Si possono individuare quattro tipi distinti di copolimero:
- copolimeri casuali, in cui le diverse unità sono distribuite a
caso lungo la catena;
- copolimeri alternati, in cui i diversi monomeri si alternano
ordinatamente;
- copolimeri a blocco, dove monomeri diversi sono disposti nella
catena in sequenze relativamente lunghe di ogni monomero;
- copolimeri ad innesto, si tratta di catene costituite da un’unica
unità ripetente in cui si innestano ramificazioni di un altro tipo
di monomero.
fig.2) a-copolimero casuale, b-copolimero alternato, c-copolimero a blocchi, d-copolimero ad innesto.
In base al numero di unità ripetenti si possono definire:
- bassi polimeri per un numero di unità inferiore a 100;
- medi polimeri per un numero di unità compreso tra 100 e 1000;
- alti polimeri per un numero di unità superiore a 1000.
Alla tecnologia delle materie plastiche interessano in modo particolare gli alti
polimeri che in qualche caso possono raggiungere le centinaia di migliaia di unità
strutturali.
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Le proprietà fisiche distinguono i polimeri in:
- plastomeri (materie plastiche) gruppo di materiali sintetici che
mostrano spiccate caratteristiche di plasticità. Tra essi si
possono inoltre distinguere i termoindurenti ossia tutti quei
polimeri che hanno caratteristiche plastiche in una fase
intermedia della lavorazione e possono quindi essere foggiati
nelle forme volute entro stampi, ma che poi per effetto del
calore induriscono e diventano rigidi perdendo ogni plasticità
(polimeri reticolati) ed i termoplastici quelli, cioè, che sono
plastici in una data fase della lavorazione, diventano rigidi in
una fase successiva, ma che possono sempre ritornare allo stato
plastico per effetto del calore e ridiventare di nuovo rigidi con il
raffreddamento (polimeri lineari o ramificati);
- elastomeri (gomme) presentano, in un intervallo di temperatura
di impiego intorno alla temperatura ambiente, un
comportamento gommoelastico che, all’aumentare della
temperatura, viene conservato fino alla temperatura limite della
degenerazione chimica irreversibile (polimeri reticolati a maglia
larga); a questo gruppo appartengono i materiali termoelastici,
polimeri che, a temperature superiori al loro ambito di impiego,
divengono flessibili, di tipo elastomerico ed in questa fase
possono essere formati, ma non divengono scorrevoli sino alla
temperatura limite della degradazione termochimica.
Il processo che consente la produzione di polimeri è detto polimerizzazione.
In generale le reazioni di polimerizzazione possono essere classificate in:
- reazioni di polimerizzazione per addizione (o poliaddizione);
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- reazioni di polimerizzazione per condensazione (o
policondensazione).
La poliaddizione avviene in genere con monomeri che presentano un doppio
legame: la rottura del doppio legame, favorita da un catalizzatore, fornisce i punti
di attacco ai quali possono addizionarsi, cioè sommarsi, altre molecole e ciò
permette l’allungamento del polimero.
La reazione di policondensazione si ha invece tra monomeri che possiedono
particolari gruppi funzionali che si legano tra loro con la formazione, in genere, di
molecole d’acqua.
Dal processo di polimerizzazione derivano delle macromolecole di forma lineare
dette catene; è di fondamentale importanza la configurazione che una catena
polimerica può assumere rispetto ai cosiddetti centri di stereoisomeria.
I più importanti centri di stereoisomeria che possono trovarsi nei polimeri sono i
centri stereoisomerici tetraedrici, ovvero atomi di carbonio disposti lungo la
catena.
Normalmente le catene sono formate dalla successione di atomi di carbonio (o
silicio per i polimeri inorganici) uniti tra loro da legami di tipo covalente, i vari
segmenti di catena non sono fissi nello spazio ma possono ruotare, in modo più o
meno libero, attorno ai legami.
fig.3) Rotazione tra gli atomi di carbonio lungo la macromolecola
Si possono avere macromolecole formate da unità ripetenti aventi la stessa
costituzione chimica ma diversa disposizione nello spazio. La differente
configurazione porta a proprietà diverse del materiale.
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In generale le lunghissime catene polimeriche si dispongono in modo del tutto
casuale nello spazio con aggrovigliamenti fisici che contribuiscono ad aumentare
la resistenza del materiale.
La macromolecola, però, può anche assumere conformazioni orientate secondo una
direzione preferenziale (conformazione estesa) o con conformazione regolarmente
ripiegata o altrimenti elicoidale.
Rispetto alla catena, si possono formare ramificazioni laterali che riducono
l’impacchettamento delle catene polimeriche e favoriscono la disposizione casuale
nello spazio. Inoltre le ramificazioni indeboliscono i legami secondari abbassando,
quindi, la resistenza a trazione del materiale.
Le strutture lineari o ramificate sono tipiche dei polimeri termoplastici.
I polimeri non reticolati sono macromolecole che tendenzialmente, anche a causa
della loro mobilità, si dispongono nello spazio in modo disordinato, tuttavia alcuni
polimeri tendono, in regioni particolari, ad assumere una configurazione ordinata.
In base a questa caratteristica si individuano stati di cristallinità o amorfismo che
caratterizzano prestazionalmente il polimero. La fase cristallina è caratterizzata
dalla presenza dei cristalliti, strutture complesse in cui le catene polimeriche
assumono posizioni reciproche regolari almeno per parte della loro lunghezza.
Nei polimeri reticolati la cristallizzazione non può avvenire, in quanto la struttura
a “network” impedisce qualsiasi tipo di ordinamento.
Nella maggior parte dei casi le due fasi, cristallina e amorfa, coesistono.
Diventa quindi importante introdurre il concetto di grado di cristallinità con cui si
indica il rapporto (di solito espresso in percentuale) tra il peso della fase cristallina
ed il peso totale. La cristallinità nella maggior parte dei casi non supera il 60-70%.
Polimeri con un grado di cristallinità superiore al 90% sono considerati altamente
cristallini. Condizione necessaria per ottenere un polimero cristallino è che le
macromolecole che lo formano abbiano una conformazione regolare.
La presenza di ramificazioni porta ad una drastica riduzione della percentuale di
cristallinità del polimero, perché riduce la possibilità di movimento delle catene e
la consequenzialità dei ripiegamenti all’interno del cristallo.
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In base a quanto si è detto si possono individuare:
- Polimeri cristallini (o meglio semi-cristallini, in quanto la
presenza di cristalli non è mai totale) a cristalli orientati o non
orientati. Per la regolarità molecolare hanno prestazioni
meccaniche e chimico-fisiche maggiori rispetto agli amorfi ma,
per contro, sono più fragili e difficilmente lavorabili. Sono
normalmente opachi a causa della dimensione dei cristalli, che è
maggiore delle lunghezze d’onda della luce. Si tratta di polimeri
caratterizzati da una precisa temperatura di fusione determinata
dalla rottura dell’ordinamento cristallino a causa della
somministrazione di energia termica, al di sotto di questa
temperatura sono allo stato solido e quindi non possono essere
trasformati.
- Polimeri amorfi: la presenza di cristalliti è scarsa o nulla e le
forze che agiscono tra le catene sono molto deboli, per questo,
al contrario dei polimeri cristallini, presentano una bassa
resistenza alla trazione ed un’elevata duttilità per la possibilità
che le catene hanno di scivolare una sull’altra. Non hanno un
punto di fusione ben determinato e per effetto dell’innalzamento
della temperatura subiscono un graduale rammollimento,
dovuto alle oscillazioni molecolari, che ne riduce la viscosità.
Sono quindi generalmente meno resistenti ma più facilmente
lavorabili. Si presentano trasparenti (ad eccezione delle gomme)
perché non assorbono ma diffondono le onde elettromagnetiche
dello spettro visibile.
Esistono dei polimeri in cui le catene molecolari non presentano soluzione di
continuità in quanto sono vincolate tra di loro in punti detti di reticolazione; si
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forma così il caratteristico “network” (reticolo) struttura tipica dei
termoindurenti.
Questo tipo di struttura è inscindibile, sia per somministrazione di calore che
mediante solventi, e quindi un processo che le produca è quasi sempre
irreversibile.
Negli elastomeri vulcanizzati, la reticolazione, detta appunto vulcanizzazione,
interessa un numero di punti di reticolazione, detti ponti (cross-links), decisamente
inferiore rispetto ai termoindurenti, sicché il reticolo risulta meno fitto e il processo
è di conseguenza reversibile.
Gli elastomeri reticolati sono costituiti da polimeri amorfi, con bassa temperatura
di transizione vetrosa, che hanno subito una blanda reticolazione. Questa non
influisce sul comportamento elastico del polimero, ma ne impedisce la
deformazione plastica. Pertanto un polimero blandamente reticolato, a differenza
dello stesso non reticolato, recupera la sua forma iniziale una volta rimosso il
carico.
Nel caso dei polimeri, il passaggio dallo stato fuso a quello cristallino non avviene
a una temperatura netta, ma piuttosto in un intervallo di temperatura.
Si possono comunque individuare:
- La temperatura di transizione vetrosa (T
g
o T
v
- La temperatura di distorsione (T
): denominata
anche temperatura di congelamento, è la temperatura di
riferimento per i polimeri amorfi che al di sotto di essa hanno
un comportamento simile a quello del vetro, divengono rigidi e
fragili in quanto diminuisce la mobilità relativa tra le catene
polimeriche per il “congelamento” dei moti molecolari dovuto
all’abbassamento del livello energetico conseguente alla
sottrazione di calore;
d
): rappresenta la
temperatura massima di esercizio per il polimero, al di sopra di
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essa si ha un sensibile decadimento delle proprietà fisico-
meccaniche;
- La temperatura di fusione (T
f
o T
m
- La temperatura di decomposizione: corrisponde alla
temperatura dalla quale ha inizio il processo di degrado del
polimero. Se quest’ultima è prossima alla temperatura di
fusione, come accade per alcuni polimeri, diventa difficoltosa la
modellazione termica e la lavorabilità del polimero.
): si tratta della
temperatura a cui fondono le cristalliti è quindi caratterizzante
dei polimeri semicristallini, più ci si avvicina ad essa più
diminuiscono le proprietà meccaniche ma aumentano le
possibilità di modellazione;
Ipotizzando un polimero perfettamente cristallino, durante il raffreddamento dallo
stato fluido, la transizione liquido-solido avviene ad una precisa temperatura
(temperatura di fusione) ed è accompagnata da una variazione del volume
specifico. In particolare si ha una brusca contrazione di volume, tanto più elevata
quanto maggiore è la cristallinità. Questo comportamento è la principale causa del
fenomeno del ritiro.
Diversamente per i polimeri amorfi non si osserva un punto di solidificazione, ma
un aumento progressivo della viscosità del fluido che porta, senza discontinuità, il
polimero dallo stato liquido a quello solido con comportamento inizialmente
gommoso. In seguito, al di sotto di una certa temperatura (temperatura di
transizione vetrosa) il materiale ha un comportamento simile a quello del vetro. Al
di sopra della temperatura di transizione vetrosa le catene sono relativamente libere
di scorrere, pertanto il polimero si trova in uno stato gommoso e si presenta
morbido e flessibile; al di sotto di essa, invece, i movimenti relativi delle catene
sono impediti ed il polimero si presenta duro e rigido ed in genere anche fragile. Il
comportamento dei polimeri parzialmente cristallini risulta intermedio tra i due
precedenti.
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