comprendere come sono cambiati i metodi lavorativi delle agenzie pubblicitarie.
Se si è avuto un cambiamento nel modo di lavorare delle agenzie, ciò è dovuto
soprattutto al consumatore, che, nel corso degli anni, ha modificato il suo
atteggiamento nei confronti del prodotto da acquistare; infatti, si è passati da un
ricettore passivo ad un individuo sempre più informato ed esigente.
Proprio questo è l’argomento della Terza Sezione, che chiude la Prima Parte:
pubblicità e cambiamento socio-culturale, cioè l’analisi del rapporto
consumatore/prodotto attraverso il passato, la situazione attuale – il presente –
ed il futuro, rappresentato da anticipazioni ed ipotesi di sociologi e pubblicitari,
riguardo ai possibili profili del consumatore del 2000.
Tutta questa prima parte, sebbene fosse di fondamentale importanza per
l’argomento della tesi, non era sufficiente, e così ho pensato di andare
direttamente sul campo per tastare di persona la situazione e poter suffragare la
mia argomentazione con maggiori elementi.
La Seconda Parte, infatti, è interamente incentrata sulla presentazione
dell’agenzia pubblicitaria di Milano Pirella Göttsche Lowe e sull’analisi di
alcune case history, concernenti i metodi lavorativi che hanno contraddistinto
l’agenzia nel rapporto di lavoro intrattenuto, in questi ultimi anni, con 5 grandi
clienti: Superga, Cirio, Volvo, J&B e Levissima.
Ho parlato all’inizio di lavoro in progress, proprio perché, durante la
realizzazione di questa parte della Tesi, è arrivata la svolta; infatti, è stato
riscontrato oggettivamente, in questo periodo – l’intero anno 1997 –, un netto
miglioramento della qualità delle campagne pubblicitarie e, quindi, un
3
atteggiamento maggiormente positivo delle persone nei confronti del mondo
pubblicitario. Quali sono state le motivazioni e quali le conseguenze?
La risposta a questa domanda ha rappresentato il nuovo nodo centrale della Tesi
e la discussione è riportata nella Terza Parte, in cui si dimostra come l’analisi
dei lavori pubblicitari possa rappresentare uno dei possibili strumenti per
comprendere i pensieri e gli atteggiamenti, non solo del consumatore – target
specifico della pubblicità -, ma dell’individuo preso nella sua globalità.
Il cambiamento che ha riguardato la realizzazione della tesi e, quindi, la sua
stesura definitiva rappresenta la prova più valida che io possa fornire a
fondamento della mia argomentazione.
La pubblicità da anima del commercio diventa specchio del reale ed è proprio
così che si giunge all’identikit dell’uomo contemporaneo, cioè di un individuo
che:
1) ha bisogno di sentirsi in armonia con il proprio corpo, per cui ricerca prodotti
genuini per l’alimentazione e si dedica al fitness o ad altre discipline che lo
fanno sentire in forma;
2) vuol provare il fascino delle situazioni estreme o fuggire dal sociale per
ricercare se stesso, soprattutto quando la vita quotidiana diventa un esercizio
di sopravvivenza.
4
Prima Parte
Analisi dell’evoluzione avvenuta nel settore
pubblicitario con riferimento agli studi realizzati
sul rapporto consumatore/prodotto.
5
Premessa/ Discorso introduttivo sulla situazione attuale della creatività
pubblicitaria in Italia.
"Where is the beef?": dov'è la carne di manzo? dov'è la sostanza?, si chiedeva
una coppia di arzille vecchiette, testimonials (1) storiche della pubblicità
McDonald's alle prese con gli hamburger e i loro ingredienti. "Where is the
beef?": dov'è la sostanza? Se lo chiedono anche copywriter (2) e art director (3).
La creatività è ormai il tema centrale nel dibattito pubblicitario. La questione la
poneva già, due stagioni fa, John Hegarty, uno dei creativi più famosi al
mondo, al Festival Internazionale di Cannes: se non si ha il coraggio di essere
nuovi e freschi, se non si ha la forza di pensare con fantasia, allora le campagne
finiranno per annoiare il pubblico e, con lo spettatore, soffrirà tutto l'advertising
(4).
Pasquale Barbella, uno dei protagonisti della pubblicità italiana, ha sostenuto
che il "vero" direttore creativo (5) dello scorso decennio è stato l'Eurisko,
l'istituto di ricerca che ha analizzato stili e modi di vita degli Italiani,
ingabbiando in rigide mappe la possibilità di lavorare con originalità; la fine del
Millennio, invece, vede tornare in primo piano la creatività di copy e art.
Per fare della buona pubblicità, tutto è importante: la conoscenza del mercato, la
scelta dei target-group (6), quella dei media... ma ciò che è essenziale, centrale,
determinante è sicuramente la qualità del messaggio. Purtroppo è ciò che in
pubblicità è più difficile da spiegare. Non si possono dare né teorie né ricette a
meno che si rischi di essere pedanti o eccessivamente sommari.
La creatività è qualcosa di più dell'originalità, qualcosa di più dell'idea, e
soprattutto molto di più della trasgressione gratuita e della provocazione.
6
Creatività è il valore aggiunto dato a determinati contenuti dalla forma verbale e
visuale. E "valore aggiunto" è la capacità di un messaggio di convincere su
questi contenuti, sia attraverso la dimostrazione sia attraverso la persuasione.
L'importanza della creatività in pubblicità è grandissima, e il suo peso è
inversamente proporzionale all'entità del budget (7) di una campagna: vuol dire
che una campagna superultramiliardaria, date la copertura (8) e la frequenza (9)
che ha, può al limite anche essere poco creativa (e questo si può constatare di
fatto); ma quando il budget è piccolo, è solo l'eccellenza della creatività che fa
emergere e spiccare un messaggio, lo fa notare e ricordare malgrado la scarsità
delle uscite. La buona creatività trasforma un orticello in una campagna
(pubblicitaria).
Naturalmente, per convincere, un messaggio deve prima riuscire a farsi notare,
guardare, ascoltare, leggere: ma questi necessari passaggi sono solo un mezzo
per raggiungere l'obiettivo di convincere.
Cosa diceva il Marino (10) nel secolo del barocco? "E' del poeta il fin la
maraviglia": appunto, del poeta, non del pubblicitario, che se si mette su questa
strada fa dissipazione del denaro del cliente (tranne nel caso che questi ami
divertirsi a caro prezzo), fa estetismo, sperimentalismo, arbitrarietà, arte per
l'arte, comunicazione per la comunicazione. Quello che distingue la creatività
dalla fantasia è la sua funzionalità, il fatto di essere indirizzata al
raggiungimento di un obiettivo concreto.
Su questo argomento c'è una disputa che non finisce mai: chi sostiene il diritto
dei creativi alla più totale libertà di espressione, e che qualsiasi vincolo frustra la
felicità della creazione; chi sostiene invece che le concrete, oggettive ragioni del
marketing sono preponderanti su tutto, anche a costo di mortificare il risultato
finale. Come sempre, quello che occorre è equilibrio.
7
E' vero che certi messaggi (basta pensare a certi spot di detersivi) sono il frutto
evidente del disprezzo della creatività, dell'applicazione di rigidissimi criteri di
marketing, e della prevalenza del cliché (11), del luogo comune, dello
stereotipo, innalzati a regola d'oro perché - si sostiene - "fanno vendere di più": e
allora giù mammine bionde, nonnine care, bambini belli, casette linde; per forza,
pare abbiano tutti la mania di lavare, pulire, lucidare...
Ma è anche vero che il creativo della pubblicità non è un artista che ha bisogno
di esprimere se stesso, ma è pagato per raggiungere certi risultati, e non altri.
Ragionevolmente, più elementi ha in mano per indirizzare le sue scelte, più
facile sarà raggiungere il risultato.
Allora ben vengano le ricerche, i posizionamenti (12), il marketing, che nelle
giuste dosi non mortificano la creatività, ma la indirizzano e la stimolano. Del
resto, senza limiti, senza regole, senza obiettivi, in piena e totale libertà, è come
nuotare in alto mare di notte (i pesci commentano tra loro l'armonia della falcata,
il ritmo regolare, il perfetto gioco di gambe: ma, si chiedono, dove mai starà
andando quello, e ancora per quanto?).
Dalle Lezioni Americane di Calvino si può citare un autore al di sopra di ogni
sospetto, Queneau, quello degli Esercizi di Stile: "L'ispirazione che consiste
nell'ubbidire ciecamente ad ogni impulso è in realtà una schiavitù. Il classico che
scrive le sue tragedie osservando un certo numero di regole (che conosce) è più
libero del poeta che scrive quel che gli passa per la testa ed è schiavo di altre
regole che ignora".
Dicono a questo proposito Roman e Maas (13):"Le regole inibiscono le
personalità creative? Shakespeare non si lasciava intimidire dalla forma del
sonetto, né Beethoven dalla struttura della sinfonia. Robert Frost (14) si
lamentava della mancanza di disciplina nel verso libero: è come giocare a tennis
8
senza rete."
Un'agenzia, comunque, non dovrebbe avere un suo stile creativo; stile è
qualcosa che è proprio, caratteristico di un autore: e chi è l'autore di un
messaggio pubblicitario? L'agenzia, naturalmente. Ma l'agenzia - non lo dice
forse la parola stessa? - agisce in nome e per conto di qualcun altro - di solito
un'azienda. Allora è l'azienda in realtà che parla.
Chi ha visto il Cyrano de Bergérac, ricorderà di sicuro la scena del balcone,
quando Cyrano suggerisce all'incapace Cristiano le parole d'amore con cui
conquistare definitivamente Rossana, e Cristiano le ripete, e raggiunge lo scopo.
Ma Cyrano non appare, è nascosto nell'ombra, non esiste; l'agenzia è Cyrano de
Bergérac (15).
La creazione pubblicitaria, cuore della pubblicità, pone dunque problemi terribili
agli "scrittori di pubblicità". A tal punto che nella moltitudine di manuali
americani dedicati alla pubblicità molti sono decisamente carenti su questo
argomento. Non esiste un teorema della creatività, ma ci sono principi da
rispettare e metodi da seguire. Ciò non garantisce evidentemente un risultato, ma
può contribuirvi.
Tra i principi suddetti ce n'è uno veramente importante: i buoni utenti fanno
della buona pubblicità, i cattivi hanno spesso la pubblicità che si meritano. In
realtà sarebbe grossolano credere che l'agenzia, da sola, abbia la responsabilità
della qualità della creazione pubblicitaria. Il ruolo dell'utente è determinante.
Evidentemente non è da lui che dobbiamo aspettarci il lampo di genio, che
produrrà la campagna del secolo, e non dobbiamo confondere i ruoli; ma l'utente
è veramente responsabile in quanto determina largamente le condizioni della
creazione e in quanto è lui che, in fin dei conti, sceglie.
9
La creazione può accettare vincoli notevoli, che possono anche stimolare il
talento dei pubblicitari e far compiere loro prodezze. Ci sono tre tipi di vincoli.
Alcuni sono imposti a tutti e riguardano ad esempio leggi o regolamenti sul
prodotto. Ci sono anche vincoli oggettivi, che riguardano l'utente, come i limiti
di budget; mezzi finanziari realistici consentiranno alla creazione di esprimersi
pienamente. Poiché il costo dei messaggi è sempre più rilevante occorrerà, nel
valutare un'idea creativa, tener conto delle difficoltà e dei costi di realizzazione.
Ci sono infine vincoli che si impongono stupidamente, spesso per mancanza di
organizzazione; così non sempre si prende il tempo necessario per sviluppare
con la massima efficacia le diverse fasi indispensabili alla creazione.
La creazione delle idee nella comunicazione pubblicitaria non avviene seguendo
un processo deduttivo, che si possa definire in tappe chiare e precise. Bisogna
piuttosto assimilare la generazione delle idee a un processo induttivo, che
procede per balzi in avanti e all'indietro e in direzioni inaspettate. E'
caratterizzato inoltre da periodi di inattività apparente, che si traducono per
l'osservatore esterno in una perdita di tempo, da fermate nel procedere normale
dei lavori. Le procedure abituali per ottimizzare l'impiego del tempo,
spezzandolo in sequenze ben definite, appaiono del tutto inopportune per l'atto
creativo.
L'analisi e la pianificazione possono quindi intervenire solo prima dell'atto
creativo - cioè fino alla copy-strategy (16) - o dopo, quando cioè si produce la
campagna. L'atto creativo in sé non può essere programmato, ma richiede del
tempo: un'ora, come dieci minuti o 48 ore o mesi. E tuttavia, a memoria di
pubblicitario, non si è mai vista una rivista uscire con pagine di pubblicità in
bianco. E' pur vero, però, che molti annunci pubblicitari escono anche quando
non è stata trovata un'idea veramente buona.
10
Possiamo così stabilire a grandi linee un calendario, con valore puramente
indicativo; evidentemente si possono accorciare considerevolmente questi tempi,
ma non è sempre ragionevole e si prendono molti più rischi.
Prima fase- dal briefing (17) alla strategia: 7 settimane;
seconda fase- dalla strategia alla creazione: 7 settimane;
terza fase- esecuzione e produzione della campagna: 14 settimane;
quarta fase- dalla trasmissione dei definitivi ai media all'uscita o alla diffusione
reale del messaggio: da 8 a 15 giorni.
Complessivamente, dunque, dal briefing dell'utente all'uscita effettiva della
campagna sui media, i tempi normali sono da 7 a 9 mesi.
Tornando al momento della creazione, quali possono essere i precetti e le ricette
da seguire per favorire la produzione di idee eccellenti? In Appendice 1 si può
trovare una sorta di decalogo suggerito da Brochand e Lendrevie (18).
Infine, bisogna ricordare che, per affrontare il loro lavoro, i creativi hanno avuto
bisogno di una strategia: indispensabile a metterli in condizione di scatenare la
vena ideativa su un argomento preciso, essenziale per la marca o il prodotto,
significativo per il consumatore, distintivo rispetto alla concorrenza.
Questa strategia, configurando le strade da esplorare, deve dare indicazioni sui
seguenti punti:
*) Qual è il target (19)?
*) Qual è il benefit (20)? Che beneficio può ricavare il nostro target scegliendo
il nostro prodotto?
11
*) Qual è la reason why (21)? Perché il nostro prodotto è in grado di offrire un
certo beneficio?
*) Quale potrà essere la supporting evidence (22)? E cioè la dimostrazione
coerente di quanto viene affermato nella reason why?
*) Quale deve essere il tono di voce? Il linguaggio, l'atmosfera, il tono appunto
che la comunicazione dovrà adottare per essere efficace sul target e coerente
con l'immagine del prodotto o della marca?
Se queste cose sono ben definite, i creativi sapranno cosa devono fare per andare
dritti allo scopo: seguiranno una strada ferrata, rigida e precisa. Se queste
indicazioni mancano, il creativo è buttato in alto mare, lontano dalla vista della
terra: più le indicazioni sono precise e meglio è, così il creativo sa verso dove
nuotare.
A questo punto e con questi elementi, il creativo deve, infatti, concepire un'idea
che dia luce al prodotto o alla marca. Qual è l'aspetto più convincente della
marca? Cos'ha questo prodotto che lo può rendere più desiderabile per il
maggior numero di persone possibile?
Ogni tanto c'è un vantaggio chiaro: quel succo di frutta è realmente "appena
spremuto", a differenza degli altri presenti sul mercato che sono ricavati dal
concentrato. Quando il caso è così chiaro non si va molto oltre, ma, quasi
sempre, il vantaggio c'è, ma bisogna scavare molto per trovarlo.
(E intanto il tempo passa.)
Scavando si incappa in una differenza, anche minima, tra il nostro prodotto e la
concorrenza. Ma quella differenza è realmente un vantaggio? A volte lo è, e
nessuno ci aveva fatto caso finora. Altre volte può esserlo appena appena, ma
12
deve essere sviluppata in un vero e proprio vantaggio. Altre volte ancora, la
differenza può essere uno svantaggio, ma se indirizzata bene può trasformarsi in
positivo.
Ad esempio: quel sapone non ha la forza pulente di un detergente. Svantaggio
definitivo? No, quando lo si indirizza alle mamme di neonati, che preferiscono
la dolcezza alla forza.
Infine succede anche che, nonostante gli scavi in dati e statistiche di consumo e
approfondite analisi del prodotto, non si riesca a trovare un filo di differenza che
possa essere plausibilmente spacciata per tale. E' un caso sempre più frequente:
basta pensare, ad esempio, agli hi-fi che hanno lo stesso prezzo; ci sono forse
differenze significative tra i modelli di marche differenti? In questo caso il
compito del creativo consiste nel creare una preferenza verso il prodotto di per
sé, ma avrà delle sottili scelte da fare: sarà meglio cercare di convincere sul
piano del sentimento (evidenziando la simpatia e l'allegria) o su quello della
razionalità (facendo notare l'affidabilità e la durata)? Perché la direzione
strategica ha dato sì delle indicazioni, ma mille possono essere le sfumature,
tante le possibilità e occorre una ragionevole elasticità in questo lavoro.
(E intanto il tempo passa.)
In qualsiasi direzione si scavi, il lavoro dei creativi - l'art e il copy, uno di fronte
all'altro - si svolge con un gran consumo di fogli di carta riempiti di schizzi e di
parole, che si buttano via e si riprendono, inseguendo pensieri, lasciando che
immagini, ipotesi, parole scorrano nella mente, esprimendole ad alta voce (per
sentire l'effetto che fanno) senza pudori, in un dialogo continuo o, meglio, in
continui soliloqui. "...e se mettessimo...cosa succederebbe se...metti che
noi...cosa pensi se...non si potrebbe...e se..."
13
(E la scadenza si avvicina.)
E' davvero difficile stabilire da chi, come e quando esplode nella coppia l'idea
buona: ma a un certo punto uno di questi "e se facessimo..." fa scattare qualcosa,
accende una piccola luce, un barlume nel buio pesto. Si può trattare di una
parola o di uno schizzo, un qualcosa che viene ripreso, arricchito, perfezionato:
ora la coppia creativa è in preda all'eccitazione e all'entusiasmo, in stato di
fibrillazione, parla concitatamente e a voce alta...
Hanno ragione, la creazione è venuta. Ora si tratterà solo di adattare la soluzione
alle caratteristiche dei diversi mezzi di comunicazione previsti dalla
pianificazione; oltre che, naturalmente, di controllare con la direzione creativa e
strategica che la soluzione risponda perfettamente alla strategia e alle necessità.
Così tutto è pronto per la presentazione al cliente, prevista per mercoledì 14;
peccato che martedì 13 il cliente fa sapere che deve andare improvvisamente
all'estero, e che tornerà il lunedì successivo...
E' tutto molto faticoso, frustrante, spesso senza pietà: ma è più o meno così che
si riesce a concepire, creare e realizzare un'idea pubblicitaria (23).
Croce e delizia del mondo della pubblicità la creatività, con cui sovente si
finisce per identificare l'intero processo pubblicitario, se è lei ad ottenere i più
vistosi riconoscimenti ed a promuovere, nei casi più fortunati, chi la esprime a
star del firmamento pubblicitario; è anche, però, il più probabile capro espiatorio
quando le cose non vanno per il verso giusto, la più immediata indiziata, la
candidata d'obbligo alla prima fila sul banco degli imputati. La domanda, allora,
sorge spontanea: qual è la situazione attuale della creatività pubblicitaria in
Italia?
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Anche se non sembra giustificata l'affermazione del "non c'è creatività" con cui
l'utente della pubblicità spesso liquida fenomeni ben più complessi ed individua
responsabilità di cui, in molti casi, l'elaborazione creativa rappresenta solo
l'incolpevole momento terminale, bisogna, però, dire che da tempo i riferimenti
ad una crisi della creatività e a ritardi nell'elaborazione di nuovi linguaggi si
fanno sempre più frequenti.
Vi è una convinzione largamente diffusa - forse rafforzata anche dai pochi allori
recentemente raccolti nei festival pubblicitari - che la pubblicità italiana abbia
trovato, almeno negli ultimi anni, maggiori difficoltà ad esprimersi
creativamente. Ciò non toglie che anche in Italia si faccia dell'ottima pubblicità;
senza dubbio alcuni italiani possono essere inseriti in una short list (24) dei più
significativi creativi al mondo. Ed è anche probabile che esista una italian way
alla creatività in pubblicità che non deve avere complessi d'inferiorità verso
chiunque.
Se internazionalmente non ha ancora ricevuto i dovuti riconoscimenti è solo
perché sono i Paesi egemoni ad imporre i parametri di riferimento, gli standard
stessi della qualità pubblicitaria.
Ma ciò non impedisce dal constatare che una parte rilevante della creatività in
pubblicità stia diventando sempre più farneticante e sempre meno efficace (25);
basta sfogliare una rivista, stare una mezz'oretta davanti alla tv per imbattersi,
con una deprecabile frequenza, in campagne insensate, dove si fa dell'originalità
a tutti i costi.
E' facile essere divertenti, ironici, trasgressivi quando ci si rivolge a nicchie
circoscritte o ai segmenti socioculturalmente più avanzati della popolazione.
Ben più difficile, ma questo è il vero banco di prova dei creativi, quando il target
è quello che una volta si definiva un grande mercato di massa e che sappiamo
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oggi essere invece la risultante di tanti segmenti culturalmente eterogenei.
C'è forse da chiedersi come mai in Italia l'espressione della creatività in
pubblicità stenti a farsi strada, nonostante si sia espressa al più alto livello in
altre manifestazioni della cultura industriale - basta pensare ai designers nel
progetto industriale e agli stilisti nel settore della moda. Le motivazioni, quando
si prende coscienza di ciò, sono molteplici ma nessuna convincente. Il fantasma
di Carosello che veniva un tempo addotto per giustificare l'anomalia italiana -
quel format televisivo imponeva, infatti, tutta una serie di assurdi limiti alla
pubblicità con cui per il vero i creativi italiani avevano imparato a destreggiarsi
molto bene (26) - ormai è rimasto solo nella memoria di una generazione di
pubblicitari.
In genere l'utenza della pubblicità si limita a scaricare sic et simpliciter le
responsabilità sui creativi tacciandoli di scarsa fantasia o di scarsa sensibilità ad
un più stretto accordo con il marketing.
I creativi, a loro volta, ribaltano sulle imprese le responsabilità: vi sarebbe cioè
un eccesso di cautela, il timore di sbagliare che finirebbe per soffocare la
pubblicità più creativa e più innovativa. Nei cassetti delle agenzie vi sarebbe il
meglio espresso dai creativi italiani che, non avendo avuto il necessario avallo
da parte dell'utenza, giace inutilizzato senza aver potuto fare nessuna mostra di
sé.
Un'altra motivazione spesso addotta dai creativi è che le ricerche costituirebbero
una sorta di idea killer che penalizza le soluzioni più creative e finisce per
uniformare la comunicazione pubblicitaria a standard di mediocrità. Anche
questa giustificazione, però, non appare probante, in quanto la ricerca condotta
in Italia è di gran lunga al di sotto dei livelli quantitativi di altri paesi.
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