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Introduzione
Il grande interesse nei confronti delle risorse rinnovabili nasce, nel
nostro Paese, dall’esigenza di ridurre la forte dipendenza dai
combustibili fossili, alla luce dell’estrema volatilità dei prezzi e la
costanza degli approvvigionamenti, che contraddistinguono questo
settore.
La situazione risulta ancora più critica in considerazione del fatto
che il fabbisogno nazionale di energia viene soddisfatto dalle
importazioni in misura dell’80%, influendo significativamente sulla
bilancia nazionale dei pagamenti nei confronti dei paesi esteri.
Un’altra problematica contingente, e che preoccupa l’opinione
pubblica, sono i fenomeni d’inquinamento legati alle emissioni di “gas
serra”, la maggior parte dei quali emessi in seguito alla combustione di
materiale di origine fossile, ai quali si attribuisce la responsabilità dei
cambiamenti climatici, ormai documentati non solo a livello globale,
ma anche a livello regionale e locale.
Entrambi questi aspetti sono evidentemente la conseguenza dei
crescenti consumi di energia della nostra società, ma anche
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dell’incremento dei consumi da parte dei paesi le cui economie sono
attualmente in forte crescita (es. Cina e India), a fronte della limitata
disponibilità delle fonti fossili.
Il ricorso alle fonti rinnovabili e una maggiore consapevolezza per
un uso più consapevole ed efficiente dell’energia, si impongono come
delle scelte strategiche inderogabili (Rossi, 2006). Negli ultimi anni si è
infatti assistito a importati cambiamenti nelle politiche europee e
nazionali, che “hanno accolto la necessità di diffondere e ottimizzare
l’uso delle fonti rinnovabili, anche attraverso un più razionale utilizzo
delle risorse locali” (Galli et al., 2004).
Il crescente interesse verso le colture energetiche già a partire dai
primi anni novanta, ha coinciso con il cambiamento di indirizzo delle
politiche agricole comunitarie, motivato dall’esigenza di contenere le
eccedenze alimentari, che si erano accumulate a seguito della politica
produttivistica e protezionistica perseguita dall’UE per un trentennio,
fino agli anni ’90.
Anche nella Riforma PAC del 1992 (Commissione Europea, 1996)
viene presa in considerazione la necessità di rendere le pratiche
agricole ecologicamente più rispettose e compatibili con l'ambiente.
Dalla Conferenza di Cork, nel 1996, emerge la nuova visione
multifunzionale dell’agricoltura, in seguito inserita in Agenda 2000
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(Buckwell, 1997), in cui si fa riferimento al ruolo strategico delle filiere
no-food nell’ambito delle politiche agricole. Le colture energetiche
vengono individuate come una valida opportunità per l’agricoltura,
perché rispondono sia a istanze di natura ambientale, in quanto
costituiscono una fonte di energia rinnovabile, che a istanze di natura
socio-economica, in quanto possono contribuire allo sviluppo di filiere
di produzione innovative localizzate nelle regioni piú rurali.
A distanza di qualche anno dall’inizio del nuovo corso della PAC, il
settore delle colture agro-energetiche non ha ancora raggiunto una
dimensione tale da poter consentire l’emergenza di un mercato
dell’energia che possa essere concorrenziale con l’energia di origine
fossile. Ciò è dovuto ad una serie di ostacoli che ne rallentano tuttora lo
sviluppo. In primo luogo, il prezzo di mercato dei combustibili fossili
resta ancora sostanzialmente conveniente, e frena lo sviluppo delle
energie alternative. Inoltre, le energie rinnovabili si basano ancora su
tecnologie che sono tuttora ad un livello pre-commerciale. Infine, la
presenza sul territorio nazionale di un duopolio, costituito da due
grandi complessi industriali dell’energia, quali ENI ed ENEL, rende di
fatto difficile l’ingresso di nuove imprese nel settore.
La negativa congiuntura che ha colpito le produzioni di cereali nel
2007 ha incrementato il livello di preoccupazione nell’opinione
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pubblica sulle disponibilità di alimenti per l’umanità. Si è presentata,
pertanto, una nuova conflittualità esistente tra la destinazione “food” e
“no-food” delle produzioni agricole, soprattutto tenendo presente i
problemi di malnutrizione di gran parte della popolazione mondiale,
che costituisce un ulteriore freno allo sviluppo del settore delle agro-
energie.
Sulla base di tali premesse, l’obiettivo del presente studio consiste
nell’individuare le condizioni che influiscono sullo sviluppo del settore
agro-energetico, ed in particolare che influenzano l’offerta di biomassa
da parte del settore agricolo. Nello specifico, poiché ci troviamo di
fronte ad un settore “nuovo”, in cui non esiste ancora un mercato, la
determinante fondamentale è innanzitutto costituita dal prezzo della
biomassa, che può essere anche influenzato da politiche di
incentivazione di sostegno indiretto dei prezzi (es. attraverso
l’erogazione di certificati verdi). Un ruolo importante è anche costituito
dal prezzo delle produzioni attualmente realizzate, e nei confronti delle
quali la biomassa rappresenta un sostituto. Inoltre, si assume che un
ruolo determinante sia esercitato anche dalle caratteristiche strutturali
delle aziende, che potrebbero influire sulle scelte dell’ordinamento
produttivo degli agricoltori, e che può influire in maniera significativa
sull’ offerta di biomassa.
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L’analisi, realizzata mediante un confronto tra la simulazione del
comportamento delle imprese sulla base di diverse assunzioni (ceteris
paribus) è stata sviluppata nell’ambito del paradigma neoclassico, in
cui si assume che l’imprenditore agricolo agisca in maniera razionale,
operi in condizioni di concorrenza perfetta, ed in presenza di
informazione completa e senza costi aggiuntivi. I risultati delle analisi
possono costituire un supporto per il decisore politico ed i portatori di
interessi coinvolti, al fine di definire strategie per il settore.
Il lavoro è diviso in sei capitoli. Nel primo capitolo si procede con
una descrizione del comparto produttivo delle biomasse seguita, nel
secondo capitolo, dalla descrizione delle colture energetiche
considerate, valutandone gli aspetti colturali ed energetici. Nel terzo è
trattato il contesto normativo nazionale e regionale, non tralasciando le
opportunità e/o le criticità del settore in Capitanata. Il quarto capitolo
illustra il modello per l’analisi economica del settore delle biomasse e
la metodologia di programmazione lineare per mezzo della quale si è
simulato il comportamento delle imprese agricole che costituiscono il
caso studio. Le caratteristiche strutturali delle aziende del campione e
la modalità di raccolta dei dati sono trattate nel quinto capitolo. Le
informazioni ottenute sono state esaminate nel capitolo dei risultati.
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L’ultimo capitolo, infine, riassume le considerazioni conclusive e le
possibili implicazioni economiche.
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1. Caratteristiche del comparto produttivo delle biomasse
Il termine biomassa comprende una gran quantità di materiali di
natura estremamente differenziata. Si può dire, con alcune eccezioni,
che è biomassa tutto ciò che ha una matrice organica.
La biomassa rappresenta la forma più sofisticata di accumulo
dell’energia solare. Mediante il processo di fotosintesi, infatti, i
vegetali convertono l’energia solare in energia chimica, stoccandola poi
sotto forma di molecole ad elevato contenuto energetico. Ed è proprio
per tale motivo che la biomassa viene considerata una risorsa rin-
novabile ed inesauribile, almeno finché la sua intensità d’impiego non
supera la capacità di rigenerazione delle formazioni vegetali.
Durante il processo di crescita, i vegetali contribuiscono alla
sottrazione dell’anidride carbonica atmosferica e alla fissazione del
carbonio nei tessuti mediante la fotosintesi, ed è per questo motivo che
le colture da biomassa sono considerate una fonte energetica che
consente di contenere l’incremento delle emissioni di gas a effetto
serra.
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A seguito della combustione della biomassa si genera una quantità di
anidride carbonica pari a quella fissata dalla pianta nel corso della
fotosintesi, rientrando pertanto nel ciclo naturale (Galleti et al., 2006).
Dal punto di vista commerciale, invece, la biomassa potrebbe essere
considerata una commodity, ossia un bene con caratteristiche
qualitative standardizzabili, tale da potere essere scambiato e stoccato
senza grandi difficoltà. In base a questa ipotesi, il prezzo si formerebbe
su un mercato di concorrenza impefetta, in i cui produttori sarebbero
price taker, e gli acquirenti, in numero minore, e aventi maggiore
potere contrattuale, sarebbero rappresentati dalle imprese di
generazione energetica. Per questo motivo la competitività della fase
agricola si baserebbe esclusivamente sui prezzi (Frascarelli, 2007). Il
fattore decisivo per la competitività delle imprese produttrici di
biomassa risulterebbe, quindi, nell’abbattimento del costo medio,
ottenuto agendo sia sulla produttività che sulla razionalizzazione dei
processi. Seguendo questa interpretazione, risulterebbero favorite le
imprese con situazioni strutturali tali da consentire bassi costi di
produzione, ovvero quelle aventi un’alta disponibilità di terra, un basso
costo della manodopera, e condizioni ambientali favorevoli alla
coltivazione. Occorre anche tenere conto del costo opportunità della
terra e del lavoro, in quanto potrebbe essere conveniente per
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l’agricoltore, introdurre le colture da biomassa nel momento in cui tali
risorse fossero sottoutilizzate.
Dalle considerazioni appena illustrate, appare evidente che in Italia
la produzione di biomassa presenta una serie di limiti strutturali non
trascurabili. In primo luogo il fatto che in Italia, ed in particolare in
negli ambienti meridionali, la fertilità del terreno è limitata dalla ridotta
presenza di terreni fertili (spesso utilizzati per colture ad alto reddito), e
da un clima prevalentemente asciutto con scarsa disponibilità idrica. In
secondo luogo i costi di produzione italiani sono sensibilmente più alti
rispetto ad altri paesi, perché sia la terra che il lavoro hanno un costo di
opportunità elevato dovuto all’elevata urbanizzazione ed alla possibilità
di impieghi extra-agricoli. Questi limiti non sono riscontrabili in paesi
che sono dotati di una maggiore disponibilità di terra e che possono,
quindi, sfruttare le economie di scala.
Dalle considerazioni appena esposte, appare evidente che se
l’agricoltore si limitasse solamente alla produzione di biomassa,
difficilmente potrebbe raggiungere livelli di reddito soddisfacenti. Ben
diversa sarebbe la situazione in cui l’agricoltore non si limitasse solo a
produrre la materia prima, ma ne effettuasse anche la trasformazione in
energia elettrica o calore, da poter poi destinare all’autoconsumo, o alla
vendita a terzi.