2
finalizzato al successivo atto di acquisto/consumo, sia come mo-
mento comunicativo idoneo ad incidere sui profili differenti rispetto
a quello del mero interesse economico del soggetto che riceve il
messaggio.
Dopo aver sottolineato quale sia l’obiettivo del Codice e
dell’Istituto di Autodisciplina e quali siano le competenze dei suoi
organi, ho analizzato il concetto di buon costume, quale valore rela-
tivo alla collettività in generale. Esso esprime le condizioni necessa-
rie che in rapporto ai contenuti morali e alle modalità d’espressione
del costume sessuale, sono fondamentali per consentire una dignito-
sa convivenza sociale e assicurare il rispetto reciproco tra le perso-
ne. Il lavoro prosegue con l’analisi degli articoli 8, 9 e 10 del
C.A.P. i quali trattano rispettivamente di: superstizione, credulità e
paura;violenza volgarità e indecenza; convinzioni morali, civili e
religiose e dignità della persona. A questi tre articoli ho dedicato
anche il terzo, ed ultimo capitolo, nel quale ho riportato e commen-
tato alcune pronunce del Giurì di autodisciplina, le quali riguarda-
no la violazione o meno degli articoli sopra citati. Con l’analisi del-
le pronunce ho voluto sottolineare soprattutto la direzione verso cui
si muove il Giurì nel giudicare censurabile o meno una pubblicità e
come tale orientamento cambi a seconda che lo spot sia lesivo per
gli spettatori –consumatori a cui è indirizzato o mantenga la sua
forma di comunicazione commerciale atta a informare il consuma-
tore sul prodotto che viene pubblicizzato.
3
CAPITOLO PRIMO: L’AUTODISCIPLINA PUBBLICITARIA
1. IL CODICE DI AUTODISCIPLINA PUBBLICITARIA
1.1. BREVI CENNI STORICI
Il modo migliore per convincersi della necessità e dell’utilità dell’autodisciplina pubblici-
taria è probabilmente quello di provare a immaginare un mondo dove fosse assente.
L’autodisciplina è perfetta? No, come qualsiasi opera umana è perfettibile e chiede che sia
rivista regolarmente per farla evolvere e soprattutto per farla condividere ed adottare dal
maggior numero di soggetti.
1
B.ADRIAENSENS
L’autodisciplina è il fenomeno per il quale una pluralità di soggetti,
accomunati dall’esigenza di conformare il proprio comportamento a
regole di correttezza, decide di sottomettersi a norme di comporta-
mento comuni, nonché a norme strumentali volte a far rispettare le
prime mediante appositi meccanismi repressivi
2
.
Tuttavia, se alla base di ogni esperienza autodisciplinare vi è
un’assunzione di responsabilità settoriale basata su regole di deonto-
1
ADRIAENSENS, dal “Notiziario I.A.P.” n. 128, luglio 2003
2
BALDASSARRE e GUGGINO, L’Autodisciplina pubblicitaria e il suo Giurì, in http://impresa‐
stato.mi.camcom.it/im.35/guggino.htm
4
logia professionale, i risultati raggiunti dall’esperienza autodiscipli-
nare italiana nel campo della pubblicità la rendono per molti versi
qualcosa di unico per le implicazioni giuridiche che il suo instaurarsi
ha manifestato
3
.
Passata la seconda guerra mondiale, nel 1951 l’UPA (Utenti pubbli-
cità associati) presentò un suo Codice morale della pubblicità, segui-
to l’anno dopo da un codice simile promulgato dalla FIP (Federazio-
ne italiana della pubblicità), finché nel 1963, al VII Congresso della
pubblicità, tenutosi a Ischia, Roberto Cortopassi ebbe il gran merito
4
di pronunciare una relazione che sosteneva l’adozione di un Codice
comune a tutte le parti interessate alla pubblicità; questo Codice co-
mune, dopo lunghe trattative tra le associazioni, fu firmato il 12
maggio 1966, con in nome di Codice di Lealtà pubblicitaria.
5
Lo avevano concordato l’UPA, la FIP, la FIEG (Federazione italiana
editori giornali) e la RAI. Aveva un organo giudicante, il Giurì, allo-
ra presieduto da Manlio Borrelli, presidente onorario della Corte di
Cassazione, vicepresidente il Prof.Remo Franceschelli e membri i
legali delle parti firmatarie. Un anno dopo al Giurì si aggiunse il
Comitato di accertamento, poi chiamato “di Controllo”, che da allora
svolge due funzioni principali: di giudice istruttore – per l’esame e la
preparazione delle cause da farsi in funzione del consumatore – e di
3
GRAZZINI, Autodisciplina pubblicitaria e ordinamento statuale, Milano, 2003, 90
4
ZORZI, Autodisciplina pubblicitaria, in Contratto e impresa, 1985, 349
5
CORTOPASSI, Etica e Autodisciplina Pubblicitaria, in Etica degli affari e delle professioni, 1991, II, .45‐56
5
pubblico ministero – per sostenere l’accusa di queste cause, ed e-
sprimere pareri nelle altre, durante i dibattimenti di fronte al Giurì.
Dalla premessa del Codice di Lealtà Pubblicitaria si desumono
6
i li-
miti soggettivi dell’autodisciplina, si desume cioè che le regole con-
tenute nel codice non possono essere imposte a tutti i soggetti, ma
solo a coloro che direttamente o tramite le proprie associazioni si
siano impegnate ad osservarle.
Il codice della Lealtà Pubblicitaria è normativo per utenti, agenzie o
consulenti di pubblicità, gestori di veicoli pubblicitari di ogni tipo e
per tutti coloro che lo abbiano accettato direttamente o tramite la
propria associazione.
7
Il Codice ha visto, negli anni, qualche sostanziale modifica. Il Codice
originale (1966) recava nella premessa che il suo scopo ‹‹è di far sì
che ogni e qualsiasi forma di manifestazione pubblicitaria non dan-
neggi la pubblicità che ha un ruolo essenziale per lo sviluppo
dell’economia e per la creazione di maggior benessere ed è insieme
un servizio socialmente utile››.
Il testo del 1971 introdusse una prima modifica alla premessa : ‹‹Il
suo scopo [del Codice] è di far sì che la pubblicità che ha un ruolo
essenziale per lo sviluppo dell’economia e per la creazione di mag-
gior benessere ed è insieme un servizio socialmente utile per
6
SENA, Il sistema del’autodisciplina pubblicitaria, in Diritto industriale, 1975, I, 52
7
SENA, Relazioni sull’autodisciplina pubblicitaria presentate alla II mostra biennale della pubblicità tenu‐
ta nei giorni 12‐13 giugno 1974, in Riv.Dir.Ind., I,1975, 49
6
l’informazione del consumatore , eviti tutto ciò che possa screditare e
che sia incompatibile con i suoi fini››
8
.
Più importante è stato l’inserimento di un nuovo articolo 1 che af-
fermava decisamente ‹‹La pubblicità deve essere onesta, veritiera e
corretta››.
Il codice del 1966 diceva all’art.18 che ‹‹ il Giurì, ove la parte soc-
combente non accetti il giudizio stesso e non vi si uniformi nel ter-
mine fissato, può ordinare la divulgazione negli organi di stampa del-
le Associazioni contraenti o di altri mezzi d’informazione››
9
. Invece
il testo del 1971 è più esplicito nel nuovo art.35 : ‹‹Qualora chi vi è
tenuto non si uniformi alle decisioni del Giurì, questi dispone che di
tale rifiuto si dia pubblica notizia››. Soltanto nel 1980, però, fu accet-
tato il principio di pubblicare tutte le decisioni del Giurì con i nomi
delle aziende sanzionate.
Forse la riforma più importante di tutte quelle operate nel 1971 fu
l’introduzione dell’art.34 , che ha reso il Codice valido per tutti colo-
ro che si servono della pubblicità , anche se non sono iscritti alle as-
sociazioni firmatarie del Codice: ‹‹ I mezzi pubblicitari che diretta-
mente o tramite le proprie associazioni hanno accettato il Codice del-
la Lealtà Pubblicitaria, ancorché non siano stati parti del procedi-
mento avanti il Giurì, sono tenuti ad osservarne le decisioni››.
L’avverbio ‹‹direttamente›› era stato reso possibile dall’introduzione
8
GUGGINO, Considerazione intorno alla natura giuridica dell’Autodisciplina pubblicitaria, in Rassegna di
diritto civile, 1989, II, 331
9
RUFFOLO, “Commentario al Codice dell’Autodisciplina pubblicitaria”, Milano, 2003,
7
della c.d. clausola d’accettazione inserita nei contratti pubblicitari
dagli editori e dai concessionari di tutti i mezzi. La conseguenza di
questa clausola è che anche le aziende e le agenzie non iscritte alle
associazioni firmatarie del Codice debbono sottostare alle norme del
Codice e alle decisioni del Giurì.
Dal 1971 al 1975 ci fu un lungo lavoro di persuasione e trattative ,
mentre in Italia la contestazione alla pubblicità e al consumismo au-
mentava ad opera delle formazioni extra-parlamentari e, soprattutto,
dei movimenti femministi, che contestavano l’uso strumentale della
donna nelle campagne pubblicitarie
10
.
Così nel 1975 fu approvata la seconda e più sostanziale riforma del
Codice, il cui nome cambiò da Codice di Lealtà in Codice di Autodi-
sciplina pubblicitaria, e ne fu modificata sostanzialmente la premessa
con un capovolgimento degli scopi:
‹‹Il Codice di Autodisciplina ha lo scopo di assicurare che la pubbli-
cità nello svolgimento del suo ruolo particolarmente utile nel proces-
so economico, venga realizzata soprattutto come servizio per
l’informazione del pubblico, con speciale riguardo alla sua influenza
sul consumatore” però con l’aggiunta “ Essa deve evitare tutto ciò
che possa screditarla››.
11
Ma la riforma non si limitò a queste pur importanti modifiche , per-
ché in quell’occasione entrarono nel testo diverse nuove norme : di-
10
FUSI‐TESTA, L’Autodisciplina pubblicitaria in Italia, Milano, 1983, 75
11
www.iap.it (10/07/07)
8
stinzione della pubblicità dall’informazione (art.7); necessità di indi-
care i pericoli insiti in alcuni prodotti ( art. 17); limiti alla pubblicità
delle bevande alcoliche (art.22) e dei cosmetici (art.23) e per i viaggi
organizzati (art.28). Soprattutto importante è stata l’introduzione
dell’art.10, che prescrive di non offendere i sentimenti morali, reli-
giosi e civili dei cittadini. Questo articolo fu modificato ancora suc-
cessivamente per tutelare la donna dallo sfruttamento pubblicitario,
prendendo il titolo di ‹‹Convinzioni morali, civili, religiose e dignità
della persona umana››.
Fu cambiata anche la formazione del Giurì: mentre il presidente do-
veva essere ancora un magistrato in carriera (dal 1989, un magistrato
in pensione, per una disposizione del Consiglio superiore della Ma-
gistratura), i membri dell’organo giudicante non potevano più essere
i legali o altri rappresentanti degli organismi firmatari del Codice, ma
studiosi scelti tra i professori di diritto, gli esperti dei problemi dei
consumatori (professori di sociologia e psicologia) e gli esperti di
comunicazione pubblicitaria.
Anche il Comitato di controllo fu arricchito di funzioni: oltre a quelle
proprie della sua costituzione nel 1967, la riforma del ’75 ne aggiun-
se altre: la possibilità di esprimere pareri preventivi per campagne
non ancora diffuse; il diritto ad invitare un’impresa a modificare una
campagna pubblicitaria (se l’invito viene accolto la procedura si fer-
ma, mentre, nel caso contrario, il Comitato rimanda la causa al Giu-
9
rì); la possibilità di ricevere in deposito idee creative e campagne per
il futuro (pre-emption) perché ne venga stabilito un diritto di priorità.
Fra le due riforme del 1971 e del 1975, intervennero alcune vicende
che giovarono all’efficienza e alla fama, che ormai diventava sempre
più positiva, del Codice e dei suoi organi. La prima è interna alla vita
dell’Istituto
12
: nel luglio-giugno 1972 la campagna di una marca di
motociclette fu denunciata per l’abbinamento delle “prestazioni” del-
le due ruote a quello di diverse ragazze; la campagna fu condannata
soltanto nell’ottobre, quando la stagione delle moto e della loro pub-
blicità era finita da tempo. Tre pubblicitari che allora avevano diver-
se responsabilità associative, Giancarlo Livraghi e Guido Mengacci
scrissero al presidente della Confederazione pubblicitaria, deploran-
do sia l’offesa alla dignità della donna sia il ritardo nella procedura
che aveva reso inutile la decisione di condanna. La protesta ebbe due
effetti: portò nel 1975 alla citata modifica dell’art.10, con
l’estensione della norma alla difesa della dignità umana, e della don-
na in particolare ; e causò – con effetto quasi immediato – la riforma
della procedura, così che da allora le cause vengono normalmente
giudicate entro un mese dalla denuncia.
Ancora più importante, determinante per il prestigio
dell’autodisciplina, è stata la seconda vicenda. La Curcio, casa edi-
trice sconfitta dinnanzi al Giurì in una vertenza promossa da un con-
corrente, si era rivolta nel 1974 al Tribunale di Milano, facendo cau-
12
GRAZZINI, Autodisciplina pubblicitaria e ordinamento statuale, Milano, 2003, 68
10
sa al Giurì del quale asseriva non riconoscere la giurisdizione, dal
momento che essa non aderiva all’UPA né la sua agenzia pubblicita-
ria alla relativa associazione. Il tribunale milanese le diede torto, per-
ché la Curcio, avendo prodotto a sua difesa memorie scritte ed es-
sendo comparsa nel contradditorio dinnanzi al Giurì, ne aveva espli-
citamente riconosciuto la competenza . Due anni dopo , la Corte
d’Appello di Milano confermò la prima decisione.
L’effetto di queste due sentenze fu dirompente
13
: da allora le riviste
giuridiche si occuparono sempre più spesso di questo nuovo istituto
giuridico, un vero e proprio tribunale privato che esercita funzioni
pubbliche senza nessuna spesa per la comunità.
Nei primi vent’anni i casi definiti raggiunsero la quota di 882; ma è
bastato arrivare nell’anno 2000 per raggiungere i 927 casi superando
in un solo anno il totale dei venti anni precedenti. Un crescendo che
è tuttora in atto e che ha fatto superare a fine 2005 i 14.650 casi trat-
tati e definiti; e ciò malgrado il sopravvenuto intervento dell’Autorità
Garante della Concorrenza e del Mercato , con competenze in parte
analoghe a quelle dell’Autodisciplina.
14
Le norme del C.A.P. sono passate dai 19 articoli iniziali agli attuali
46, attraverso un’approfondita e meticolosa progressione di 41 edi-
zioni in altrettanti anni
15
.
13
FUSI‐TESTA, L’Autodisciplina pubblicitaria in Italia, Milano, 1983, 72
14
RUFFOLO, “Commentario al Codice di Autodisciplina pubblicitaria”, Milano, 2003,
15
www.iap.it