2
intellettuale dal campo dei diritti fondamentali è stato sancito dalla conclusione, in
seno all’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO), dell’accordo Trade
Related Aspects of Intellectual Property Rights (TRIPs) del 1994. Tale accordo ha
agganciato i diritti di proprietà intellettuale al sistema WTO. Così, ad esempio, il
rispetto dell’accordo è garantito dal sistema di composizione delle controversie
WTO – fatto del tutto nuovo rispetto al passato; inoltre, è possibile per gli Stati
concludere accordi bilaterali per sancire un livello di protezione più elevato
rispetto a quello previsto dall’accordo TRIPs, estendendo tali previsioni a tutti i
membri WTO in forza della clausola di nazione più favorita. Proprio in forza di
questo nuovo bilateralismo “di ritorno”, assistiamo ad una serie di baratti fra Paesi
in via di sviluppo e Paesi industrializzati: i primi garantiscono elevati standard di
protezione della proprietà intellettuale, in modo tale che le imprese dei Paesi più
industrializzati possano delocalizzarsi senza rischi, e questi ultimi concedono ai
Paesi in via di sviluppo una serie di facilitazioni commerciali. L’articolo 4
dell’accordo TRIPs, e la sua applicazione generalizzata e senza deroghe di
sostanza, costituiscono un formidabile ostacolo nell’esercizio di quel minimo
margine discrezionalità da parte dello Stato per il bilanciamento di interessi
esterni alla proprietà intellettuale.
È ancora possibile, in questo contesto, invocare la proprietà intellettuale
come diritto fondamentale? Può un’impresa, persona giuridica, invocare la
protezione di un diritto fondamentale? Prima di chiederci se proprietà intellettuale
e diritti fondamentali sono in conflitto oppure meno, occorre rispondere a queste
domande. Un’indagine sul nucleo fondante dei diritti di proprietà intellettuale –
condotta in parte dalla Commissione delle Nazioni Unite sui Diritti Economici,
Sociali e Culturali nel General Comment No. 17 – ci rivela che alcuni aspetti della
proprietà intellettuale sono da considerarsi diritti fondamentali, mentre altri
pertengono alla protezione di interessi economici non suscettibili di protezione
alla stregua di diritti fondamentali. Nel primo caso, il rapporto fra due diritti
fondamentali dovrà essere, in qualche modo, declinato, al fine di garantire tanto i
3
diritti fondamentali dell’autore/inventore, quanto gli altri diritti fondamentali:
ecco dunque farsi strada una serie di possibili soluzioni, fra cui l’approccio della
giusta remunerazione, il bilanciamento dei diritti oppure l’implementazione
progressiva, che spiegheremo meglio nel Capitolo III. Nel secondo caso, invece,
occorre essere chiari: il rapporto fra diritti fondamentali e interessi di natura
economica è un rapporto di natura gerarchica, che vede i primi prevalere sugli
ultimi. Naturalmente, non è facile individuare gli aspetti della proprietà
intellettuale che pertengono al rispetto di diritti fondamentali, ma non è nemmeno
impossibile. Utilizzando l’angolo visuale degli human right, se davvero vogliamo
prendere sul serio la funzione incentivante della proprietà intellettuale, è possibile
circoscrivere il nucleo fondamentale della tutela nella garanzia dei diritti morali
dell’autore/inventore e nel riconoscimento, a questo, di una remunerazione tale da
garantirgli un adeguato standard di vita. Tutto il resto – per tagliare con l’accetta
– appartiene alla categoria degli interessi economici.
La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha imboccato una strada diversa,
ancorando il rispetto dei diritti di proprietà intellettuale al diritto di proprietà
materiale inteso come diritto fondamentale. A nostro giudizio, l’equazione
proprietà materiale – proprietà intellettuale è un’operazione affrettata e pericolosa.
È affrettata, perché compie due salti logici di non breve momento: (1) accetta
implicitamente l’idea che la protezione di autori ed inventori possa essere
assicurata soltanto mediante sistemi di natura proprietaria; (2) dà per scontata
un’equiparazione fra proprietà intellettuale e materiale che non ha radici storiche e
che ha deboli basi teoriche. La definizione onnicomprensiva della Corte Europea
dei Diritti dell’Uomo conduce alla conclusione che può essere considerato diritto
fondamentale anche il diritto di marchio, sebbene questo possa essere reclamato
soltanto da una persona giuridica. Tale equazione è anche pericolosa, perché
qualsiasi limitazione ai diritti di proprietà intellettuale, pur motivata da superiori
interessi di natura pubblica, dovrà essere valutata alla stregua dell’articolo 1 del
Protocollo I della Convenzione. È però prematuro – e forse anche ingeneroso –
4
tacciare la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di faciloneria. La giurisprudenza
della Corte sembra infatti essersi appropriata della nozione di funzione sociale
della proprietà nel senso più ampio del termine, cioè di un diritto di proprietà
garantito soltanto laddove questa possa garantire il perseguimento di obiettivi
sociali altri rispetto alla proprietà stessa. Non sfugge, infatti, come la Corte, per il
momento, abbia respinto tutte le azioni promosse da titolari di proprietà
intellettuale.
Ora, ridimensionata la portata del diritto fondamentale di proprietà
intellettuale, il problema si sposta. Conflitto o coordinamento? A nostro avviso,
negare l’esistenza del conflitto è operazione di natura ideologica che non tiene
conto di due aspetti. Il primo sta proprio nella dimensione del diritto fondamentale
di proprietà intellettuale: quando la Corte Suprema degli Stati Uniti ci ricorda che
il copyright è diritto fondamentale garantito dalla Costituzione al pari della libertà
di espressione, dimentica che il copyright del 1787 è assai diverso dal copyright
dei nostri giorni. Il secondo aspetto sta nella fiducia incondizionata nell’abilità, da
parte del legislatore nazionale o internazionale, di saper equilibrare all’interno
della disciplina della proprietà intellettuale le esigenze di protezione e quelle di
accesso. E se il legislatore sbaglia? Se le limitazioni ai diritti di proprietà
intellettuale non sono sufficienti a garantire il godimento di diritti fondamentali?
Se lo sfruttamento delle privative mette a rischio, ad esempio, l’accesso ai farmaci
essenziali? La rinuncia a prendere atto del conflitto a priori, anziché a posteriori,
è atto di natura ideologica, sicuramente censurabile anche solo alla luce del
buonsenso giuridico.
Le soluzioni al conflitto, che possono apparire chiare dal punto di vista
teorico, non lo sono affatto nella realtà terrena. A livello internazionale, l’accordo
TRIPs è dotato di meccanismi di enforcement, ma i diritti fondamentali faticano
ad entrare nella giurisprudenza degli organi di composizione delle controversie.
D’altro canto, è abbastanza irrealistico pensare che la Corte Internazionale di
Giustizia si pronunci in merito ad un eventuale conflitto fra TRIPs e diritti
5
fondamentali. L’accordo TRIPs ha tentato di garantire, al suo interno, un regime
di lex specialis per l’accesso ai farmaci essenziali da parte dei Paesi meno
sviluppati, per alleviare la tensione fra brevetti e diritto alla salute. Lo sviluppo
limitato di tale regime, affiancato dalla difficoltà, da parte di alcuni Paesi, di
azionare licenze obbligatorie, segna il fallimento di un tentativo di soluzione tutto
interno all’accordo TRIPs, senza la necessaria ricognizione dell’esistenza di diritti
fondamentali che non possono essere calpestati dalle privative. Una soluzione di
carattere esterno è stata invece adottata nella disciplina sull’accesso alle sementi:
anche se ancora troppo presto per giudicare l’impatto delle nuove regole sul diritto
al cibo, manca comunque una seria ricognizione dei cd. breeders’ exemption e
farmers’ privilege. Per il copyright si sta tentando di percorrere un strada interna
all’accordo TRIPs, cioè l’apertura delle maglie del cd. three – step test. Senza una
ricognizione della fondamentale libertà di espressione, però, tale apertura rischia
di essere inutile. Gli Stati non sono infatti obbligati a prevedere alcuna limitazione
al diritto d’autore ai sensi dell’accordo TRIPs, e poco importa che sia loro
consentito farlo in forma più o meno ampia: una strada diversa potrebbe essere
percorsa, quale ad esempio una definizione in positivo del pubblico dominio ed un
sistema minimo di limitazioni, aperto e flessibile.
Un discorso a parte meritano le misure di protezione tecnologica –
introdotte dal WIPO Copyright Treaty del 1996 – e i marchi. I pericoli insiti nelle
prime si possono riassumere nella privatizzazione della tutela della proprietà
intellettuale, non accompagnata da una chiara definizione dei limiti e delle
limitazioni oltre le quali tale tutela non può estendersi. L’interferenza fra marchi e
libertà di espressione – che, a dire il vero, ben poco ha a che fare con l’accordo
TRIPs – è frutto invece di un malinteso sullo scopo della disciplina dei marchi.
Tale malinteso è tuttavia attualmente avallato dalla giurisprudenza europea,
incapace, a differenza della giurisprudenza statunitense, di ragionare al di fuori
della stretta nozione di attività imprenditoriale per abbracciare una logica di più
ampio respiro.
6
L’approccio al rapporto proprietà intellettuale – diritti fondamentali, in
questo nostro lavoro, è scevro da qualsiasi richiamo ai meccanismi antitrust
previsti all’interno dell’accordo TRIPs. Non si dubita sulla loro potenziale
efficacia nel temperamento di alcune tensioni determinate dallo sfruttamento delle
privative. Né si ignora che il temperamento di tali tensioni potrebbe fornire
qualche risposta, ad esempio, in tema di accesso ai farmaci o di protezione delle
varietà vegetali, laddove i problemi più rilevanti, spesso (ma non sempre) si
determinano a seguito di comportamenti anticoncorrenziali (cd. abuso delle
privative). Il problema è di metodo. Il nostro lavoro non discute di
concorrenzialità dei mercati; non mette affatto in discussione il livello di
protezione della proprietà intellettuale accordato dai singoli ordinamenti, spintosi
verso l’alto grazie alla flessibilità dell’accordo TRIPs; non ha l’ambizione di
individuare un giusto livello di protezione che assicuri gli interessi del titolare e
dei terzi. La nostra prospettiva – che pure è discutibile – è quella dei diritti
fondamentali, che si colloca su un piano diverso rispetto a quello della tutela della
concorrenza. È una prospettiva molto più impervia e molto più incerta – perché
comporta necessariamente un contributo esterno all’accordo TRIPs –, ma non per
questo meno degna. Peraltro, lo spettro dei problemi analizzati con la lente dei
diritti fondamentali è più ampio rispetto a quello analizzato con gli strumenti
antitrust: impedire la pubblicazione di una foto da parte del titolare del copyright
non è un comportamento anticoncorrenziale, ma è un atto che, potenzialmente,
lede la libertà di espressione di chi intende pubblicare quella foto.
Il nostro lavoro si compone di sei capitoli. Il Capitolo I è dedicato ad una
ricognizione delle fonti normative del sistema internazionale della proprietà
intellettuale, con un occhio di riguardo sia alla cd. corsa al rialzo degli standard
di protezione, sia al fenomeno del regime shifting, frutto di un rapporto disturbato
– ed, in definitiva, conflittuale – fra l’attuale protezione della proprietà
intellettuale e i diritti fondamentali. Il Capitolo II prende in rassegna le fonti
normative che si occupano del rapporto fra proprietà intellettuale e diritti
7
fondamentali: la Sezione I è dedicata alla proprietà intellettuale come diritto
fondamentale, la Sezione II alla normazione del conflitto proprietà intellettuale –
diritti fondamentali (in larga parte frutto della strategia di regime shifting descritta
nel Capitolo I), mentre la Sezione III si occupa del caso particolare della
Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, l’unico strumento di human right,
nel contesto internazionale, la cui applicazione sia garantita da una Corte
accessibile ai singoli individui. Il Capitolo III tenterà di rispondere all’alternativa
conflitto – coordinamento da un punto di vista teorico. La seconda parte del
lavoro adotta un approccio più concreto: il Capitolo IV analizza le interferenze fra
proprietà intellettuale e libertà di espressione, il Capitolo IV le interferenze fra
proprietà intellettuale e diritto alla salute, il Capitolo VI le interferenze fra
proprietà intellettuale e food security. Al termine, alcune considerazioni
conclusive.