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Introduzione
Il presente lavoro di tesi si propone di portare alla luce e di analizzare la
produzione scientifica degli anni tra il 1958 e il 1968 di Andrea Devoto,
psicologo sociale e psichiatra italiano, nato a Firenze nel novembre del 1927 dal
celebre Giacomo Devoto e da Olga Rossi, e morto nel gennaio del 1994, nella
stessa città natale.
Andrea Devoto è, purtroppo, uno studioso pressoché sconosciuto nello scenario
italiano della psicologia, eppure egli ha avuto un ruolo fondamentale nella
ricerca psicologica.
È stato il primo in Italia a pubblicare, nel 1960, un anno dopo essersi
specializzato in Neuropsichiatria e mentre lavorava come Assistente nella
clinica psichiatrica universitaria fiorentina, uno studio sistematico di psicologia
politica, che arrecava un titolo quanto mai emblematico: La tirannia
psicologica, seguita dal sottotitolo Studio di psicologia politica. Libro
importante e coraggioso, fonte di denuncia e di conoscenza, questo lavoro si
occupa di scandagliare i comportamenti politici patologici degli ultimi
cinquant‟anni, analizzando gli strumenti coercitivi attraverso i quali le dittature
della prima metà del secolo scorso, ed in particolare il nazismo, si sono
imposte, hanno rafforzato il potere e hanno cercato di perpetuarlo nello spazio e
nel tempo. È un libro che non ha avuto alcun successo e continua a non averne.
Eppure dovrebbe, dato che gli eventi che hanno coinvolto e sconvolto il genere
umano nei primi cinquant‟anni del Novecento hanno portato alla luce la
possibilità reale di distruzione del genere umano ad opera dell‟uomo stesso.
Inoltre, egli è stato tra i primi nel nostro paese ad occuparsi di psicologia dei
campi di concentramento, sia guardando alle conseguenze psicologiche della
deportazione dell‟internato sia analizzando la Weltanschauung e il
comportamento delle SS, fino a farne il fulcro della sua psicologia sociale. Il
lager nazista rappresentava, agli occhi dello psicologo sociale, l‟aspetto estremo
e perfezionato delle istituzioni totali. Infatti, non si è occupato solo di campi di
sterminio. Il suo percorso è segnato anche dall‟analisi di altre istituzioni chiuse,
come il carcere e il manicomio, in cui ha peraltro lavorato, ancora modulati
sulla logica totalitaria dei campi di internamento. Devoto non scotomizzò le
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analogie tra lager, carcere e manicomio. Prodotto della società da cui
derivavano, queste due istituzioni gli sono apparse come forme legali e
prosecuzione del lager nei regimi cosiddetti liberali. Come i campi di
concentramento per il regime nazista, Devoto vedeva che l‟istituzione
carceraria e quella manicomiale erano le colonne portanti della nostra
occidentale struttura sociale. La società del suo tempo poteva esistere, secondo
Devoto, solo fondandosi su questi fondamentali apparati in cui rinchiudere i
fratelli scomodi, i quali, peraltro, sono tali perché è il sistema politico e sociale
stesso che li stigmatizza così, ponendoli poi ai margini e annullandoli. Bisogna
dire che Devoto ha subito in prima persona i meccanismi dell‟esclusione di una
istituzione totale, quando, poco più che ventenne, è stato per tre anni in
sanatorio, per tubercolosi polmonare: questa sua esperienza ha un significato
strutturale nel suo pensiero.
Il carcere e il manicomio sono dunque il barometro di una società. Attento alla
realtà che lo circondava e in cui era immerso, Devoto scorgeva la logica
oppressiva del sistema nazista anche nella vita quotidiana di ogni giorno. Già a
partire dai primi anni Sessanta, egli lanciava l‟allarme che l‟uomo del suo
tempo si trovava intrappolato in una fitta rete di forze che ne manipolavano
continuamente e subdolamente pensieri e comportamenti.
Il filo rosso che ha guidato il pensiero di Devoto è quello che l‟uomo del suo
tempo era più vicino al lager, e non solo psicologicamente parlando, di quanto
non lo potesse immaginare: il campo di concentramento è, secondo Devoto,
parte integrante dell‟evoluzione del genere umano.
Tuttavia, quello del campo di sterminio è stato un evento scotomizzato da tutti i
livelli della società, dalla prassi politica e dalla ricerca storica italiana, per la
ragione storiografica di analizzare i fenomeni lucidamente e con distacco.
Essendosi reso conto che il fenomeno del lager è stato un evento patologico per
il genere umano e per le sue sorti, Devoto ha cercato di denunciare e combattere
questa cecità. Tant‟è che, nel 1964, pubblica un‟immensa risorsa monotematica
sui lager tedeschi, in cui indica ben 1503 documenti, dal titolo Bibliografia
dell‟oppressione nazista fino al 1962. Il problema della memoria è stato
fondamentale nella sua riflessione. Devoto, in quanto psichiatra e psicologo, era
ben consapevole di come la memoria fosse uno strumento potente. In quella che
7
poteva essere una difesa della memoria individuale e collettiva Devoto vi
scorgeva, invece, una possibile offesa per il futuro. “È nella natura delle cose –
scriveva Arendt nell‟epilogo de La banalità del male – che ogni azione umana
che abbia fatto una volta la sua comparsa nella storia del mondo possa ripetersi
anche quando ormai appartiene a un lontano passato.”
1
Con la stessa
consapevolezza storica, secondo Devoto la memoria doveva essere usata, al
contrario, come dispositivo comune contro l‟eventualità di un‟altra possibile
strage di stato. Essa poteva e doveva rappresentare una forma di terapia per il
genere umano.
Tuttavia, nonostante questi suoi contributi importati e il suo impegno massivo
nel riportare alla memoria le ferite e le zone d‟ombra dell‟uomo, è rimasto
inascoltato, ora come allora.
Bisogna considerare che Devoto ha lavorato in contesti piuttosto difficili per
quella che era la sua posizione epistemologica. Da un lato, nella ricerca
psicologica si respirava un clima molto legato all‟analisi pura, che non andava
inquinata con il concreto. Dall‟altro lato, si è formato e ha lavorato per due anni
– fino al 1961 –, in un ambiente universitario dove dominava ancora una
visione organicista della malattia. Questa impostazione permetteva dunque di
operare una netta separazione tra norma e anormalità, ma non di certo una
conoscenza effettiva dell‟uomo. Perché è l‟uomo che interessava a Devoto.
Conoscere l‟essere umano voleva dire per lui guardare agli ambienti che lo
formano e lo condizionano. Questo implica una constatazione piuttosto
inquietante: il male è grottescamente e terribilmente banale, non è solo opera di
un manipolo di uomini sadici e perversi, ma può colpire chiunque se
sufficientemente condizionato. Certo è che con gli strumenti della psicologia e
della psichiatria italiane era difficile arrivare a questa constatazione.
Devoto faceva parte di quella schiera di giovani psichiatri e studiosi che, a
partire dalla fine degli anni Cinquanta, ha guardato altrove per la propria
formazione. Per conoscere l‟essere umano, Devoto riteneva necessaria una
formazione che abbracciasse anche le scienze sociali, l‟antropologia, la
linguistica, la filosofia. Infatti, egli è stato un attento lettore di Goffman, al
1
H. Arendt, La banalità del male, XIV ed. Milano, Feltrinelli, 2008, p. 279.
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punto che è diventato un riferimento costante nelle sue riflessioni. Devoto è
stato tra i primi in Italia a portare le analisi di Goffman sulle total institutions,
preoccupandosi di diffondere, a partire dal 1963, il suo pensiero. Nel corso
degli anni Sessanta, stava addirittura traducendo Asylums, ma fu preceduto dalla
traduzione di Franca Ongaro, che fu data alle stampe nel 1968 dalla casa
editrice torinese Einaudi. Non solo la sociologia, ma anche la psichiatria
fenomenologica è stata importante per la formazione di Devoto. Essa gli ha
indicato la strada da percorrere. Secondo Devoto, lo studioso aveva senso solo
se si intrideva di umanità, una partecipazione che deve scontrarsi con le
dissintonie della vita e le contraddizioni della storia. Così, la fenomenologia lo
ha portato, nel 1963, nell‟ospedale psichiatrico di Maggiano, dove si è rifiutato
di applicare quelle forme di violenza legali che portano il nome scientifico di
terapie shock e di leucotomia, praticando sistematicamente, invece, terapie
ausiliarie come la socioterapia. È stato un uomo molto coraggioso. Esemplare,
in questo senso, fu l‟esperienza che fece a vent‟anni, due anni dopo la fine della
Seconda guerra mondiale, di ricostruire le strade ferrate nell‟Est d‟Europa.
Il centro nevralgico della sua riflessione è, dunque, rappresentato dai rapporti di
potere e dalla violenza.
Nonostante il ruolo che ricopre nella storia della psicologia, e anche nella
psichiatria, in Italia il nome di Devoto suona ancora quasi estraneo.
Attualmente, egli è conosciuto, più che altro, nella ricerca storica in materia
concentrazionaria.
È doveroso, quindi, che la psicologia torni indietro e dialoghi con il suo
pensiero.
Questa tesi si inserisce, dunque, nella prospettiva di far emergere e esaminare le
riflessioni e l‟impegno di Devoto.
Il lavoro può essere considerato come diviso in due parti. La prima,
rappresentata dal primo capitolo, è dedicata all‟analisi della psicologia politica
di Devoto. La seconda, costituita dal secondo e dal terzo capitolo, si occupa di
mettere in luce le analisi affrontate da Devoto nell‟ambito della psicologia
sociale.
Nel primo capitolo viene dato ampio spazio all‟esame de La tirannia
psicologica, opera in cui compare la prima indagine di Devoto sui lager nazisti,
9
con uno sguardo retrospettivo agli scritti precedenti, preludio fondamentale alla
comprensione del valore e dell‟intento dell‟opera, e ad alcuni scritti di Antonio
Miotto. È l‟analisi delle opere di Miotto che apre il capitolo, perché è stato uno
dei primi psicologi in Italia ad affrontare temi di natura politica. Le opere di
riferimento sono tre, Introduzione alla psicologia della folla (1937) e
Psicologia del comportamento sociale (1939) scritte in pieno regime, e
Psicologia della propaganda (1953) pubblicata, invece, in piena guerra fredda.
Per quanto riguarda La tirannia psicologica, viene presa in considerazione,
innanzitutto, la premessa che l‟autore le antepone e la sua struttura. Nella
comprensione del disegno del testo è stato fondamentale, inoltre, portare alla
luce quale sia la concezione dell‟attività politica sottesa nel testo. Da ciò, è stato
necessario, dunque, svelare cosa abbia spinto Devoto a compiere uno studio
sistematico di psicologia politica, e esplicitare quali siano stati i suoi riferimenti
teorici. L‟ipotesi di partenza è stata che La tirannia psicologica sia nata per
essere un testo fondamentale per i futuri psicologi, in quanto si è considerato
quest‟opera come un‟analisi fenomenologica che, pur non parlando il
linguaggio della Daseinanalyse, mira a rivelare cos‟è l‟uomo, quali siano i
dinamismi che si agitano nel suo animo, proprio per il fatto che gli avvenimenti
che hanno interessato il genere umano nella prima metà del XX secolo hanno
gettato una luce oscura sull‟eventualità effettiva che il genere umano potesse
essere distrutto per sua stessa mano, e cosa è diventato l‟uomo dopo le
esperienze totalitarie. Segue, infine, la disamina di come Devoto ha analizzato
gli strumenti oppressivi attraverso i quali i regimi assolutistici, ed in particolare
il nazismo, si sono affermati, hanno consolidato il potere e hanno cercato di
estenderlo nello spazio e nel tempo, portando alla luce quali sono le
caratteristiche fondamentali che Devoto ha rilevato nella psiche dell‟uomo,
cause motrici della azioni umane.
Si è cercato, dunque, di rispondere alla domanda: “Perché Devoto avverte la
necessità e l‟urgenza che in Italia la psicologia politica diventi una disciplina
autonoma?” E a quella susseguente: “Perché chiamare il suo studio La tirannia
psicologica, consapevole di essere il primo, in Italia, ad intraprendere un‟analisi
del genere?” Si è deciso, inoltre, di far parlare direttamente molto Devoto, per
la radicalità della sua prospettiva epistemologia e per l‟originalità
10
dell‟impostazione metodologica, le quali vanno profondamente contro il
tecnicismo e l‟astrattismo imperanti nella ricerca psicologica e il biologismo e il
meccanicismo dominante nella teoria e nella prassi psichiatrica.
È stato dedicato uno spazio considerevole a quest‟opera non solo perché è il
primo studio articolato di psicologia politica in Italia, ma anche perché
rappresenta la base di tutta la sua attività di ricerca.
Il secondo capitolo si occupa di approfondire in modo dettagliato il percorso di
Devoto tra il 1961 e il 1963, ponendo sullo sfondo lo stato degli studi della
psicologia sociale italiana. L‟insuccesso con cui La tirannia psicologica si è
scontrata – forse perché i tempi non erano maturi per accogliere un simile testo
– non ha tuttavia dissuaso Devoto dal continuare ad analizzare cos‟è l‟uomo.
Collocandoli all‟interno dell‟area di interesse della psicologia sociale, prosegue
nel dedicarsi ad alcuni argomenti introdotti ne La tirannia psicologica, in
particolare il lager nazista. È un periodo di studio e di pubblicazioni molto
intenso da parte di Devoto, in cui ha approfondito importanti settori d‟indagine
della psicologia sociale statunitense quali la “stimolazione visiva subliminale”,
lo studio delle conseguenze nell‟individuo di un sovraccarico di stimoli
dall‟ambiente, l‟analisi della “manipolazione del comportamento umano” e
quella delle “istituzioni totali”. Vengono, infatti, analizzati i suoi lavori aventi
per oggetto questi settori. In particolare, sono stati trattati in maniera
approfondita i suoi primi lavori sulle istituzioni totali del lager e del carcere, e
le sue considerazioni sul fenomeno della manipolazione del comportamento
umano. Per quanto riguarda l‟istituzione carceraria, l‟altra total institution di cui
si è occupato Devoto insieme a Pasquale Coppola, si è ritenuto necessario
svolgere una breve storia del carcere dalla Repubblica di Salò agli anni
Sessanta, con particolare riguardo all‟aspetto normativo che regolava l‟istituto
penitenziario, ponendo in risalto la continuità del ruolo esclusorio e repressivo
che ricopriva l‟istituzione all‟interno della struttura sociale. Essa è seguita da
una disamina sulle dinamiche psicosociali che si intessevano all‟interno
dell‟istituzione, che meglio spiegano e rivelano la natura dell‟istituzione.
Questo lavoro è servito ad introdurre le riflessioni di Devoto e Coppola in
merito al problema carcerario in Italia. Da questi lavori si vedrà come emerga in
maniera evidente l‟avvenuto sodalizio con Goffman.
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In quanto psicologo sociale, Devoto non poteva non prendere in considerazione
il fenomeno delle „vecchie guardie‟ e dei „giovani arditi‟, nostalgici del passato
e cultori della violenza, che popolavano la scena italiana, tedesca ed europea.
Chiude, quindi, il capitolo un‟analisi che Devoto ha riportato sul neofascismo e
sul neonazismo. Per comprendere meglio le sue riflessioni, è stato fatto un
breve excursus sui movimenti neofascisti in Italia dal 1945 ai primi anni
Sessanta, con particolare riguardo al Movimento Sociale Italiano, che ha
detenuto l‟egemonia sul neofascismo fino a quegli anni.
Nel terzo capitolo viene posto l‟accento principalmente sulla produzione teorica
di Devoto dal 1964 al 1968. Il 1964 è l‟anno in cui viene pubblicata la
Bibliografia dell‟oppressione nazista fino al 1962. È stata posta particolare
enfasi a quest‟opera e alla sua struttura perché rappresenta una tappa
fondamentale nella comprensione del pensiero di Devoto. Essa rispondeva ad
una serie di esigenze quali dotare di strumenti di lavoro per costruire una
summa di analisi psicologiche sul lager, fornire la possibilità di documentarsi,
nella speranza che ad una maggiore richiesta di documenti corrispondesse una
più intensa pubblicazione, e, quindi, incentivare la diffusione della letteratura
concentrazionaria. A partire da questi anni, il campo di concentramento diviene
il nucleo centrale della psicologia sociale di Devoto. Viene, dunque, preso in
considerazione in questo capitolo l‟invito lanciato da Devoto, dalle pagine della
“Rivista di psicologia sociale”, di creare una psicologia istituzionale,
emanazione della psicologia sociale, che si occupasse proprio delle istituzioni
chiuse. Al lager, come si vedrà, Devoto ha dato un‟importanza particolare, in
quanto total institution per antonomasia: studiare il lager vuol dire arrivare alla
radice del processo di dominazione dell‟uomo sull‟uomo e al nucleo della
natura discriminatoria delle fondamenta della società. È stato, inoltre, analizzato
un contributo da parte di Devoto sulla psicologia del personale
concentrazionario nazista. Per il legame così stretto che egli percepiva tra lager
e manicomio, sono state prese in esame anche le sue pubblicazioni in ambito
psichiatrico, riportando, inoltre, quali sono state le sue attività all‟interno del
manicomio di Maggiano, nell‟arco di tempo tra il 1964 e il 1967, premettendo
brevemente, all‟inizio, quale fosse lo stato dell‟assistenza psichiatrica italiana in
quegli anni, e facendo dialogare, infine, Devoto e Basaglia sulle diverse
12
concezioni che avevano della socioterapia. Parallelamente al suo impegno in
ambito psichiatrico, Devoto si è preoccupato di insistere sulla necessità del
ricordo del lager, per l‟importanza che ricopre la memoria come strumento di
salvezza per il genere umano. Il suo impegno è impresso nelle pagine delle
riviste “Ebrei d‟Europa” e “L‟eco dell‟educazione ebraica”. Come si vedrà, le
sue non sono aridi resoconti, ma con essi egli ha intrecciato le sue più sentite
riflessioni, perché il lager è un passato che non deve passare.
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1. La tirannia psicologica. Studio di psicologia politica,
(1960)
1.1. I primi spunti di psicologia politica in alcune opere di Antonio
Miotto
Nel dicembre del 1960, viene data alle stampe, per opera della casa editrice
Sansoni, La tirannia psicologica, scritta da un Devoto molto giovane, che
avrebbe compiuto trentaquattro anni il mese dopo. Si tratta di un‟opera tra il
manualistico e il saggistico che affronta in maniera sistematica, da un punto di
vista psicologico, alcuni dei più importanti processi patologici della politica che
hanno attraversato la prima metà del ventesimo secolo. È il primo lavoro di
Devoto in cui compare un‟indagine sulla tematica concentrazionaria
2
.
Si tratta della prima opera sistematica di psicologia politica che appare in Italia,
come testimonia il sociologo Antonio Carbonaro nella sua recensione a
quest‟opera apparsa nella rivista “Il Ponte” del 1961
3
. Anche Devoto, nella
prima pagina della premessa all‟opera, illumina sulla posizione che occupa la
psicologia politica nel contesto italiano:
“La psicologia politica come branca, specialità a se stante non gode di alcun riconoscimento
ufficiale: è tempo quindi che ricercatori e studiosi vi dedichino quelle cure e quell‟interesse fino
ad ora riservato alla psicologia e alla politica propriamente dette.
[…]
Di psicologia politica si è parlato finora vagamente: a proposito di qualche tema di studio della
psicologia sociale, di quella branca della psicologia che prende in esame i rapporti fra
l‟individuo e l‟ambiente che lo circonda e le modalità di funzionamento di questi rapporti; e a
proposito di psicologia militare.”
4
2
Fu proprio durante la ricerca del materiale per la stesura de La tirannia psicologica che
Devoto scoprì – come lui stesso dichiara – l‟esistenza dei campi di concentramento e di
sterminio nazisti. Cfr. A. Devoto, La sofferenza dell‟operatore e l‟istituzione, Fondazione
Andrea Devoto, Firenze,
http://www.fondazioneandreadevoto.it/intro.asp?menu=bt&id=1&voce=Andrea%20devoto, in
“L‟ultima lezione”. Si tratta dell‟ultima lezione di una scuola permanente, con l‟Azienda
Sanitaria, sulla formazione dell‟operatore contro l‟esclusione sociale.
3
A. Carbonaro, ANDREA DEVOTO, La tirannia psicologica, in “Il Ponte”, XVII, 1961, n.6, pp.
932-933, nella sezione “Recensioni”.
4
A. Devoto, La tirannia psicologica. Studio di psicologia politica, Firenze, Sansoni, 1960, p.7.
14
La psicologia politica, ci fa conoscere Devoto, è disciplina ancella della
psicologia sociale, e appena accennata nella psicologia militare: spunti appena
tracciati che non raggiungono né il pubblico colto né quello degli “psicologi in
senso lato”
5
. Sembra, insomma, che psicologia e politica si siano incontrate
troppo poco. Sarà compito de La tirannia iniziare a colmare questa lacuna.
Alcuni dei contributi di psicologia sociale cui fa menzione Devoto sono degni
di essere ricordati. Tra quei lavori di psicologia sociale in cui compaiono temi
di natura politica, si inscrivono alcune opere di Antonio Miotto
6
, che
costituiscono novità nel panorama italiano degli studi di psicologia. Esse sono:
l‟Introduzione alla psicologia della folla (1937)
7
, la Psicologia del
comportamento sociale (1939)
8
e la Psicologia della propaganda (1953)
9
, alla
quale Devoto si richiama ne La tirannia psicologica
10
.
5
Ibidem. In Italia chi si era occupato di psicologia militare fu Agostino Gemelli, che scrisse Il
nostro soldato. Saggi di psicologia militare, pubblicato nel 1917 dalla casa editrice milanese
Treves. Durante la prima guerra mondiale, Gemelli realizzò ad Udine un laboratorio di
psicofisiologia applicata per la selezione degli aviatori e studiò i casi di shock traumatico.
Raccolse i suoi studi in questo lavoro.
6
Antonio Miotto (Spalato, 1912 – Como, 8 aprile 1997) è considerato uno dei pionieri della
psicologia italiana in genere e di quella dell‟età evolutiva in particolare, ma si è interessato e ha
scritto anche di psicologia sociale, apportando notevoli contributi in Italia. Infatti, già prima
della guerra si era fatto conoscere con importanti saggi come Introduzione alla psicologia della
folla (1937) e Psicologia del comportamento sociale (1939). Successivamente, ha scritto libri
quali Psicologia del sentimento (1941), Bilancio della psicanalisi (1944). Dopo la Seconda
guerra mondiale, ha pubblicato Conoscere la psicanalisi (1949), Psicologia della propaganda
(1953), Immagini e parole nel modello del messaggio pubblicitario (1972), Consumo,
comunicazione e persuasione (assieme a Francesco Alberoni, 1974), Paracelso, medico
stregone (1988). È stato consulente, per i problemi del personale, in grandi aziende e docente di
Psicologia del linguaggio all‟Università di Milano e di Psicologia del lavoro presso l‟Istituto di
Scienze sociali di Genova. Nel gennaio del 1956 è entrato a far parte del comitato di direzione
della “Rivista di psicologia sociale”, fondata e diretta da una grande psicologa e personalità,
Angiola Massucco. Ha collaborato, inoltre, a riviste specializzate di psicologia e sociologia, ma
anche a quotidiani e periodici di ampia diffusione (“Oggi”, “Corriere della Sera”, “Giornale di
Brescia”, “La Provincia”). Aveva due lauree: in Legge, conseguita presso l‟Università di
Firenze, e in Biologia, presso l‟Ateneo di Bologna. A Firenze aveva fatto parte di quel gruppo
di giovani intellettuali che si incontravano alle “Giubbe rosse”, mitico caffè, ritrovo di Carlo
Bo, Alessandro Bonsanti, Eugenio Montale, Alberto Carocci, Aldo Palazzeschi, Mario Luzi,
Piero Bigonciari.
7
A. Miotto, Introduzione alla psicologia della folla, Firenze, La Nuova Italia,1937.
8
A. Miotto, Psicologia del comportamento sociale, Firenze, Vallecchi, 1939.
9
A. Miotto, Psicologia della propaganda, Firenze, Universitaria, 1953.
10
È necessario ricordare che, proprio nel 1922, lo psicologo sperimentale Giulio Cesare Ferrari
scrisse, per la rivista di cui fu fondatore e direttore, “Rivista di Psicologia”, La psicologia della
rivoluzione fascista, (v. 18). Cfr. M. David, La psicoanalisi nella cultura italiana, III ed.
riveduta e ampliata Torino, Bollati Boringhieri, 1990, p. 47. Più di vent‟anni dopo, nel secondo
dopoguerra, furono pubblicati alcuni contributi di un medico cattolico, Guido Lami, che ha
cercato di affrontare problemi politici da un punto di vista psicologico. Essi sono: La psiche