INTRODUZIONE
Ho trascorso gli ultimi anni del periodo universitario a informarmi sulle problematiche
relative al comportamento alimentare. Ho incontrato psicologi e psicoterapeuti di diversi
orientamenti, ho partecipato ai loro corsi, li ho intervistati e li ho seguiti nel loro lavoro,
per acquisire le maggiori informazioni sulla psicologia del comportamento alimentare e
sul ruolo dello psicologo nel trattamento e prevenzione delle disfunzioni a essa
correlate.
La tesi che presento intende individuare quale ruolo è destinato allo Psicologo Clinico
nel trattamento delle problematiche alimentari.
È necessario anzitutto tracciare un confine fra il ruolo dello Psicologo Clinico e quello
dello Psicoterapeuta a partire da un dato certo: la legge 56/89 (Ordinamento della
professione di Psicologo).
L’articolo 1 ci offre una Definizione della professione di psicologo:
“La professione di psicologo comprende l’uso degli strumenti conoscitivi e
di intervento per la prevenzione, la diagnosi, le attività di abilitazione-riabilitazione
e di sostegno in ambito psicologico rivolte alla persona, al gruppo, agli organismi
sociali e alle comunità. Comprende, altresì le attività di sperimentazione, ricerca
e didattica in tale ambito.”
Possiamo accertare che lo psicologo interviene, quindi, sul singolo o sul gruppo con
finalità non terapeutiche ma di consulenza, sostegno e riabilitazione, oltre che di ricerca,
didattica e prevenzione nell’ambito della psicologia.
Si evidenzia un contenzioso nello stabilire i limiti fra la professione di Psicologo e quella
dello Psicoterapeuta; il mio personale punto di vista è che la confusione si crea nel
momento in cui tentiamo di comprendere un intervento psicologico, riferendoci a un
modello psicoterapeutico: indubbiamente il tipo di relazione che si crea, il ruolo del
professionista e gli obiettivi dell’intervento sono, nei due casi, molto distinti.
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Osservando il lavoro di professionisti psicologi e psicoterapeuti, mi sento di osservare
che il confine fra un intervento psicologico e un intervento psicoterapeutico non sta
tanto nel numero delle sedute, nella presenza di una sintomatologia diagnosticata o
nelle tecniche utilizzate, che spesso sono simili, ma negli obiettivi che ci si pone che
non sono tanto di cura ma sono, per l’appunto, di consulenza, sostegno e riabilitazione.
Gli incontri con gli psicoterapeuti di vari orientamenti mi hanno offerto la possibilità di
interrogarmi rispetto al tipo di orientamento che sento appartenermi maggiormente,
nell’eventualità di intraprendere una successiva formazione psicoterapeutica, ma
soprattutto mi hanno permesso di individuare quali sono i confini che uno psicologo non
può superare nell’esercizio della sua professione e quali invece sono gli ambiti
d’intervento a lui destinati e in cui può crearsi una realtà professionale.
La tesi che segue intende riassumere questi approfondimenti: dopo una prima parte in
cui verrà esposta una panoramica generale delle problematiche alimentari (DCA,
obesità e disturbi correlati), intendo affrontare, nella seconda parte, il ruolo dello
psicologo nel trattamento di tali tematiche, nello specifico andremo a indagare la figura
dello psicologo nel trattamento comunitario di pazienti con Disturbi della Condotta
Alimentare, la figura dello psicologo nei progetti di Prevenzione, nel sostegno familiare
e nella gestione del peso corporeo in pazienti obesi e sovrappeso; in ultimo sarà
dedicato un approfondimento sull’importanza del lavoro di equipe.
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Parte Prima
1. STORIA DEI DISTURBI ALIMENTARI
Anoressia Nervosa
Possiamo considerare l’anoressia nervosa, una patologia del mondo industrializzato,
anche se è possibile rintracciare testimonianze di alcuni casi fin dal Medioevo.
La pratica del rifiuto del cibo ha caratterizzato, nei secoli passati, molte esperienze
mistico-religiose, in cui il sacrificio, l’astinenza, il digiuno e la mortificazione del corpo
furono delle scelte consapevoli finalizzate all’espiazione dei propri peccati, alla salvezza
della propria anima e di quella dei credenti e al desiderio
di raggiungere un’intimità assoluta con la divinità (spinta
alla trascendenza).
Anche nelle forme di anoressia moderna la morte perde
d’importanza, perché si è completamente rapiti dal
sintomo, tuttavia oggi l’anoressica non punta più a
subordinare il principio etico all’estetica ma, esattamente
al contrario, tende ad assoggettare l’etica all’immagine
estetica del corpo magro, in modo che sia fatta la volontà
dell’Io.
L’anoressia nervosa è stata introdotta, nella sua
accezione moderna, nel tardo XIX secolo quasi
simultaneamente, seppur separatamente dallo psichiatra
britannico William Gull (1874-1888), che la denominò
anoressia isterica, e dal medico francese Charles
Lasègue (1873), che la definì anoressia nervosa.
Gull definisce l’anoressia nervosa come il risultato di una
perversione della volontà, senza discutere ciò che
potrebbe avere causato questa perversione. Lasègue la
descrive come un’isteria del centro gastrico ritenendo che fattori psicologici e sociali
fossero coinvolti nello sviluppo di questo disturbo. Entrambi, quindi, spostano il
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Figura 1: "Miss A—” ritratta prima e
dopo la cura (1866 1870). È stata
uno dei primi casi studiati di
anoressia nervosa.
Da una pubblicazione medica di W.
Gull.
problema dall’origine organica all’origine nervosa del disturbo ed entrambi prestano
attenzione al ruolo della famiglia nell’esordio della patologia anoressica. In entrambi i
casi, il trattamento è stato somatico, con il recupero nutrizionale.
Anche Freud (1895) parlò di anoressia, correlandola a una forma di melanconia, in
assenza di un’identità sessuale evoluta e definendola un sintomo isterico di conversione
caratterizzato dal rifiuto volontario dell’alimentazione.
Quasi un secolo dopo Hilde Bruch (1973,1979) ha introdotto l’approccio bio-psico-
sociale al concetto di anoressia nervosa e nel 1963 Selvini Palazzoli concentra
l’attenzione sul sistema familiare patologico, associando il rifiuto del cibo a una lotta di
potere delle pazienti verso le figure genitoriali.
L’anoressia nervosa entra nelle categorie diagnostiche del DSM (Manuale Diagnostico
Statistico dei Disturbi Mentali) nella seconda edizione (DSM – II) del 1968.
Nel XX secolo gli approcci teorici si moltiplicano, andando da modelli puramente
biologici (Kaye, Frank, et al. 2005) a modelli bio-psico-sociali (Connan, Campbell,
Katzman, Lightman e Treasure, 2003) a modelli puramente culturali (Orbach 1986,
Bordo 1993) ma gli studi più significativi sui fattori di rischio, restano i modelli eziologici
globali che incorporano fattori biologici, psicosociali e ambientali.
Se negli anni Settanta si trattava di un’epidemia anoressica caratterizzata da una
modalità tendenzialmente restrittiva, presente in ragazze di buona famiglia in cui la
famiglia si rappresentava come molto centrata sui doveri, con una madre sacrificale da
cui la figlia eredita questa sacrificalità, dopo quindici anni riscontriamo una
trasformazione del sintomo con una modalità anoressico-bulimica come forma
fondamentale, associata a fenomeni di obesità e/o di bulimia nervosa e talvolta ad
abuso di sostanze.
Bulimia Nervosa
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La prima definizione di bulimia si deve a Cullen che nel 1772 parlò di “bulimia emetica”,
intendendo descrivere l’introduzione forzata del cibo, seguita da
rigurgito, per l’eccessiva quantità assunta.
Nel 1926, Levy-Valenci introdusse la distinzione fra sitomania, intesa
come ingestione impulsiva, e bulimia, intesa come ingestione
eccessiva; questa distinzione è ad oggi rimasta e viene descritta
rispettivamente con i termini bulimia, per indicare l’ingestione
impulsiva, e iperfagia, per indicare l’ingestione eccessiva.
Russell (1979) descrive per la prima volta la bulimia nervosa come
“un’inquietante variante dell’anoressia nervosa”. In questo modo
viene, per la prima volta, data un’identità autonoma e distinta
dall’anoressia nervosa, a questa patologia. La distinzione diagnostica fra anoressia
nervosa e bulimia nervosa si è rivelata di fondamentale importanza per l’individuazione
del trattamento adeguato; attualmente i criteri diagnostici della bulimia nervosa, descritti
dal DSM IV, richiamano, quasi fedelmente, quelli introdotti da Russel.
Rispetto alle cause della bulimia nervosa, qualche anno prima Boskind-Lodahl (1976)
ha descritto la sindrome di Binge – Purge come legata alla cultura occidentale degli
stereotipi di magrezza, del ruolo di genere femminile. Come per l’anoressia nervosa,
numerosi studi hanno tentato di individuare i fattori di rischio connessi all’insorgere della
patologia (Jacobi et al., 2004; Stice, 2002; Striegel-Moore et al., 1986; Striegel-Moore
& Cachelin, 2001); dobbiamo, anche in questo caso, integrare le spiegazioni ambientali
a quelle di natura biologica.
Negli anni Ottanta la bulimia si diffonde andando a sostituire il sintomo bulimico
presente nelle anoressiche; ad oggi riconosciamo le caratteristiche della bulimia, quali
la difficoltà nel darsi un limite nel rapporto con la sostanza e l’incapacità di “stare” senza
incorporare, come modalità tipiche delle nuove sintomatologie contemporanee.
Obesità
Storicamente l’obesità fu riconosciuta come patologia medica fin dall’antica Grecia.
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Figura 2: tratta dal manga di
Moyoco Anno "Questo non è il mio
corpo".
Scriveva Ippocrate
«La corpulenza non è solo malattia in sé, ma il presago di altre».
D’altro canto, però, va riconosciuto che l’obesità è sempre stata
considerata anche segno di prosperità e benessere, soprattutto in epoca
Medioevale e Rinascimentale.
Va quindi detto che se nel XX secolo l’aumento della ricchezza, con la conseguente
crescita del peso nella popolazione ha favorito lo sviluppo dei paesi industrializzati e ha
ridotto le mortalità, d’altra parte sono diventate più frequenti le patologie connesse al
sovrappeso.
La percezione del peso corporeo nella società è cambiata dall’inizio del XX secolo: in
alcuni paesi (quale ad esempio l’Africa), l’obesità è ancora considerata un segno di
agiatezza, ma l’opinione rispetto al peso in termini salutistici va nella direzione opposta
e sappiamo che oggi l’obesità è una delle principali cause di morte prevenibile a livello
mondiale.
2. CLASSIFICAZIONE DEI DISORDINI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE
Il sistema di classificazione cui si fa riferimento di seguito per la diagnosi è il DSM 5.
Le proposte di revisione delle categorie diagnostiche del DSM IV sono conseguenze dei
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Figura 3: Venere
di Willendorf,
(24.000-22.000
a.C. Circa)
numerosi riscontri in letteratura dei disturbi Non Altrimenti Specificati e dei disturbi sotto-
soglia.
Una prima distinzione fra il DSM 5 e il suo precedente, sta nell’aver inserito fra i disturbi
alimentari quelli legati all’alimentazione dell’infanzia (Pica, Disturbo da Ruminazione,
Disturbo dell’Assunzione di Cibo Evitante/Restrittivo). Il tema dei disturbi alimentari
dell’infanzia non sarà trattato in questo contesto; per un approfondimento sul tema si
rimanda al DSM 5, Manuale Diagnostico Statistico dei Disturbi Alimentari (America
Psychiatric Association, 2013).
Sul piano descrittivo distinguiamo:
Anoressia nervosa
Il termine significa letteralmente “assenza di appetito, dovuta a condizione nervosa”;
nello specifico è una sindrome caratterizzata dall’astensione, spesso totale del cibo,
sostenuta da una distorsione della propria immagine corporea; il peso corporeo risulta
di conseguenza molto al di sotto della norma rispetto a persone della medesima
corporatura, sesso ed età.
Il DSM 5 definisce la patologia in base alla presenza delle seguenti caratteristiche:
a) Restrizione dell’introito calorico in rapporto ai fabbisogni, con significativa perdita
di peso (definita come un peso inferiore ai limiti inferiori della norma o, per i
bambini e gli adolescenti, inferiore al peso minimo previsto), rispetto a quelli
previsti per età, sesso, traiettoria di sviluppo e salute fisica;
b) Intensa paura di prendere peso e di ingrassare o persistenti comportamenti che
interferiscono con il recupero del peso, pur in condizioni di peso
significativamente basso;
c) Disturbo nella percezione dell’immagine corporea, eccessiva influenza del peso
o dell’immagine corporea nella stima di sé, o persistente mancanza di
consapevolezza della gravità dell’attuale peso corporeo basso;
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