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Il motivo principale dell’assunzione del doping è il miglioramento delle proprie
prestazioni, possono esserci varie concause che portano a questo, ma sono tutte lo
stesso riconducibili, nello sport professionistico, all’intento di primeggiare al fine di
ottenere contratti, dagli sponsor o dalle società di appartenenza, sempre più ricchi.
Nello sportivo amatoriale, l’idea di assumere sostanze “magiche”, spesso nasce in
seguito al consiglio di un amico che le ha provate in precedenza. In questo caso,
varie categorie di farmaci e pratiche terapeutiche sono proposte come mezzo per
migliorare artificialmente le performance, ma quasi mai esiste una base razionale nel
loro utilizzo. I miglioramenti ottenuti sono spesso dovuti al cosiddetto “effetto
placebo”: chi li usa si aspetta di migliorare le prestazioni, e questo riesce sovente a
conferire una carica psicologica che porta ad un maggiore impegno. E’ invece
accertata la comparsa di effetti collaterali indesiderati, talora molto pericolosi, talaltra
letali. Oggigiorno è in continuo aumento il numero delle persone che praticano
un’attività sportiva, grazie al progressivo miglioramento delle condizioni di vita
popolare e all’evoluzione della cultura e dei costumi. In primo luogo lo sport è
praticato per migliorare l’aspetto fisico, ma l’esercizio di un’attività sportiva aiuta
anche a livello psicologico. In questo senso, infatti, esso può servire per scaricare le
tensioni che si accumulano durante la giornata rendendo così chi lo pratica più
sereno.
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La pratica del doping appare dunque riprovevole per due motivi: i danni potenziali a
cui l’atleta può andare incontro e la corruzione apportata alla genuinità della
prestazione atletica. Il doping è, per molti aspetti, un fenomeno eterogeneo per modi
di pratica, per diffusione, e per categorie di sportivi fruitori. L’esistenza di molteplici
ragioni che legittimano l’utilizzo terapeutico di queste sostanze o metodi, le
giustificazioni al loro impiego nello sport sono veramente limitate. Pertanto, il ricorso
al doping da parte degli atleti è spesso punito con squalifica. Essendo il mondo dello
sport travagliato, una persona che ha una passione, per uno sport deve cercare di
praticarlo o seguirlo in sintonia con quelli che sono i valori etici dell’attività sportiva,
stimolando lo spirito di squadra e il divertimento.
Il progredire della scienza medica ha avvicinato allo sport, e quindi ai suoi buoni
effetti sul benessere psicofisico dell’uomo, anche soggetti che, portatori di talune
patologie, un tempo sarebbero stati esclusi dall’attività sportiva ma che addirittura
sono resi competitivi a livello agonistico. Merito ovviamente del constante intervento
di èquipe mediche sempre più qualificate che attuano protocolli terapeutici mirati, in
grado di migliorare la sintomatologia accusata e di ripristinare le condizioni psico-
fisiche richieste dall’esercizio sportivo.
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Esemplificativo, in ambito professionistico, è l’esempio di “MILAN LAB”, una
struttura medica d’avanguardia a livello sportivo che si
prefigge lo scopo di raggiungere e mantenere il livello
di eccellenza della performance e ottimizzare i risultati
della squadra attraverso una metodologia volta a migliorare le prestazioni degli atleti,
a prevedere il rischio di infortuni, e quindi a supportare il processo decisionale dello
staff tecnico e del management del Club nella gestione delle risorse umane. Sono
molteplici le situazioni nelle quali si impone un confronto tra etica, deontologia
medica e diritto, temi questi per gran parte pertinenti la disciplina medico- legale che
da sempre è impegnata nello studio delle problematiche connesse con la
valutazione della res biologica sub specie iuris: il giudizio di idoneità, il dovere di
informare l’atleta, la condotta professionale del medico, la verifica del rapporto
casuale tra danno alla salute ed uso di farmaci, il dovere di informare l’Autorità
Giudiziaria, la liceità dei prelievi di campioni biologici e gli accertamenti tossicologici
rappresentano solo alcuni dei possibili argomenti che andrebbero sottoposti ad
attenta disamina (Gagliano Candela e Di Vella, 2001).
Non si può negare che le tecniche dopanti permettano un miglioramento delle
prestazioni, non si deve dimenticare che queste pratiche sono sleali a livello sportivo
e causano dei danni seri e, spesso, irreversibili per la salute.
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In quest’ottica sono di valore gli esempi degli atleti sottoposti a “doping di Stato”
nell’ex DDR. Uno degli esempi più clamorosi è quello di Heidi Krieger campionessa
nel 1986 di lancio del peso, sottoposta a sua insaputa a massicce dosi di oral-
turinabol che la portò ad un passo dal suicidio per le complicanze psicologiche che
l’assunzione di questo farmaco provocò. Heidi a 16 anni nello spazio di pochi mesi si
trasformò quasi in un uomo con crescita abnorme di muscoli, barba e ingrossamento
della voce “In realtà, io non sapevo qual era il mio sesso: maschio o femmina?”
(DocMagazine 3 maggio|giugno 2005). Oggi Heidi dopo un’operazione chirurgica è
un uomo di nome Andreas, ed è ancora in corso di svolgimento un procedimento
giuridico nei confronti dell’establishments sportivo dell’ex Germania Orientale.
A fronte dunque di questa nuova realtà dello sport, che è in maniera molto evidente
sleale, particolare rilievo assume la figura dell’esercente la professione sanitaria in
quanto, direttamente o indirettamente, è coinvolto non solo nell’educazione sanitaria
volta alla tutela della salute dell’atleta ma anche nella prevenzione e nella
dissuasione, soprattutto dei giovanissimi, dal ricorso a sostanze o pratiche dopanti.
La conoscenza del fenomeno doping costituisce fondamentale premessa per una
condotta professionale che è consona ai dettami etici, deontologici e normativi.
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DEFINIZIONE
La parola "Doping" è un inglesismo che, secondo il professor Demole, apparve per
la prima volta nel 1889 nel gergo americano, e poi riportata in seguito in un
dizionario inglese, nel quale si faceva riferimento a: "Miscela di oppio e narcotici
somministrata ai cavalli ", al punto che per i fantini significava "Stimolazione illecita
dei cavalli durante la corsa" (Demole, 1941).
Nel gennaio 1963 si tenne ad Uriage-les -Bains (Francia) il Primo Colloquio Europeo
di Medicina Sportiva, nel quale venne proposta la seguente definizione di doping:
"Viene considerato doping l’impiego di sostanze e mezzi che, intesi ad aumentare
artificialmente il rendimento in una competizione, potrebbero danneggiare l’integrità
fisica e psichica dello sportivo" (Consiglio d’Europa. Primo Colloquio Europeo di
Medicina Sportiva sul Doping, 1963).
In Francia, riguardo alla Legge n° 65.412 del primo giugno 1965, che corrisponde
esattamente alla pubblicazione della Legge francese contro il Doping, che dopo
quella belga è la seconda ad essere pubblicata, il doping è definito nel modo
seguente: "Viene considerato doping il fatto di somministrare deliberatamente, prima
o nel corso di una competizione sportiva, sostanze destinate ad aumentare
artificialmente e temporaneamente le possibilità fisiche di un atleta e capaci di
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danneggiarne la salute" (Legge n° 65.412 del 1° giugno 1965 della Repubblica
Francese sul Doping, 1965).
Nel 1969 è già riportata nel dizionario enciclopedico Larousse la seguente
definizione sul doping, che diceva: "L’impiego di sostanze stimolanti o eccitanti, con
lo scopo di ottenere un maggior rendimento in un momento determinato, quasi
sempre in prove sportive" (Dizionario Enciclopedico Larousse, 1969).
Nell’ambito delle definizioni del doping date da organismi internazionali, vale la pena
evidenziare quelle che sono state realizzate dal Comitato Olimpico Internazionale,
anche se comprendono solamente i Giochi Olimpici, e quelle del Consiglio d’Europa
che, pur includendo gli stati membri, non hanno carattere obbligatorio. La prima
definizione con carattere estensivo riconosciuta ufficialmente per 20 anni fu
elaborata nella prima riunione di studio speciale del Consiglio d’Europa, tenuta a
Strasburgo nel gennaio 1963, riconoscendo la definizione come del Consiglio
d’Europa, con tema centrale "Doping negli atleti". In questa riunione fu stabilita come
definizione di doping: "Il doping è una somministrazione ad una persona sana, o
l’impiego da parte di questa e con qualsiasi mezzo, di una sostanza estranea
all’organismo o di sostanze fisiologiche utilizzate in quantità o per vie non normali,
con l’unico scopo di aumentare artificialmente e illegalmente il rendimento di questa
persona durante la sua partecipazione a una gara.
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Possono essere anche considerate pratiche di doping determinati procedimenti
psicologici destinati a potenziare la forma fisica di uno sportivo" (Comitato di
Istruzione Extrascolastica del Consiglio d’Europa, 1963). Un’altra definizione che ha
segnato in modo importante la lotta contro il doping è stata quella realizzata nel
1984 da parte dei ministri europei responsabili dello sport, i quali approvarono un
testo semplice, con il titolo di "Definizione della Carta Europea contro il doping nello
sport". In questa definizione si affermava che: "Il doping nello sport consiste
nell’impiegare, violando i regolamenti delle organizzazioni sportive competenti,
sostanze o categorie di sostanze che sono proibite" (Consiglio d’Europa. Carta
Europea contro il Doping nello Sport, 1984).
In questo momento, il CIO ha una definizione al riguardo, benché non sia recente,
che si basa su "La proibizione dell’impiego nello sport di metodi dopanti e classi di
sostanze dopanti compresi in vari gruppi farmacologici" (Comitato Olimpico
Internazionale, 1986).
La definizione del Trattato contro il doping del Consiglio d’Europa, elaborato nel
1989 e ratificato a partire da questa data da vari stati europei, considera ai suoi
effetti la seguente definizione di doping: "Il doping nello sport è la somministrazione
agli atleti, o l’impiego da parte degli atleti stessi, di classi farmacologiche di sostanze
dopanti e di metodi di doping proibiti dalle organizzazioni sportive internazionali
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competenti e che, come tali, figurano negli elenchi approvati dal Gruppo di Controllo
del Trattato" (Consiglio d’Europa, 1989). La definizione che dà nel 1992 la
Commissione Nazionale Antidoping (Consiglio Superiore degli Sport) per mezzo
della Sottocommissione di Divulgazione sul doping, riporta al riguardo che
quest’ultimo è: "Il consumo, da parte d’atleti o animali sportivi, di sostanze dopanti, o
l’uso di metodi di doping, con lo scopo di modificare artificialmente le loro prestazioni
nell’ambito di una gara" (CSD - Commissione Nazionale Antidoping, 1992).
Nella stessa direzione, s’ intendono come "sostanze dopanti" quelle sostanze la cui
azione farmacologica corrisponde ad uno dei gruppi riportati nell’Elenco di Sostanze
dopanti elaborata dal Consiglio Superiore dello Sport, intendendosi come "metodi di
doping" quei procedimenti che come tali vengono considerati nell’elenco dei metodi
di doping elaborato dal CSD (Commissione Nazionale Antidoping).
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LE ORIGINI DEL FENOMENO DOPING
Il doping fa la sua comparsa nello sport proprio ai suoi albori. Non solo era
conosciuto nella Grecia classica, ma lo era ugualmente nell’antica Roma. E’ così
che gli atleti romani cercavano di migliorarsi non solamente per mezzo dell’uso delle
terme o con l’esercizio fisico, ma anche prendendo droghe tonificanti che, molte
volte, erano nocive. Si cercava a quei tempi di far sì che anche gli avversari, a loro
insaputa, assumessero sostanze che ne facessero diminuire le capacità di
rendimento. Valeva solo vincere, essere superiore, in breve: essere il vincitore
(Wadler y Hainline, 1989). La situazione arrivava a tali estremi che i romani
dell’epoca precedente a Cristo drogavano i cavalli che correvano nelle corse delle
quadrighe perché questi ottenessero prestazioni migliori. Le pozioni utilizzate erano
composte principalmente da idromele che, come indica il nome, era una soluzione
acquosa di miele della quale, una volta fermentata, si sfruttavano gli effetti stimolanti
dell’alcool etilico prodotti dopo alcuni giorni dalla realizzazione della miscela.
Dopo la nascita dello sport moderno, nella parte riguardante gli sport competitivi, a
partire dal XIX secolo, torna a primeggiare la figura del vincitore, dando quindi
nuovamente origine alla somministrazione di qualsiasi prodotto, sostanza o
beveraggio che porti al successo, cosicché veniva utilizzato tutto ciò che poteva far
aumentare il risultato e quindi la forma fisica dello sportivo.