Capitolo 1 Dalla frammentazione all’integrazione,
le grandi tappe verso l’attuale Unione Europea.
Alla sua nascita l’UE era formata da economie nazionali distinte. Il transito delle
merci attraverso i posti di frontiera era rallentato dalle operazioni burocratiche e
dal pagamento dei dazi doganali. Nel 1958 il 23% della popolazione dei sei Stati
membri firmatari del Trattato di Roma ( Belgio, Germania, Francia, Italia,
Lussemburgo e Paesi Bassi ) lavorava nel settore agricolo. Nel 2001 tale cifra
viene rilevata al 4% per i 15 Paesi comunitari. Alla stessa data di inizio del
processo di integrazione ( 1958 ) il 40% della popolazione lavorava nell’industria,
tale cifra scende al 29% secondo le rilevazioni effettuate sull’Europa dei 15 nel
2001. Contrariamente al passato, si comprende come i servizi rappresentino, di
gran lunga, la maggiore fonte di posti di lavoro, le statistiche segnalano una
percentuale di occupazione nel settore terziario pari al 67% contro il 37% del
1958
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. Tale tendenza non è mutata con le successive operazioni di ampliamento,
attraverso le quali, sono entrati nell’Unione Europea Paesi sia prevalentemente
rurali sia industriali ( il riferimento è alla Danimarca, Irlanda e Regno Unito nel
1973, alla Grecia nel 1981, alla Spagna e al Portogallo nel 1986 e Austria,
Finlandia e Svezia nel 1995 ). Anche le infrastrutture hanno tratto giovamento dal
processo di integrazione ed avvicinamento, se nel 1958 vi erano solo 3.000 Km di
autostrade nei Paesi che attualmente compongono la compagine europea, oggi si
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I dati sono tratti dalla Relazione della Commissione Europea titolata “Puntare alla crescita -
L’economia dell’UE” , il manoscritto figura ultimato nella sua stesura ad opera della Direzione
Generale Stampa e Comunicazione nel Settembre 2003.
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possono stimare 52.000 Km. Indice di facile rivelazione del tenore di vita della
popolazione può essere il possesso di un’automobile, nel 1958 solo il 6,6% della
popolazione possedeva un’automobile, al 2001 una persona su due. Alle stesse
deduzioni si giunge se valutiamo l’entità giornaliera di viaggi aerei compiuti, la
suddetta oggi risulta 30 volte superiore rispetto al passato. Dalla nascita le tappe
che hanno scandito il processo di integrazione possono essere sintetizzate nelle
seguenti:
1. creazione dell’Unione doganale
2. concretizzazione del mercato unico
3. Unione Economica e Monetaria (UEM)
In primis l’Unione doganale, completata nel 1968, ha gettato le basi per la libera
circolazione delle merci nello spazio comunitario. Il tutto ha reso maggiormente
eque le condizioni di scambio per tutti coloro che importano dal resto del Mondo,
unificando l’entità del costo di importazione che risulta uguale indipendentemente
dal punto di accesso delle merci nel territorio dell’Unione doganale. Di
conseguenza gli scambi commerciali risultano più efficienti e i prezzi
maggiormente concorrenziali mentre aumentano le possibilità di scelta dei
consumatori che hanno a propria disposizione una sempre più ampia gamma di
alternative di consumo. I vantaggi dell’Unione doganale sono stati evidenti fin
dall’inizio: nel 1970 il volume degli scambi tra i Paesi membri era sei volte
maggiore rispetto a quello registrato 12 anni prima e gli scambi con il resto del
Mondo erano triplicati, le economie nazionali registravano tassi di crescita al
doppio e tassi di velocità di espansione maggiore di quelli dell’economia
statunitense. Con la creazione dello spazio comunitario di libero scambio era stato
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eliminato solo il limite evidente alla libertà commerciale e alla concorrenza e
quindi al progresso sociale ed economico, rimanevano tuttavia molte
complicazioni burocratiche che ostacolavano gli scambi. Gli ispettori doganali
non erano scomparsi ma continuavano a fermare gli autocarri ed i treni merci per
verificare i documenti di trasporto e spesso anche il contenuto dei mezzi. Si
calcola che nel 1988 tutto ciò costasse inutilmente all’industria ed ai governi 9
miliardi di euro all’anno. Ulteriore ostacolo era rappresentato dalla diversità dei
requisiti tecnici e dalla regolamentazione in materia ambientale in quanto, nei vari
Paesi, gli standard non erano necessariamente più alti o più bassi ma
semplicemente diversi per ragioni storiche. In chiave odierna, il lavoro per
sviluppare standard europei comuni risale a molto tempo fa ma non dobbiamo
dimenticare quanto furono inizialmente lenti i progressi in merito. Inoltre durante
la recessione economica provocata dalla crisi petrolifera del 1973 e del 1979
l’interesse per una maggiore integrazione economica è diminuito. Per quanto se ne
riconoscessero i vantaggi nel lungo termine, le operazioni di adeguamento
necessarie a breve termine parevano troppo dolorose. Fu solo all’inizio del
decennio successivo che gli Stati membri sono stati pronti ad affrontare e
preparare la tappa successiva. Risale all’inizio del 1986 l’Atto Unico Europeo,
recante il modello del mercato unico. Lo stesso fissava come termine la fine del
1992 per l’eliminazione delle molte barriere al commercio ancora esistenti. Per
realizzare il mercato unico è stato necessario adottare più di 1.000 atti legislativi
in un arco temporale di sette anni. La creazione dello spazio comune ha sostituito
i controlli doganali sulle merci con sistemi basati sulla fiducia e su controlli
effettuati prima della partenza ed all’arrivo. Il mercato unico ha contribuito a
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creare fiducia negli standard adottati dagli altri Paesi e nelle loro tecnologie che
possono pertanto essere anche diverse nei dettagli ma che rispettino i criteri di
sicurezza stabiliti. Con la creazione del mercato unico diventa possibile per le
imprese fornitrici di servizi erogare gli stessi anche oltre le frontiere nazionali.
Molte iniziative sono state intraprese in concomitanza al fine di garantire che in
tutti i Paesi dell’UE il diritto societario, le norme contabili riferite alle imprese e
le regole sulla proprietà individuale, riflettano un approccio abbastanza similare.
Le restanti barriere alla libera circolazione dei capitali sono state
progressivamente abbattute sia per quanto concerne gli investimenti commerciali
che per la destinazione del risparmio. Per gli istituti finanziari è divenuto più
facile aprire sedi in tutto il territorio comunitario a fronte di una quantità minima
di formalità da adempiere, al tempo stesso sono state adottate iniziative per
garantire che i clienti godano ovunque di pari protezione. Significativa è stata la
progressiva liberalizzazione di servizi che tradizionalmente erano stati soggetti a
monopolio statale come le telecomunicazioni, i trasporti aerei, le ferrovie, i servizi
postali, il gas e l’elettricità, il tutto in una prospettiva di miglioramento del
servizio destinato all’utenza e di razionamento dei costi relativi. L’incremento
della concorrenza fa bene alle imprese europee, le quali per questa via possono
mantenere la loro posizione sulla graduatoria mondiale. Il mercato unico ha
consentito di sfruttare una buona parte del potenziale dell’economia europea, tra il
1992 e il 2002 esso ha generato un aumento di 1,8 punti percentuali della crescita
del Pil dell’intera area e ancora nello specifico:
x ha creato nei primi dieci anni quasi 900 miliardi di euro di ricchezza
aggiuntiva, che equivalgono a circa 6.000 euro in più per famiglia;
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x ha creato circa 2,5 milioni di posti di lavoro in Europa dal 1992;
x ha contribuito ad una crescita del 30% degli scambi di prodotti fabbricati
nell’UE dal 1992;
x ha rappresentato un fattore chiave per la crescita del flusso degli
investimenti diretti all’interno dell’area UE, tale flusso è risultato, nel
2000, dodici volte superiore a quello segnalato nel 1992;
x ha incoraggiato l’afflusso di capitali da investimenti diretti esteri;
x ha reso l’UE maggiormente competitiva sul piano internazionale, il dato
sulle esportazioni è quasi raddoppiato dal 1992 al 2001, passando dal 6,9%
del Pil nel 1992 all’11,2% del 2001;
Allo stato attuale sono in corso ulteriori iniziative, soprattutto in seno al
rafforzamento del mercato unico dei servizi. Ne concludiamo che il mercato unico
è tuttora in fase di realizzazione ed ha in sé la capacità di apportare ulteriori
vantaggi in futuro. Ancora prima della stesura dell’Atto Unico gli economisti
avevano segnalato che le economie degli Stati membri per potere realizzare
insieme ed interamente il proprio potenziale economico avrebbero dovuto
comportarsi in maniera maggiormente similare, secondo un processo che da allora
venne indicato di “convergenza”. L’Unione economica e monetaria (UEM)
rappresenta la tappa successiva, un passaggio difficile ma necessario ed
auspicabile per continuare ad avanzare. Nel 1969 l’UE aveva fissato l’obiettivo di
realizzare l’UEM entro il 1980 ma il cammino non risultò tanto facile quanto
previsto. La recessione degli anni ’70 ha contribuito al rallentamento dei lavori, il
processo si può ritenere concretamente ripreso solo dopo il 1978 con una più
stretta cooperazione sui tassi di cambio, il relativo riavvio può essere collocato
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temporalmente nel 1988 per arrivare al completamento della prima delle tre fasi
diagnosticate per la costruzione della UEM nel 1990. Negli anni successivi si
delinea una chiara divisoria tra le finanze dei governi e le banche centrali; i
governi non hanno più la possibilità di rivolgersi alle banche centrali per la
monetizzazione del debito pubblico al fine di ottenere il pareggio contabile del
conto di sintesi. Nel 1994 viene completata la seconda fase del progetto con la
creazione dell’Istituto monetario europeo (IME), predecessore della nostra BCE.
Nell’ambito di tale fase i governi si impegnano a non vivere al di sopra dei propri
mezzi, vengono fissati dei massimali sulle dimensioni che il debito pubblico ed il
disavanzo potevano raggiungere. Inoltre viene impostato un sistema di vigilanza
multilaterale volto al monitoraggio sulle decisioni adottate in materia di bilancio,
al fine di segnalare prontamente eventuali scelte lesive per le economie degli Stati
membri. Per l’adozione della moneta unica da parte degli aspiranti membri
vennero fissati precisi criteri di convergenza, comunemente noti con la locuzione
di “criteri di Maastricht” dal nome della città in cui sono stati enunciati nel 1992:
x stabilità dei prezzi: il tasso di inflazione non deve superare di oltre 1,5
punti percentuali quello medio dei tre Stati membri che nell’anno
precedente hanno registrato il migliore tasso di inflazione;
x il disavanzo pubblico, inteso come divario tra entrate e uscite pubbliche,
deve essere in generale inferiore al 3% del Pil;
x debito: il limite è fissato al 60% del Pil ma un Paese il cui rapporto tra
debito pubblico e Pil è superiore a tale limite può comunque adottare la
moneta unica purché si verifichi la condizione di stretta decrescenza del
rapporto stesso;
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x il tasso di interesse a lungo termine: tale tasso non deve superare di oltre 2
punti percentuali quello medio dei tre Stati membri che nell’anno
precedente hanno registrato il migliore tasso di inflazione;
x stabilità del tasso di cambio: il tasso di cambio deve essere rimasto
all’interno dei margini della banda di fluttuazione predefiniti per due anni.
I margini da prendere a riferimento sono quelli del meccanismo di cambio
europeo, un sistema opzionale con cui gli Stati membri potevano, se lo
desideravano, legare la loro moneta all’euro.
Il segnale di inizio della UEM completa è stato dato il 1° gennaio 1999 con
l’introduzione dell’euro in 11 degli Stati membri: Austria, Belgio, Finlandia,
Francia, Germania, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Portogallo e
Spagna. La Grecia che inizialmente non riusciva a rispettare i criteri di
ammissione figurò nella compagine nel 2001. L’euro diventa così la moneta
ufficiale dei Paesi partecipanti dalla data di adesione degli stessi all’Unione,
tuttavia la stessa resta moneta scritturale fino al 1° gennaio 2002, la sua
utilizzazione è pertanto in un primo periodo unicamente destinata ai movimenti di
denaro “virtuali”, passando per un periodo di doppia circolazione moneta
nazionale - euro, intermezzo volto alla migliore assimilazione del grande
cambiamento in atto. I vantaggi della moneta unica sono intanto quelli evidenti,
immediatamente percepibili come il minore aggravio derivante al cittadino per lo
spostamento e relativi atti di consumo nel territorio comunitario, ovvero non
limitato alle frontiere nazionali; ma le ragioni che motivano e giustificano
l’introduzione della moneta unica sono ben più profonde. L’aumento
dell’integrazione porterà vantaggi a lungo termine per la concorrenza, la crescita e
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la prosperità garantendo una situazione di bassa inflazione e consentendo alle
imprese di operare con maggiore efficienza. Molte economie nazionali, con
l’adesione all’euro, si giovano dei vantaggi derivanti da una valuta internazionale,
rafforzando per questa via il proprio peso sugli scambi internazionali nonché
facilitando la conclusione degli stessi. I cambiamenti derivanti dall’introduzione
della moneta unica non hanno tardato a manifestarsi ed in primis sui mercati
finanziari fin dalla sua introduzione come moneta contabile. I governi della zona
euro nella maggior parte dei casi hanno pagato nell’immediato tassi di interesse
minori sui prestiti richiesti, sia perché operanti in un contesto economico stabile
caratterizzato da bassa inflazione e bassi tassi sia perché oggetto del prestito era
una valuta estremamente liquida, il che ne riduce sensibilmente il costo relativo. I
vantaggi sono percepiti allo stesso modo dagli imprenditori i cui progetti di
investimento sopportano un costo connesso al finanziamento più basso ed i
consumatori nella scelta di indebitamento. Ma l’UEM non è solo l’euro, l’accordo
comporta il rispetto di una serie di regole ricomprese nel Patto di stabilità e
Crescita. Con il Patto tutti i Paesi dell’UE si impegnano a far si che i loro bilanci
siano in equilibrio o prossimi alla situazione ottimale nel medio periodo, per tale
via si può evitare l’accumulazione del debito, fenomeno che in passato aveva
costretto i governi a ricorrere all’aumento della pressione fiscale o alla drastica
riduzione delle spese per investimenti produttivi. In casi eccezionali si consente il
superamento del limite del 3% del rapporto debito/Pil, ma la giustificazione
all’esubero deve ricondursi ad un rallentamento del contesto internazionale, come
il periodo di crisi successivo agli attacchi terroristici del 2001. Per infrazioni non
giustificate del Patto, lo Stato colpevole è obbligato ad adottare azioni correttive
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immediate. In assenza di azioni spontanee rapide, le misure correttive possono
essere imposte dalla Commissione o dagli altri Paesi membri. In assenza di
risposta adeguata, il trasgressore è obbligato a versare commisurate somme in
denaro presso la Commissione. Tali somme corrono il rischio di essere trattenute
se lo Stato non adotta provvedimenti idonei a recuperare il pareggio in bilancio. Il
duro trattamento previsto per gli Stati trasgressori è formulato alla luce delle
esigenze di tutela delle altre economie facenti parte del sistema e che,
inevitabilmente, risulterebbero compromesse dall’adozione di comportamenti
scorretti da parte di un parimenti membro. Ogni anno la Commissione europea e
gli Stati membri verificano il rispetto del Patto, ciò è possibile attraverso la
comunicazione delle informazioni necessarie da parte di ogni Paese firmatario,
sotto forma di programma di stabilità, mentre per i Paesi che non aderiscono
all’euro si prevede che gli stessi dovranno presentare i relativi programmi di
convergenza che contengono ulteriori informazioni, rispetto a quelle presentate
dai Paesi dell’euro, riguardanti l’economia del Paese e il confronto tra questa ed i
parametri di Maastricht. La Commissione inoltre verifica costantemente in che
misura gli Stati membri conseguono gli obiettivi fissati, al fine di rafforzare
sempre più l’integrazione, nel complesso e nel singolo settore di analisi. La
stabilità dei prezzi crea un ambiente roseo per l’economia, depositaria del ruolo di
controllo per il mantenimento della stabilità è la Banca Centrale Europea (BCE).
A tale scopo la BCE fissa i tassi di interesse per le operazioni con il sistema delle
banche centrali nazionali, su tale base si costruisce poi tutta la struttura dei tassi di
interesse adottati dal singolo istituto per il compimento di operazioni con la
clientela. Il livello del tasso di sconto (tasso base) viene valutato al fine del
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2 Per maggiori informazioni sull’allargamento, consultare il sito Internet della Commissione
europea: http://europa.eu.int/comm/enlargement
mantenimento della stabilità dei prezzi nell’area euro, con un aspettativa di
inflazione vicina ma inferiore al 2% a medio termine. L’istituto, con sede a
Francoforte, gestisce inoltre le riserve in valuta dell’area euro e ha la facoltà di
acquistare valuta estera sui mercati monetari internazionali con la finalità di
influenzare il tasso di cambio dell’euro. La BCE rappresenta il cuore del SEBC,
cui fanno capo tutte le banche centrali nazionali.
1.1 Più unità, più pluralismo - Il più grande allargamento della storia
dell’Unione europea.
L’allargamento dell’Unione europea
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nel 2004 è volto a sanare la ferita aperta dal
conflitto est-ovest e dalla Guerra fredda. I nuovi Paesi dell’Europa centro-
orientale, insieme a Malta e Cipro, sono membri legittimi dell’UE e i loro popoli
condividono gli stessi obiettivi di democrazia, libertà e prosperità degli altri
cittadini dell’Unione. Essi hanno dovuto soddisfare rigidi criteri di adesione.
L’allargamento stimolerà la crescita economica sia nei vecchi sia nei nuovi Paesi
dell’UE, a vantaggio di tutti. L’allargamento ha destato preoccupazioni tra i
cittadini degli Stati membri attuali e di quelli nuovi, ma si è fatto il necessario per
fugarle. Un’UE a venticinque, a 27 dal primo gennaio 2007, instaurerà nuove
relazioni con i suoi vicini e con il resto del Mondo.
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