Introduzione
moderna ed esperienza giurico-processuale romano-antica, più volte sostenuta da eminenti
romanisti
5
, inclini, forse, sotto l’inconsapevole influenza della teoria dei “corsi e ricorsi” storici
di G.B.Vico
6
, a rinvenire in un austero sistema giuridico del passato i principi per valutare
criticamente certi sistemi giuridici moderni, sempre mèmori delle opinàbili crisi del diritto che
certi errori possono inevitabilmente determinare. Di certo la romanistica contemporanea ha
accentuato la sua attenzione verso il processo criminale antico: è recente il Convegno di studio
dal titolo“Processo civile e processo penale nell’esperienza giuridica del mondo antico”,
tenutosi a Siena tra il 13 e il 15 dicembre 2001, che ha registrato l’intervento di importanti
romanisti italiani: in primis il prof. B.Santalucia con una relazione in materia di quaestiones,
“Osservazioni sulle quaestiones presillane”
7
, e il prof. P.Cerami con un’esposiziòne in merito a
“Quaesitores et iudices ex lege Manilia”
8
. Non si può non ricordare, inoltre, il convegno
internazionale “Flaminio Mancaleoni e gli studi di diritto romano tra 800 e 900: prospettive nel
XXI sec.”, tenutosi a Sassari tra il 22 e il 24 novembre 2001: numerose le presenze straniere e la
partecipazione di giovani studiosi della materia, alcuni dei quali sono intervenuti con proprie
relazioni. L’ampia adesione a questo tipo di manifestazione non può che confermare il
rinnovato interesse per gli studi romanistici
9
anche a livello accademico, e non solo in Italia…Il
“Convegno Internazionale di diritto romano privato e pubblico: l’esperienza plurisecolare dello
sviluppo del diritto europeo” si è svolto nelle città di Mosca e San Pietroburgo, dal 25 al 30
maggio 2000, per iniziativa della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università Statale di Mosca
“Lomonosov”, dell’Istituto di Storia Universale dell’Accademia delle Scienze di Russia,
dell’Istituto Giuridico della Procura Generale della Federazione Russa di San Pietroburgo, con
il contributo della Fondazione per le Riforme Giuridiche di Russia e della Fondazione delle
scienze Umanistiche di Russia, in collaborazione con il Centro Romanistico Internazionale
“Copanello” in Italia. Al Convegno hanno partecipato studiosi dell’Europa Occidentale,
Centro-Orientale, della Russia e della Comunità degli Stati Indipendenti, che si sono confrontati
5
A.Guarino, “Pagine di diritto Romano”, I ed., Jovene, Napoli 1993, pp.109 –120
6
“In tal densa notte di tenebre ond’è coverta la prima da noi lontanissima antichità, apparisce questo lume eterno, che non
tramonta, di questa verità che non si può a patto alcuno chiamare in dubbio, che questo mondo civile egli certamente è fatto dagli
uomini, onde se ne possono, perché se ne debbono, ritrovare i principi dentro le modificazioni della nostra medesima mente
umana.”, G.B.Vico,”I principi del vivere civile”, tratto da “I principi di una Scienza Nuova d’intorno alla comune natura delle
nazioni”, 1630, tratto da “La Scienza Nuova Seconda”a cura di F.Nicolini, Bari, Laterza 1942
(ora in M.Pazzaglia, “Letteratura Italiana”, vol.II, pp. 753
e ss)
7
Studi Senesi, 113 ( 2001 ), III. “Cronaca del Convegno di studio: Processo civile e processo penale nell’esperienza giuridica del
mondo antico”. Nella sua relazione lo studioso propone di discutere, per più ragioni, la tesi che oggi gode di maggiore credito in
dottrina, secondo cui le corti presillane, quando si introdusse la “accusatìo publica”, sarebbero state presiedute dal pretore. Tesi
che il Santalucia non condivide
( vedi infra… )
8
Studi Senesi, 113 ( 2001 ), III. “Cronaca…”
( vedi nota precedente… )
. Nella sua relazione il prof.Cerami ha effettuato una comunicazione
riguardante la “lex Manilia” come strumento di reazione ad una pratica di “quaestiones” pilotate dal ceto senatorio, tale da non
garantire un processo “iustum”. Il relatore ha ricordato il carattere essenziale della “quaestio” introdotta e la distinzione tra
“quaesitores” e “iudices”: funzione inquirente per i primi, giudicante per i secondi. Meccanismo, questo, che avrebbe dovuto
garantire il, secondo Cerami, il “giusto processo”.
9
Anche se la dottrina ha da sempre prestato maggiori attenzioni al “diritto privato romano”, si è registrato, negli ultimi anni, un
particolare interesse per tutto ciò che concerne il “diritto processuale-penale antico: a prescindere dai numerosi studi relativi alle
fonti dirette, si è diffusa la valutazione critica, ad esempio, degli studi di Mommsen ( in primis del suo “Römisches Strafrecht” ), nel
pieno riconoscimento della sua autorità scientifica: T.Masiello, “Mommsen e il diritto penale romano”, Cacucci, Bari 1995;
W.Kunkel, “Theodor Mommsen als Jurist”, Chiron 14, 1984, pp. 369 e ss.
2
Introduzione
sui problemi relativi alla diffusione degli studi romanistici negli ordinamenti giuridici
contemporanei. Fra le altre, anche l’Università di Salerno
10
ha aderito alla manifestazione.
Infine, a conferma dell’importanza acquisita dalla romanistica negli ultimi anni, non si può
prescindere dal ricordare la recente istituzione della Scuola Internazionale di Diritto Romano
11
,
con sede a Varsavia, il cui scopo è la formazione di personale per la ricerca e l’insegnamento
delle materie romanistiche, nonché la facilitazione dei rapporti scientifici fra gli studiosi ,
soprattutto fra i romanisti dell’ex Unione Sovietica e quelli del resto d’Europa, con particolare
attenzione ai romanisti Italiani. Il primo corso si è tenuto tra il 12 e il 24 settembre 2001. Molte
lezioni sono state tenute anche da docenti italiani, gli emèriti professori N.Palazzolo, A.Masi e
L.Garofalo, quest’ultimo già presente, in passato, a diverse manifestazioni organizzate in
materia. Importantissima la sua partecipazione alla Conferenza “Origini e sviluppo della
provocatio ad populum”, tenuta , su invito dell’Accademia di Teologia Cattolica di Varsavia,
presso la relativa Facoltà di diritto canonico, il 16 maggio 1995. Numerosi sono, inoltre, i suoi
contributi al diritto criminale romano che saranno analizzati criticamente nel corso di questo
lavoro, ponendoli a confronto con gli studi di altri insigni romanisti.
§ 2. « Rilievo storico-giuridico »
A questo punto è opportuno analizzare, per sommi capi, il clima storico-culturale che ha
determinato il sorgere delle corti permanenti: ogni singolo istituto giuridico, nonché le singole
fasi del processo per quaestiones perpetuae saranno approfondite dogmaticamente nel corso di
questo lavoro. Il periodo di riferimento è quello ricompreso, approssimativamente, tra il IV e il I
sec. a.C., coincidente con l’epoca della Repubblica Romano-nazionale
12
, durante la quale Roma
si distinse per la sua particolare organizzazione politica, certamente unica e inconfondibile nel
suo genere, espressione di uno stato quale amalgama di interessi economici e sociali, di comuni
aspirazioni rispetto al mondo esterno, e di esigenze spirituali ed ideali cui solo il civis Romanus
poteva aderire. È chiara la concezione nazionalistica dell’elemento cittadino romano, lontano
dall’essere considerato un marchio esteriore dell’appartenenza allo Stato. Il che trova conferma
in quel complesso di requisiti che vennero accuratamente disposti dall’ordinamento ai fini del
riconoscimento della cittadinanza romana. La Respublica nazionale si manifestò, per tutto il
III sec.a.C., uno stato a governo aperto, “strutturalmente democratico
13
, ma fortemente
10
Con interventi del prof. F.Lucrezi, “La responsabilità aquiliana tra criterio oggettivo e criterio soggettivo, nell’esperienza antica
e moderna”, e della prof. L.Solidoro,”Abstrakte Eigentum e pluralità delle forme di appartenenza fondiaria nell’esperienza
romana”.
11
L’idea di una Scuola Internazionale di diritto Romano è nata nell’ambito del “VII Colloquio dei Romanisti dell’Europa Centro-
Orientale e d’Italia”, tenutosi a Roma nei giorni 3, 4 e 5 dicembre 1998.
12
V.Giuffrè,”La repressione criminale nell’esperienza romana. Profili”, Jovene, Napoli 1998, pp.71 e ss..In realtà, all’inizio del
Principato le “quaestiones perpetuae” erano ancora “i normali tribunali giudicanti” a Roma e in Italia in materia penale.
B.Santalucia, “Diritto e processo penale nell’antica Roma”, Giuffrè, Milano 1998, pp.103 e ss., Il sistema delle “quaestiones
perpetuae” trovò definitiva e organica sistemazione nella “Lex Iulia iudiciorum publicorum”, fatta votare da Augusto nel 17 a.C..
13
A.Guarino,“Storia del diritto Romano”, Jonene, Napoli 1996, p.196.. Si consideri, inoltre, l’etimologia del termine
“democrazia”, dal gr.”dèmos”, popolo, e “kràtos”, forza, in un contesto storico-giuridico che teneva in alta considerazione il
giudizio del popolo, specialmente in materia criminale ( provocatio ad populum ), per vagliare se eseguire la sentenza del
“magistratus”, o lasciare che il colpevole abbandonasse la città e riparasse altrove ( commutazione della “poena capitis” in “aqua
3
Introduzione
conservatore nel regime”. In realtà gli storiografi di Roma sono soliti non riconoscere al
governo repubblicano il carattere di vera democrazia, preferendo ravvisare in essa una
particolare forma di oligarchìa, per il maggiore peso dato nelle assemblee popolari ai cittadini
delle classi abbienti e per la concentrazione delle cariche pubbliche e del senato nelle mani di un
ristretto numero di famiglie costituenti la nòbìlìtàs. Le assemblee popolari, in effetti, erano
l’elemento fondamentale e centrale del governo ( cŏmĭtia
14
se comprensive di tutti i cīves romani,
concĭlia
15
se comprensive della sola plebs, contiōnes
16
se comprensive di pōpŭlus et plebs
riunite a scopo di mero convegno informativo); in breve tempo erano riuscite a determinare il
tramonto dell’originaria egemonia costituzionale del senatus
17
, che tuttavia seguitava a
rappresentare la continuità e la coerenza della politica di Roma in quanto organo consultivo. Il
sistema di governo della Respublica Nazionale Romana era completato dallo stuolo dei
magistratus
18
, persone fisiche incaricate di espletare le varie e specifiche funzioni di governo ( ma
con lo stesso termine si indicavano altresì le magistrature intese come uffici dell’amministrazione
et ignis interdictio” ). La “provocatio da populum” nel primo periodo della Repubblica fu sicuramente “ius civis romani”, un
baluardo della loro libertà con dignità costituzionale ( Lex Valeria de provocatione del 300 a.C .). Successivamente lo “ius
provocationis” fu variamente esteso probabilmente in seguito alle cc.dd.”Leges Porciae de provocatione” intervenute nella prima
metà del II sec. a.C
(…vedi infra…)
V.Giuffrè,“La repressione criminale nell’esperienza romana. Profili”, Jovene, Napoli 1998, pp.53-
55.
14
I “comtia” erano “le solenni adunanze del popolo” indette o per l’elezione dei magistrati, oppure a scopo giurisdizionale;
B.Santalucia, “Diritto e processo penale nell’antica Roma”, Giuffrè, Milano 1998, p.27: “...in progresso di tempo, […], il popolo
incominciò indubbiamente a prendere parte attiva alla punizione dei crimini, dando così luogo al graduale formarsi di una sfera di
repressione penale di competenza esclusiva dell’assemblea cittadina”;…ibidem, nota 62, “ quando in concreto tale competenza del
popolo si sia affermata non sappiamo con certezza, ma certo agli inizi della repubblica l’evoluzione era già compiuta, poiché la lex
Valeria de provocatione del 509 a.C. presuppone la titolarità del potere giurisdizionale da parte dell’assemblea”;[ L.Ammirante,
“Sulla provocatio ad populum fino al 300”, pubblicato in Iura nel 1983, ma edito nel 1986, pp.8 e ss., nega la storicità della legge
“Valeria de provocatione” del 509 a.C. non reputando fededegni i testi latini che l’attesterebbero: Cicerone, ”De Republica” 2 ,
31, 54 (“provocationem autem etiam a regibus fuisse declarant pontificii libri significant nostri etiam augurales”) e Livio, 2, 8, 2.
Secondo lo studioso il motivo dell’inaffidabilità dovrebbe ravvisarsi nell’impegno da questi profuso nel “proiettare all’indietro, il
più all’indietro possibile”, l’istituzione dello ”ius provocatione”e della “tribunizia potestas”, visti quali elementi caratterizzanti il
concetto di “civitas libertasque” che essi andavano elaborando al fine di soddisfare l’esigenza dell’epoca, di “esaltare il cittadino
romano nei confronti dapprima degli schiavi…poi soprattutto di quanti Romani non erano”. Anche A.Magdelain, “De la coercition
capitale du magistrat supérieur au tribunal du peuple”, in Labeo, 33, 1987, pp.139 e ss., nega la credibilità della suddetta lex del
509 a.C., ritenendola un’anacronistica duplicazione di quella del 300 a.C., elaborata in sede annalistica e séguito del maturarsi in
ambito romano dell’idea di un imprescindibile connessione tra il concetto di “libertas” e l’istituto della “provocatio”; v. ibidem,
pp.146. Contro, L.Garofalo, “Appunti sul diritto criminale nella Roma monarchica e repubblicana”, Cedam, Padova 1997, pp.187
e ss., C. Gioffredi, “I principi del diritto penale Romano”, Torino 1970, pp.12 e ss., B.Santalucia, “Alle origini del processo penale
romano”, in Iura, 35, 1984, ma edito nel 1987, pp.52 e ss.; “ Il processo penale nelle XII Tavole, in “Società e diritto nell’epoca
decemvirale. Atti del Convegno di diritto Romano”, Copanello, 3-7 giugno, 1984, Napoli 1988, pp.245 e ss. ]. Il termine “comitia”
nella “repubblica nazionale”, identifica il “comitatus maximus”,Cierone,”De legibus”, 3,14,11 e 3,19,44, ossia l’assemblea
fondamentale dello stato, che poteva essere convocata e presieduta solo dai “magistratus cum imperio”,v. A.Guarino, “Storia del
diritto Romano”, Jovene, Napoli 1996, pp.205-207; (…ibidem), le attribuzioni dei “comitia” consistevano essenzialmente
nell’elezione dei magistrati ordinari e straordinari maggiori (consoli, pretori, censori), nella votazione delle leggi e “iudicium”
nelle cause criminali con condanna alla pena capitale.
15
Attribuzioni dei “concilia”: “elezione dei magistratus plebis; votazione dei plebiscita ( “quod plebs iùbet atque constìtuit”-Gai
Inst., I, 3-ossia “ciò che la plebe comanda e dispone”. Proprio nel corso dei sec.III-II a.C. furono progressivamente equiparati alle
leges publicae- lex Hortensia, 287 a.C. ); iudicium in cause criminali passibili di multa”, A.Guarino, “Storia...”, Jovene, Napoili
1996, pp.209 e 210.
16
Lett.”contiones” ( sing. “contio” ) corrisponde all’italiano “assemblee” in G.Campanini-G.Carboni,“Vocabolario Latino-
Italiano”, Paravia, Torino 1999; in B.Santalucia, “Diritto e processo penale nell’antica Roma”, Giuffrè, Milano 1998, p.22, nt.49:
“il popolo non era chiamato a decidere sulla condanna, ma svolgeva solo funzioni di assistenza: l’espressione usata in Servius
Auctus, “In Vergilii Bucolica” 4, 43, indica che la riunione dei “cives”, pur avendo il carattere di un vero e proprio comizio quanto
alla convocazione, non era atta a prendere deliberazioni (cfr. Valerio Messala in Gellius 13, 16, 3: “contionem[…]habere est verba
facere ad populum sine ulla rogatione”).
17
A.Guarino, “Storia…”, Jovene, Napoli 1996, pp.212 e ss., “Man mano che le assemblee si affermarono come il centro di
propulsione dell’organizzazione di governo della “respublica”, il “senatus” perse quella sua originaria egemonia[…]. Pur
riducendosi ad istituto formalmente consultivo, il senato (espressione di un gelosissimo, ma per lungo tempo non miope, ceto
patrizio-plebeo, la nobilitas) divenne in pratica l’organo moderatore e coordinatore del governo repubblicano, rappresentando in
modo molto efficiente la continuità e la coerenza della politica di Roma.La sua importanza, dunque, andò nei fatti continuamente
aumentando col tempo, sì che, soprattutto nella politica estera, esso ancora più delle assemblee popolari valse ad esprimere
l’atteggiamento della repubblica.
18
A.Guarino, “Storia del diritto romano”, Jovene, Napoli 1996, pp. 220 e ss.,“…stuolo entro il quale lentamente si
inserirono[…]anche edili e tribuni della plebe, che in origine erano ai magistrati non solo estranei, ma addirittura contrapposti.
4
Introduzione
dello stato romano
19
). Caratteri generali dei magistratus ordinari erano l’elettività (da parte delle
assemblee popolari ), la durata limitata dell’incarico, la collegialità dell’ufficio, la
responsabilità per gli atti compiuti in danno di pubblici e privati interessi, la onorarietà della
carica, detta appunto honor, e la gratuità della stessa. Presumibilmente si distinguevano in
maiòres e minòres, forniti rispettivamente di “potèstas
20
et impèrium
21
” o di sola potèstas.
L’impèrium, che si estrinsecava essenzialmente nella “coërcitio
22
”, veniva riconosciuto ai
consoli
23
, ai pretori
24
e ai dittatori
25
. I magistratus cum impèrio, per punire comportamenti
antisociali, potevano a loro discrezione, salva l’oppignorazione di cose del colpevole ( pignoris
capio ), ed a prescindere da un imprigionamento temporaneo ( deductio in vincula ), irrogare
una pena pecuniaria ( multa ), o addirittura la morte ( poena capitis )
26
. Dalle fonti storiche e
19
…ibidem…, p.220,” La stabilizzazione di questi uffici, sia nel numero che nelle attribuzioni, avvenne quasi interamente durante la
fase di assestamento della respublica nazionale e mai si tradusse, per verità […]in un organico ben distribuito e preciso di uffici e
di relative competenze: con la conseguenza che non poche e non di poco conto furono le attribuzioni magistratuali concorrenti e
spesso tra loro in conflitto”.
20
A.Guarino, “Storia…”, p.221, «Manifestazione della “potestas” magistratuale furono: “ius edicendi”, facoltà di pubblicare nel
foro(“apud forum palam”) i loro programmi amministrativi (“edicta”), “ius agendi cum populo et cum plebe”, cioè la facoltà di
convocare i “comitia” e i “concilia”, “ius agendi cum patribus”, ossia la possibilità di convocare il”senatus”, “ius mulctae
dictionis” e “ius pignoris capione”, rispettivamente facoltà di infliggere multe e prelevare beni a titolo di garanzia come mezzi di
costrizione indiretta dei cittadini recalcitranti all’obbedienza».
21
Che l’imperium fosse alle origini un potere di comando esclusivamente militare è stato lucidamente dimostrato da A.Heuss, “Zur
Entwicklung des imperium der Römischen oberbeamten”,in ZSS, 64, 1944, pp. 57 e ss, il quale ha contestato con validi argomenti
la concezione tradizionale, risalente a Mommsen, “Römisches Staatsrecht”, Berlin 1887-88, I, pp.22 e ss. e a F.Leifer, “Die Einheit
des Gewaltgedankes im römischen Staatsrecht”, München 1914, dell’imperium romano, come potere unitario e indifferenziato che
abbraccia la sovranità in tutte le sue manifestazioni. Assai vicini a quelli di Heuss sono i risultati di P.Voci,”Studi di diritto
Romano”, I, Padova 1985, pp. 105 e ss.), che ricollega il concetto di imperium al potere del sovrano etrusco sulla forza delle armi;
diversa l’opinione diP. De Francisci, “Intorno alla natura e alla storia dell’auspicium imperiumque”, in St. E.Albertario, I, Milano
1953, pp.339 e ss., sostanzialmente fedele alle idee di Mommsen e di Leifer. Importante la distinzione, adombrata in Dion.Hal.
3,61,3, tra “regia ornamenta” (scettro, trono, veste purpurea, ecc.) e “insignia imperii” (fasci e scuri): distinzione difficilmente
conciliabile con il preteso carattere unitario e totale del potere sovrano. (vedi B.Santalucia, “Diritto e processo penale nell’antica
Roma”, Giuffrè, Milano 1998, p.20, nt.42). Secondo B.Santalucia alle origini l’imperium «esplica il potere illimitato di coercizione,
non vincolato da norme né da procedure prestabilite […] libero di adottare […] tutti i rimedi […] necessari per la repressione del
crimine»( in “Diritto e processo…”, Milano 1998, p.20); A.Guarino, “Storia del diritto romano”, Jovene, Napoli 1996, p.221,
«…facoltà di sottoporre a costrizione materiale e diretta (cöercitio) i cittadini recalcitranti mediante incarcerazione (in vincula
deductio) o flagellazione (verberatio) ; il cd. “ius vitae et necis” sui cittadini ben presto paralizzato, però, dal “ius provocationis ad
populum” dei cittadini stessi…».
22
U.Brasiello,”La repressione penale in diritto romano”,Siena 1937-XV, p.32-34, “…complesso di poteri attribuiti al magistrato.
Certo dovunque egli, in virtù del suo impèrium, poteva vincolare in qualche modo la libertà di un individuo, operare una
costrizione su di lui, doveva vedersi una ‘coërcitio’. Questo indipendentemente dalla finalità, fosse essa di punire, di correggere, di
limitare nell’attività, o di eliminare dalla società; finalità su cui i Romani non si sono particolarmente soffermati. ‘Coërcitio’ è la
repressione contro le donne, gli schiavi, gli stranieri per tutti i fatti, anche quelli che, se posti in essere da altri, sono repressi da
leggi; è la persecuzione esercitata contro l’uomo ‘sui iuris’ quando vi sia difetto di età, o assenza di dolo riconducendosi ad essa la
‘verberatio’ dello ‘impubere’ e la ‘levior castigatio’ dell’incendiario causale, là dove al ‘pubere’ si applica la sanzione della
‘praecipitatio e saxo’( Plinius 18, 3,12 e Gellius II,18,8) e all’incendiario doloso la morte (Gaius D. 47,9,9): ipotesi, tutte, in cui la
legge non è applicabile, e solo il magistrato può porre rimedio. […] Coërcitio è ogni attività del magistrato nell’esercizio di un
impèrium illimitato. […] Introdotte le ‘quaestiones…’, i due campi”… della ‘coërcitio’ e della ‘repressione pubblica…”appaiono
ormai come separati e distinti, sia nel contenuto che nella forma. […]. La coërcitio assorbe tutto quello che rimane fuori dell’altro
campo […]. Il potere che resta al magistrato di applicare dei mezzi di repressione senza il concorso di cittadini o di giudici, a
questa seconda fase si attaglia meno. Questi non sono chiamati, come prima il popolo, a valutare solo quanto è stato compiuto dal
magistrato, ma compiono invece qualche cosa che il magistrato non potrebbe. La coërcitio, quindi, nell’ultima epoca repubblicana
comprende tutti i fatti che non sono soggetti a repressione ordinaria, che non sono cioè considerati da leggi, e che appaiono per
altro degni di sanzione”.
23
A.Guarino, “Storia…”, Jovene, Napoli 1996, p.226, magistratura ordinaria patrizia maggiore, “cum imperio”, eletta dai
“comitia centuriata”. Nel II sec.a.C. la moltiplicazione delle” provincae” fece si che ai consoli se ne attribuissero una o due
soltanto […]. Alla determinazione delle province consolari provvide il “senatus”…
24
A.Guarino,…ibidem…, p.227, magistratura ordinaria patrizia maggiore, “cum imperio”, eletta dai “comitia centuriata”, da un
solo componente iniziale essa giunse col tempo sino al numero di sedici “praetores”; D.Mantovani, “Il pretore giudice criminale in
età repubblicana”, in “Atheneaum”, 78, 1998, pp.18 e ss., (…vedi infra…). Il pretore, dapprima solo ministro di giustizia, fu in
seguito addetto anche al governo di speciali territori. Probabilmente in epoca tardo-repubblicana presiedette le “quaestiones
perpetuae”, ma molte sono le polemiche sorte in merito a questa figura di “magistratus”…V.Giuffrè, “La repressione criminale
nell’esperienza romana. Profili”, Jovene, Napoli 1998, pp.66-67; L.Garofalo, “Appunti sul diritto criminale nella Roma
monarchica e repubblicana”, Cedam, Padova 1997, cap.VII e cap.VII, pp.241 e ss.
25
A.Guarino, “Storia…”,…ibidem…, p.234, magistratura straordinaria, il “dictator” veniva nominato da uno dei consoli previa
conforme indicazione del “senatus”, tra i “cives optimo iure”, si trattò di una carica di durata semestrale…
26
V.Giuffrè, “La repressione criminale nell’esperienza romana. Profili”, Jovene, Napoli 1998, cap.II, p.48.
5
Introduzione
letterarie emerge, infine, un’ ulteriore e rilevante distinzione tra magistrature ordinarie (cui si è
accennato a proposito dei caratteri generali dei magistratus ), essenziali al normale svolgimento
della vita “civitatis romanae”, e magistrature “extra ordinem”
27
, create per fronteggiare speciali
accadimenti o per provvedere all’espletamento di funzioni che non potevano essere esercitate
dai magistrati ordinari ( la più importante fu di certo la dictatura ). È imprescindibile
evidenziare il particolare potere giurisdizionale riconosciuto ai magistratus della Repubblica
romano-nazionale, e analizzare il modello di giustizia criminale imperante in un periodo storico
caratterizzato dall’emanazione di leggi fondamentali ai fini dell’evoluzione del diritto penale
romano, che raggiùnge un alto grado di maturità proprio con l’istituzione delle “quaestiones
perpetae”, espressione riferita alle Corti Stabili
in materia penale pubblica, costituitisi a Roma e
nelle province a partire dal II sec.a.C.
T.Mommsen nel “Römisches Strafrecht” sosteneva: “…Senza un giudizio reso in nome dello
Stato nei confronti di una persona determinata non vi è pena […]. Il giudizio reso non sulla base
di una norma legislativa ma dell’arbitrio del magistrato è in senso giuridico altrettanto poco una
pena; perché si abbia una pena è necessario un delitto positivamente determinato e una legge
dello Stato regolante il processo. Il potere illimitato del magistrato, che secondo la teoria del
diritto pubblico caratterizza gli esordi della vita della comunità ( romana ) e che vige
praticamente contro i non cittadini, così come il potere coercitivo del magistrato sono fuori del
diritto penale. L’arbitrio permesso dalla legge non per questo cessa di essere arbitrio; quando al
magistrato è sottratta la libera discrezionalità nell’infliggere la pena di morte, lo stesso limite si
estende alle rimanenti forme di repressione…”
28
. In effetti, per buona parte dell’età
repubblicana la repressione criminale, a Roma, si fondò sull’arbitrio dei magistrati cum imperio,
limitato, solo in parte, dalla garanzia della provocatio ad populum
29
. Di certo l’appello ai
comizi, cui la legislazione Valeria-Orazia
30
, agli albori dello Stato patrizio-plebeo, sottopose gli
atti di repressione del magistrato nei confronti dei cittadini romani, nella misura in cui costituì
un limite all’arbitrario esercizio della coercizione magistratuale, fu , senz’altro un punto di
partenza fondamentale nella costituzione del diritto penale romano-antico, anche se la
27
A.Guarino, “Storia…”, Jovene, Napoli 1996, pp.234 e ss.
28
T.Mommsen, “Römisches Strafrecht“, Leipzig 1899, cit.897, «...Ohne staatliches Urtheil in Beziehung auf eine bestimmte Person
giebt es eine Strafe nicht [...]. Das nicht nach gesetzlicher Norm, sondern auf Grund der magistratischen Willkür gefällte Urtheil ist
im Rechtssinn ebenso wenig Strafe; für diese wird das positive Delikt und Prozess regulierende Staatsgesetz gefordert. Die
ungebundene magistratische Gewalt, welche nach der staatrechtlichen Theorie die Anfänge des Gemeinwesen ausschliesslich
beherrscht und die praktisch gegen den Nichtbürger zur Anwendung kommt. Die magistratische Cöercition liegt ausserhalb des
Strafrechts. Gesetzlich zugelassene Willkür hört darum nicht auf Willkür zu sein; wenn dem Magistrat das freie Ermessen über die
Hinrichtung aus der Hand genommen wird, so bleibt es ihm eben damit hinsichtlich der übrigen Auflagen...».
29
B.Santalucia, “Diritto e processo penale nell’antica Roma”, Giuffrè, Milano 1998, pp.31 e ss.; L.Garofalo,“Appunti sul diritto
criminale nella Roma monarchica e repubblicana”, Cedam, Padova 1997 ,pp.43 e ss.
30
Dalla cospicua letteratura in materia di “provocatio ad populum” emerge un’importante diatriba in merito alla storicità delle tre
“leges Valeriane” di cui sarebbe giunta testimonianza, nonché alla presunta origine regia dell’istituto della “provocatio…”( cfr.
Cicerone, “De Republica” 2, 13, 54, “provocationem autem etiam a regibus fuisse declarant pontificii libri, significant nostri etiam
augurales”; cfr. Livius 1, 26, 7-8, “ hac lege duumviri creati, qui se absolvere non rebantur ea lege ne innoxium quidam posse, cum
condemnassent, tum alter ex iis ‘P.Horati, tibi perduellionmem, iudico’ inquit. ‘I, lictor, conliga manus’. Accesserat lictor
iniciebatque laqueum. Tum Horatius auctore Tullo, clemente legis interprete, ‘Provoco’ inquit. Itaque provocatione certatum ad
populum est”.) oppure degli inizi del periodo repubblicano ( cfr. Livius 2 ,8, 2 ). Le leggi in questione sarebbero state emanate in
tre diverse epoche: 509 a.C., 449 a.C., 300 a.C.( per quest’ultima, i particolare, cfr. Livius 10,9,3-6 )…L.Ammirante, “Sulla
provocatione ad populum fino al 300 a.C.”, in Iura, 34, 1983, edito nel 1986, pp.1 e ss.; L.Garofalo, “Appunti sul diritto criminale
nella Roma monarchica e repubblicana”, Cedam, Padova 1997, pp.41 e ss.; A.Magdelain, “De la coercition capitale du magistrat
supérieur au tribunal du peuple”, in Labeo, 33, 1987, pp.139 e ss.
6
Introduzione
valutazione delle fonti lascia arguire che essa fosse un rimedio introdotto dal patriziato nel suo
esclusivo interesse, al fine di cautelarsi contro i possibili abusi dei suoi magistrati
31
, rimedio
che, teoricamente, era aperto anche ai plebei, i quali facevano parte del populus Romanus
32
, al
pari dei patrizi, ma che, in pratica, ben difficilmente essi poterono utilizzare
33
. Con ogni
probabilità le quaestiones perpetuae sono state, come sostiene V.Giuffrè
34
, una risposta alla
diffusa richiesta sociale di regole certe in un momento storico in cui nessuno degli ordines
sentiva di potersi imporre davvero stabilmente. Del resto questa sorta di progresso del sistema
processuale romano fu l’effetto di scontri politico-sociali e, in ultima analisi, di interessi
economici: di fronte ad una crisi sociale, per molti versi irreversibile, emersero, prepotenti, le
pretese di quanti non si vedevano garantiti dalla possibilità di ricorrere al giudizio del popolo
35
.
Le fonti, inoltre, ci conservano interessanti testimonianze di delitti passibili di pena capitale che
non finirono mai davanti ai cŏmĭtia
36
…Non si può, inoltre, ignorare la questione delle
provincae: in ragione della vasta espansione romana extra-italica, un sistema di giustizia penale
fortemente accentrato nell’Urbs, a tutela esclusiva di quello che veniva definito populus
Romanus, si dimostrava ormai sempre più inadeguato alle caratteristiche che la repubblica
andava via via assumendo. Si avvertiva come imperante l’esigenza di una struttura che
garantisse, finalmente, indistintamente cives romani
37
e provinciales
38
, e che facesse fronte alle
nuove tipologie di reato emergenti proprio nell’ambito delle provincae a danno di intere
popolazioni, le quali, il più delle volte, non avevano alcuna possibilità di reagire alle angherie e
31
Cfr. Pomponio, D. 1, 2 ,2, 16: ”…ne per omnia (consules) regiam potestatem sibi vindicarent , le gelata factum est, ut ab eis
provocatio esset neve possent in caput civis Romani animadvrtere iniussu populi…”, B.Santalucia, “Diritto e processo…”, Giuffrè,
Milano 1998, p.31, cit.6. Ma L.Ammirante ritiene che il riferimento di Pomponio non sia rivolto alla “provocatio…”, bensì “al
fatto che, essendo due i consoli, si volle costruire il loro potere in modo che in ogni cosa ci si potesse rivolgere ad un console
perché si opponesse all’altro”.
32
B.Santalucia, “Diritto e processo…”, Giuffrè, Milano ’98, p.31.
33
A.Heuss, “Imperium”, 1944, pp. 104 e ss., pp.118 e ss.; J.Bleicken, “Provocation”, 1959, pp.324 e ss., Si è individuato nella
“provocatio ad popoulum” un’istituzone specificamente politica, emersa nel corso delle lotte patrizio-plebee, che ottenne sanzione
legale solo in virtù dell’ultima “ lex Valeria” del 300 a.C.; anche W.Kunkel, “Untersuchungen, München, 1962, pp.24 e ss., 28 e ss.
34
V.Giuffrè, “La repressione criminale nell’esperienza romana . Profili”, Jovene, Napoli 1998, p.103.
35
A.Magdelain, “De la coercition capitale du magistrat supérieur au tribunal du peuple”, in Labeo, 33, 1987, pp.147-149, Lo
studioso si sofferma sul testo restituitoci da Livius 10, 9, 5, della ‘Lex Valeria de provocatione’ del 300 a.C., in cui l’esperibilità del
diritto di appello al popolo appare circoscritta alla “décapitation par la hache, précédée par la peine accessorie de la
flagellation”, con esclusione di “toute autre forme d’exécution”- quali la vivicombustione, la “suspensio” all’ “arbor infelix”
seguita da “verberatio”, la precipitazione dalla rupe Tarpea, menzionate nelle XII Tavole, il “culleus”, previsto da un anonima
legge, la sepoltura della vestale impura ancora viva e la fustigazione del suo complice. Magdelain ritiene che lo ‘ius provocationis’
sarebbe stato concesso avverso la pena di morte comminata dai consoli ai colpevoli di delitti capitali politici, unici illeciti alla cui
repressione avrebbero provveduto, in via esclusiva, i supremi magistrati della ‘civitas’ nell’esercizio della loro potesta coercitiva;
esso non sarebbe stato attribuito contro la pena di morte, irrogata nei modi sopra indicati, irrogata da questori e pontefice
massimo a coloro che si fossero macchiati di crimini capitali comuni e, rispettivamente, religiosi.
36
B.Santalucia, “Diritto e processo nell’antica Roma”, Giuffrè, Milano 1998, pp.95 e ss., Se i delitti passibili di pena capitale ( si
parla in genere di “iudicia populi de capite civis”, v. L.Garofalo, “Appunti sulla repressione criminale della Roma monarchica e
repubblicana”, Cedam, Padova 1997, cap.IV, cap.V, cap.VI ) non finivano davanti ai “comitia”, è difficile credere che delitti di
lieve entità, comportanti la semplice applicazione di multe, fossero regolarmente sottoposti al giudizio delle assemblee popolari.
Cfr. Gellius 3, 3, 15; Valerius Maximus 6, 1, 10; Plinius, “Naturalis Historia” 21, 8 .
37
A.Guarino, “Storia del diritto Romano”, Jovene, Napoli 1996, pp.190 e ss., per inquadrare il “Civis Romanus” come soggetto
giuridico nei rapporti di diritto pubblico, nella “respublica” nazionale, era necessario possedere determinati requisiti, ossia:
l’appartenenza alla specie umana, l’esistenza in ”rerum naturae”, la libertas, la civitas intesa come inerenza alla comunità
nazionale romana ( per nascita, per naturalizzazione, per manomissione ). Per essere soggetti attivi o passivi dei rapporti privati
occorreva l’ulteriore requisito dell’«autonomia familiare», vale a dire l’assoluta indipendenza da ogni soggezione ad altrui
‘potestas’, ‘manus’ o ‘mancipium’.
38
A.Guarino,…ibidem…, p.243, Non è possibile tracciare un quadro unitario dell’organizzazione delle ‘provincae’ territoriali
romane, essa variò da territorio a territorio in considerazioni delle diverse condizioni ambientali e per effetto dei modi diversi in
cui Roma era giunta alla sottomissione dei popoli relativi…Ogni provincia veniva affidata all’ “imperium militiate” di un
governatore “cum imperio” ( i consoli,un apposito praetor oppure un promagistrato. Il ‘pro-magistratus’ è un soggetto incaricato
di espletare funzioni analoghe a quelle dei magistrati ordinari ).Sudditi provinciali furono, in genere, i “peregrini nullius civitatis”,
detti anche “dediticii”( lat .dediticius: “che si è sottomesso”), e i “peregrini” delle “civitates peregrinae liberae, non immunes”.
7
Introduzione
alle ingiustizie dei governatori romani in quanto si trattava di atti che o non rientravano nella
competenza delle assemblee popolari, oppure non erano nemmeno classificati come reati
dall’ordinamento penale romano!
Quella dei cŏmĭtia era, inoltre, una giustizia che variava inevitabilmente in relazione ad ogni
singolo processo o reato: non esistevano regole precise e ineluttabili in merito alla formazione
delle giurie popolari, non esisteva un numero legale per la loro formazione e, quando le assenze
pesavano, non era per niente difficile corrompere i membri dell’assemblea. Molti i casi di brogli
elettorali documentati: come ci tramanda Cicerone
39
, l’introduzione del voto segreto, nella
seconda metà del II sec.a.C., non migliorò la situazione
40
… Eoque nunc fit illud quod a te
modo, Quinte, dictum est, ut minus multos tabella condemnet, quam solebat vox, quia populo
licere satis est. Hoc retento, reliquia voluntas auctoritati aut gratiae traditur. Itaque, ut
immittam largitione corrupta, non vides, si quando ambitus sileant, quaeri in suffragia quid
optimi viri sententiant ? ( vale a dire : …Perciò ora si verifica ciò che tu hai detto poco fa, o
Quinto, che il voto segreto scritto condanna un numero di persone molto inferiore a quanto
avveniva col voto palese orale
41
, perché al popolo è sufficiente che gli sia concessa la facoltà di
condannare. Una volta conservato questo diritto, la volontà del popolo si affida all’autorità e al
prestigio dei grandi. Perciò, per non parlare di voti comprati con largizioni, non vedi che,
quando la corruzione non fa sentire la sua voce, nelle votazioni si domanda quale sia il pensiero
degli ottimati ? ). Tra le cause del fenomeno delle giurìe corrotte si annoverano l’aumento del
numero degli elettori e, paradossalmente, il beneficio dell’ occulta de honore suffragia
42
. I
giurati il più delle volte sostenevano la causa del migliore offerente: tanto più denaro si
possedeva, tanto maggiore era la possibilità di uscire vincitori dal processo, chiaramente a
discapito della verità e della giustizia…
Le quaestiones perpetuae furono escogitate per far fronte all’allarme sociale determinato da
fatti lesivi di interessi diffusi, avvertiti dal corpo sociale come intrinsecamente ingiusti a
prescindere da qualsiasi previsione normativa. Crebbe gradualmente il bisogno di una punizione
positivamente fissata in una norma di legge o del costume ad essa assimilato, che avesse una sua
tipicità legale
43
. Mommsen
44
esclude dal concetto di pena le sanzioni irrogate dal magistrato
romano, in virtù del suo potere illimitato, contro i non cittadini, e i procedimenti adottati dallo
39
Cicerone, “De Legibus” III, 17, 39.
40
Il voto era originariamente pubblico e veniva comunicato oralmente da appositi interroganti ( rogatores ), uno per ogni
ripartizione dell’assemblea.Il voto fu reso segreto per agevolare la libertà dei votanti nella seconda metà del II sec.a.C. dalle
‘Leges Tabellariae’: Lex Gabinia, 139 a.C., per l’elezione dei magistrati; Lex Cassia, 137 a.C., per i ‘iudicia’ criminali; Lex
Papiria, 131 a.C., per l’approvazione delle ‘leges’; Lex Coelia, 107 a.C., per i giudizi di ‘perduellio’. In forza di queste leggi, in
realtà si trattò di plebisciti, il voto venne segnato su ‘tabellae’ cerate che recavano incise da un lato le lettere ‘L’ ( libero ) e ‘A’ (
damno ) ,il votante, con la punta piatta di uno stilo, cancellava l’una o l’altra e deponeva la tavoletta in apposite ‘cistae’, custodite
dai ‘rogatores’, e sorvegliate da ‘custodes’. V. A.Guarino, “Storia del diritto Romano”, Jovene, Napoli 1996, p.204; B.Santalucia,
“Diritto e processo nell’antica Roma”, Giuffrè, Milano 1998, p.87, nt.61
41
L. Perelli, “La corruzione politica nell’antica Roma”, BUR, Milano 1999, ”Cicerone si riferisce ai grandi processi politici dove
il giudizio era affidato all’assemblea”.
42
Espressione latina che tiene luogo a “voto segreto”o “segreto delle urne, in G.Campanili-G.Carboni, Dizionario Latino-Italiano
43
T.Masiello, “Mommsen e il diritto penale romano”, Cacucci, Bari 1995, pp.59 e ss.
44
T.Mommsen, “Römisches Strafrecht”, Leipzig 1887, cit., p.897.
8
Introduzione
stesso magistrato contro cittadini romani in forza della sua arbitraria “coercizione”, sebbene
quest’ultima sia codificata in una legge
45
: “l’arbitrio consentito da una legge non cessa di essere
tale”. Lo studioso ritiene che ad un certo punto il principio di legalità della pena sarebbe stato
così sentito che neppure la possibilità di provocatio ai comizi avverso un atto di coercizione, co-
me l’irrogazione di una multa o di un’ammenda, poteva togliere a quell’atto il carattere di
arbitrarietà. T.Mommsen
46
osserva che, senza dubbio i Romani avevano ben avvertito che il
diritto di punire del magistrato non fondato su una legge positiva distruggeva lo Stato di diritto e
che anche la possibilità di provocatio al popolo non avrebbe modificato per nulla quella
situazione. Nel processo penale dinanzi ai tribunali permanenti, per la prima volta nella storia, si
è attuato uno dei principi cardine dei sistemi accusatori moderni: l’assoluta parità delle parti in
causa. Nel corso di questo lavoro, che non vuole essere assolutamente un’apologìa della
struttura processuale tardo-repubblicana, si cercherà di giustificare compiutamente certe
affermazioni valutando criticamente pregi e difetti di un sistema che negli ultimi anni ha
impegnato notevolmente gli studiosi della materia…
Anticipando semplicisticamente l’argomento che sarà trattato più diffusamente nel corso di
questo lavoro, ci si limiterà, in questa sede, a puntualizzare schematicamente le caratteristiche
fondamentali di una “quaestio perpetua” tipica, ossia:
a) un’accusa sostenuta da un privato cittadino;
b) un giudizio definitivo vale a dire: formulato da una giuria di cittadini
c) un magistrato che si limitava a presiedere la giurìa, senza partecipare al voto.
I tribunali in questione, istituiti per legge e presieduti da un magistrato o da un ex magistrato,
dovevano, in un primo tempo, limitare, poi assorbire l’antico processo dinanzi ai comitia, per
divenire infine l’organo ordinario della repressione criminale dell’ultima età repubblicana e dei
primi tempi dell’impero. Solo attraverso la creazione di corti permanenti, alle quali fosse
istituzionalmente deferita la cognizione di intere categorie di crimini già appartenenti alla
competenza giudiziaria delle assemblee, avrebbe potuto essere soddisfatta l’esigenza della totale
eliminazione della funzione giudicatrice popolare.
45
V.Giuffrè, “La repressione criminale nell’antica Roma. Profili”, Jovene, Napoli 1998, pp.61 e ss., “…Accadeva che, quando a
pronunciarsi fosse il ‘populus’, esso manifestava una volontà ( cioè una ‘lex’ ) in proposito. E questa volontà metteva in non cale il
fatto che il magistrato avesse perseguito un comportamento non ancora definito come criminoso: e ciò anche quando il popolo si
limitava a ‘commutare’ la pena capitale in ‘aqua et ignis interdictio’. Né sarebbe storicamente corretto distinguere tra esercizio di
potere ‘giurisdizionale’ ed esercizio di potere ‘normativo’ da parte del ‘populus’ ( distinguere, insomma, tra ‘iudicium’ e ‘iussum
populi’ ), dato che, quando esso deliberava, ciò che decideva era comunque ‘ius ratumque’.[…] L’assemblea popolare sarebbe
stata considerata in ogni caso artefice, benché in modo indiretto, della repressione criminale, anche quando vi provvedeva
direttamente ed esclusivamente il magistrato, perché il magistrato era stato pur sempre eletto dall’assemblea e ( dopo la
dismissione della carica ) poteva essere chiamato da un ‘quivis de populo’ a rispondere dinanzi alla stessa degli atti compiuti
nell’esercizio del potere. […] A prescindere dall’escamotage di imputare tortuosamente alla volontà popolare l’operato del
‘magistratus’, non pare che l’essenza del più moderno principio-cardine in materia penale risieda soltanto nell’individuazione di
una ‘lex’ e di chi possa porre la ‘lex’. Esso risiede [...] nella necessità altresì di predefinire i comportamenti criminosi […]. E tale
esigenza non fu soddisfatta dalla previsione di un qualche intervento del ‘populus’ nella concreta repressione criminale.
46
T.Mommsen, “Römisches Strafrecht“, Leipzig 1887, cit., 53 n.1: «...Allerdings haben die Römer wohl gefühlt, dass ein nicht auf
positives Gesetz gegründetes Strafrecht des Magistrats den Rechtsstaat aufhebt, und auch die Zulassung der Provokation an die
Bürgerschaft ändert daran nichts...».
9
CAPITOLO I
TRA IUDICIA POPULI E QUAESTIONES PERPETUAE: QUAESTIONES
EXTRA ORDINEM
§ 1. « Quaestiones extraordinariae anteriori al II sec. a.C.: la quaestio de veneficiis
del 331 a.C. »
Epilogo di un’importante fase evolutiva del diritto processuale-penale romano-antico, le
quaestiones perpetuae
47
, che dovevano, in un primo momento, limitare, poi assorbire l’antico
processo dinnanzi ai comizi, finirono per imporsi quale organo ordinario di repressione
criminale dell’ultima età repubblicana e dei primi tempi dell’impero
48
. Il passaggio da un
sistema processuale di tipo inquisitorio, iudicia populi, in auge per buona parte del periodo
repubblicano, ad un sistema processuale accusatorio, quale fu quello per quaestiones perpetuae,
fu indubbiamente lento e graduale, e probabilmente non si giunse mai completamente ad
esautorare l’attività processuale assembleare. Numerose fonti letterarie
49
attesterebbero, inoltre,
l’esistenza, accanto al sistema procedurale ordinario proprio dei tribunali permanenti, di un
analoga struttura processuale extraordinaria o extra ordinem
50
. Denominazione, questa, di uso
convenzionale tra gli studiosi, ma assente nelle fonti ( in cui semmai si parla di quaestiones
cotidianae
51
) e fondata, soprattutto, sull’indicazione extra ordinem contenuta in Livio 39, 16,
12, a sua volta ricollegabile, secondo Venturini
52
, alla recezione, da parte del Patavino, del suo
uso in epoca ciceroniana per designare non solo i giudizi dinanzi alle singole corti permanenti
53
,
ma anche tipi particolari di quaestiones promosse dal senato in rapporto ad illeciti già
menzionati nell’ambito delle stesse quaestiones perpetuae
54
. Nelle ricerche dedicate al diritto
criminale dell’età repubblicana la locuzione quaestio extra ordinem, o extraordinaria, è entrata
da tempo nell’uso comune per designare in modo globale i procedimenti diretti a sanzionare
situazioni pregresse, destinati ad esplicare, in rapporto a singoli casi, una competenza di
carattere retroattivo. Il problema fondamentale posto da tali strumenti repressivi è stato a lungo
47
F.De Sanctis, “Storia dei Romani”, vol. IV, pt. II, tomo 2 - p.532, nt.109, 1907-1964.
48
B.Santalucia, “Diritto e processo penale nell’antica Roma”, Giuffrè, Milano 1998, p.103.
49
T.Livio, 39, 16, 12; Cicerone, “Pro Milone”, 14; Asconio, in “Milionianam”, ed. Clark, p. 44 e Schol.Bob., “Pro Archia”, ed.
Stangel, p.177
50
Cfr.C.Venturini, “Processo penale e società politica nella Roma Repubblicana”, Pacini, Pisa 1996, p.87, dalla fine del V secolo
a.C. all’età graccana le fonti menzionano un certo numero di “quaestiones” operate dai magistrati romani nei confronti di cittadini
stessi, alcune promosse mediante plebiscito ed altre attuate dai magistrati stessi, in sintonia con una corrispondente volontà del
senato. L’elenco più completo è tuttora quello presente in J.L. Strachan Davidson, “Problems of the Roman Criminal Law”, Oxford
1912, 1, pp.225 e ss., 237 e ss.
51
Cicerone, “De Natura Deorum” 3, 74. C.Venturini, “Processo penale e società politica nella Roma Repubblicana”, Pacini, Pisa
1996, p.159, nt.1, “locuzione comunque non adeguata, dal momento che nel passo in questione essa risulta usata proprio con
riferimento all’attività di taluni tribunali permanenti, per rilevare la loro frequente attivazione”.
52
C.Venturini, “Processo penale e società politica nella Roma Repubblicana”, Pacini, Pisa 1996,p.89, nt.9.
53
Cicerone, ”Pro Caelio”, 1; “Ad Familiares” 8, 8, 1.
54
Cfr. Cicerone, “Pro Milone”, 14; Asconio, 3.