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che si propone, appunto, di anal izzare
l ’argomento secondo una logica deduttiva che,
muovendo “dall ’anal is i dei fondamenti e dei
contesti” giunga fino a un piano pratico di
comunicazione per i l sociale.
Inizio, quindi, definendo nel primo capitolo
ciò che si intende per “pubbl icità sociale”,
ponendo la dovuta attenzione sul le varie
tipologie, sui soggetti che la promuovono, sui
l inguaggi, nonché sui legami che negl i ul timi
anni essa ha intessuto col marketing al fine di
incrementare la propria efficacia.
Nel secondo capitolo, tratto del le grandi
esperienze isti tuzional i nel campo della
comunicazione sociale, anal izzando gl i i ter di
formazione, i modi e le f inal ità di organismi qual i
l ’AD Council americano, i l Coi Communications
inglese e la nostra Pubbl icità Progresso.
Nel terzo capitolo mi sposto sul versante
dell’ imprenditorial ità, anal izzando quell i che
possono essere i possibil i nessi con l’universo
del la comunicazione sociale, s ia per quanto
riguarda le imprese profi t-oriented, che quelle
no-profit. Mi soffermo in particolare sul le
iniziative di Cause Related Marketing che
prevedono una partnership tra impresa
commerciale e settore no-profit.
Nel quarto ed ultimo capitolo, presento,
infine, i l mio progetto di comunicazione.
I l cl iente è i l C.A.V. (Centro Aiuto al la Vita)
7
di Agrigento, la mia città, ed i l tema che mi
propongo concerne, quindi, i l dir i tto al la vita
prenatale e, più nel lo specifico, la dissuasione
dall ’aborto.
Si tratta di un argomento che, data la sua
particolare natura, r isulta abbastanza
controverso. Da una parte la legge sancisce la
l iceità del la pratica abortiva, dal l ’altra la morale
cattol ica, prevalente nel la nostra società, ed un
sentimento diffuso anche tra gl i strati laici del la
popolazione, ne condannano l’esercizio come
lesivo del diritto diffuso ed incondizionato al la
vita.
Tralasciando le questioni etiche e moral i
che un tale tema impl ica, i l mio obiettivo non è
certo quello di vendere i l mio personale punto di
vista: i l mio orientamento non è certo ri levante ai
fini del progetto.
I l mio obiettivo è quello di approcciarmi al
tema secondo criteri di professional ità,
lasciando al di fuori coinvolgimenti e sentimenti
personal i, agendo nel l ’ interesse esclusivo del
cl iente.
La scel ta di un tema per certi versi ostico
vuole solo essere una sfida, la volontà di
misurarmi con un argomento che al tri hanno,
forse volutamente, ignorato.
Dopo questa breve esposizione del mio
lavoro di tesi , intendo fare qualche rapido
accenno a quella che ne è l’impostazione
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grafica e in particolare al corredo d’immagini.
Queste si trovano disposte lungo tutto i l
corpo della tesi. Avendo infatti i l ruolo di chiarire
e megl io specificare quanto detto, mi è
sembrato inopportuno inserir le in un’appendice
da dover consul tare ogni qualvolta un concetto
mostrasse l ’esigenza di essere chiarito.
Grazie a questa costruzione, i r i fer imenti
sono immediati, rendendo rapida ogni tipo di
associazione tra presupposti teorici e
appl icazioni pratiche.
C
a
p
i
t
o
l
o
1
QUANDO LA
PUBBLICITÀ
“PARLA”
SOCIALE
10
1 . Definire la pubblicità sociale
L’impiego della pubbl icità per fini social i,
con obiettivi e valori di interesse col lettivo è, nel
nostro paese, una pratica piuttosto recente ma
ormai abbastanza radicata. Nonostante si tratti
di un fenomeno di dimensione e impatto
crescenti, essa risul ta, paradossalmente, diffici le
da definire. Infatti , nel momento in cui si tenta di
isolarne gl i elementi fondamental i, per r iportarne
le moltepl ici manifestazioni a un denominatore
comune, ci si rende conto che ci si accinge a
sfidare molte del le idee tradizionalmente legate
al la pubbl icità, al la sua natura e ai suoi scopi1.
Intuitivamente una definizione del
fenomeno “pubblicità sociale” non sembrerebbe
poi tanto complessa, potrebbe per esempio
uti l izzars i la formula generica di “comunicati che
riguardano tematiche pubbl iche real izzati
nel l ’ interesse col lettivo2” aggiungendo che essa
non persegue quindi f ini commercial i. L’ovvietà
di questa definizione r isul ta tuttavia
ingannevole. Si pensi al le campagne nel le qual i
aziende commercial i associano i l loro marchio a
tematiche di grande ri levanza sociale. A questo
fine esse producono comunicati in cui
l ’ immagine dell ’azienda si coniuga al la proposta
di atteggiamenti o orientamenti cultural i, che
1 Gadotti, G, Pubblicità sociale. Lineamenti esperienze e nuovi sviluppi, Franco Angeli, Milano, 1992
2 Formula generica utilizzata da M.I. MANDELL per definire il <<Public Service Advertising>> in Advertising, Prentice-Hall, Englewood
Cliffs, New York, 1984.
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fanno riferimento al bene collettivo, a valori
universal i, piuttosto che al l ’ interesse immediato
dell’azienda la quale talvolta appare
esclusivamente come firmataria del messaggio.
“HEARTS”, CAMPAGNA DI BENETTON PER L’ANNO 1996
Sono indicative, a questo proposito, le
campagne del la Benetton che, nel corso degl i
anni, hanno proposto tematiche sempre legate
ai problemi del la società, uti l izzando spesso un
l inguaggio visivo talmente espl icito da dare
adito ad accese polemiche.
“CONDOMS”, CAMPAGNA DI BENETTON PER L’ANNO 1991
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“HIV ARM” CAMPAGNA DI BENETTON PER
L’ANNO 1993
È lampante come questo genere di
messaggi s i accosti fortemente a quello che noi
abbiamo genericamente definito “pubbl icità
sociale”, ma resta i l fatto che, nonostante le
tematiche di fondo essi r icerchino comunque
una ricaduta in termini di immagine e servano, in
ul tima anal isi gl i scopi commercial i del l’azienda.
D’altra parte esistono anche categorie di
messaggi dedicati a prodotti espl icitamente
commercial i, che possono, sotto un certo punto
di vista ritenersi al l imite del la pubblicità sociale.
Un esempio di annunci di questo tipo è
rappresentato dai cosiddetti “spot verdi”: una
categoria di messaggi commercial i che
presentano un legame diretto con la natura
intesa come bene da salvaguardare.
In questo caso le caratteristiche proprie del
prodotto vengono esal tate ponendo enfasi sul la
loro aderenza a criteri e valori r i tenuti di
interesse col lettivo.
LOGO E PRODOTTI DELL’AZIENDA ECO LUCART CHE MOSTRA UNA FORTE ADESIONE AI VALORI
DELL’ECOLOGIA E DELLA SALVAGUARDIA DELLA NATURA
Questa diff icol tà nel r i tagl iare in modo
specif ico un ambito d’azione della pubbl icità
sociale, è certamente dovuta al fatto che
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i l confine con quella commerciale è in real tà
molto labile.
La caratteristica fondamentale che
sembra distinguere le due tipologie
comunicative sta per lo più negl i obiettivi ;
mentre infatti la pubbl icità commerciale ha
come fine quello di vendere un prodotto, quella
sociale si propone di promuovere idee3.
Tuttavia ad un’anal isi più approfondita, ci
si rende conto che anche la pubbl icità
commerciale fa r iferimento al mondo dei valori
per vendere i propri prodotti , mentre, d’al tro
canto, quella sociale uti l izza le stesse tecniche e
gl i stessi canal i di comunicazione della
commerciale.
Per r isolvere queste difficoltà di
classif icazione, un primo passo può consistere
nel tentativo di distinguere tra l ’obiettivo del la
pubbl icità e le sue tecniche4: mentre le final ità
del le due tipologie appaiono differenti, l ’una
orientata al mercato, l ’altra al benessere
col lettivo, le tecniche di cui si avvalgono
possono essere le stesse, considerati i debiti
adattamenti e le verif iche derivanti dal la
diversità del l ’oggetto preso in considerazione.
Si tratta in pratica di un’inversione di
priorità5: mentre i prodotti del la pubbl icità
commerciale fanno leva su idee e signif icati
3 Puggelli, F. R., La pubblicità non commerciale e le norme sociali, in “Psicologia e Giustizia”, anno IV, n° 2, Luglio-Dicembre 2003
4 Brioschi, E. T., in Elementi di economia e tecnica della pubblicità, vol. 1, Vita e Pensiero, Milano, 1974
5 Puggelli, F. R., L’occulto del linguaggio. Psicologia della pubblicità, Franco Angeli, Milano, 2000
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simbol ici per comunicare e invogl iare la
propensione al l ’acquisto, le idee proposte
nel le pubbl icità social i, s i servono dei
meccanismi persuasori , per accrescere le
possibil i tà di adozione delle proprie motivazioni
da parte dei cittadini, promuovere
comportamenti civici, servizi , o creare abitudini
socialmente positive.
Dal punto di vista semiotico6, la
differenza fondamentale tra queste due
tipologie sta nel ruolo del l’enunciatore.
In maniera molto generale, si può dire che
la pubbl icità commerciale non punta più da
tempo sempl icemente a suggerire l ’acquisto di
un bene, ma mira a stabil ire una competenza
per la marca o i l prodotto basandosi sul l ’ idea
che questi sono uti l i per i l consumatore e pronti
al suo servizio.
Si creano dei micro-mondi narrativi in cui s i
stabil isce questa realtà, per via di esempio, di
metafora, o di f iaba, in modo da costi tuire degl i
indizi narrativi , del le situazioni, che spingano i l
destinatario a f idarsi del messaggio. Ancor
prima, costi tuiscono un sentimento di intima
affinità tra prodotto, marca e consumatore,
rapporto che spesso è del tutto artif iciale.
Questa costruzione, che è i l cuore stesso
del la pubbl icità commerciale, in quella sociale
non esiste. La ragione principale di questa
6 Volli, U., Intervento d’apertura in Atti della conferenza “10 anni di spot sociali a Cannes”, Torino, 19 giugno 2003
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assenza sta nel ruolo diverso di chi è l ’emittente
dichiarato del la pubbl icità, cioè la marca: essa
nel la pubbl icità commerciale è essenziale, deve
assolutamente essere al centro del la scena
perché la pubbl icità serve a fondarla, a renderla
“amica” dei consumatori . La marca, infatti , non
è più simbolo di una realtà giuridico-sociale, ma
è una creatura comunicativa che si real izza
attraverso la pubbl icità, e che comunque vive
nel la sua comunicazione. L’investimento
pubbl icitario risul ta quindi final izzato al la
notorietà e al la valorizzazione della marca,
prima ancora che a ogni atto di consumo.
Nel la pubbl icità sociale l ’enunciatore è
meno importante: parla sul la base di
un’autorevolezza che c’è già, o che è
presupposta dalla buona causa che va a
difendere, e soprattutto, quello che gl i interessa,
è indurre un comportamento adeguato da parte
del destinatario, spingerlo ad agire in un certo
senso. Ne deriva che la struttura comunicativa è
molto diversa. Non si tratta più di costi tuire un
mondo possibile o un universo funzionale in cui
venga definita la competenza del prodotto o
del la marca, ma di stabil ire un universo in
qualche modo reale (se non vero, verosimile) in
cui i l destinatario, colui che r iceve i l messaggio,
possa r ispecchiare i propri comportamenti in
funzione di certi valori . Si mostra “la veri tà”
sul l’Aids e sul fumo, sul l ’alcool al volante e sul la
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CAMPAGNA 2003 PER LA SICUREZZA STRADALE PROMOSSA
DALLA PROVINCIA DI TORINO
cura del cancro, non per far conoscere l ’ente
che comunica questi fatti , ma per modificare in
senso buono e socialmente condivisibile il
comportamento dell’utente.
È diverso i l rapporto enunciazionale ed è
diverso i l rapporto con i l mondo possibile. Una
differenza signif icativa che impl ica delle
narrazioni di tipo diverso, impl ica diverse pretese
di real tà e diverse forme di autorevolezza in
gioco.
2 . Le t ipologie di pubblicità sociale
Nonostante l ’evidente diff icoltà di
definizione e l ’enorme varietà di proposte di
classif icazione, due sono le costanti che
emergono con chiarezza quando si parla di
pubbl icità sociale: l ’assenza di qualsiasi f inal ità
di lucro e l ’ importanza attr ibuita al l ’ interesse
col lettivo. Quest’ul timo può tuttavia variare a
seconda del genere di comunicazione cui s i fa
r i fer imento.
E’ infatti possibile distinguere la pubbl icità
non commerciale in “pubbl icità sociale
propriamente detta”, “advocacy advertis ing” e
“pubbl icità pol itica”.
Si tratta comunque di una classif icazione
che tenta di tracciare del le l inee di