Prospettive di sviluppo della presenza italiana in Croazia e Serbia-Montenegro
2
Intersos – che, grazie alla loro conoscenza del territorio, hanno agevolato
l’individuazione di fonti e contatti attendibili.
L’idea che sta alla base di questa Tesi è che un’analisi delle prospettive di
investimento nei paesi che paiono più promettenti, non può essere composta
solo da un mero approfondimento della situazione economica, e dei settori in
cui risulta più profittevole investire. Per questo motivo è stato deciso di
rivolgere il primo capitolo all’approfondimento di che cosa era la Jugoslavia e
lo jugoslavismo. Sostenitrice di una terza via che si distanziasse dalla guerra
fredda, la Jugoslavia ha fatto dell’autogestione il proprio modello di
conduzione dei rapporti fra operai e dirigenti. Nonostante la carica innovativa
rivestita dal socialismo di mercato durante gli anni sessanta, esso è fallito a
causa della sua stessa natura. La mancanza di chiarezza sui rapporti e sui
diritti di proprietà, unite alla questione del reinvestimento dei profitti, hanno
condotto all’implosione del sistema. Il totale fallimento del socialismo di
mercato, è sfociato nel caos e nella guerra, nella distruzione e nella
balcanizzazione. Con un forte ritardo nei confronti dei paesi dell’Europa
centro-orientale, le Repubbliche della ex-Jugoslavia hanno anch’esse iniziato
il lungo cammino verso la transizione. Approfondendo i tempi e le modalità
differenti, il capitolo si concentra sul percorso intrapreso dalla Croazia e dalla
Serbia e Montenegro, nel processo di transizione verso un’economia di
mercato.
Nel tentativo di comprendere da vicino gli ostacoli che si troverebbe ad
affrontare l’imprenditore che decidesse di investire in Croazia o in Serbia e
Montenegro, si è tentato di individuare le principali difficoltà che ostacolano
una maggiore cooperazione. L’intuizione di dedicare l’intero secondo capitolo
ai ritardi che fanno, non solo della Croazia e della Serbia e Montenegro, ma
dell’intera area balcanica, una regione dalle infrastrutture carenti, nasce
dall’analisi dei rapporti con l’Italia. Il nostro paese non compare mai fra i
principali investitori nell’area, ma è presente come maggiore partner
commerciale. Lo scopo dell’analisi è quindi quella di comprendere come un
miglioramento dei collegamenti possa portare a un incremento
dell’interscambio. Il capitolo si pone l’obiettivo di individuare le priorità su
cui agire. In sede europea, l’allargamento a Est è anche una questione di
competitività in cui il Sistema Italia è chiamato a confrontarsi con l’agguerrita
concorrenza di nazioni come Austria e Germania. Il fascino rivestito dalla
qualità dei prodotti italiani non è sufficiente. La capacità di fare squadra è
l’elemento che consentirà all’Italia di crescere, e di camminare, lungo quel
ponte di collegamento fra Europa e Asia, quale sono i Balcani.
La seconda parte della Tesi è un modesto tentativo di approfondire la
conoscenza delle due principali personalità della ex-Jugoslavia. Le due
nazioni che da sempre hanno visto contrapposte le proprie visioni a proposito
degli Slavi del Sud: Croazia e Serbia e Montenegro. Il terzo capitolo è
interamente dedicato alla piccola Repubblica Croata. Con accenti a volte un
po’ critici, questo capitolo vuole essere un monito allo studente dotato di
qualità sopra la media, ma che tuttavia non si impegna fino in fondo. Questo è
la Croazia. Un allievo al quale è richiesto qualcosa in più degli altri, poiché ha
tutte le qualità per poterlo fare. Stretta fra la latente invidia per l’asburgica
Slovenia e l’innato senso di superiorità nei confronti della vicina Serbia, la
Croazia rischia di perdersi lungo la via verso l’Unione Europea. Nello scrivere
queste pagine, l’obiettivo è stato quello di sostenere la tesi secondo cui le
riforme votate all’Europa debbano prevalere sul nazionalismo e le derive
xenofobe, di questo coinvolgente e quanto mai complesso paese.
Fortemente diversa è la situazione della Comunità degli Stati di Serbia e
Montenegro. Sin dal suo nome ufficiale, la Serbia e Montenegro presenta tutta
la sua complessità. Il quarto capitolo tenta di fare luce su questa instabilità
tutta balcanica. Durante i mesi di ricerca sul campo, la Serbia e Montenegro è
cambiata. Nell’ottobre scorso sono iniziati i negoziati per l’adesione
all’Unione Europea. Ad aprile, quegli stessi negoziati, che promettevano
buoni auspici, sono stati interrotti per la mancata collaborazione con il
Tribunale dell’Aja e a maggio, la Comunità degli Stati di Serbia e
Prospettive di sviluppo della presenza italiana in Croazia e Serbia-Montenegro
4
Montenegro, ha cessato di esistere. La nazione è stata divisa in due da una
piccola rivoluzione di velluto che ha condotto all’indipendenza del
Montenegro. È stato tuttavia deciso di non modificare quanto scritto fino a
quel momento, poiché i dati raccolti sulla situazione economica non sono
cambiati. La questione rimane aperta e si offre ad ampi dibattiti su quali
percorsi intraprenderanno queste due nuove travagliate realtà istituzionali.
Il terreno su cui per secoli le potenze europee hanno incrociato le proprie
spade si sta lentamente preparando ad entrare in Europa. In questi territori,
austriaci, francesi, ottomani, britannici e russi hanno accordato gli strumenti
del loro concerto europeo, concedendo alle popolazioni locali solo musiche
stonate, e custodendo per sé il dolce suono dei violini. È tempo che la
suadente musica europea raggiunga le orecchie balcaniche.
Dal Regno degli Slavi del Sud alla Transizione
DAL REGNO DEGLI SLAVI DEL SUD ALLA
TRANSIZIONE
È abbastanza curioso che negli scritti di Marx e di Engels non si trovasse
alcuna discussione di un processo di rapida industrializzazione con priorità
per le industrie pesanti, né si trovasse alcun cenno alla pianificazione, che
era destinata a diventare il principio centrale dei sistemi socialisti, anche se
la pianificazione è implicita in un’economia socializzata.
Eric J. Hobsbawn
“Il secolo breve”
1.1 IL CONTRASTO FRA STATO UNITARIO E
AUTODETERMINAZIONE
Gli Slavi del Sud
Spiegare la situazione attuale della penisola balcanica solo in termini di
opportunità di investimento e di incremento dei traffici commerciali sarebbe
un’opera incompleta. Le separazioni culturali e politiche del panorama
odierno hanno radici che affondano nei secoli e che non possono essere
ignorate, anche in un’analisi che si prefigge di essere prevalentemente
economica.
I conflitti balcanici degli anni 90 trovano la loro origine più remota nella
caduta dell’Impero romano nel 395, e in ciò che ne è conseguito. La
progressiva costituzione dell’Impero Bizantino e la cristianizzazione degli
slavi macedoni e serbi, da parte di Cirillo e Metodio. A partire dal III secolo,
tribù slave sono penetrate nei territori dell’attuale ex-Jugoslavia in un lento
processo di colonizzazione durato circa due secoli. Tutto ciò ha contribuito ha
Prospettive di sviluppo della presenza italiana in Croazia e Serbia-Montenegro
6
creare le strutture che sono alla base delle due società civili jugoslave
1
: la
società sloveno-croata e quella serba. Il Medioevo ha lasciato in eredità
questo dualismo, acuitosi nel tempo, dove la Slovenia è stata cristianizzata fin
dall’VIII secolo, ricadendo sempre più sotto il raggio di influenza asburgico.
Allo stesso modo la Croazia, anch’essa cattolica, ha conosciuto una debole
indipendenza fino all’anno mille, con i Re Tomislav e Zvonomir (morto
attorno al 1070). I croati hanno aiutato Bisanzio contro i bulgari, ottenendo
così il beneplacito alla formazione di uno Stato indipendente, riconosciuto
anche dal Papato. In un secondo momento il debole regno croato ha cercato
l’alleanza con l’Ungheria al fine di limitare l’espansionismo veneziano,
finendo, assieme ai bosniaci, per essere annessi all’Ungheria.
I tratti salienti dell’identità serba medievale sono invece l’inclinazione per il
martirio e l’eroismo miliare. L’importanza della componente militare può
essere riletta in chiave moderna nell’attuale questione del Kosovo, che non
può essere compresa fino in fondo se si tralasciano gli elementi di cui sopra.
Il Kosovo rappresenta nell’immaginario comune serbo, e in gran parte della
retorica politica odierna, l’ultimo baluardo della serbizzazione dei Balcani.
L’impero serbo ortodosso al tempo dei Nemanjiči (1217-1389) con la sua
chiesa autocefala, il suo zar e la sanguinosa sconfitta contro i turchi al Campo
dei Merli (28 giugno 1389)
2
sono elementi da considerare in qualsiasi analisi
di sviluppo. Questioni etniche non risolte impediscono alla regione di trovare
quella stabilità istituzionale, necessaria a creare un clima favorevole alla
crescita del paese. Dinamiche 02 6996961
Ritornando alla contrapposizione fra le due società civili, è inoltre possibile
spiegare in chiave storica l’attuale disagio dei croati rispetto alla propria
identità e ai forti movimenti nazionalisti (in parte rinati in nome degli ustaša).
1
L’espressione Società civili jugoslave è tratta da J. Kaulić, L’état du monde, in G.Prévélakis,
I Balcani, Il Mulino, Bologna 1994.
2
Il Regno della Grande Serbia comprendeva all’incirca gli attuali territori del Montenegro, del
Sangiaccato (Sandjak in turco significa provincia) di Novi Pazar e le provincie di Kosovo e
Metohija. Ne erano esclusi l’attuale Serbia propria con la capitale Belgrado e la provincia
autonoma della Vojvodina. Per questa ragione i serbi considerano il Kosovo parte integrante
del loro territorio e, in un’ottica di accesi nazionalismi, non ne concepiscono la secessione né
tanto meno un’eventuale annessione all’Albania. Per un’analisi delle richieste albanesi su
questo territorio si veda R. Morozzo della Rocca Nazione e religione in Albania Il Mulino
1990.
Dal Regno degli Slavi del Sud alla Transizione
Il partito degli Ustaša è stato fondato nel 1929, dall’avvocato Ante Pavelić,
con il nome di Partito del Diritto. Diverse stime concordano sul fatto che
questo movimento nazionalista abbia mietuto fra le duecento e le
seicentomila vittime durante la seconda guerra mondiale: in particolar modo
serbi ortodossi e ebri croati
3
.
Per la Croazia il 1102 non rappresenta solo l’annessione all’Ungheria. Esso è
il segno della divisione fra la nostalgia per un grande Stato indipendente e
l’accettazione delle norme di sottomissione a un composito insieme
multiculturale ungherese, germanico e cattolico, che li ingloba. La Croazia è
investita, da parte della Santa Sede, del compito di ergersi come ultimo
baluardo della cristianità davanti all’avanzata ottomana. E’ sufficiente
riflettere sulla forma geografica dello Stato croato, per intuire come questo
paese abbia da sempre ricoperto un ruolo in antitesi con l’altra anima degli
slavi del sud. Mentre i croati sono cresciuti in un ambiente cattolico, i serbi
hanno vissuto sotto la dominazione ottomana dalla caduta del Kosovo fino al
1815. Anche in questo caso è doveroso sottolineare come alcuni episodi,
vecchi di secoli, svolgano ancora oggi un ruolo di primo ordine nella
spiegazione degli odi nazionalistici che attraversano i Balcani. Il maggiore
esempio è la rivolta del 1690, che ha provocato una grande migrazione di
serbi del Kosovo verso le regioni della Vojvodina e della Croazia, soggette
agli Asburgo. Parte del problema attuale delle regioni croate con popolazione
serba trae la propria origine da queste migrazioni.
4
Facciamo ora un notevole balzo in avanti fino al 1815 per analizzare la via
serba all’indipendenza. I serbi sono stati fra i primi popoli slavi ad affrancarsi
dalla dominazione ottomana, cercando di intraprendere un cammino a metà
fra tradizione e modernità, fra impero multietnico e stato moderno. La rivolta
contro i turchi inizia nel 1804, capeggiata da Karagjorgje (Giorgio il Nero) e
incoraggiata, con motivazioni differenti, da Austria e Russia. Nel 1815 la
3
Per maggiori informazioni sul movimento degli ustaša e sulla figura di Ante Pavelić, a metà
fra carnefice ed eroe nazionale, si rimanda a J.M. Le Breton, Una storia infausta. L’Europa
centrle ed orientale dal 1917 al 1990, Bologna, Il Mulino, 1997.
4
A quasi dieci anni dalla fine dei bombardamenti ci sono ancora degli attriti malamente celati
su questioni legate ai confini fra la provincia della Vojvodina (parte dell’Unione degli stati di
Serbia e Montenegro e abitata da serbi) e la regione croata della Slavonia orientale ( abitata da
una folta minoranza serba).
Prospettive di sviluppo della presenza italiana in Croazia e Serbia-Montenegro
8
dinastia Karagjeorgjević, affiancata da un’altra famiglia locale, quella degli
Obrenović, regala alla Serbia una prima fase di autonomia dalla Sublime
Porta. Sarà il Congresso di Berlino del 1878 a sancire l’indipendenza della
Serbia e del Montenegro dall’Impero Ottomano, a cui rimane tuttavia il
controllo della Macedonia. Giorgio il Nero e gli Obrenović guidano, fra
intrighi e attentati, i destini della Serbia fino alla proclamazione del
Kraljevstvo Srba, Hrvata i Sloveneca (Regno dei serbi, croati e sloveni) il 28
giugno 1921
5
. Contestualmente alla dipartita ottomana, si accentua la
condizione di isolamento del Montenegro. Questa piccola regione sulla costa
adriatica non è mai stata interamente controllata dai turchi, a causa del
territorio montuoso che la caratterizza. La sostituzione dell’impero ottomano
con un ben più debole regno serbo, permette alla popolazione montenegrina
di coltivare i propri interessi di autonomia. L’attuale classe politica
montenegrina basa la propria politica secessionista sul carattere fiero dei
montenegrini, unico popolo in grado di resistere costantemente alle pressioni
delle invasioni musulmane e, per questo, meritevole di essere ricompensato
con l’indipendenza.
6
Il XIX secolo segna anche l’inizio del declino ottomano
in territorio europeo. La Sublime Porta, nel tentativo di modernizzarsi, è
incapace di resistere al suo stesso smembramento. L’indebolimento ottomano
allontana da Costantinopoli anche coloro che non erano attirati dalle influenze
russe o liberali. In questa ottica inizia a delinearsi, verso la fine del secolo,
un’identità albanese
7
come reazione di autodifesa di una popolazione
musulmana abbandonata ai suoi nemici. Il senso di responsabilità verso i
5
La nuova Costituzione è conosciuta come la Costituzione di Vidovdan (Vidovdanski ustav)
poiché siglata il giorno di S.Vito. Il 28 giugno è, per i serbi ortodossi, una festa religiosa ma
anche una data ricorrente nella loro storiografia. Dalla già citata sconfitta al Campo dei Merli
all’assassinio dell’Arciduca Francesco Ferdinando nel 1914. Dal 28 giugno del 1948, che
segna la rottura definitiva con l’Unione Sovietica, a quello del 2001, giorno del trasferimento
di Slobodan Milošević al Tribunale dell’Aia.
6
Il Montenegro è stato chiamato a esprimersi attraverso un referendum popolare
sull’indipendenza dalla Serbia il 21 maggio 2006. La questione verrà dibattuta in forma più
approfondita nella sezione dedicata all’Unione degli Stati di Serbia e Montenegro; per ora è
sufficiente ricordare la forte componente demagogica che ha soffocato il dibattito, impedendo
una obiettiva analisi dei pro e dei contro della secessione.
7
Il secondo elemento che contribuirà alla nascita di una identità albanese sarà l’arrivo delle
truppe nazi-fasciste. Non è questa la sede per approfondire l’intricata relazione di interessi fra
l’Alto Comando italiano e il Militärbefehlshaber Südost tedesco da un lato, e i vertici
dell’Islam albanese capeggiati da Behxhet Shapati e la Reggenza transitoria di Mehdi Frashëri
dall’altro. Si rimanda però a R. Morozzo Della Rocca, op. cit.
Dal Regno degli Slavi del Sud alla Transizione
musulmani dei Balcani da parte dell’attuale governo di Ankara, si giustifica
nel rimorso provato nei confronti di quei fratelli abbandonati il secolo
precedente, dall’Impero Ottomano.
Gli elementi delineati fino a questo momento servono a introdurre il progetto
jugoslavo e le sue contraddizioni. Fin dalla sua prima nascita, questo paese è
stato internamente travagliato da due diverse concezioni della politica, e in
particolare, del ruolo dello Stato. Le repubbliche di Slovenia e Croazia
sostengono una concezione decentralizzata e pluralista, fondata sulla
sovranità e l’autodeterminazione; in contrasto con la visione unitaria di un
forte Stato centralista sostenuta dalla Serbia. Tali concezioni sono il risultato
di quelle che Kaulić definisce le due società civili jugoslave. Nel corso
dell’ultimo secolo, lo Stato degli Slavi del sud ha rappresentato per ben due
volte un obiettivo geopolitico fondamentale per le potenze europee. È stato
prima il cordone sanitario dell’Europa di Versailles
8
e, dopo la seconda
guerra mondiale, la finestra sull’altro mondo
9
per entrambi i blocchi
contrapposti nella guerra fredda. Il fallimento dello jugoslavismo
10
deve
essere riportato tanto alle diverse concezioni dell’organizzazione interna dello
Stato, quanto alle ingerenze esterne. Il primo elemento genera costantemente
delle forze centrifughe, mentre il secondo spinge i popoli verso l’unione. Lo
Stato jugoslavo si è sempre fatto e disfatto in situazioni mutevoli di crisi,
lasciando spazio a interpretazioni del concetto di stato comune e di
jugoslavismo astratto, molto distanti fra loro. La prima concezione degli anni
trenta identifica lo jugoslavismo
11
con la dittatura reale, mentre la visione
8
Gli Asburgo sostenerono il progetto di un Regno unitario per gli Slavi del Sud.
L’unificazione comprendeva tanto gli slavi appartenuti o ancora appartenenti all’Impero
Ottomano, quanto quelli ancora parte dell’Impero austroungarico. Il cordone sanitario era
stato concepito per frapporre questo stato slavo fra la Mittle Europa asburgica, la Russia che
aveva trovato nella Bulgaria la propria estensione sull’Egeo, i musulmani albanesi e quello
che rimaneva dell’Impero Ottomano.
9
Entrambe le espressioni in corsivo sono tratte da N. Rajaković in J. Rupnik (a cura di), De
Sarajevo à Sarajevo, l’échec yougoslave, Complexe, Bruxelles 1992.
10
Sul tema dello jugoslavismo, cfr. Dejan Djokic, Yugoslavism: histories of a failed idea
(1918-1992), Hurst & co. Londra 2003. Diana Johnstone, Fools’ crusade: Yugoslavia, NATO
and Western Delusions, Monthly Review Press, New York, N.Y, 2002. Aleksandar Pavković,
From Yugoslavism to Serbism: the Serb national idea 1986-1996, Nations and Nationalism
Volume 4 ottobre 1998.
11
Il principale sostenitore di questa “comunanza jugoslava” è il vescovo cattolico croato
Josip Strossmayer (1815-1905). Nelle sue diverse forme che iniziano a prendere forma alla
fine del XIX secolo, lo jugoslavismo di Strossmayer tende ad un insieme jugoslavo che
Prospettive di sviluppo della presenza italiana in Croazia e Serbia-Montenegro
10
titina sarà sinonimo di un regime totalitario, nato dal Movimento di
liberazione nazionale durante la seconda guerra mondiale.
L’inizio dell’epopea titina e la fine della guerra civile greca nel 1949
rappresentano la conclusione di un intenso periodo di violenza nella penisola
balcanica. La pax balcanica verrà sconvolta di nuovo più di quaranta anni
dopo, con gli scontri a fuoco fra serbi e croati negli anni Novanta. Paragonata
ai precedenti secoli di scontri, questi quaranta anni di tregua sono una
parentesi in grado di creare un’illusione di stabilità. La Repubblica Socialista
Federativa di Jugoslavia è riuscita a sfruttare questa effimera stabilità,
rafforzandola attraverso la strumentalizzazione di entrambe le ideologie
dominanti durante la guerra fredda. Lo sviluppo economico e sociale, unito
alla modernizzazione del paese, è l’elemento sostenuto tanto dalla totalitaria
ideologia comunista, quanto dalla dottrina liberista. La Jugoslavia ha provato
a crescere seguendo entrambi i modelli e facendosi sostenitrice di una terza
via non allineata
12
. Come spesso accade, il trapianto di modelli socio-
economici alieni, in un contesto che gode di peculiarità proprie come la
Jugoslavia, crea crisi di rigetto. La prova più lucida di questa teoria può
essere ritrovata nel fallimento dei due modelli: quello marxista e quello
liberale. Secondo questi, la soluzione dei problemi di sviluppo economico, e
di equilibrio sociale, è sufficiente a disinnescare qualsiasi fonte di attrito
legata all’identità nazionale. L’irruzione della modernità ha cristallizzato per
oltre quaranta anni il complesso schieramento delle identità, senza riuscire a
unire la regione sulla base di un’identità globale e senza riuscire a consegnare
alla Serbia l’ambito ruolo di Piemonte balcanico
13
. Le parole che più di trenta
anni fa Edmund Stillman scrisse
14
a proposito dell’irruente modernizzazione
inglobi tutti i territori dalla Slovenia alla Bulgaria, affrancandosi dal dominio asburgico. Sulla
figura di Strossmayer, vedi: Paul Garde “I Balcani” Il Saggiatore, Milano 1996.
12
Il Movimento dei paesi non allineati nasce in Indonesia nel 1955 dopo la prima conferenza
di Bandung. Gli ispiratori del movimento furono il Maresciallo Josep Broz Tito, assieme al
premier egiziano Colonnello Gamal Abdel Nasser e al leader indiano Jawaharlal Nehru. Tutti i
paesi facenti parte di questo movimento si dichiaravano socialisti secondo una via nazionale,
diversa cioè dal modello sovietico.
13
In seguito all’unificazione italiana, parte della dirigenza serba inizia a pensare all’idea della
Serbia come il Piemonte degli Slavi del sud. Essi vedevano il progetto jugoslavo come uno
stato di cui la Serbia fosse l’anima. Si veda Jean Marie Le Breton, op.cit.p.309.
14
Edmund Stillman, in G. Prévélakis, op.cit., “I Balcani sono un avvertimento. E per coloro
che pensano che dieci anni nella vita di una nazione costituiscano un’eternità, per coloro che
Dal Regno degli Slavi del Sud alla Transizione
(non solo economica ma anche politica e culturale), devono essere un monito
per quelle élite intellettuali che vedono nelle ideologie economicistiche l’alibi
dietro cui celare la cristallizzazione dei conflitti balcanici. La cartina
tornasole della complessità balcanica viene agitata da Misha Glenny (1999), il
quale si interroga sul significato e sulla determinazione geografica degli stessi
Balcani. La mancanza di univocità nel definire dove questa regione
geografica cominci, e finisca, è la prova di come diversi punti di vista
possano condurre a interpretazioni opposte. Ci limitiamo alla guerra fredda
registrando come la parte settentrionale della regione sia diventata
un’appendice dell’imperialismo sovietico, i ribelli socialisti jugoslavi e
albanesi abbiano assunto il nome di Adriatico orientale mentre la Grecia sia
divenuta la strategica regione NATO del Mediterraneo orientale.
Contestualmente, il termine Balcani, gravido di significati politici, ha
abbandonato i testi ufficiali per ripresentarsi solo “in caso di assassini e
intrighi che gettano un ombra sull’altrimenti placido ordine del sud-est
europeo”
15
.
Come è facile evincere da quanto fin qui analizzato, sono molti gli autori
impegnatisi a spiegare, con risultati diversi, che cosa sono i Balcani. A questo
proposito, pare opportuno citare le parole di John Gunther, famoso giornalista
americano. Gunther, in un suo libro del 1940 Inside Europe, descrive i
Balcani nei seguenti termini: “It is an intolerable affront to human and
political nature that these wretched and unhappy little countries in the Balkan
peninsula can, and do, have quarrels that cause World Wars. Some hundred
and fifty thousand young Americans died because of an event in 1914 in a
mud-caked primitive village, Sarajevo. Loathsome and almost obscene snarls
in Balkan politics, hardly intelligible to a Western reader, are still vital to the
peace of Europe, and perhaps the world”
16
.
credono che il prestigio nazionale, la potenza e la prosperità restino tali nel corso del tempo,
rappresentano un avvertimento mortale .I Balcani sono tutto il contrario del facile ottimismo.
Ci insegnano che tutto passa, tutto si rompe, tutto si sgretola.”
15
M. Glenny, The Balkans, Granta Books, London 1999, p. xxiv.
Prospettive di sviluppo della presenza italiana in Croazia e Serbia-Montenegro
12
La dissoluzione jugoslava
Prima di approfondire le ragioni che portano alla dissoluzione della
Repubblica Socialista Federativa di Jugoslavia, è opportuno illustrare la
struttura su cui questo paese si è basato fino agli anni ottanta.
Il principale organo esecutivo è il Governo Federale, coadiuvato da un
Presidente con il compito di controfirmare i decreti e dare interpretazioni
sulla giusta applicazione delle leggi. Esiste anche un Parlamento, composto
da una Camera Federale e da una seconda Camera, in cui vengono
rappresentate le cinque Repubbliche. Il Parlamento è tenuto a riunirsi due
volte all’anno ed è, in pratica, privo di poteri. La limitazione della proprietà
privata è sancita dalla Costituzione originale e la nascita della Jugoslavia
registra la nazionalizzazione a ritmo serrato di miniere, banche, assicurazioni,
ferrovie, industrie e imprese commerciali.
La conservazione dell’unità interna e dell’indipendenza nazionale, ottenute al
termine della seconda guerra mondiale, non sarebbero stati difendibili senza
la presenza dei seguenti fattori
17
:
-La Jugoslavia ha sempre fatto affidamento sul proprio leader, una
personalità carismatica in grado di stemperare gli attriti, e capo incontrastato
della Lega dei Comunisti.
-La rottura con l’Unione Sovietica ha rappresentato l’elemento di coesione
interna utile ad avvicinare Tito ai suoi oppositori.
-Una situazione economica migliore di ogni altro paese comunista
-L’utilità della Jugoslavia nello scacchiere della politica internazionale.
Dopo questa introduzione sulla Jugoslavia di ieri, è ora possibile rivolgere
l’attenzione alla situazione odierna, cercando di capire le cause del
disfacimento jugoslavo.
La fine della Repubblica Federale Jugoslava, e la successiva trasformazione
in Comunità degli Stati di Serbia e Montenegro, segna la dissoluzione
16
Citato in M. Todorrova, Imagining the Balkans, Oxford, 1997, p.119.
17
Indicati da Christopher Cviic “Rifare i Balcani” Il Mulino Contemporanea/61, Bologna
1993.
Dal Regno degli Slavi del Sud alla Transizione
definitiva della già Repubblica Socialista Federativa di Jugoslavia. Una delle
questioni più dibattute sulla Jugoslavia è l’ipotesi che il paese sia stato, in
qualche modo, una creazione artificiale.
Nato forse come risposta alle ingerenze ungheresi, l’illirismo
18
croato e serbo
del diciannovesimo secolo si proponeva di unire, in una nazione unica,
popolazioni che parlano varianti della stessa lingua. Un’unica nazione dotata
del diritto naturale all’indipendenza e alla libertà. Analizzata in questa ottica
illirica, la mappa dei Balcani del ventunesimo secolo appare più artificiale del
regno originario. I veri sconfitti nelle atrocità degli anni novanta sono il
popolo jugoslavo, che per la maggior parte non desiderava la fine del paese.
Se da un lato la Slovenia pare essere ormai una quieta provincia asburgica, il
Kosovo è ancora retto da un protettorato internazionale di stampo
ottocentesco, dove le connivenze mafiose ne fanno uno dei luoghi più corrotti
d’Europa. Allo stesso tempo Milo Djukanović continua a regnare in
Montenegro mentre i bosniaci sono ancora governati da Lord Ashdown
19
.
L’artificiosità dello Stato jugoslavo rimane una questione di forte attualità ma
il farsi e disfarsi di questo paese nel corso dei secoli è un dato di fatto
ineccepibile.
Il declino dello jugoslavismo moderno è precedente alla morte di Tito; il
processo di detitizzazione ha inizio nel 1974 con la nuova Costituzione di
Kardelj. La nuova Carta sottrae alla competenza federale tutte le questioni
tranne gli esteri, la sicurezza e la difesa. Viene inoltre stabilito che il potere
della Federazione deriva dalle Repubbliche, definite Stati. Da quel momento
tutte le dimostrazioni di jugoslavismo diventano avverse alla nuova idea di
Stato. Tutto ciò in un periodo storico in cui, tanto l’aumento dei matrimoni
misti, quanto i successi sportivi jugoslavi, dimostravano la riuscita del
progetto illirico. Non è un caso che il declino economico segua
repentinamente i disordini sociali. Le origini della crisi economica jugoslava
vanno ricercate nei cambiamenti fondamentali avvenuti negli ambienti
18
Illiria era il nome che i Romani avevano dato ai Balcani. Paul Garde, op. cit.
19
Lord Ashdown è il Rappresentante Speciale dell’Unione Europea in Bosnia Erzegovina
dall’11 marzo 2002. L’obiettivo principale della sua missione è la lotta al crimine organizzato
e la supervisione all’implementazione delle riforme politiche. Il suo mandato sancisce che
l’operato sarà in collaborazione con altre organizzazioni dell’UE e con attori locali.
Prospettive di sviluppo della presenza italiana in Croazia e Serbia-Montenegro
14
internazionali, durante gli anni settanta. La recessione, in seguito al
vertiginoso aumento dei tassi di interesse sul debito estero denominato in
dollari americani, non risparmia la Jugoslavia. Le autorità sostengono la
crescita durante tutti gli anni settanta, attraverso massicci prestiti dall’estero.
Ciò permette l’importazione di quella tecnologia necessaria a migliorare la
competitività internazionale del paese. In maniera repentina, la crisi globale
fa registrare uno spostamento della domanda di beni jugoslavi verso prodotti
a minor valore aggiunto e beni primari. Le aree che risentono in maniera più
acuta di questa crisi sono quelle che non riescono a modernizzarsi, perdendo
decisamente in competitività (Serbia, Kosovo, Bosnia-Erzegovina e
Macedonia)
20
. Il Governo decide di far fronte al declino economico
introducendo misure di austerità, atte a limitare le importazioni non
considerate indispensabili. Purtroppo, anche a causa di una forte opera
demagogica, i sentimenti di odio interetnico e di malcelata fiducia nei
confronti delle altre Repubbliche, iniziano a minare la stabilità della pax
balcanica. Bisogna dare atto alle autorità di aver promosso, nella prima parte
degli anni ottanta, un’ampia discussione pubblica su quelle che sarebbero
state le riforme necessarie per il paese: dalla riforma del sistema politico ai
rapporti con la Comunità Europea, fino alla liberalizzazione del commercio
all’interno del GATT. Ciò nonostante, la forte disillusione creatasi con il
fallimento di queste riforme getta le basi per il disfacimento dell’ordine
sociale e per il rinfocolarsi dei nazionalismi. Il biennio 1985-86 presenta
oramai tutte le caratteristiche di una situazione pre-rivoluzionaria, con tassi di
disoccupazione superiori al 20 per cento in tutte le Repubbliche, ad
esclusione di Slovenia e Croazia. L’inflazione cresce del 50 per cento
all’anno e, in molti scambi interni al paese, il Marco tedesco viene oramai
preferito al dinaro. La polarizzazione economica che ne consegue, e
l’assottigliamento della classe media, conducono ad una polarizzazione
sociale. Si sviluppano sentimenti localistici e anti-politici, secondo i quali le
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La prossimità geografica ha, in parte, sostenuto l’economia croata e soprattutto quella
slovena. Fin dai primi anni settanta molte imprese austriache hanno costruito nuovi
stabilimenti lungo la linea di confine fra i due paesi per sfruttare in maniera migliore l’alta
formazione tecnica di ingegneri e operai specializzati sloveni ad un costo decisamente
inferiore.
Dal Regno degli Slavi del Sud alla Transizione
cause della sopravvenuta austerità economica sono da attribuire alle altre
etnie. La precaria situazione economica spinge le autorità jugoslave a
decidere di concerto una nuova modifica della Costituzione
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, per rispondere
in maniera più incisiva alle richieste del Fondo Monetario Internazionale.
L’unico risultato ottenuto è il sommarsi, alla crescente crisi economica,
dell’incertezza politica, dovuta a una Costituzione facilmente modificabile. I
continui attacchi alla Costituzione portano, nel novembre del 1986, a un
nuovo accordo che esenta le singole Repubbliche dal contribuire al budget
federale concedendo loro, de facto, l’indipendenza fiscale. Il quarantennale
sistema Bratstvo i Jedinstvo
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fra le nazioni viene ufficialmente infranto.
Slovenia e Croazia sono le prime Repubbliche a denunciare apertamente la
situazione di crisi, che travalica i confini economici per raggiungere temi di
carattere sociale e etnico. Sono soprattutto i movimenti giovanili di stampo
liberale in Slovenia, e appartenenti alla destra conservatrice in Croazia, a
manifestare il loro dissenso. Il contesto in cui questi gruppi agiscono è quello
di una situazione economica migliore rispetto alla Serbia, dove la denuncia è
affidata alle élite intellettuali di un paese atavicamente alle prese con l’affaire
Kosovo
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. Da più parti giungono richieste di riforme economiche orientate a
introdurre maggior mercato. Uno dei maggiori oppositori rimane però, fino
alla fine degli anni ottanta, il Presidente della Lega dei Comunisti Jugoslavi,
Stipe Šuvar. Egli ritiene che la nazione non sarebbe in grado di sostenere il
costo sociale di una riforma votata all’efficienza economica, in un paese con
sei milioni di lavoratori su di una popolazione di 23 milioni. In questo
contesto di ristrettezza economica, il paese si priva anche di uno dei migliori
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La prima delle modifiche costituzionali degli anni ottanta è datata 1982. Il Primo Ministro
Milka Planinc sancisce la soppressione del principio di scelta a rotazione del Primo Ministro e
dei più alti gradi della nomenclatura jugoslava secondo il criterio della proporzionalità etnica,
in favore di criteri meritocratici. Questa riforma, pensata con l’intento di rendere la struttura di
Governo più efficiente, è il primo germe dell’instabilità politica del paese che si avvia verso
un periodo di “baratto” delle cariche più importanti fra le Repubbliche.
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La Jugoslavia titina aveva fondato l’unità dei popoli slavi del sud sul motto “Fratellanza e
Unicità”. Secondo alcuni osservatori dell’epoca, la sostituzione di questo motto con il più
generico Unione (ndt. la traduzione italiana unicità non è in grado di sottolineare la
differenza;) è la prova di come l’idea stessa di Jugoslavia stesse svanendo. Per ulteriori
approfondimenti si rimanda a S.L. Woodward, Balkan Tragedy, The Brookings Institution,
Washington 1995, p.74.
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I censimenti del 1961 e del 1981 registrano un vertiginoso aumento della popolazione di
etnia albanese presente in Kosovo, che passa dal 67% del primo censimento al 78% del 1981.