25
familiarità con il pubblico
2
: che poi tale familiarità venga stimolata e
lusingata o al contrario capovolta e negata dipende dal tipo di strategia
adottata, dal genere del prodotto pubblicizzato, dal livello culturale dei
destinatari che si intende raggiungere
3
.
Dal momento che lo strumento principale della pubblicità è la lingua,
il lavoro dei pubblicitari consiste sostanzialmente nell’utilizzare,
manipolare, plasmare e piegare questa alle strategie della persuasione
4
.
Capire perché funziona la comunicazione persuasiva vuol dire capire
cosa influisce sul funzionamento della nostra mente quando giudica in
base al contesto culturale, alle emozioni, agli affetti, ai valori,
prefigurandosi ciò che può succedere di piacevole, utile o remunerativo.
Il discorso pubblicitario si presenta proprio come finalizzato, strategico,
perlocutivo, in altri termini seduttivo e capace di indurre a
comportamenti finalizzati ad atteggiamenti involontari
5
.
2
M. MEDICI, Pubblicità quinto potere. Osservazioni linguistiche, Ed. Il Mulino, 10-
11,1972, p. 489. l’autore evidenzia come negli anni Sessanta si poteva assistere in
Italia alla diffusione di slogan quali lambrettizzatevi, Opelizzatevi, Ramazzottimisti, che
per quanto effimeri e di breve durata, essi sono esempi significativi dell’incessante
tentativo di creazione di gruppi socialmente definiti, accomunati da medesimi consumi
e preferenze commerciali, e la loro principale caratteristica, cioè la forte valenza
espressiva li rendeva strumento per eccellenza nella crazione di un lessico familiare
nel quale gli acquirenti possono riconoscersi. Cfr G. FOLENA, Aspetti della lingua
contemporanea. La lingua e la pubblicità, « Cultura e scuola », n. 9, 1964, pp. 61-62 e
A. SANGREGORIO, La pubblicità dei prodotti farmaceutici, in in Storia linguistica
dell’Italia del Novecento, Atti SLI 6, Ed. Bulzoni, Roma 1972, pp. 198-218.
3
M FOLENA, Metti una tigre nel motore, in M. BALDINI, Le fantaparole. Il linguaggio
della pubblicità, Ed. Armando, Roma 1990, pp. 143-151. L’autore sottolinea come « col
progressivo allargarsi dei mercati e con lo sviluppo tecnologico si è costituito un
lessico merceologico su scala mondiale, si è estesa la sfera d’azione degli elementi
morfologici, classificatori, interlinguistici, soprattutto prefissoidi e suffissoidi, e anche
di schemi sintattici, mentre nella comunicazione pubblicitaria tende ad avere peso e
rilievo sempre maggiore l’elemento extralinguistico o metalinguistica offerto
dall’immagine della merce o dal marchio: una ‘neolingua’ e un metalinguaggio fondati
su un sistema di nomi brevettati e di ideogrammi merceologici», e per esemplificare il
meccanismo di adattamento che le strutture linguistiche impongono ad uno stesso
pattern pubblicitario, analizza lo storico slogan del noto carburante Esso, reclamizzato
in Italia con la perentoria esortazione Metti una tigre nel motore, mettendo in evidenza
come questa immagine provochi un’amplificazione della metafora e le conferisca
un’amplificazione e una suggestione più forte.
4
U. VOLLI, Semiotica della pubblicità, Ed. Laterza, Roma-Bari 2004, pp. 23-24. cfr. A.
TESTA, la pubblicità. Suscitare emozioni per accendere desideri, Ed.Il Mulino, Bologna
2004, pp. 15-23.
5
R. CARDONA, Caratteristiche stilistiche della lingua della pubblicità, in A.
CHIANTERA, Una lingua in vendita. L’italiano della pubblicità, Roma, La Nuova Italia
26
Indagare il fenomeno pubblicitario focalizzandone l’aspetto linguistico
significa quindi privilegiarne la funzione di produttore e creatore di un
linguaggio che – come tutti i linguaggi settoriali – mentre usufruisce dei
mezzi forniti dalla lingua comune crea una propria codificazione del
tutto particolare e specifica.
La lingua della pubblicità è stata per più di un trentennio uno dei
campi d’indagine prediletti dagli studiosi: linguisti e semiologi hanno
studiato i messaggi pubblicitari al fine di coglierne ogni peculiarità
grammaticale, sintattica e stilistica, soprattutto dopo che Bruno
Migliorini – uno dei fondatori della disciplina – aveva legittimato
l’interesse verso una “manifestazione così frivola” rispetto ai temi
classici della ricerca accademica
6
.
Il messaggio pubblicitario, in quanto frutto di procedure comunicative
complesse, è il prodotto finale di una semiotica sincretica, vale a dire
basata su un linguaggio che fa ricorso – fondendone le strategie e le
tecniche - a più codici paralleli: visivo, verbale, tonale, gestuale,
oggettuale: come ogni altro messaggio, quello veicolato dalla pubblicità
si dispiega lungo una catena comunicativa composta dalla sequenza
Emittente, Canale, Messaggio, Canale, Ricevente
7
.
Il discorso della pubblicità, può essere considerato come il frutto
dell’interazione di codici – intesi come sistemi di convenzioni
significative, correlazioni fra elementi tratti da sistemi diversi – e di
registri eterogenei
8
. Proprio l’interazione di registri e codici eterogenei
Scientifica, 1989, p. 36; cfr. U. VOLLI, Semiotica della pubblicità, Ed. Laterza, Roma-
Bari 2004, pp. 20-21.
6
M. L. ALTIERI BIAGI, La lingua non letteraria, in G. DEVOTO-M.L. ALTIERI BIAGI, La
lingua italiana. Storia e problemi attuali, Ed. E.R.I., Torino 1979, pp. 311-318
7
A. APPIANO, Pubblicità e comunicazione visuale. testo e contesto, Ed. Stampatre,
Torino 1986, pp.5-6
8
U. ECO, La struttura assente. Introduzione alla ricerca semiologia, Ed. Bompiani,
Milano 1968, p. 171 e ss. L’autore ha individuato quattro classi di codici alle quali il
discorso pubblicitario fa ricorso: i codici del veicolo, ossia i sistemi linguistici
convenzionali tipici del mezzo di comunicazione utilizzato; i codici culturali, ossia i
codici che si rifanno a una determinata cultura e che concernono tutte le sue
espressioni, per esempio economia, psicologia, sociologia, politica; i codici narrativo-
semantici, ossia i codici del contenuto e della connotazione; i codici retorici , desunti
dalle differenti retoriche, che il linguaggio pubblicitario utilizza come codice retorico
27
rende complesso e ricco il processo di attribuzione del senso al discorso
in quanto è determinato dalla sovrapposizione di unità significative
diverse seppure complementari. Uno specifico codice pubblicitario può
essere individuato esclusivamente come codice retorico, ossia come
sistema che indica e utilizza le soluzioni retoriche dei vari registri.
La retorica rappresenta una componente molto importante in
qualsiasi messaggio e da secoli è stata considerata lo strumento
principale per chiunque voglia esercitare opera di persuasione,
probabilmente perché riesce a coinvolgere il destinatario colpendone
l’attenzione e l’emotività attraverso la creazione di qualcosa di differente
rispetto alle convenzioni linguistiche e manifestando
contemporaneamente grande capacità di sintesi
9
.
La retorica in sé può servire a fini informativi sul reale oppure a
finalità persuasive: in questo secondo caso essa si configura come
ridondanza, reiterazione di qualcosa che è già stato accettato e
programmato. Le operazioni di retorica individuabili all’interno dei
messaggi pubblicitari si rifanno alle operazioni fondamentali
dell’aggiunta, soppressione, sostituzione e scambio. La pubblicità tende
piuttosto all’accumulazione che alla sottrazione: è più facile inserire un
elemento in più che non sopprimerlo dal discorso, perché questa
operazione comporta la necessità di condurre il destinatario del
messaggio a percepire un’assenza e ad aggiungere il tassello mancante.
La pubblicità parla dunque una lingua che viene a costituirsi in
corrispondenza di un punto di incontro fra lingua comune, gli apporti
linguistici propri di svariate tecniche e le strutture formali della tecnica
persuasoria. Punto di partenza fondamentale è l’inquadramento del
messaggio all’interno della struttura linguistica: all’interno di questo
codice principale si individuano poi i diversi sottocodici corrispondenti
ai generi di prodotto da reclamizzare.
ossia come sistema che indica e utilizza le soluzioni retoriche dei vari registri. Cfr. A.
TESTA, La pubblicità. Suscitare emozione per accendere desideri, Ed. Il Mulino,
Bologna 2003, pp. 17-23.
9
V. CODELUPPI, Che cos’è la pubblicità, Ed. Carocci, roma 2002, p. 86
28
La tecnica della repetitio ad esempio è una figura che viene applicata
spesso alle varie componenti del discorso: il nome del prodotto, un
aggettivo che lo qualifica, un sostantivo che ne catalizza le innumerevoli
qualità, un verbo, un avverbio, una congiunzione. L’effetto finale è
quello di costruire un ritmo poetico, che si avvantaggia spesso di innesti
formali specificatamente letterari
10
.
Posto dunque che esiste un limite oltre il quale la quantità di
informazione veicolata dalla pubblicità non ha interesse a spingersi, si
può affermare che uno degli aspetti più interessanti nell’economia del
messaggio pubblicitario risiede nella sua strutturazione retorica.
11
È significativo notare come, in quest’ambito, sia «diffusa la
convinzione, maturata da un’osservazione di Roland Barthes, che il
registro verbale ricopra la funzione di ancorare quello visivo, fissando
una certa lettura dell’immagine: il messaggio linguistico come tecnica
destinata a fissare la catena fluttuante dei significati, a combattere il
terrore dei segni incerti, a ridurre la polisemia delle immagini […] la
presenza negli spot di scritte sovrimpresse che si presentano quali
informazioni referenziali sul prodotto»
12
.
La componente linguistica svolge dunque un compito di
chiarificazione , di accompagnamento del destinatario all’interno del
messaggio, di decodificazione dei segnali inviati.
Questa funzione didascalica ha spesso fruttato alla lingua della
pubblicità sia un grande prestigio presso una consistente parte dei
parlanti ed al contempo il sospetto e l’ostilità di molti studiosi della
lingua, convinti che un registro verbale che faccia sistematico ricorso a
10
M. CORTI, Linguaggio pubblicitario e codificazione retorica, in AA. VV. I linguaggi
settoriali in Italia, a cura di G. L. BECCARIA, Ed. Bompiani, Milano 1978, 3° edizione,
pp. 128-136; cfr. A. APPIANO, Pubblicità e comunicazione visuale. testo e contesto, Ed.
Stampatre, Torino 1986, pp. 85-87; cfr. A. APPIANO, Pubblicità, comunicazione,
immagine. Progetto e cultura visiva, Ed. Zanichelli, Milano 1988, p. 93
11
M. CORTI, Linguaggio pubblicitario e codificazione retorica, in AA. VV. I linguaggi
settoriali in Italia, a cura di G. L. BECCARIA, Ed. Bompiani, Milano 1978, 3° edizione,
pp. 128-136;
12
U. ECO, La struttura assente. Introduzione alla ricerca semiologia, Ed. Bompiani,
Milano 1968, p. 169
29
frasi fatte e ad espressioni spogliate della loro complessità e ricchezza
costituisca un mediocre modello di comportamento linguistico. Il
linguaggio della pubblicità è stato a lungo ritenuto colpevole del
processo di semplificazione e mercificazione della lingua ; si è osservato
che in Italia il rapporto che si instaura tra il linguaggio della pubblicità
e la lingua è duplice: da una parte questo linguaggio sfrutta e accentua
le possibilità espressive dell’italiano contemporaneo, dall’altra, tendendo
a creare la parola-merce, cioè l’assoluta corrispondenza tra il marchio e
l’oggetto stesso, esso «favorisce quel fenomeno di anemia della lingua,
che è oggi in uso chiamare reificazione o mercificazione linguistica»
13
.
L’uso crescente di sostantivi, la parallela diminuzione dell’uso del
verbo, la diffusione di automatismi linguistici sono manifestazioni che
possono essere letti come segnali di imbarbarimento della lingua ad
opera dei pubblicitari.
D’altra parte, fra gli studiosi vi è stato chi ha individuato i meriti del
linguaggio della réclame vedendo nella comunicazione dell’advertising
una importante componente per il processo di europeizzazione
14
.
Entrambe le posizioni teoriche rilevano precisi dati di fatto: se il
linguaggio pubblicitario ha esercitato una positiva influenza nell’opera
di svecchiamento di un italiano accademico , favorendo modalità
sintattiche più agili e lineari, è vero d’altro canto che esso ha condotto
molti parlanti ad una pigrizia e ad una passività intellettuali, che
sembrano accontentarsi di formule in apparenza efficaci, ma
stereotipate e superficiali.
La forza di penetrazione di tali formule risiede innanzitutto nel fatto
che esse nascono all’interno di una griglia di regole e di convenzioni ben
definite, adatta ad una sistematica decostruzione dall’interno. Quella
13
M. CORTI, Il linguaggio della pubblicità, in AA. VV., I linguaggi settoriali in Italia, a
cura di G. L. BECCARIA, Ed. Bompiani, Milano 1978, 3° edizione, pp. 130
14
B. MIGLIORINI v. chiantera. L’autore sottolinea come «la comunicazione
pubblicitaria ha dimostrato e sollecitato senza contaminazioni le capacità e le
possibilità dell’italiano come lingua moderna, agile e funzionale, in una serie di spinte
e controspinte, in un dilatato e accelerato processo di europeizzazione». A tale
proposito si veda anche A. ABRUZZESE, Metafore della pubblicità, Ed. Costa & Nolan,
Genova 1988, pp. 21-26.
30
del pubblicitario è una lingua che è tesa a provocare un deragliamento
dai percorsi accettati, a creare uno choc verbale, un effetto di
straniamento: l’efficacia del messaggio potrà dipendere sia dall’utilizzo
di vocaboli nuovi e di concetti inusitati, sia dall’immissione entro un
sistema linguistico di parole usuali, le quali a contatto ed in contrasto
con il nuovo ambiente linguistico e semiotico obbligheranno il lettore a
mettere a punto un diverso genere di decodificazione.
Roman Jakobson descrive, nel saggio Linguistica e Poetica, uno
schema delle funzioni della comunicazione che si rivela essenziale alla
comprensione dei meccanismi della lingua della pubblicità: qualunque
tipo di comunicazione è caratterizzato da sei fattori costitutivi, cioè
mittente, destinatario,contesto, contatto, codice, messaggio. A ciascuno
di questi fattori corrisponde una funzione linguistica precisa; di queste
sei funzioni nessuna può monopolizzare il messaggio ed escludere le
altre, ma convive di volta in volta con alcune di esse, assumendo
posizioni più o meno importanti: nel linguaggio pubblicitario le funzioni
dominanti sono quella conativa e quella emotiva
15
.
Tullio De Mauro aggiunge, a sostegno di tale tesi, che nella
pubblicità i segni linguistici hanno un ruolo chiaramente subalterno; se
è vero che l’obiettivo della pubblicità è quello di orientare in modo
inequivoco le linee direttive di condotta dei membri di un gruppo, l’uso
del linguaggio verbale risulta insufficiente a realizzarlo
16
. Per far si che il
linguaggio pubblicitario sfugga ad ogni dubbio interpretativo il segno
verbale deve essere accompagnato da formule figurative e a queste
apparire funzionale e tornando alla classificazione dei segni linguistici e
15
R. JAKOBSON, Saggi di linguistica generale, Ed. Feltrinelli, Milano 1966, pp. 191-
192. Il linguista ha individuato per qualunque sistema linguistico sei funzioni: la
funzione denotativa o referenziale; la funzione fatica o di contatto; la funzione conativa
o imperativa; la funzione metalinguistica; la funzione emotiva o espressiva e la
funzione estetica. Cfr. U. VOLLI, Semiotica della pubblicità, Ed. Laterza, Roma-Bari
2004, pp. 54-55.
16
T. DE MAURO, Un linguaggio subalterno, in M. BALDINI, Le fantaparole. Il linguaggio
della pubblicità, Ed. Armando, Roma 1990, p. 52. L’autore sostiene «che i segni
linguistici hanno per loro caratteristica quella di possedere una pluralità di sensi, di
concrete significazioni e applicazioni. Anche la più semplice e meno equivoca delle
frasi, per esempio ‘apri la porta’ […] è […] costituzionalmente polisensa».
31
delle loro funzioni elaborate da Jakobson, si può affermare che il
linguaggio della pubblicità è l’ambito di elezione della funzione conativa
dei segni: attraverso di essa, i segni vengono organizzati in base ai
desideri, alle aspettative e alle possibili risposte dei destinatari
17
.
Al contrario di altri linguaggi settoriali, che guadagnano in
comprensibilità solo quando alcuni dei loro termini caratteristici
riescono ad entrare nell’uso comune – nel momento, cioè, in cui i non
specialisti li utilizzano in senso metaforico – il linguaggio della
pubblicità è espressivo in partenza, data la sua esplicita funzione di
persuadere i destinatari, anche se tende d’altro canto a logorarsi nel
tempo, a causa di una inevitabile ripetitività dell’uso che, a lungo
andare, lo priva della sua funzionalità retorica e comunicativa.
Proprio in virtù di tali meccanismo si viene a creare un duplice
rapporto tra la lingua della pubblicità e lingua comune: da un lato la
prima sfrutta e accentua le possibilità espressive della seconda, dando
luogo a fenomeni di fermentazione espressiva e di reciproco
arricchimento, dall’altro, tendendo a creare una corrispondenza
assoluta fra parola e merce, fra marchio e oggetto, la lingua della
pubblicità può in qualche modo porsi parassitaria rispetto all’italiano
contemporaneo. In ogni caso, la tecnica del linguaggio pubblicitario si
applica sia alle microstrutture, come i tratti lessicali, morfologici e di
micro-sintassi presenti negli slogan, sia alle macrostrutture espressive e
produce numerose innovazioni o perlomeno, a causa della necessità di
offrire continuamente formule inedite, il ritmo delle innovazioni appare
frenetico. Tutto ciò si è potuto realizzare grazie al fatto che la lingua
italiana è stata per secoli una lingua scritta e non parlata sviluppando
numerose possibilità espressive, fra cui si rileva la tendenza alle
17
T. DE MAURO, Un linguaggio subalterno, in M. BALDINI, Le fantaparole. Il linguaggio
della pubblicità, Ed. Armando, Roma 1990, p. 53, « i segni vengono organizzati più che
in base alla situazione da comunicare […] in base alle prevedibili o desiderabili
reazioni del destinatario. […] la pubblicità non inventa, ma asseconda e sfrutta
tendenze già presenti tra i destinatari».
32
formazioni con prefissi e prefissoidi o suffissi e suffissoidi
18
. Questo
orientamento si è moltiplicato nella lingua pubblicitaria, dal momento
che tale linguaggio non essendo naturale può usare a suo piacimento il
lessico di base adeguandolo alle proprie regole interne: troviamo, allora
aggettivi come superconcentrato, supersgrassante, superautomatico,
oppure sostantivi come superpannolino, superammonio.
La fondamentale artificiosità della lingua pubblicitaria traspare da
ogni aspetto del suo operare sul lessico. Essa difatti agisce sulle parole
secondo modalità metalinguistiche, spesso privandole del loro spessore
storico e reinterpretandole, annettendo loro nuovi significati o
collocandoli in contesti imprevisti, o ancora riducendole a meri pretesti
grafici o sonori, a sequenze di ideogrammi da comporre e ricomporre a
piacimento
19
. Il continuo intervento sulle parole ha su di esse un effetto
desemantizzante, che finisce per ridurle a puri suoni: e la tendenza a
evidenziare i valori acustici della parola, spesso a discapito di quelli
semantici, è centrale nel lavoro che il pubblicitario compie sulla lingua,
che viene tesa e rivoltata al limite delle sue possibilità.
Nel lessico ad esempio la pubblicità tende ad accentuare inoltre la
tendenza naturale dell’italiano verso l’utilizzo di nomi composti e
giustapposti: fra i primi citiamo azzeccaregalo, che risale al precedente
illustre del manzoniano azzeccagarbugli, ammazzasete sul modello del
popolare ammazzasette, sottobuono a parodiare sottovuoto; fra i secondi
pienaroma
20
.
18
B. MIGLIORINI, Saggi sulla lingua del Novecento, Ed. Sansoni, Firenze 1963, pp. 78-
79. L’autore specifica che i prefissi elativi che hanno avuto maggior fortuna nella
lingua italiana sono: super- ultra – extra – iper – arci – iper.
19
G FOLENA, Aspetti della lingua contemporanea. La lingua e la pubblicità, in A.
CHIANTERA, Una lingua in vendita. L’italiano della pubblicità, Roma, La Nuova Italia
Scientifica, 1989, pp. 112-113. L’autore mette in evidenza che « per necessità
sintattiche e sotto la spinta della moda esotica, e nella ricerca di sonorità o fisionomia
grafiche inusitate, presenta un gran numero di formazioni troncate o ‘codimozze’,
come viene fatto di dire con una parola che ricorre a proposito di cani smarriti nella
pubblicità economica; sono preferite le finali in consonante liquida e nasale e in
sibilante, ma ve ne sono di ogni genere».
20
M. CORTI, Il linguaggio della pubblicità, in AA. VV., I linguaggi settoriali in Italia, a
cura di G. L. BECCARIA, Ed. Bompiani, Milano 1978, 3° edizione, pp. 143.
33
Al risultato della fusione o giustapposizione di più parole esistenti e
variamente manipolate si aggiungono i neologismi, appositamente creati
per conferire forza allo slogan. Il neologismo, uno dei fenomeni più
vistosi del linguaggio della pubblicità, non è sempre da considerarsi un
gioco di parole: esso lo diventa in maniera più efficace quando, senza
proporre una fusione puramente esteriore di parole diverse permette
due letture contemporanee
21
. I neologismi. Infatti, vengono utilizzati
frequentemente non solo per la necessità di creare una parola che
indichi una realtà prima inesistente, ma soprattutto per necessità di
sintesi e per desiderio di colpire
22
A tali costruzioni si può riconoscere
una compiuta realizzazione dello scopo principale a cui mira la lingua
pubblicitaria, ossia la sintesi tra l’espressività e la comprensibilità, base
e premessa per poter adempiere la sua prima funzione: far vendere il
prodotto.
I neologismi possono essere di specie diverse: parole già esistenti nel
lessico di una lingua possono subire un’alterazione semantica che
attribuisce loro un significato non previsto dal sistema lessicale di
riferimento: così Buondì non è più una forma di saluto ma una merenda
e un Bacio è un cioccolatino. Caratteristica comune di queste invenzioni
non è tanto la creazione ex novo di un termine quanto la scelta di una
parola comune per designare, in base ad associazioni di significato, un
certo prodotto.
In alcuni casi si tratta di vocaboli nuovi costruiti sulla base di modelli
già in essere nella lingua italiana: è il caso di aggettivi come amorevole,
verbi come cioccolatarsi, participi come permanentata, avverbi come
aperitivolissimevolmente. Una maggiore raffinatezza è individuabile nei
neologismi che possono sottendere giochi di parole, come ‘Vetril, il
puliziotto di casa’, o ricorrere all’onomatopea ‘Croccate le patatine San
Carlo, e nelle neoformazioni che, in virtù del loro tecnicismo, riescono
21
M. CORTI, Il linguaggio della pubblicità, in AA. VV., I linguaggi settoriali in Italia, a
cura di G. L. BECCARIA, Ed. Bompiani, Milano 1978, 3° edizione, pp. 143.
22
Dizionario della pubblicità. Storia, tecniche, personaggi, a cura di A. ABRUZZESE e F.
COLOMBO, Ed. Zanichelli, pp. 246-247
34
talvolta ad attecchire nella lingua parlata, come prova-finestra o prova-
forchetta.
Un secondo tipo di neologismo è quello risultante dalla creazione di
parole nuove attraverso la composizione. Sul modello di un deverbale
con un sostantivo, sulla scia di termini quali aspirapolvere e tostapane,
nasce il coperchio salvaroma per le confezioni di caffè. Sulla scorta di
cassapanca e ceralacca, risultanti dall’unione di due sostantivi,
troviamo fondotinta e modamaglia che, come altre fra queste formazioni
sono entrate d’autorità nell’uso quotidiano.
L’influenza del linguaggio pubblicitario sulla lingua si esercita
soprattutto nell’ambito morfo-sintattico sia in specifici fenomeni, come
l’uso dell’aggettivo in funzione avverbiale
23
, sia nelle strutture sintattico-
stilistiche, come l’uso dello stile nominale: all’interno di questo si
verifica di frequente la combinazione di procedimenti di alta
espressività, come il ritmo e le rispondenze sonore, a creare raffinate
simmetrie interne alla frase, ma tale stile può presentarsi in alcuni casi
come un tratto di normalità, un fatto di pura comunicazione da
utilizzare per annunci che vogliano suggerire una atmosfera
strettamente tecnica e specialistica.
Sempre in questa prospettiva si può rilevare la frequenza di modelli
pubblicitari tendenti ad un uso sempre più raro delle preposizioni: si
moltiplicano i sintagmi del tipo modello-famiglia, alimento-natura che
costituiscono calchi della lingua inglese.
Un fenomeno particolarmente interessante della lingua pubblicitaria
in rapporto a quella comune è l’utilizzo delle voci tratte dal lessico
gergale
24
: si può affermare che il gergo vero e proprio non compare se
non in rari casi all’interno degli slogan, ma quello che ad una prima
lettura potrebbe sembrare tale altro non è che un tentativo di imitazione
23
M. MEDICI, Gli avverbi in mente, in in italiano e nella pubblicità, in Storia linguistica
dell'Italia nel Novecento, Atti SLI 6, Roma, Bulzoni, 1972, pp. 181-186.
24
G. R. CARDONA, La lingua della pubblicità, Ravenna, Longo, 1974, pp. 11-15
35
di gerghi già esistenti, soprattutto quello dei giovani, anche se più di
frequente ci troviamo davanti a pure invenzioni.
Un tipo particolare di gergo può essere considerato quello tecnico. La
differenza nel rapporto che la lingua pubblicitaria intrattiene con il
gergo giovanile rispetto a quello tecnico risiede nel fatto che, mentre con
l’utilizzo del primo la pubblicità mira all’identificazione e alla mimesi
con le modalità comunicative e culturali di un target ben definito, il
secondo è usato in senso volutamente scostante e distanziante. Le
parole specialistiche servono difatti a fornire un’autentificazione
scientifica al prodotto, ispirando al tempo stesso un sentimento di
reverenza. E proprio nella tendenza sempre più spinta alla
tecnicizzazione rientra la scelta di parole tratte da altri campi semantici,
soprattutto allo scopo di evocare un’atmosfera di esotismo e di
raffinatezza, ma anche per suggerire una specializzazione del prodotto
che lo rende superiore di qualità: a tale proposito possiamo citare gli
esempi come il Laim dei Caraibi, o il potere brillantante del detersivo
Finish
25
.
Uno dei problemi che l’utilizzo di testi pubblicitari , soprattutto
verbali, comporta è la presenza di un discorso che se da un lato vuole
echeggiare i modi della lingua parlata, dall’altro è dotato di una
struttura ellittica fortemente condizionata dai limiti di tempo e di spazio
concesso dai mass-media. Nei testi a struttura anaforica l’elisione del
verbo all’interno della definizione del prodotto dà origine a un cumulo di
apposizione che spesso esauriscono l’intero svolgersi del messaggio.
L’advertising attinge con frequenza anche al serbatoio delle allitterazioni
e in genere alle strutture che comportano una ripetizione di suoni –
quali la rima e la paronomasia – in quanto l’accostamento fonico dei
legami di ritmo e rima ha un indubbio effetto retorico, quasi ipnotico nei
confronti del destinatario. .
25
G. R. CARDONA, La lingua della pubblicità, ed. Longo, Ravenna 1974, pp. 17 e ss.
36
Il campo delle figure di stile è poi dominato dall’interrogazione
retorica, con le varianti della percontatio, sequenza di domanda e
risposta, e della subiectio, risposta ad una interrogazione sottintesa,
volte a stabilire un dialogo secco e stilizzato alcui centro campeggiano le
virtù del prodotto, più o meno indirettamente esaltate dallo scambio di
battute
26
.
Un altro espediente a cui è solito ricorrere il linguaggio dell’advetising
è quello di umanizzare i prodotti attraverso il marchio che ad un certo
momento diventa parte del vissuto del consumatore, inserendosi a
pieno titolo nel linguaggio usuale
27
. È il caso di voci come aspirina,
borotalco, linoleum che coincidono ormai con altrettanti generi
merceologici, in quanto nessuno ormai associa più questi termini ad un
marchio particolare
28
.
È una grammatica saldamente invalsa quella che mira a far emergere
la “personalità” del prodotto, spesso attraverso il meccanismo della
traduzione di cose in termini di persone e viceversa. La pubblicità basa
26
G. R. Cardona, La lingua della pubblicità, ed. Longo, Ravenna 1974, pp. 84. l’autore
evidenzia come la presenza delle due figure istituzionali dello scambio dialogico,
costituite dal parlante e dall’ascoltatore è condizione inprescindibile per la nascita di
quell’atto di comunicazione che è il messaggio pubblicitario; e quest’ultimo si basa a
sua volta sull’esistenza di un certo numero di presupposizioni comuni ai dialoganti,
accettate come dati di fatto. La lingua pubblicitaria fa larghissimo uso di questi
strumenti dell’argomentazione, ma piuttosto che richiamarsi a vere presupposizioni
tende ad attribuirgliene delle nuove, create appositamente per adattarsi al suo odo di
pensare. . in effetti lo scopo dell’advertising essendo quello di sfuggire l’ovvietà, adotta
spesso un meccanismo di rovesciamento delle presupposizioni universalmente
accettate, che capovolge ogni aspettativa logica e dà luogo ad un effetto di piazzamento
simile a quello provocato dalla figura retorica dell’aprosdoketon, dell’inatteso
27
B. MIGLIORINI, Lingua contemporanea, Ed. Sansoni, Firenze 1963, pp. 10-12. cfr M.
MEDICI, Maxigrammatica pubblicitaria, in M. BALDINI, Le fantaparole. Il linguaggio
della pubblicità, Ed. Armando, Roma 1990, p. 84. Dice l’autore come i nomi di alcuni
prodotti « per il grande uso collettivo e perché vengono ad essere considerati normali
nella coscienza del parlante, arrivano a penetrare in esso in maniera più o meno salda;
la parola propria, legata da una ditta a una sua fabbricazione, giunge ad avere la
caratteristica ed il significato d’un nome comune puramente descrittivo, che designa
un tipo generale di prodotto»
28
A. SANGREGORIO, La pubblicità dei prodotti farmaceutici, in in Storia linguistica
dell’Italia del Novecento, Atti SLI 6, Ed. Bulzoni, Roma 1972, pp. 198-218.l’autrice
spiega come il termine aspirina è il tipico esempio di nome proprio passato poi a nome
comune, poi tornato ad essere nome proprio rivendicato come marchio dalla casa
produttrice, la multinazionale Bayer. Tuttavia nella coscienza dei parlanti e nell’uso
linguistico spontaneo continua a verificarsi un’oscillazione tra le due posizioni di nome
comune e nome proprio.
37
gran parte della propria efficacia sulla forza del linguaggio figurato: il
nome scelto per un prodotto deve creare immagine attraverso sensi
letterari o figurati che risponda ad obiettivi di pianificazione aziendale
tenendo conto che le capacità di penetrazione del naming si basano su
dati semiotici concreti
29
. A tale riguardo si fa spesso uso della
sinestesia, ossia l’unione, in stretto rapporto, di parole che si riferiscono
a sfere sensoriali diverse e che contribuisce in misura significativa ad
accrescere le potenzialità degli slogan
30
.
L’architettura sintattica e figurata del messaggio deve essere
ricondotta dunque ad un livello simbolico che rende necessario l’uso
della chiave semiologia, in quanto il creativo ha il compito di costruire
una vera e propria mitologia, una selva di simboli all’interno - e spesso
in apparente contrasto con essa – dell’ideologia di consumo: significanti
e significati creano, intorno ad un oggetto di consumo, una serie di
relazioni e associazioni da cui si produce il simbolo.
29
A. APPIANO, Pubblicità e comunicazione visuale. Testo e contesto, Ed. Stampatre,
Torino 1986. L’autrice rileva il fatto che se leggiamo la parola ritmo si crea nella nostra
mente l’idea di musica; ma se leggiamo Ritmo, l’autovettura della Fiat, la stessa parole
innesca riferimenti ulteriori e complementari che indirizzano la nostra interpretazione
verso un oggetto – l’automobile – in movimento, dotato di caratteristiche di armonia,
ripresa, velocità. Il marchio Fiat, infine, è la firma del prodotto che contribuisce ad
aumentare la credibilità del messaggio.
30
P. D’ONOFRIO, Le sinestesie nella lingua pubblicitaria, in Storia linguistica dell'Italia
nel Novecento, Atti SLI 6, Roma, Bulzoni, 1972; cfr B. MIGLIORINI, La lingua italiana
d’oggi, Ed. Sansoni, Torino 1958; M. L. ALTIERI-BIAGI, Note sulla lingua italiana, in
«Lingua nostra», 3 sett. 1965, p. 90; F. SABATINI, Il messaggio pubblicitario da slogan
a prosa-poesia, in M. BALDINI (a cura di), Le fantaparole. Il linguaggio della pubblicità,
Ed Armando, Roma 1987, p. 104.