PSICONEUROIMMUNOLOGIA IN ONCOLOGIA PEDIATRICA.
INTRODUZIONE
La psiconeuroimmunologia è una disciplina relativamente giovane,
che nell’ultimo decennio ha assistito a un forte impulso nella ricerca.
Tra i numerosi ambiti sondati, compare quello oncologico, che
registra al suo attivo un ampio spettro di ricerche, prevalentemente riferite
a soggetti adulti. Lo specifico ambito pediatrico sembrerebbe connotarsi
come un’area di ricerca ancora trascurata.
Le finalità di questa tesi sono quelle di illustrare lo stato dell’arte
della psiconeuroimmunologia in ambito oncologico, a livello
internazionale e in Italia, e di verificare l’effettivo stato della ricerca in
oncopsiconeuroimmunologia pediatrica.
Questo lavoro, inoltre, comprende la presentazione di un protocollo
sperimentale per la valutazione di parametri psiconeuroimmunologici,
elaborato su un campione di pazienti pediatrici affetti da leucemia
linfoblastica acuta.
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CAPITOLO 1
LA PSICONEUROIMMUNOLOGIA
1.1. Cenni storici sulla nascita ed evoluzione della disciplina.
La psiconeuroimmunologia è la disciplina che studia le interazioni tra
sistema immunitario, sistema nervoso e sistema endocrino. Può essere
definita come “una scienza interdisciplinare che studia le interazioni tra
immunologia e processi psicologici, comportamentali e neuroendocrini”
(Reber, 1995).
Si tratta di una disciplina dalla storia piuttosto recente. Negli anni ‘70
del secolo scorso, in medicina si assisteva allo sviluppo di nuove
conoscenze sul sistema immunitario che consentivano di formulare
avvincenti ipotesi sulla genesi di numerose malattie. Ma il possibile
rapporto tra sistema immunitario e sistema nervoso era ancora lontano
dall’essere riconosciuto (Biondi, 1997, prefazione).
Eppure, già nel 1919, Ishigami sosteneva che un’eccitazione psichica
potesse inibire i processi di fagocitosi in pazienti affetti da tubercolosi
polmonare, ipoteticamente attraverso un meccanismo endocrino (Solomon,
1993).
Il 1926 potrebbe, addirittura, essere considerato virtualmente l’anno
di nascita della psiconeuroimmunologia. Fu in quest’anno, infatti, che gli
scienziati russi Metal’nikov e Chorine effettuarono quello che proba-
bilmente fu il primo studio sulla relazione tra sistema nervoso e
immunitario. Come riporta Solomon (1993), asserirono che:
“il sistema immunitario poteva essere considerato come un riflesso di
difesa, e come tale avrebbe potuto essere condizionato secondo un
paradigma classico Pavloviano. Estratti microbici iniettati a livello
intraperitoneale in un’area della pelle che fosse o scaldata, o graffiata,
inducevano un’ infiammazione sterile, che avrebbe potuto conseguen-
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temente essere replicata attraverso il graffio o il riscaldamento da soli”
(p.358).
Tuttavia, questo studio, malgrado la sua valenza fortemente
innovativa, non lasciò dietro di sé una vasta eco. Per lungo tempo, il
campo d’indagine sulle possibili relazioni tra sistema immunitario e
sistema nervoso fu trascurato.
Nel 1953 fu condotto uno studio che mostrava come i leucociti
subissero alterazioni morfologiche in condizioni di stress (Dougherty,
Frank, 1953), ma sarà solo negli anni ‘60 che si cominceranno ad
accumulare evidenze scientifiche a favore di una visione integrata dei due
sistemi.
Nel 1963 fu presentato un articolo sulla soppressione della reazione
Mantoux attraverso l’ipnosi (Black, Humphrey, Niven, 1963), e nello
stesso anno fu rilevato come una lesione dell’ipotalamo dorsale in conigli,
causasse una marcata riduzione della produzione di anticorpi (Korneva,
Khai, 1963). Fu trovato, invece, che una lesione dell’ipotalamo anteriore,
poteva evitare un’anafilassi letale (Szentivanyi, Filipp, 1958; Luparello,
Stein, Park, 1964).
Kielcot-Glaser e Glaser (1989) indicano il 1964 come l’anno in cui fu
utilizzato per la prima volta il termine psiconeuroimmunologia, in un
articolo di Solomon e Moos intitolato “Emotions, Immunity and Desease:
A Speculative Theoretical Integration”. Gli studi condotti da Solomon e
Moos durante gli anni ‘60, univano le scoperte in endocrinologia e
immunologia alle ricerche sulla valutazione psicologica di individui affetti
da disturbi immunitari di vario tipo (Lloyd, 1993), ipotizzando che “il
sistema nervoso centrale e, di conseguenza, i processi psichici potessero
influenzare l’ immunità” (Solomon, 1993, p.353). Malgrado l’importanza
di questo articolo, apparvero pochi studi in psiconeuroimmunologia negli
anni seguenti (Kielcot-Glaser et al., 2002).
La svolta si ebbe nel 1975, quando Ader e Cohen presentarono i
risultati di una ricerca condotta su ratti: la somministrazione di una
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soluzione contenente saccarina, contemporaneamente associata a
un’iniezione di ciclofosfamide (un immunosoppressore che induce disturbi
gastro-intestinali), determinava nei ratti lo sviluppo di avversione per la
saccarina. Ma ciò che risultò sorprendente fu che i ratti cominciarono a
morire uno dopo l’altro anche con la sola somministrazione di liquido
senza immunosoppressore, con una frequenza direttamente proporzionale
alla quantità di liquido assunta (Ader, Cohen, 1975).
Questi risultati dimostravano che era possibile sottoporre le funzioni
immunitarie a condizionamento classico (Kielcot-Glaser, Glaser, 1989;
Ader, 1996), sovvertendo il punto di vista, sino a quel momento condiviso,
che il sistema immunitario fosse un sistema autonomo, indipendente dal
resto del corpo e dal sistema nervoso.
Da allora, presero avvio numerosi studi finalizzati a evidenziare i
rapporti tra cervello e sistema immunitario. Oggi il sistema immunitario
viene considerato come un apparato di difesa dell’organismo, sensibile
all’influenza del sistema nervoso al pari di ogni altro sistema corporeo
(Ricci Bitti, 1993).
Nel 1981 Robert Ader ebbe il merito di raccogliere in modo organico
le conoscenze acquisite sino a quel momento in un volume intitolato
Psychoneuroimmunology, che ratificò l’uso sistematico del termine che ha
dato poi nome alla disciplina.
Negli ultimi vent’anni la psiconeuroimmunologia è cresciuta a ritmi
sempre maggiori, con la pubblicazione di libri, riviste specificamente
dedicate e ricerche sempre più numerose, in ambiti molto differenziati
(Biondi, 1997, prefazione). In particolare gli anni ‘90 hanno visto una
crescita esplosiva delle conoscenze in psiconeuroimmunologia. Per
esempio, la percentuale di studi in psiconeuroimmunologia pubblicati sulla
rivista Psychosomatic Medicine negli anni ‘90, è pari al 66% della totalità
degli studi sullo stesso argomento pubblicati sulla rivista dal 1939 al 2000
(Kielcot-Glaser et al., 2002).
Le tematiche che sono state oggetto di maggiore interesse nelle varie
decadi e che hanno registrato un maggior numero di articoli pubblicati
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nella suddetta rivista (Tab. 1.1), forniscono un importante metro di
valutazione dell’evoluzione della psiconeuroimmunologia.
Negli anni che vanno dal 1939 al 1969, gli articoli pubblicati in
psiconeuroimmunologia sono stati prevalentemente orientati verso lo
studio delle interazioni con il sistema immunitario dei tratti di personalità-
stili di coping (43% di articoli), e dei disturbi psichiatrici (29%).
La decade 1970-1979 ha visto la netta predominanza di studi su
animali (74%), mentre negli anni 1980-1989 la ricerca si è di nuovo
focalizzata sulla psicopatologia (22%), ma ha anche virato verso lo stress
cronico (22%) e le relazioni interpersonali (14%). Infine, dal 1990 al 2000
accanto alla psicopatologia (20%), che rimane un tema consistente nel
corso del tempo, e agli studi sullo stress cronico (18%), guadagna spazio lo
studio dello stress in laboratorio (24%), che negli anni precedenti figurava
in percentuali più basse.
I rapidi ritmi di crescita della ricerca in psiconeuroimmunologia
nell’ultimo decennio, inducono a confidare in promettenti sviluppi futuri
della disciplina.
Tabella 1.1. Tematiche psiconeuroimmunologiche più frequente-
mente affrontate nella rivista Psychosomatic Medicine.
Anni 1939-1969 →Tratti di personalità –stili di coping (43%).
→Disturbi psichiatrici (29%).
Anni 1970-1979 →Studi su animali (74%).
Anni 1980-1989 →Psicopatologia (22%).
→Stress cronico (22%).
→Relazioni interpersonali (14%).
Anni 1990-2000 →Psicopatologia (20%).
→Stress cronico (18%).
→Stress in laboratorio (24%).
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1.2. Il sistema immunitario.
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La risposta di difesa immunitaria si differenzia in risposta
immunitaria non specifica (innata, “non adaptive”) e specifica (acquisita,
“adaptive”), ciascuna delle quali è attivata da tipi differenti di cellule del
sistema immunitario, che nel complesso si chiamano leucociti.
I meccanismi non specifici rappresentano la prima linea di difesa di
fronte alle infezioni. I macrofagi e i granulociti hanno il compito di
uccidere e rimuovere velocemente gli agenti patogeni introdottisi
nell’organismo (antigeni). Questa reazione è indipendente da precedenti
contatti con l’agente patogeno.
Quando questo primo livello di difesa risulta insufficiente, entra in
gioco la risposta immunitaria specifica, di cui sono esclusivamente
responsabili i linfociti. Dapprima, l’antigene deve essere “presentato” al
linfocita, compito svolto dalle cellule dendritiche (risposta immunitaria
primaria). Conseguentemente, si moltiplicano quei linfociti e vengono
prodotti quegli anticorpi che sono specifici per quell’agente patogeno. I
batteri vengono poi rivestiti da tali anticorpi, che permettono di eliminarli
meglio di quelli che ne sono privi. Inoltre, si sviluppa una “memoria”
immunologica: il numero di linfociti antigene-specifici e di anticorpi
cresce, e il sistema immunitario può rispondere più velocemente e più
efficientemente a un secondo incontro con gli antigeni corrispondenti
(risposta immunitaria secondaria).
Le cellule del sistema immunitario sono localizzate in numerosi
organi: esistono organi linfatici primari (midollo osseo, timo), deputati allo
sviluppo, maturazione e specializzazione delle cellule, e organi secondari o
periferici (milza, linfonodi, tonsille, tessuto linfatico associato alle mucose,
o MALT), dove le cellule proliferano (Biondi, 1997, p.11).
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Il libro di Schedlowsky M., Tewes U. (1999): Psychoneuroimmunology. An Interdisciplinary
Introduction. New York. Kluwer Academic/Plenum Publishers, è stato assunto come testo base.
Buona parte delle informazioni di questo paragrafo e dei seguenti, si ispira ampiamente alla
struttura del testo (in particolare cap. 1, 8, 9, 16), e in numerose parti ne rappresenta un vero e
proprio lavoro di traduzione.
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Le caratteristiche e le funzioni specifiche delle principali cellule del
sistema immunitario possono essere illustrate nel seguente modo (tab.1.2):
1. Macrofagi - la maggior parte si sviluppa nel midollo osseo, e una
volta rilasciati nel sangue, assumono il nome di monociti. Sono
localizzati in tutti gli organi linfatici e non linfatici e possono
introdursi in diversi tipi di tessuto attraverso il sangue. In aggiunta,
si trovano al di sotto dell’epitelio di tutta la superficie del corpo
umano. La loro funzione è quella di individuare l’agente patogeno,
fagocitarlo e distruggerlo al proprio interno. Un’altra importante
funzione consiste nella produzione e secrezione di fattori, quali le
citochine, le chemochine, le prostaglandine e molte altre sostanze.
Questi messaggeri possono lavorare sulla stessa cellula (attività
autocrina), su cellule vicine (paracrina), o attraverso il sangue in
tutto l’organismo (endocrina). Per esempio, a livello locale le
citochine inducono il reclutamento di leucociti dal sangue e possono
attivare sistematicamente la febbre.
2. Granulociti - sono prodotti nel midollo osseo e rilasciati nel sangue.
Hanno un nucleo segmentato e differenti tipi di granuli nel
citoplasma. I granulociti neutrofili, che rappresentano la maggior
parte dei leucociti nel sangue umano, vengono reclutati nel sito
dell’infiammazione, dove andranno a supportare l’azione dei
macrofagi locali. Dopo la fagocitosi degli agenti patogeni e la loro
distruzione, i granulociti neutrofili muoiono, formando pus. I
granulociti eosinofili e basofili svolgono un ruolo nelle risposte
allergiche.
3. Linfociti – dal punto di vista morfologico, i linfociti rappresentano
una popolazione omogenea, caratterizzata da un nucleo denso e un
citoplasma ridotto. Dal punto di vista funzionale, invece, i linfociti
sono altamente differenziati. In modo semplificato, possono essere
distinti in due grandi famiglie: linfociti T e linfociti B.
I linfociti T originano nel midollo osseo e migrano nel timo
(da cui il nome), dove giungono a maturazione. Si
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differenziano in due gruppi principali: i linfociti T-helper
(CD4), il cui compito è quello di avviare una risposta
immunitaria e incrementare l’efficienza dei macrofagi nella
fagocitosi degli antigeni, e i linfociti T citotossici (CD8), la
cui funzione consiste nel distruggere le cellule infettate da
virus o le cellule tumorali.
Il principale compito dei linfociti B è la produzione e
secrezione di anticorpi (immunoglobuline). I linfociti B
giungono a maturazione nel midollo osseo (bone marrow, da
cui il nome), a partire da cellule pre-B e a seguito della
sintesi di anticorpi, che compaiono dapprima nel citoplasma
e poi sulla membrana dei linfociti maturi. Esistono diverse
classi di immunoglobuline, che si differenziano per struttura
e funzione: le IgM e le IgG, che rappresentano la maggior
parte degli anticorpi e sono coinvolte rispettivamente nella
risposta immunitaria primaria e secondaria; le IgA, che
assumono speciale rilevanza nella risposta immunitaria delle
mucose; le IgE, che svolgono un ruolo nelle risposte
allergiche. Nel processo di risposta immunitaria, i linfociti B
si trasformano in plasmacellule, produttrici di anticorpi
specifici per ogni antigene, e in cellule-memoria B che,
spostandosi continuamente attraverso i tessuti del corpo,
sono in grado di riconoscere, a distanza di molto tempo, lo
stesso antigene, e avviare di nuovo e rapidamente
un’appropriata e specifica risposta immunitaria. Questo
effetto-memoria dei linfociti (valido anche per i linfociti T),
è alla base del successo delle vaccinazioni.
Alcuni autori descrivono le cellule Natural Killer (NK) come
un terzo tipo di linfociti, anche se derivano da un progenitore
midollare non conosciuto, diverso da quello dei linfociti T e
B (Biondi, 1997, p.19). Sono localizzate principalmente nella
milza e nei polmoni. La loro funzione è quella di distruggere
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