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• reflui urbani in uscita dalla vasca di sedimentazione primaria di un
impianto di trattamento biologico;
• reflui pre-trattati mediante tecniche non convenzionali quali la lom-
brifiltrazione;
• reflui sintetici contenenti molecole bioresistenti, nella fattispecie
farmaci (tetraciclina) e fitofarmaci (diquat e paraquat);
• reflui sintetici contenenti terpeni (alpha-pinene).
Le prove sono state condotte utilizzando un sistema costituito da foto-
reattori batch di geometria cilindrica (500–1500 ml) con lampada immersa a
media pressione di mercurio (125 o 500 W). Tutte le prove sono state condot-
te a temperatura ambiente e a pH naturale
1
o controllato.
Le concentrazioni iniziali dei substrati sia nelle soluzioni sintetiche sia
nei reflui reali sono variate nell’intervallo ca 10–150 ppm e sono state moni-
torate, su campioni prelevati a intervalli regolari, mediante spettroscopia UV
– visibile e cromatografia liquida; è stato anche determinato il Carbonio Or-
ganico Totale (TOC).
I risultati ottenuti complessivamente hanno dimostrato che la fotocatali-
si eterogenea, che è efficiente anche nella disinfezione spinta (coliformi fecali
e streptococchi), si è dimostrata utile per abbattere le sostanze organiche pre-
senti negli effluenti acquosi inquinati. È stata verificata non solo la scomparsa
del substrato di partenza ma si è anche osservata la completa mineralizzazione
(TOC) fino a CO
2
, H
2
O ed eventuali specie inorganiche.
Inoltre, in collaborazione con il laboratorio di Mutagenesi Ambientale
del Dipartimento di Biologia Cellulare e dello Sviluppo dell’Università di Pa-
lermo, sono stati studiati gli effetti tossici e genotossici di effluenti contenenti
paraquat ed alpha-pinene sottoposti al trattamento fotocatalitico
A tale scopo è stato utilizzato il Test di Ames (spot test e plate test) su
campioni prelevati a tempi regolari durante le prove di fotocatalisi.
7
Nel caso dell’alpha-pinene, molecola altamente genotossica, utilizzan-
do la quantità ottimale di fotocatalizzatore durante il trattamento, è stato os-
servato un abbassamento graduale e continuo della genotossicità fino alla mi-
neralizzazione completa del substrato.
Viceversa, nel caso del paraquat i risultati hanno indicato una correla-
zione tra effetti genotossici e concentrazione del catalizzatore.
Infatti, a concentrazioni di fotocatalizzatore sufficientemente alte (0.4 e
0.08 g/l) non si hanno effetti genotossici, mentre a concentrazione bassa (0.04
g/l), prima della completa mineralizzazione del substrato (3-4 ppm residue), si
è evidenziato un effetto altamente genotossico dovuto, presumibilmente, alla
formazione di intermedi non ancora identificati.
Ciò indica che particolare attenzione deve essere posta nella utilizza-
zione di quantità di fotocatalizzatore tale che tutta la luce emessa dalla lampa-
da sia assorbita e che i siti superficiali foto attivati siano sufficienti ad evitare
l’accumulo di intermedi genotossici nel “bulk” della soluzione (caso del para-
quat) [1-11].
1
pH misurato prima dell’inizio del trattamento
8
INTRODUZIONE
Negli ultimi decenni si è focalizzata l’attenzione sul problema
dell’inquinamento delle acque interne e costiere a causa di scarichi di sostan-
ze o di energia, effettuati direttamente o indirettamente dall’uomo. Le conse-
guenze sono tali da mettere in pericolo la salute umana, nuocere alle risorse
viventi e all’ecosistema, compromettere le attrattive od ostacolare altri usi le-
gittimi delle acque.
Le fonti più tipiche di inquinamento sono gli scarichi e i percolati deri-
vanti da processi produttivi, dalle pratiche agricole ed in generale
dall’urbanizzazione.
Anche la deposizione di inquinanti dall’atmosfera contribuisce sensi-
bilmente alla contaminazione dei corpi idrici, specialmente in vicinanza di
impianti a combustione. La compromissione dell’ecosistema è in realtà il ri-
sultato finale di una sommatoria di eventi, difficilmente identificabili singo-
larmente, che agiscono in modo cumulativo e sinergico in associazione al
continuo utilizzo di risorse naturali. Il potenziale inquinante di un composto
dipende dalla quantità immessa nel corpo idrico, dalla resistenza alla degrada-
zione e dalle caratteristiche tossicologiche.
Il suo destino ambientale è dettato in primo luogo dalle proprietà chi-
mico-fisiche: reattività chimica, solubilità e volatilità determinano la riparti-
zione dell’inquinante tra particolato sospeso e fase acquosa e tra questa e
l’atmosfera, e inoltre ne influenzano la persistenza, la biodisponibilità e
l’eventuale biotrasformazione. L’elevata capacità inquinante e la persistenza
di molti composti chimici hanno indotto Agenzie Regolative ed Enti di Ricer-
ca a stabilire liste prioritarie di contaminanti da considerare nelle classifica-
zioni di qualità e nella definizione degli obiettivi per il monitoraggio e la pro-
tezione delle acque.
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Queste liste comprendono metalli pesanti, composti organoclorurati e
diossine, idrocarburi policiclici aromatici (IPA) e altri contaminanti difficil-
mente degradabili, indicati come POP (Persistent Organic Pollutants).
Principali inquinanti chimici da controllare nelle acque dolci superfi-
ciali secondo il D.L. 11.5.1999 n. 152 sono: Cadmio, Cromo totale, Mercurio,
Nichel, Piombo, Rame, Zinco, Aldrin, Cloroformio, DDT, 1,2-Dicloroetano,
Dieldrin, Endrin, Esaclorobenzene, Esaclorobutadiene, Esaclorocicloesano,
Isodrin, Pentaclorofenolo, Percloroetilene, Tetracloruro di carbonio, Tricloro-
benzene, Tricloroetlene.
Microinquinanti e sostanze pericolose di prima priorità da ricercare
nei sedimenti secondo il D.L. 11.5.1999 n. 152 sono: Arsenico, Cadmio, Zin-
co, Cromo totale, Mercurio, Nichel, Piombo, Rame, Policlorobifenili, Diossi-
ne, Idrocarburi policiclici aromatici (IPA), Pesticidi organoclorurati.
Solo per una piccola parte degli inquinanti dell’ambiente acquatico,
considerati come tali o come miscele, esistono adeguate informazioni tossico-
logiche ed ecotossicologiche.
Numerosi composti dotati di attività cancerogena e/o mutagena sono
presenti nelle acque potabili e più di 1100 composti chimici sono stati identi-
ficati a livelli per la maggior parte inferiori a 1 µg/l.
Questi composti possono essere già presenti nell’acqua in ingresso agli
impianti di trattamento oppure derivare da processi di potabilizzazione e di-
stribuzione delle acque.
La necessità di sviluppare processi di purificazione rapidi, sensibili ed
economici capaci di assicurare la distruzione di composti inquinanti presenti
in basse concentrazioni ha indotto molti ricercatori a intraprendere vie diverse
da quelle tradizionalmente adottate. Tra queste ultime ricordiamo
l’adsorbimento su carbone attivo, che però non dà luogo ad una distruzione
delle specie inquinanti ma solo ad un loro trasferimento di fase da liquida a
solida; il successivo desorbimento mediante somministrazione di calore può
10
inoltre portare alla formazione di nuovi prodotti tossici. L’ozonizzazione, che
sfrutta le proprietà ossidanti dell’ozono, specie con elevata reattività ma bassa
solubilità in acqua, non porta alla completa mineralizzazione degli agenti in-
quinanti. L’abbattimento chimico, che si basa sull’impiego di specie ossidanti
come il cloro, l’ipoclorito, ecc. presenta l’inconveniente della formazione di
sottoprodotti tossici e di un eccessivo costo in caso di trattamento di grossi
volumi. L’abbattimento biologico è abbastanza efficace, ma non è utilizzabile
quando la velocità di accumulo delle acque da trattare supera, in volume e in
carica organica, la velocità di degradazione naturale. Inoltre esistono dei
composti organici che non sono biodegradabili, chiamati per l’appunto “com-
posti organici bio-recalcitranti” (BROC), la cui ossidazione è l’obiettivo di
molti dei più recenti processi di decontaminazione delle acque. Tali processi
si basano sulla formazione di specie chimiche altamente reattive in grado di
trasformare i BROC in composti biodegradabili e vengono designati come
“tecnologie avanzate di ossidazione” (AOTs): si tratta di metodi che sfruttano
la fotolisi dell’ozono e del perossido di idrogeno in acqua.
Tra le tecniche che recentemente sono state oggetto di particolare atten-
zione vi è, senza dubbio, la fotocatalisi eterogenea che è stata proposta come
una potenziale tecnologia innovativa per la purificazione dei reflui acquosi
inquinati. La fotocatalisi eterogenea fornisce un metodo molto efficace per
l’ossidazione completa, generalmente non selettiva, di substrati organici ed
inorganici. Essa sfrutta le caratteristiche di alcuni solidi semiconduttori che
possono essere utilizzati come fotocatalizzatori sospesi nell’effluente acquoso
da trattare o immobilizzati su vari tipi di supporti rigidi.
Da un punto di vista economico il trattamento di acque di scarico, con-
tenenti specie inquinanti, con il metodo fotocatalitico può essere competitivo
rispetto a quelli tradizionali solo in circostanze particolarmente favorevoli.
Tuttavia la fotocatalisi sembra vantaggiosa dal punto di vista ambientale per-
ché, a differenza dei metodi tradizionali, permette la completa mineralizza-
11
zione di moltissimi composti organici tossici. A tal proposito si può sottoline-
are che l’accoppiamento del metodo fotocatalitico con una o più tecnologie
tradizionali è auspicabile al fine di migliorare la qualità delle acque già pre-
ventivamente trattate. Infatti, essendo un metodo non selettivo, la fotocatalisi
è abbastanza efficace nel caso di specie presenti in concentrazioni non ecces-
sivamente elevate, che siano di difficile eliminazione mediante altri metodi.
Tale sinergia presenta margini di sviluppo notevoli anche in vista di
norme legislative sempre più restrittive per quanto riguarda il tenore concesso
di inquinanti e il grado di tossicità delle acque di scarico civili e industriali.
La ricerca attuale è indirizzata verso un miglioramento sempre più spin-
to delle caratteristiche fotocatalitiche dei sistemi di semiconduttori, i quali si
possono presentare sia in forma di polveri micrometriche, sia in forma nano-
particellare.
Studi recenti sull’applicazione della fotocatalisi ai problemi ambientali
da un lato hanno dimostrato la possibilità di una completa ossidazione di al-
cuni contaminanti industriali presenti nei reflui, come gli idrocarburi aromati-
ci alogenati, dall’altro lato hanno evidenziato i limiti connessi all’applicazione
di questa tecnica su larga scala.
Tali limiti consistono nella possibile formazione di intermedi e inqui-
nanti, nella necessità di utilizzare concentrazioni iniziali non troppo alte
(dell’ordine di qualche ppm), nella difficoltà che si incontra nella separazione
del catalizzatore dal mezzo di reazione e, infine, nella presenza nelle acque da
trattare di sostanze che possono inibire l’attività catalitica del TiO
2
, come gli
ioni alogenuro ad alte concentrazioni. Inoltre il metodo fotocatalitico non può
essere utilizzato nel caso di fanghi che, sporcando il fotocatalizzatore, potreb-
bero impedirne il funzionamento.
Alla luce di queste considerazioni le migliori prospettive, in termini di
potenziali applicazioni pratiche del metodo fotocatalitico, sono legate ad un
12
suo accoppiamento con altri metodi tradizionali, poiché esso può essere ado-
perato quando tali tecniche hanno esaurito la loro funzione.
Infatti nel caso di effluenti contenenti basse concentrazioni di specie
organiche nocive, la fotocatalisi potrebbe svolgere un’utile funzione di purifi-
cazione finale prima dello scarico o del riutilizzo di quelle acque.
Bisogna infine sottolineare che accanto alla degradazione di sostanze
chimiche nocive presenti nelle acque, i sistemi fotocatalitici permettono di ot-
tenere anche l’abbattimento di molti microbacilli come i colibacilli e gli strep-
tococchi fecali, grazie all’effetto battericida luce UV- semiconduttore (in ge-
nere TiO
2
).
L’ossidazione fotocatalitica si è rivelata uno strumento molto efficace
anche nei trattamenti di purificazione dell’aria, i cui principali agenti inqui-
nanti sono i composti organici volatili (VOCs), come alcani, alcheni, aroma-
tici, composti ossigenati e tricloroetilene, dei quali è stata rintracciata la pre-
senza non solo in zone industriali, ma anche in località commerciali e ambien-
ti domestici. Alcuni di questi composti oltre ad essere irritanti sono sospettati
essere cancerogeni, per cui costituiscono un rischio significativo per la salute.
Esiste quindi la necessità di trovare dei metodi efficaci per l’abbattimento dei
VOCs presenti nell’aria. I trattamenti tradizionali includono incenerimento
(es. combustione termica e catalitica), adsorbimento, assorbimento, condensa-
zione e biofiltrazione, ma tutti presentano parecchi inconvenienti.
Le colonne di assorbimento e adsorbimento, sebbene manifestino sem-
plicità di funzionamento e la possibilità di rimuovere grandi quantità di
VOCs, producono rispettivamente rifiuti liquidi e solidi.
La condensazione e la biofiltrazione sono metodi poco efficienti, men-
tre il capitale d’investimento e i costi d’esercizio per l’incenerimento sono al-
ti. Inoltre i prodotti corrosivi provenienti dalla degradazione di composti alo-
genati rappresentano un ulteriore problema per il processo di incenerimento
sia termico che catalitico.
13
Anche stavolta, dunque, il metodo fotocatalitico rappresenta
un’importante alternativa alle tecniche tradizionali permettendo la distruzione
di una vasta gamma di comuni inquinanti organici che vengono mineralizzati
a biossido di carbonio e acqua usando l’ossigeno molecolare come ossidante
primario.
1.1 La Fotocatalisi eterogenea
Fino ad una decina di anni fa la fotocatalisi eterogenea era considerata
una tematica interessante da un punto di vista scientifico, ma senza prospetti-
ve immediate di applicazioni pratiche o industriali.
La situazione appare molto cambiata negli ultimi anni, grazie alla spin-
ta in termini di impegno economico e di investimenti nella ricerca soprattutto
da parte del Giappone.
Anche in Italia, come in altri paesi del mondo, si nota un’attenzione
maggiore da parte dell’industria e delle istituzioni nazionali preposte a finan-
ziare progetti di ricerca.
Un esempio importante viene dall’Italcementi che ha sviluppato e con-
tinua a perfezionare la preparazione di materiali innovativi in edilizia conte-
nenti TiO
2
[3, 5-11].
L’obiettivo è quello di contribuire alla riduzione nell’aria della concen-
trazione di NO
x
, SO
x
, CO, composti organici volatili ecc., mediante la fotode-
gradazione di queste sostanze adsorbite sulle superfici di strade, case ed edifi-
ci pubblici rivestiti con materiali che contengono TiO
2
.
È importante notare che il “band gap” del TiO
2
(3,0 eV nella fase rutilo,
3,2 eV nella fase anatasio) permette la sua eccitazione anche in presenza di
luce solare che contiene una piccola percentuale di fotoni di energia sufficien-
te [1, 4]. L’eccitazione comporta la separazione delle coppie buca-elettrone
che innescano sulla superficie del fotocatalizzatore reazioni di ossidoriduzio-
ne. L’elettrone fotoprodotto può essere intrappolato da O
2
e da H
2
O generan-
do radicali molto reattivi che attaccano le specie da degradare.
14
La buca, a sua volta, può essere catturata da H
2
O, da gruppi idrossido
superficiali presenti sul TiO
2
o direttamente dalle specie da ossidare.
Alcuni esempi di applicazioni di questa tecnologia sono:
• le lampade rivestite da materiale autopulente contenente TiO
2
policri-
stallino (utilizzate per illuminare le gallerie autostradali),
• i vetri antiappannanti (utilizzati nei bagni di molti alberghi o come
specchietti retrovisori per gli autoveicoli), che sono già commercia-
lizzati in Giappone,
• il condizionatore ed il misuratore di carbonio organico totale (TOC)
fotocatalitici, comparsi recentemente sempre in Giappone.
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Fig. 1 Esempi: processi di sterilizzazione e deodorizzazione.
Fig. 2 Lastre di policarbonato ricoperte da biossido di titanio da entrambi i
lati (parte rossa 1.5 anni). Lastre non ricoperte (blu: 1.5 anni; giallo 3.5 anni).