 32.
4
Roberto Ellero, Ettore Scola, La Nuova Italia, Firenze 1988, p. 13.
7
«Mi piaceva − afferma Scola − un umorismo cosiddetto inglese, che
non si occupava della realtà, una comicità casalinga sull’amore, sulle
avventure, sulla famiglia».
5
Quasi tutti gli autori e i redattori del «Marc’Aurelio» erano di fatto
estranei al quadro di riferimento del regime ma erano tollerati per
incanalare e controllare il dissenso. Questo contesto paradossale
permetteva agli autori di esprimere la propria critica sotto forma di
barzellette, reinventandosi il concetto stesso di comicità per avvicinarsi
sempre di più al surreale.
L’apertura alla dimensione grottesca, onirica e apertamente fantastica,
lascia tracce evidenti in molti dei futuri registi e sceneggiatori al tempo
collaboratori del giornale, quali: Federico Fellini, Stefano Vanzina,
Vittorio Metz, Marcello Marchesi, Mario Monicelli e lo stesso Scola.
Negli anni immediatamente successivi alla fine del secondo conflitto
mondiale, il taglio delle principali riviste satiriche era strettamente
collegato alle problematiche politiche e sociali: il «Marc’Aurelio»
proponeva una copertina sempre ispirata ai contenuti politici,
all’osservazione del costume, dei vizi e delle debolezze degli italiani. Tale
impatto rappresenta la chiave di lettura dei contenuti all’interno del
giornale, proponendo un umorismo di tipo neorealistico
6
che sarà in
seguito sviluppato nelle pellicole dal sapore comico, ma allo stesso tempo
realistico, del cinema di Scola. L’ingresso e l’accettazione a riviste come
«Marc’Aurelio» e «Bertoldo», il successivo contatto con i migliori registi
e sceneggiatori del cinema popolare del tempo, può essere considerato
come la prova del grande talento del futuro regista, sancendo l’ingresso in
quella “fucina di talenti” dal sicuro avvenire nel mondo dello spettacolo.
«Fui accolto con grande simpatia, non incontrai né ostilità né rivalità,
anzi, molta benevolenza» – racconta Scola.
7
5
Andrea Garibaldi, Roberto Giannarelli e Guido Giusti, Qui comincia l'avventura del signor...,
cit., p. 89.
6
Ennio Bispuri, Ettore Scola, un umanista nel cinema italiano, cit., p. 26.
7
Ivi, p. 89.
8
Ottenuta la maturità classica nel 1949, Scola non termina gli studi di
medicina all’università di Roma, sostenuti dal fratello Piero, né quelli in
Giurisprudenza intrapresi nel 1952.
Avviata una collaborazione stabile con il giornale diretto da Vito De
Bellis, Scola propone le proprie capacità a redazioni di giornali quali:
«L’Elefante», «La Settimana Incom Illustrata», «Otto», «Otto volante»,
«Giorni» e «Botta e risposta», le quali non erano riviste propriamente
umoristiche, ma ospitavano spazi per vignette e barzellette illustrate,
ricercando quello stile satirico, freddo o all’inglese, proprio del talento di
Scola
8
.
«Nel giornale – racconta Scola – dopo tante battute approvate e disegnate
dai maestri, cominciai a disegnare anch’io: naturalmente su una colonna.
Più tardi divenni collaboratore a tutti gli effetti, battutista, disegnatore,
autore di articoli e rubriche fisse».
9
Grazie alla fiducia accordatagli da Vittorio Metz, all’epoca
caporedattore del «Marc’Aurelio», Scola partecipa alle riunioni
settimanali della redazione, curando le battute delle vignette di Atolo e
Barbara, due dei più famosi vignettisti del tempo.
Durante il suo apprendistato, Scola affina la propria scrittura
elaborando brevi racconti e semplici storie che individuano
immediatamente il nucleo primario delle situazioni e la chiarezza delle
psicologie dei personaggi, lasciando spazio a battute sempre felici, come
nel caso della sua prima sceneggiatura a fumetti, parodia de I Promessi
Sposi, che riporta nel frontespizio: «da un’idea di Alessandro Manzoni».
10
Le caricature realizzate in «Deciuo e Luciuo» non mancano di
graffianti attacchi critici a intellettuali presuntuosi che esprimono il
proprio disaccordo ostentando vezzi linguistici. Nel racconto La gloria in
tasca, Scola tratteggia i contorni del professor Palumbo, futuro
protagonista di C’eravamo tanto amati (1974), raccontando un cinefilo
che giunge a Roma dalla provincia, il quale, consumato dal suo sogno di
8
Ivi, p. 18.
9
Antonio Bertini, Ettore Scola, il cinema e io. cit., p. 33.
10
Ennio Bispuri, Ettore Scola, un umanista nel cinema italiano, cit., p. 19.
9
fare regia, finisce a chiedere l’elemosina davanti ai cancelli di Cinecittà.
Nella rubrica Le avventure di casa nostra possiamo osservare alcuni
aspetti del suo futuro cinema, al tempo soltanto in fase di incubazione:
Scola fotografa le abitudini della famiglia italiana, ritagliate nei litigi e nei
giudizi intrecciati dei membri del nucleo familiare, spesso riuniti intorno a
una tavola apparecchiata.
11
Grazie alla collaborazione stabile e fruttuosa con alcune delle più note
riviste del tempo, Scola viene a contatto con i maggiori personaggi della
commedia e del cinema comico italiano degli anni Cinquanta, cinema che
si teneva lontano da qualunque coinvolgimento politico o critica sociale.
In un’Italia appena uscita dalle macerie e dalla fame della seconda
guerra mondiale, il talento di Scola, come per Fellini negli anni Quaranta,
è inserito anche in radio, la quale, cavalcando le richieste popolari,
produceva rubriche comiche e programmi di intrattenimento leggeri.
Scola esordisce in radio all’età di sedici-diciotto anni (1947-1949),
12
scrivendo battute e dialoghi per le rubriche Rosso e nero, Oplá e Punto
interrogativo, inserendo battute brillanti e spiritose legate al dibattito
politico nazionale e internazionale.
Il successo radiofonico, siglato dalla collaborazione con Alberto Sordi,
giunge attraverso la direzione di programmi quali: Il teatrino di Alberto
Sordi, Mario Pio e Il conte Claro, i cui testi sono ancora conservati negli
archivi della Rai.
La rubrica Corrispondenza dal palazzo del cinema di Venezia è una
spigliata parodia delle seriose cronache degli inviati che commentavano i
film in concorso al festival della città lagunare. Il programma, diretto da
Scola, riflette il suo legame con il mondo del cinema in modo quasi
autobiografico: al tempo, egli dichiara di vedere fino a tre film al giorno,
esattamente come il protagonista della rubrica, grande consumatore di
cinema, Polito il cinepatito.
Negli stessi anni, dal 1947 al 1950, Scola è saltuariamente impegnato
come gagman nella rubrica radiofonica di Tito Scotti Arriva il cavaliere
11
Ivi, p. 20.
12
Ibid.
10
che ebbe, per ammissione dello stesso Scola ebbe un successo «non
abbietto».
13
Il programma, incentrato sulla lotta di un gruppo di miserabili
contro lo sfratto dei terreni agricoli, prova l’esistenza delle maggiori
tendenze del cinema italiano del dopoguerra (il Neorealismo e la
commedia), evocando, per situazioni e sviluppo narrativo, film come
Miracolo a Milano (1951) di De Sica, Napoletani a Milano (1956) di
Eduardo De Filippo, I giorni più belli (1956) di Mario Mattioli e Amore e
chiacchere (Salviamo il panorama) (1957) di Alessandro Blasetti.
14
La comicità di Tito Scotti, sì astratta e surreale ma basata su velocità e
assonanze, non è congeniale a quella espressa da Scola, che va preferendo
forme e sfondi più collegati alla psicologia umana e all’osservazione della
realtà e del quotidiano.
Non solo umorismo, satira e battute brillanti. Pur realizzando
programmi radiofonici noti per la loro comicità, Scola non tralascia la
visione dei problemi meno superficiali dell’esistenza.
Nel 1944, con la guerra ancora in corso, collabora alla rubrica Botta e
risposta, diretta da Silvio Gigli, la prima trasmissione italiana basata sul
quiz. In seguito, Mario Soldati, nel 1950, realizzò un film, grottesco e
drammatico, con lo stesso titolo del programma radiofonico, dove Scola è
utilizzato per battute spiritose e scene di contorno, atte a sollazzare il
pubblico ancora legato alle memorie della guerra.
15
I.2.
Dalle prime sceneggiature all’approdo alla regia.
Nel 1948, il diciassettenne Ettore, s’imbatte nella troupe di Vittorio De
Sica sul set del film Ladri di biciclette a piazza Vittorio in Roma.
Racconta Ennio Bispuri:
[…] questo incontro casuale con De Sica esercitò un influsso decisivo e
permanente in tutta la personalità di Scola, fino al punto di fargli pensare,
circa venticinque anni dopo, il primo embrione di C’eravamo tanto amati
13
Ivi, pp. 20-22.
14
Ibid.
15
Ivi, p. 23.
11
come un film incentrato proprio su De Sica, cui poi il film venne dedicato in
seguito alla morte improvvisa del grande maestro, avvenuta proprio alla fine
delle riprese. Per quanto sappiamo, Ladri di biciclette rimane ancora oggi il
film preferito di Scola.
16
L’occasione di dirigere De Sica, dieci anni dopo l’incontro a piazza
Vittorio, giunge a Scola nel 1959 con il film da lui stesso sceneggiato: Nel
blu dipinto di blu, di Piero Tellini.
«Durante la lavorazione del film il regista viene prelevato dai
carabinieri per problemi di tasse e i produttori si rivolsero proprio a Scola
per continuare a girare a tutti i costi»,
17
ma Tellini viene rilasciato il
pomeriggio stesso, facendo sfumare ogni possibilità per Scola di dirigere il
proprio idolo.
La prima esperienza nel mondo del cinema da parte di Scola avviene
nel 1949, all’indomani del rilascio della licenza liceale. L’occasione capita
attraverso i colleghi del «Marc’Aurelio», Metz e Marchesi, i quali,
lavorando già con Totò, Macario, Tino Scotti, Carotenuto, Walter Chiari e
Nino Taranto, offrono a Scola di collaborare anonimamente a qualche
copione.
«Lei Cheeta, Io Tarzan, tu bona!»: si dice che sia questa la prima
battuta di Scola per il cinema, inserita nel film Totó Tarzan (1950), che il
regista Mario Mattiòli apprezza particolarmente.
Come primo lavoro − racconta Scola − mi dettero il soggetto di Totò Tarzan
e mi dissero di studiare delle gag, delle battute, piccole scenette. [...]
Leggevano velocemente le mie cose, le scartavano quasi tutte, solo due o tre
se ne salvarono e me le pagavano seduta stante. Mi davano i soldi e il nostro
rapporto finiva lì. Ci saremmo visti per il prossimo film.
18
Dato l’enorme materiale a disposizione, spesso capitava che battute e
vignette non particolarmente adatte a un soggetto venissero “riciclate” in
contesti narrativi differenti o usate per altri personaggi: «Questa la
16
Ivi, p. 21.
17
Ivi, p. 22.
18
Andrea Garibaldi, Roberto Giannarelli e Guido Giusti, Qui comincia l'avventura del signor...
cit., p. 90.