poi, dal reperimento degli strumenti, si è proceduto alla fase di pre-test. Essa si è resa necessaria
al fine di valutare le modalità di somministrazione dei vari test, il loro ordine di presentazione,
nonché la presenza di eventuali items di difficile comprensione ai soggetti delle varie fasce d’età,
specialmente dei più piccoli. In particolare chi scrive si è occupato, sotto la supervisione della
dottoressa Porcellini Elisabetta, ed in collaborazione con Girardi Giuliana, del pre-test condotto sui
soggetti aventi età compresa tra i 12 ed i 16 anni. Tale fase della ricerca è stata condotta presso
l’Istituto Maria Ausiliatrice di Torino, su un campione di 16 soggetti.
Terminata poi, ad inizio 2006, la fase di pre-test, ha preso l’avvio la ricerca effettiva.
Inizialmente si è proceduto al reperimento di scuole che fornissero la loro disponibilità a
partecipare. Il primo contatto è avvenuto, generalmente, per via telefonica.
A questo faceva seguito, poi, un incontro col dirigente scolastico, al quale veniva esposto il
progetto di ricerca, oltre che dati in visione i test che si sarebbero, in caso di adesione, presentati ai
bambini ed ai ragazzi della struttura.
Una volta ottenuto il consenso, si passava alla distribuzione ai soggetti di una lettera da
consegnare ai genitori. Su questa era, innanzitutto, illustrato il progetto di ricerca, seguito dalla
richiesta del consenso per la partecipazione del proprio figlio, nonché, se interessati, di sé e/o del
proprio coniuge.
Una fase successiva era poi costituita dal ritiro delle lettere di adesione. Una volta ottenuto,
quindi, il consenso da parte dei genitori, si procedeva all’accordo con gli insegnanti in base alle loro
disponibilità, cui seguivano, poi, le somministrazioni effettive dei test.
Relativamente alla fascia d’età presa in considerazione nella presente tesi di laurea, l’ordine
di presentazione degli strumenti prevedeva, così come anche quello dei soggetti più piccoli, una
prima fase, eseguita collettivamente, ed una, poi, costituita da un breve colloquio individuale. Nello
specifico, la prima fase prevedeva la compilazione della batteria di test scritti, eseguita in classe. A
questa, faceva poi seguito la somministrazione del SAT (Separation Anxiety Test), un test
semiproiettivo volto a valutare la modalità di attaccamento del soggetto ed, infine, il racconto
dell’episodio peggiore e di quello migliore della loro vita. Inoltre, laddove i genitori dei ragazzi
avessero dato la loro adesione alla ricerca, veniva consegnato al figlio una busta contenente i test da
consegnare loro.
La fase di raccolta dei dati, tuttavia, non si è esaurita esclusivamente alle scuole. È, infatti,
stato previsto anche il reperimento all’interno delle ASL di alcuni soggetti aventi, nel caso specifico
di chi scrive, la patologia di obesità. Anche in questo caso, l’iter seguito è stato simile a quello
attuato nelle scuole.
Nel complesso, quindi, le strutture coinvolte nella raccolta dei dati per il presente lavoro
sono state numerose. Nella fattispecie esse sono: le scuole elementari “Fenoglio” di La Loggia
(TO), “Sabin” di Rivoli (TO), “Vittorino” di Rivoli (TO), “Duca degli Abruzzi” di Torino,
“Principessa Clotilde” di Moncalieri ed, infine, la scuola elementare di Rosta (TO). Per quanto
concerne, poi, le scuole medie, le scuole coinvolte sono state: l’Istituto Maria Ausiliatrice e Sacra
Famiglia di Torino (entrambi comprendenti le medie inferiori e quelle superiori) ed, infine, la
scuola media “Principessa Clotilde” di Moncalieri.
Per ciò che concerne le ASL, poi, hanno dato la loro adesione l’Ospedale Maria Vittoria
(ASL 2), l’Ospedale Martini (ASL 3), l’Ospedale Infantile Regina Margherita ed, infine, il Centro
Paradigma, tutti situati a Torino.
Se, per la raccolta dei dati all’interno delle scuole, sono stati coinvolti tutti i membri
dell’équipe in modo indifferenziato, per l’analisi dei dati, fase intrapresa successivamente, le fasce
d’età dei soggetti su cui focalizzare l’attenzione sono state suddivise tra i membri dell’équipe in
base all’interesse personale ed alle tematiche analizzate nelle proprie dissertazioni finali.
Nella fattispecie, chi scrive, unitamente a Giuliana Girardi, si è occupato di eseguire le
analisi sui soggetti aventi un’età compresa tra i 12 ed i 16 anni, reperiti sia nelle scuole (medie
inferiori) e sia nelle ASL (2 e 3).
Il percorso da noi comunemente intrapreso, tuttavia, ha preso strade differenti nella scelta
dello specifico campione sul quale fondare la propria personale tesi di laurea. Più nello specifico,
chi scrive si è focalizzato sull’analisi del campione di soggetti con età compresa tra i 12 ed i 16 anni
reperiti presso le scuole, nonché sui soggetti obesi, aventi la medesima età, reclutati nelle ASL.
Ad una prima analisi, ci si è infatti resi conto che, classificando i soggetti delle scuole in
base alla loro categoria corporea basata sul BMI (Body Mass Index)2, anche all’interno delle scuole
si rilevava la presenza di soggetti con obesità. Si è così proceduto, come verrà esposto nel capitolo
focalizzato sull’analisi dei dati (capitolo 8) all’Anova (analisi della varianza) tra i due campioni di
obesi (quelli provenienti dalle scuole e quelli reperiti presso le strutture ospedaliere), al fine di
verificare se la provenienza dei soggetti avesse una qualche influenza sulle risposte ai test. A tale
riguardo, non è emersa alcuna differenza statisticamente rilevante tra i due gruppi (ad esclusione di
un solo test). Conseguentemente, si è quindi deciso di considerare i due campioni di obesi come un
unico gruppo.
Gli obiettivi che si è deciso di porsi sono stati, in un’ampia accezione, quelli di indagare i
correlati psicologici e psicopatologici del disturbo dell’obesità in un campione di adolescenti. In
particolar modo, come già espresso poco prima, ci si è focalizzati sul confronto tra il campione
costituito dai soggetti obesi ed il gruppo di controllo relativamente alle tematiche
dell’attaccamento, dell’esperienza traumatica e della dissociazione. Più in dettaglio, come sarà
esposto nel capitolo relativo alle ipotesi della ricerca (5), da questo studio ci si attende di rilevare
2
Di tale indice verrà data una spiegazione più approfondita nel capitolo 1.
che i soggetti obesi, nei confronti delle loro principali figure di riferimento, presentino un
attaccamento di tipo insicuro. Ci si aspetta, inoltre, di individuare livelli di dissociazione più elevati
tra gli obesi rispetto ai soggetti del campione di controllo.
Eseguendo l’analisi dei dati, poi, come si scorgerà nelle pagine ad essa relative (capitolo 8),
sono emersi risultati tanto interessanti quanto inattesi anche per ciò che concerne la differenza di
genere dei soggetti considerati. Come già si può iniziare ad intuire, quindi, le analisi che il
campione di soggetti preso in esame ha permesso di condurre sono state molto numerose. Per la
presentazione dei risultati chi scrive ha quindi selezionato i principali, focalizzando su questi
l’attenzione. Oltre a quelli presi in considerazione, sono emersi, tuttavia, numerosi altri risultati
dotati di significatività statistica che, al fine di fornire organicità all’elaborato, sono stati riportati in
Appendice.
Concludendo tale breve introduzione, resta da segnalare che tale esperienza si è tradotta,
non soltanto in un’esperienza di formazione professionale, ma anche in un percorso di crescita
personale.
Dal punto di vista professionale si è infatti reso possibile l’approfondimento di alcune
interessanti tematiche quali i disturbi alimentari, la teoria dell’attaccamento di Bowlby (1969, 1973,
1980) e la dissociazione (Putnam, 2005), nonché l’apprendimento delle modalità di organizzazione
e di conduzione di una ricerca, in tutte le sue fasi.
Grazie a quest’ultimo aspetto, è stato possibile individuare non solo la laboriosità legata, ad
esempio, alle prese di contatto delle varie strutture ed alle difficoltà nel trovarne con disponibilità a
partecipare, ma anche la soddisfazione nel portare a compimento un lavoro di ingente rilevanza,
quale si è dimostrata l’opera condotta dall’intera équipe di ricerca.
Tale esperienza, inoltre, ha permesso a chi scrive di sperimentare il lavoro all’interno di
un’équipe. Ciò ha reso possibile comprendere la complessità di agire all’interno di un gruppo di
lavoro.
Se da un lato, infatti, ciò si è rivelata un’esperienza positiva permettendo di stringere nuove
relazioni e rinsaldare amicizie già esistenti, d’altro canto ha permesso di scorgere la difficoltà del
contenere le ansie e le emozioni legate ai momenti più critici e delicati della ricerca, venendo
dunque a consistere, metaforicamente, in una sorta di palcoscenico sul quale sperimentare questa
difficile ma necessaria abilità.
1. I DISTURBI ALIMENTARI
SPECCHIO DEI NOSTRI TEMPI, RIFLESSO DI UN AMBIVALENTE
RAPPORTO COL CIBO
1.1 PREMESSA
Da sempre l’uomo intesse col cibo una relazione di tipo ambivalente. Da un lato, infatti, il
cibo è oggetto di desiderio, necessità primaria per la sopravvivenza, dall’altro, però, è vissuto
spesso come causa di danni e castighi (Cuzzolaro, 2004).
Tale rapporto contraddittorio caratterizza a tal punto l’uomo da essere testimoniato fin dalle
tradizioni più antiche, fin da quando Eva mangiò la prima mela, soddisfando il proprio piacere, ma
ricavandone una punizione divina (idem).
Tale ambivalenza, fortemente radicata nella società occidentale, trova espressione nella
vasta offerta quotidiana di piatti ricercati e succulenti, con l’unica finalità di soddisfare il palato,
contrapposta a quella di prodotti dietetici con una calibrazione minuziosa delle calorie.
In questo senso, la società consumista, affondando le proprie radici in tale ambivalente
rapporto uomo-cibo, genera nell’individuo l’enorme conflitto tra la possibilità di cedere al piacere
dell’offerta e quella di respingerlo per raggiungere il mito della magrezza.
In questo scenario, i disturbi alimentari si muovono come attori disinvolti, riflettendo
emblematicamente tale conflitto (idem).
Anoressia, da una parte, e bulimia ed obesità, dall’altra, possono essere considerate facce di
una stessa medaglia, ovvero del rapporto conflittuale col cibo. Se da un lato bulimia ed obesità, pur
nelle loro differenze, appaiono come manifestazioni mostruose del mito consumistico, dall’altro
l’anoressia diviene espressione morbosa del mito della forma fisica.
Alcuni autori di orientamento psicanalitico lacaniano (Recalcati, Zuccardi Merli, 2006)
ritengono che i disturbi alimentari siano sintomo di un cambiamento proprio della nostra epoca. Ciò
che contraddistingue l’uomo è la sua natura incompleta. La mancanza, che gli è propria e che lo
rende desideroso di cambiare e di realizzarsi, viene meno nella nostra società, dove la
sovraesposizione agli stimoli impedisce l’insinuarsi del desiderio. Questo provoca una metamorfosi
della mancanza in vuoto (idem).
L’obeso ed il bulimico, attraverso la loro fame compulsiva, mettono in atto questa
metamorfosi, facendo risiedere il vuoto nello stomaco. L’incapacità di percepirsi sazi fa perpetuare
un vuoto che non si estingue mai.
L’altra faccia della medaglia è rappresentata dall’anoressica, che identifica sé stessa in
questo ineludibile vuoto. Ma, proprio per il fatto che quest’ultimo le procura godimento, è in realtà
espressione di pienezza (idem).
Parallelamente a questa interpretazione dei disturbi alimentari, si pone quella di coloro che,
pur riconoscendo anoressia, bulimia ed obesità come fenomeni dilaganti della nostra epoca, li
osservano da una differente angolatura (Mieli, 2005; Baldassarre, 2002).
Essi attribuiscono la causa di tali patologie a quel “troppo” di origine materiale che fin dalla
nascita investe l’individuo. Il nutrimento materiale, che viene offerto in sovrabbondanza dal
caregiver o che non è accompagnato da un adeguato nutrimento simbolico, è, ad un certo punto
della vita, rifiutato o vorticosamente ingerito per poi essere respinto. Il disordine alimentare diventa,
quindi, manifestazione di un trauma infantile legato all’oralità ed alla relazione con la madre.
C’è, quindi, l’anoressica che rifiuta il troppo offerto, e ci sono l’obeso ed il bulimico che
tentano di sostituire il vuoto simbolico con un pieno materiale (Mieli, 2005).
Da questo punto di vista, quindi, il cibo non è rivestito solo da un significato puramente
materiale di nutrimento, ma diventa anche veicolo dell’affettività all’interno delle relazioni
significative di ogni individuo. Queste ultime, che ricoprono un ruolo fondamentale, di impalcatura
per lo sviluppo psichico di ciascun essere umano, risultano carenti, danneggiate, laddove siano
presenti dei disturbi alimentari. Ripercorrendo a ritroso la storia psichica e relazionale del soggetto
affetto da disordini alimentari, si scopre l’esistenza di una disfunzione nel rapporto affettivo con i
genitori. Quest’ultimo, nella sua forma patologica sia reale che interiorizzata, diviene un
impedimento nella conquista dell’autonomia psichica, un vincolo che vieta una separazione dalle
idealizzazioni infantili. In tale contesto, il cibo diventa bisogno impellente da soddisfare o da
controllare; serve a riempirsi per poi svuotarsi, come nella bulimia, a prosciugare il corpo, come
nell’anoressia, o a gonfiarlo fino a renderlo informe come nell’obesità, divenendo partner
privilegiato, compagno ideale nella lotta contro ciò che è inconscio, privato e che risale all’intricato
mondo degli affetti (Baldassarre, 2002).
1.2 ANORESSIA E BULIMIA NERVOSA: DEFINIZIONI ATTUALI E
CLASSIFICAZIONE DIAGNOSTICA
Forse a causa delle sue manifestazioni più evidenti, ovvero rifiuto del cibo e conseguente
eccessiva magrezza, forse in forza del binomio perdita di peso-scarse condizioni di salute,
l’anoressia fu il primo disturbo del comportamento alimentare a destare un interesse clinico. Per
abolire il luogo comune che vedrebbe quest’ultimo figlio solo dei nostri tempi, basta ricordare che i
primi a trattarlo furono Gull (1868) e Lasegue (1873), esponenti del XIX secolo. Essi, nel tentativo
di dare una spiegazione a questo male sconosciuto, lo descrissero come quadro sindromico tipico di
personalità isteriche (Fagiani, 2002).
Attualmente, invece, l’anoressia assume un’identità propria, indipendentemente dalla
personalità dell’individuo in cui compare.
I manuali diagnostici nella loro ultima versione (ICD – 10, 1993; DSM – IV, 1994)
forniscono criteri utili alla classificazione.
L’ICD – 10 ha individuato quattro sintomi fondamentali per la formulazione di una
diagnosi. Il più evidente è la perdita di peso, o, nei bambini in via di sviluppo, mancati crescita ed
aumento di peso, che deve risultare inferiore al 15% rispetto a quello normale3.
Il secondo aspetto da considerare è il rifiuto di assumere cibi ipercalorici. A ciò si aggiunge
una percezione distorta del proprio corpo (dismorfofobia), avvertito come eccessivamente grasso e
rigidamente mantenuto in una soglia di peso troppo bassa.
L’ultimo criterio diagnostico individuato è un disturbo endocrino che coinvolge l’asse
ipotalamo-ipofisi-gonadi e che si manifesta nelle donne con amenorrea e negli uomini con perdita
di libido e di potenza sessuale (ICD -10, 1993).
A tali criteri il DSM–IV (1994) aggiunge un’ulteriore specificazione, individuando due
sottocategorie, quella con restrizioni e quella che presenta cicli di abbuffate e condotte
eliminatorie. La differenza tra i due sottotipi risiede nel fatto che, mentre in quest’ultimo sono
presenti episodi di abbuffate seguiti da comportamenti di svuotamento improprio, quali vomito
autoindotto, abuso di lassativi, diuretici, o di altri farmaci equivalenti, nell’altro tali aspetti sono
assenti (DSM–IV, 1994; Cuzzolaro, 2004).
In sintesi, al fine di effettuare una diagnosi di anoressia è necessario che siano presenti
almeno tre dei sintomi precedentemente esposti: rilevante perdita di peso, amenorrea che duri da
almeno tre mesi e dismorfofobia.
L’età d’insorgenza di tale disturbo non è estrapolabile dai manuali diagnostici, bensì
dall’esperienza clinica, che rileva i casi più frequenti in un periodo compreso tra i 14 ed i 18 anni
(Fagiani, 2002; Cuzzolaro in Pissacroia, 1996).
Un disturbo complementare al precedente è la bulimia. L’aspetto peculiare di questo
disturbo è la presenza di episodi ricorrenti di abbuffate compulsive (binge eating). Tale sintomo, in
base a quanto riportato dall’ICD – 10, deve manifestarsi con una frequenza di almeno due volte a
settimana, per un periodo di almeno tre mesi. Esso è scatenato da un bisogno impulsivo di assumere
quantità eccessive di cibo, ed è accompagnato da una sensazione spiacevole di non saper esercitare
alcun tipo di controllo sul proprio comportamento (idem).
Un altro sintomo della bulimia è una preoccupazione persistente intorno al mangiare,
3
Il calcolo del BMI effettuato attraverso il rapporto tra peso (in Kg) ed altezza al quadrato (m2), deve risultare
inferiore o uguale a 17,5, perché si possa parlare di anoressia. È intuitivo che l’indice di massa corporea deve essere
considerato in relazione alla costituzione propria di ogni singolo individuo ed al suo peso corporeo nel corso del
tempo (Fagiani, 2002).
accompagnata da un forte desiderio di alimentarsi. Per contrastare, poi, gli effetti ingrassanti del
cibo ingerito, il bulimico mette in atto condotte di svuotamento improprio o eccessivo esercizio
fisico.
Come per l’anoressia, il DSM–IV propone una suddivisione in due sottocategorie del
disturbo bulimico. La prima presenta la messa in atto di condotte di svuotamento, mentre la seconda
le sostituisce con altri comportamenti compensatori inappropriati, quali il digiuno o l’eccessivo
esercizio fisico.
Perché si possa diagnosticare bulimia, è necessario riscontrare almeno tre sintomi dei
precedenti, quali ossessiva attenzione per il peso corporeo, abbuffate compulsive e conseguenti
contromisure patologiche, come il vomito autoindotto.
Da quanto espresso in precedenza, si può dunque desumere che i due disturbi trattati,
sebbene presentino un quadro sintomatico simile, si diversifichino per la presenza o meno di
amenorrea. Per porre diagnosi di anoressia è, infatti, necessario che si manifesti assenza di ciclo
mestruale, contrariamente a quanto accade nella sindrome bulimica.
Nell’analisi delle storie dei singoli casi clinici si è ancora potuto osservare che la bulimia
non esordisce soltanto in soggetti normopeso, ma anche in quelli sottopeso, come conseguenza di
una fase anoressica, oppure in persone sovrappeso ed obese, a seguito di un periodo di restrizioni
alimentari (Fagiani, 2002).
L’età d’insorgenza della bulimia è solitamente riconducibile alla fase adolescenziale, in cui
il disturbo può manifestarsi come sintomo passeggero, facile da debellare, o cronico, come nella
maggior parte dei casi (idem).
1.3 I DISTURBI ALIMENTARI NON ALTRIMENTI SPECIFICATI
I manuali diagnostici, nelle loro ultime versioni (ICD-10, 1993; DSM-IV, 1994),
propongono, accanto alle categorie sindromiche di anoressia e bulimia, classicamente annoverate
tra i disordini alimentari, un’ulteriore classe diagnostica, a cui appartengono disturbi atipici del
comportamento alimentare.
Questi ultimi, infatti, presentano solo alcuni dei sintomi di anoressia e bulimia, cosicché non
possono rientrare appieno in nessuno dei due quadri sintomatici.
Il DSM-IV propone sei sottospecificazioni dei disturbi non altrimenti specificati.
La prima riguarda quei soggetti di sesso femminile che, pur presentando alcuni sintomi di
anoressia, mancano di amenorrea.
Alla seconda appartengono soggetti che mettono in atto comportamenti tipici dell’anoressia,
ma non presentano un peso al di sotto della norma.
La terza categoria è quella di chi presenta i sintomi della bulimia, quali abbuffate e condotte
compensatorie, ma se ne discosta in quanto li attua con una frequenza inferiore.
Alla quarta classe, poi, appartengono quegli individui normopeso che si dedicano a condotte
compensatorie inappropriate, dopo aver ingerito piccole quantità di cibo.
Della quinta categoria fa, invece, parte chi, dopo aver masticato grandi quantità di cibo, le
sputa, piuttosto che ingoiarle.
La sesta ed ultima classe descrive, infine, il disturbo da alimentazione incontrollata,
altrimenti detto binge eating disorder, riconosciuto per le ricorrenti abbuffate, prive di regolari
condotte compensatorie inappropriate, tipiche della bulimia nervosa (DSM- IV, 1994).
1.3.1 IL BINGE EATING DISORDER: UN DISTURBO TRASVERSALE
RISPETTO AD ANORESSIA, BULIMIA ED OBESITÀ
Il binge eating disorder (BED) è ritenuto da Cuzzolaro (2004) un disturbo trasversale ai tre
principali disordini alimentari: obesità, anoressia e bulimia. Si caratterizza, infatti, per la presenza di
un comportamento iperfagico, tipico anche di anoressia e bulimia. Mentre, tuttavia, in queste ultime
l’episodio di abbuffata è seguito da condotte di svuotamento improprie, nel BED ciò non accade e
neppure nel caso di obesità. Ciò che ancora rende tale disturbo più affine all’obesità, piuttosto che
agli altri due disordini, è la presenza di sovrappeso (idem).
Gli episodi di alimentazione incontrollata si caratterizzano per la presenza di alcuni elementi
peculiari, quali mangiare in un arco definito di tempo una quantità di cibo maggiore rispetto a
quanto mangerebbero le persone normali in un pari lasso temporale. Ciò è accompagnato da una
perdita di controllo sull’atto dell’alimentarsi ed una conseguente sensazione nel soggetto di non
riuscire a fermare l’abbuffata compulsiva. Questi episodi sono poi accompagnanti da almeno tre
dei seguenti sintomi: mangiare molto più rapidamente del normale, mangiare fino a sentirsi
spiacevolmente pieni, mangiare grandi quantitativi di cibo, anche se non ci si sente fisicamente
affamati, sentirsi disgustati verso se stessi, depressi o molto in colpa dopo le abbuffate. Tale
comportamento incontrollato deve manifestarsi per almeno due giorni a settimana in un periodo di
sei mesi.
I soggetti affetti da BED presentano alcune caratteristiche peculiari. Appaiono intimoriti dal
biasimo e dalle delusioni. Nella loro fragilità, sono sovrastati dal terrore di deludere ed essere
delusi, e risultano incapaci di gestire ansia e frustrazioni. Questo li induce ad evadere dalla realtà e a
rifugiarsi in progetti e fantasie mai realizzati ed irrealizzabili (Roviglio, 2002).
Un’ipotesi eziopatogenetica formulata (idem) fa risalire l’origine del BED ad ansie e lutti
non risolti delle madri, incapaci di comprendere e gestire le esigenze emozionali dei figli. È, inoltre,
possibile che alla base dell’abbuffata sia riposto un trauma rifuggito attraverso la messa in atto del
binge (idem).
Alcuni studiosi (Carol et al., 2005), attraverso l’analisi di casi clinici, hanno messo in luce la
presenza di alcune sottospecificazioni di BED. Hanno, nella fattispecie, esaminato le peculiarità dei
soggetti affetti da tale disturbo, distinguendoli in due gruppi, l’uno caratterizzato da disturbi
dell’umore associati, l’altro da dipendenza da sostanze. Si è evinto che le due categorie esaminate
presentano caratteristiche comportamentali e psicologiche differenti: la prima mostra un più elevato
livello di ansietà, accanto ad una più ridotta abitudine ad intraprendere diete, e mostra molte storie
di origine traumatica o di abuso; la seconda, invece, è caratterizzata da un più alto grado di
impulsività, dimostrato anche da un numero superiore di episodi di binge. I due gruppi si
differenziano anche per il loro diverso grado di insoddisfazione corporea4 e stima di sé5. Quello
affetto dai disturbi dell’umore presenta, infatti, un più alto grado di insoddisfazione per il proprio
corpo ed un più basso grado di stima di sé, rispetto all’altro gruppo.
1.4 ALTRI DISTURBI ALIMENTARI
I manuali psichiatrici di classificazione diagnostica, sebbene rappresentino un valido
strumento di comunicazione interdisciplinare, spesso peccano di eccessiva semplificazione, ai danni
dell’individualità del soggetto e di coloro che mostrano quadri clinici ivi non compresi. È questo il
caso dei soggetti affetti da obesità, ritenuta a lungo una patologia unicamente medica, e di coloro
che presentano disordini nel comportamento alimentare non riconducibili nemmeno a patologie
mediche.
Tra questi ultimi, si annoverano la sindrome da alimentazione notturna, altrimenti detta
night eating sindrome, e la carboidrate craving.
La prima, descritta dallo psichiatra americano Albert Stunkard (1955; cit. in H.Bruch, 1973),
consiste in un impulsivo bisogno di alimentarsi nel corso della notte. Il soggetto che presenta tale
sindrome, dopo essersi svegliato durante la notte, riuscirà a riaddormentarsi solo dopo essersi
nutrito.
La carboidrate craving, invece, consiste in un desiderio di cibi a contenuto prevalentemente
glicemico, forte a tal punto da sfociare in dipendenza. Wurtman (1981) descrive per primo tale
sindrome facendola risiedere in soggetti altamente ansiosi (Apfeldolfer, 1996).
4
Il costrutto di insoddisfazione corporea è stato misurato attraverso il Body Shape Questionnaire (BSQ, Cooper,
Taylor, Fairburn, 1987).
5
Il costrutto di stima di sé è stato misurato con il Rosenberg Self Esteem Questionnaire (RSQ, Rosenberg, 1965).
1.5 L’OBESITÀ : UNA PATOLOGIA DAI RISVOLTI MEDICI
Sebbene l’obesità rivesta un ruolo di elevato interesse per la psicologia, manuali psichiatrici
di classificazione diagnostica non ne fanno menzione all’interno della categoria dei disturbi
alimentari. Per lungo tempo tale patologia dai risvolti apparentemente solo organici e fisiologici è
stata, infatti, ricondotta quasi unicamente all’ambito medico. Solo negli ultimi decenni l’attenzione
è stata anche riposta sugli aspetti psichici e relazionali coinvolti nell’insorgenza dell’obesità
(Molinari, Riva, 2004). Si farà riferimento a questi ultimi nei paragrafi successivi, mentre qui si
cercherà di fornire una generica definizione della patologia, ai fini di darne un breve
inquadramento.
L’obesità è un disturbo dall’eziopatogenesi complessa, che consiste in un’alterazione della
composizione del corpo, caratterizzata da eccesso di grasso, con conseguente peggioramento della
qualità della vita e sviluppo di complicazioni che possono condurre alla morte (Scopinaro, 2000).
Eccesso ponderale rispetto ad un peso ideale e indice di massa corporea sono due indicatori
medici fondamentali per circoscrivere la suddetta patologia.
L’eccesso ponderale è un concetto importante perché serve a stabilire oltre quali limiti un
eccesso di peso risulta patologico. Tali limiti sono fissati in relazione ad un peso ideale.
Quest’ultimo è un’entità statistica, specifica per i due sessi e per ogni statura, a cui corrisponde la
minore mortalità, rilevata nelle casistiche delle grandi compagnie assicurative o attraverso la
formula di Lorentz6. Per esprimere la quantità di eccesso ponderale, è dunque sufficiente riferirsi
alla percentuale del peso ideale e tenere presente che l’indice di Lorentz corrispondente a
quest’ultimo è pari a 22. Un altro indice di facile computazione è il Body Mass Index (BMI),
ottenuto dalla divisione del valore del peso corporeo in Kg con il quadrato della statura in metri. Per
stabilire quale sia il limite oltre il quale si può parlare di sovrappeso grave, quindi di patologia, si
deve far riferimento ad un abbassamento notevole della qualità e della durata della vita. Le
statistiche sembrano concordi nello stabilire che il suddetto limite sia coincidente con un indice di
massa corporea equivalente a 30 Kg/m2.
L’organizzazione mondiale per la sanità ha stilato una tabella sintetica che evidenzia
l’aumento dei rischi di patologie in base all’incremento del peso (vedi tabella 1.1).
Tabella 1.1
Cut-off dei BMI per il riconoscimento dell’obesità in una popolazione adulta7
6
Le tabelle maggiormente usate sono quelle fornite nel 1983 dalla Metropolitan Life Insurance Company, ma è
anche possibile ricavarne i contenuti attraverso la formula di Lorentz. Quest’ultima è diversificata a seconda del
sesso. Per il sesso maschile si calcola in tal modo: (statura in cm – 100) – (statura in cm -150)/4, mentre per il sesso
femminile: (statura in cm – 100) – (statura in cm – 150)/2.
7
Come si potrà constatare nel paragrafo 1.5.1, i cut-off dei BMI, utili all’identificazione dell’obesità in età
CLASSIFICAZIONE
CORPOREA
BMI
Kg/m2 RISCHIO DI COMORBILITA'
SOTTOPESO <18,5
Basso (aumento del rischio per altri fattori
clinici)
NORMOPESO 18,5-24,9 Normale
SOVRAPPESO 25,0-29,9 Aumentato
OBESITA' I CLASSE 30,0-34,9 Moderato
OBESITA' II CLASSE 35,0-39,9 Severo
OBESITA' III CLASSE >40 Molto Severo
Come si può notare, si parla di obesità a partire da un indice di massa corporea pari a 30,
tuttavia i rischi di patologie associate aumenta già con un sovrappeso compreso tra 25,0 e 29,9
Kg/m2.
Per quanto concerne l’eziopatogenesi dell’obesità, è complesso tracciarne un profilo
uniforme, in quanto tale patologia ha un’eziologia multifattoriale.
La genetica gioca un ruolo fondamentale ed è la causa predominante della polifagia nella
Sindrome di Prader Willi8 ed in alcune altre forme di obesità. Accanto a tale fattore, tuttavia,
risultano altrettanto importanti l’ambiente, che condiziona l’introito energetico, ed il controllo
cognitivo, che serve a monitorare il meccanismo di introito-consumo. Se quest’ultimo fallisce, si
sviluppa la patologia. Da questo punto di vista, dunque, il soggetto obeso è colui che non riesce ad
essere consapevole delle quantità di cibo ingerite, né dei necessari meccanismi di consumo.
Nell’obeso fallisce il meccanismo di regolazione della fame. Non basandosi su stimoli enterocettivi
per definire la propria sensazione di fame, non è in grado di definire la propria sazietà né di cessare
la stimolazione prodotta dal cibo (Scopinaro, 2000).
Un altro aspetto che le ricerche di medicina non promuovono, ma che sarà oggetto della
presente dissertazione, è la concomitanza di una patologia nel legame d’attaccamento associata
all’obesità9.
L’obesità è poi associata ad alcune complicazioni che rendono il quadro sindromico più
preoccupante e grave.
In primo luogo, è possibile osservare, accanto ad un notevole incremento del peso corporeo,
delle complicanze nella sfera respiratoria, quali un’insufficienza ventilatoria, la sindrome di apnea
notturna e la sindrome di Pickwick10.
evolutiva , si differenziano da quelli considerati per l’età adulta.
8
La Sindrome di Prader Willi è una malattia di origine genetica che si presenta con obesità, ipotonia muscolare,
oligofrenia, ridotto sviluppo staturale ed ipogonadismo.
9
Tale aspetto verrà trattato nel capitolo 2.
10
La sindrome di apnea notturna e la sindrome di Pickwick sono un effetto meccanico dell’eccesso di grasso
perifaringeo. La prima è caratterizzata da frequenti episodi di ostruzione delle vie respiratorie che producono,
durante la notte, degli stati di apnea. La seconda, invece, costituisce lo stadio più grave dell’insufficienza
È inoltre evidente la presenza di comorbidità con patologie cardiovascolari, metaboliche
(come il diabete mellito), gastroenteriche, ortopediche, sessuali ed oncologiche11 (idem).
L’obesità presenta, infine, dei risvolti psicologici, come ansia, depressione, ridotto grado di
autostima ed alterazioni nella percezione del proprio sé corporeo12 .
Per quanto riguarda la diffusione dell’obesità, essa sembra essere in continuo aumento nel
mondo occidentale. Attualmente, inoltre, non è solo la fascia adulta della popolazione ad esserne
colpita, ma lo sono anche quella infantile ed adolescenziale. Su queste ultime si farà luce nel
prossimo paragrafo.
1.5.1 L’OBESITA’ NELL’INFANZIA E NELL’ADOLESCENZA: INDICATORI
DIAGNOSTICI ED EVOLUZIONE
Negli ultimi decenni l’obesità infantile ed adolescenziale ha assunto una diffusione tale da
suscitare l’interesse di studiosi e ricercatori di ambito medico e psicologico. Le ricerche sono
sempre più proiettate allo studio di tale disturbo nelle fasi evolutive. I dati statistici, infatti, destano
preoccupazione quando dimostrano che un bambino obeso con elevata probabilità diventerà un
adulto obeso, se non si agirà tempestivamente, nel riconoscere le cause della patologia e nel mettere
in atto le adeguate contromisure (Molinari, Riva, 2004).
Le curve di crescita rappresentano un utile strumento in grado di indicare se il soggetto in
via di sviluppo sia normopeso, piuttosto che sovrappeso, o addirittura obeso. Queste sono costruite
attraverso un piano cartesiano, dove le ascisse costituiscono gli anni, mentre le ordinate
corrispondono agli indici di massa corporea. Per comprendere la situazione corporea del bambino o
dell’adolescente preso in esame, è necessario incrociare l’età d’appartenenza con il suo BMI. Se da
tale incrocio il soggetto risulterà al di sotto del 3o percentile, significherà che è sottopeso rispetto
alla norma, se si collocherà sotto il 75o percentile potrà ritenersi normopeso, mentre se si posizionerà
al di sopra di questo sarà da considerarsi sovrappeso. Un bambino o un adolescente sarà, invece,
riconosciuto obeso, quando risulterà al di sopra del 97o percentile (Balsamo, Gennai, Cicognani,
2005).
La curva di crescita si dimostra importante perché segue l’evoluzione ponderale del soggetto
nel corso del tempo. Un normale corso di sviluppo prevede che un bambino fino al primo anno
ventilatoria e si compone di sonnolenza, cianosi ed altri sintomi che si accompagnano ad una ridotta sensibilità dei
centri respiratori alle stimolazioni ipercapniche.
11
È stata riscontrata un’aumentata incidenza nei soggetti obesi del carcinoma della mammella, dell’endometrio e della
prostata.
12
Questi aspetti saranno trattati nel paragrafo 1.5.5.
d’età aumenti di peso e massa corporea, mentre dal secondo dovrà risultare evidente un
abbassamento della massa corporea correlato ad un aumento in altezza. Se questo non si verifica, è
opportuna una repentina consultazione endocrinologia, onde evitare l’insorgenza di un’obesità
precoce. Dal settimo anno in poi, invece, si evidenzia un nuovo aumento di grasso corporeo,
soprattutto nelle bambine, rilevabile sulla curva di crescita come “rimbalzo di adiposità”. È come se
la massa adiposa dell’organismo, dopo essere scesa al minimo, “rimbalzasse” verso valori più
elevati (Lesne, 2000).
La fase adolescenziale è quella di maggior interesse per l’insorgenza di obesità o altri
disturbi alimentari. In questo periodo della vita, infatti, il soggetto subisce notevoli cambiamenti
corporei ed il peso corporeo, che nelle fasi precedenti seguiva un percorso stabile, diventa ora
imprevedibile a tal punto da rendere un ragazzo od una ragazza un giorno visibilmente robusti ed un
altro più longilinei (Apfeldolfer, 1995).
Per tale ragione risulta difficile stabilire quando sia necessario ricondurre l’adolescente alla
categoria “obesi” e quando non lo sia (idem). Indicativamente si può fare riferimento ai valori del
BMI che vengono riassunti nella tabella seguente (1.2).
Tabella 1.2
Cut-off internazionali di BMI per obesità (Cole et al. 2000)
ETA’ OBESITA’
femmine maschi
6 19,34 19,78
7 20,51 20,63
8 21,57 21,60
9 22,81 22,77
10 24,11 24
11 25,42 25,10
12 26,67 26,02
13 27,76 26,84
14 28,57 27,63
15 29,11 28,30
16 29,43 28,88