2
necessità di risultare “facili” da comprendere ed usare per un numero
sempre maggiore ed eterogeneo di utilizzatori.
Alla luce di ciò, questioni relative all’interfaccia (che “media” fra
l’uomo e la macchina), ad un alto livello di usabilità dei prodotti
informatici, ad una quanto più possibile rigorosa valutazione di predetta
usabilità hanno assunto enorme rilevanza: proprio questi argomenti
costituiscono l’oggetto del presente lavoro.
Nella fattispecie, nel primo capitolo viene analizzata la
problematica dell’interfaccia, proponendo una panoramica generale
della situazione attuale e del retroterra concettuale circa i relativi studi,
oltre ad offrire possibili soluzioni (individuando dei principi nella
progettazione delle interfacce) per un uso più “amichevole” dello
strumento informatico.
Migliorare l’interfaccia dei prodotti informatici, e in particolare
dei siti Web (di cui questo studio si occupa), significa migliorarne
l’usabilità.
Quest’ultimo concetto, ancora non semanticamente considerato in
modo univoco dalla comunità scientifica, viene affrontato nel secondo
capitolo, cercando di individuare, fra i contributi (debitamente
sintetizzati) di vari studiosi, quelli ritenuti più significativi e
3
pragmaticamente (oltre che teoricamente) validi: attenzione particolare è
stata riservata a J. Nielsen, universalmente considerato il “guru” degli
studi sull’usabilità dei prodotti informatici.
Il passo successivo è stato quello di focalizzare l’attenzione - nel
terzo capitolo - sulla valutazione dell’usabilità: accanto ai metodi già
esistenti, se ne è elaborato uno originale, teso a rendere suddetta
valutazione quanto più oggettiva possibile, grazie al contributo integrato
di utenti ed esperti.
Ovviamente si è messo in luce quanto sia preferibile effettuare la
valutazione prima che il sito venga messo in Rete, così da apportare
eventuali correzioni senza attendere che gli internauti ne sperimentino
possibili insufficienze.
Per accostarci ai suddetti argomenti, abbiamo privilegiato
l’utilizzo di un linguaggio complessivamente semplice, all’interno del
quale si è cercato di chiarire ogni termine o concetto che potesse
risultare in qualche modo ostico: abbiamo provato a rendere questo
contributo “usabile” anche per coloro i quali, pur non essendo “addetti ai
lavori”, intendano approfondire le tematiche ivi considerate.
4
CAPITOLO I - INTERFACCIA
PREMESSA
Agli inizi del terzo millennio, le società più avanzate - nelle quali
cioè il tenore di vita medio risulta più elevato - sono contraddistinte da
un’economia in cui il processo di espansione del settore terziario assume
enorme rilevanza.
Tale processo, che ha visto - e tuttora vede - una sempre maggiore
quota di forza lavoro impiegata nei servizi (piuttosto che nell’agricoltura
e nell’industria), ha interessato la gran parte dei paesi del mondo, pur se
con tempi e modalità differenti.
Manutenzione dei beni (elettrodomestici, case, automobili, ecc.),
cura del corpo (palestre, saloni di bellezza, ecc.), viaggi (prenotazioni,
formule “tutto compreso”, ecc.) sono ormai usuali nella quotidianità di
gran parte di noi.
Allo sviluppo di una tale società dei servizi si è accompagnata la
crescita - prima discreta, poi via via più evidente - delle tecnologie
informatiche.
Oggi i computer pervadono la nostra vita: negli aeroporti, nelle
scuole, all’interno dei piccoli e grandi elettrodomestici, e in un’infinità
5
di altri e più svariati contesti troviamo l’elemento chiave
dell’Information Tecnology
5
, il microchip.
1.1 L’INTERAZIONE UOMO-MACCHINA
L’enorme importanza del ruolo dei computer nelle società attuali,
se, da un lato, ha indotto a designare la nostra come Era
dell’informazione, dall’altro obbliga a considerare una questione di
fondo: il “dialogo” fra utente umano e computer, ossia l’interazione
uomo-macchina.
Mediante un’analisi - neanche troppo approfondita - al riguardo,
ci si può render conto di come la crescita dell’impiego di strumenti
informatici sia stata, nella più parte casi, puramente quantitativa: si è
teso ad assumere che il dialogo di cui sopra fosse non solo possibile ma
anche tutto sommato agevole e “scontato”.
Il giudizio, che veniva essenzialmente da programmatori e
ingegneri del software, era, ovviamente, troppo di parte e per ciò
erroneo: pochi, fra gli acquirenti e gli utilizzatori, sono gli utenti
“esperti”, in grado cioè di gestire adeguatamente la complessità del
prodotto.
5
Letteralmente, “tecnologia dell’informazione”, cioè tecnologia relativa al campo informatico e
telecomunicativo.
6
Ciò è vero non solo per i prodotti software
6
veri e propri (qui
intendendo i programmi che “girano” sul computer di casa), ma anche,
ad esempio, per gli elettrodomestici di uso comune (pensiamo alla
complessità di un videoregistratore, di un televisore, di una
videocamera, se solo ci si voglia spingere verso funzioni più avanzate
rispetto a quelle più semplici e usuali).
Per sottolineare l’inadeguatezza che connota la maggioranza dei
casi di interazione uomo-macchina, alcuni autori hanno parlato di
arroganza tecnologica
7
da parte di un sistema progettuale e realizzativo
che, mettendo la macchina al primo posto, confina l’utente al secondo.
Con questa ed altre simili espressioni, si è voluta evidentemente
ricordare una verità tanto elementare quanto disattesa: deve essere il
prodotto ad adeguarsi all’utilizzatore e non viceversa.
Il contrario - per molti versi la situazione attuale - costituisce
anomalia, e, conseguentemente, la tecnologia finisce talora per apparire
intrusiva, invadente, persino fastidiosa.
6
In generale, linguaggi e programmi che permettono ad un sistema informatico di svolgere
elaborazioni.
7
Norman D. A., Il computer invisibile, Apogeo 2000.
7
1.2 “INFRASTRUTTURA” TECNOLOGICA
Da quanto detto, emerge primaria la necessità di una
“infrastruttura” tecnologica invisibile.
Essa, piuttosto che rendere ogni oggetto “non compiuto” ed
autoreferenziale, dovrebbe restituirgli la proprietà di essere
teleologicamente dedicato, funzionale ad uno scopo.
La tecnologia, così, verrebbe ad essere una sorta di scheletro, un
mezzo e non un fine, un elemento di supporto e soggiace ad un’attività,
rendendola in tal modo possibile.
Il discorso, fin qui in apparenza squisitamente teorico, si fa molto
più concreto se pensiamo ad una persona che voglia scrivere un testo
(cosa che quotidianamente capita a molti di noi) utilizzando un
wordprocessor
8
: le prime ore del suo prezioso tempo vanno impiegate
unicamente per capire il funzionamento del software, cioè per qualcosa
che, di per sé, all’utente non serve; procura, anzi, un costo in termini di
risorse temporali sottratte a una qualche altra attività.
Urge, quindi, una tecnologia che, stando “dietro le quinte”,
permetta agli utilizzatori di servirsi non solo del computer, ma del
videoregistratore, del televisore, della videocamera e di quant’altro,
8
Cioè un programma di videoscrittura.
8
senza dover prima cimentarsi in prove o tentativi più o meno vani, nella
lettura di noiose guide in linea, o nella consultazione di pagine e pagine
di ostici manuali di istruzione.
In questa ottica, “sparendo” la tecnologia, gli oggetti con cui -
volenti o nolenti - interagiamo diverrebbero, in quanto a facilità d’uso,
intuitivi ed immediati come una matita, un frigo, un rubinetto.
Dunque, accanto a quella quantitativa, si realizzerebbe una
crescita qualitativa, per una Information Technology più a misura
d’uomo.
1.3 L’IMPORTANZA DELL’INTERFACCIA
Una ottimale interazione uomo-macchina, la priorità data
all’utilizzatore umano piuttosto che all’oggetto tecnologico, la crescita
qualitativa delle tecnologie informatiche ruotano attorno ad un unico
fattore: l’interfaccia.
1.3.a COS’È
L’interfaccia è l’elemento costitutivo, l’essenza stessa
dell’oggetto, quella parte di esso che consente all’utente di utilizzarlo.
9
Grazie all’interfaccia, che ne permette la fruizione da parte di una
persona, l’oggetto diviene prodotto.
L’interfaccia è, in fin dei conti, il “luogo” dell’interazione uomo-
prodotto (e, quindi, uomo-macchina), luogo grazie al quale sono
possibili operazioni efficaci
9
.
In altre parole, l’interfaccia è una struttura che collega due sistemi
variamente complessi, ovvero è un insieme di strumenti che consente
l’interazione fra ambienti.
L’interfaccia appare come un vero e proprio sistema cognitivo
10
:
essa media tra la complessità tecnologica dell’ambiente-oggetto e i
livelli di esperienza culturale posseduti dall’ambiente-utilizzatore
rispetto all’oggetto medesimo, cioè il know-how
11
che l’utilizzatore
possiede in relazione all’oggetto.
Ad esempio, posso utilizzare una lavatrice con le istruzioni in
cinese, soltanto se ho una buona esperienza di lavatrici: sono in grado di
discernere la struttura semiotica della lavatrice anche senza capire i
singoli segni.
9
Bonsiepe G., Dall’oggetto all’interfaccia, Feltrinelli 1995.
10
Cfr. S. Postai in http://www.vocabola.com/.
11
Insieme delle capacità e delle esperienze necessarie per il corretto impiego di una tecnologia.
10
D’altro canto, posso utilizzare una macchina con cui ho minore
dimestichezza se le istruzioni (cioè l’interfaccia) sono sufficientemente
chiare.
Devo cioè capire il linguaggio e/o conoscere l’utilizzo.
Un’interfaccia fa sempre riferimento ad un ipotetico livello
cognitivo medio dell’utilizzatore, relativo all’ambito culturale e alla
familiarità tecnologica col sistema.
1.3.b NELLA VITA QUOTIDIANA
Quotidianamente utilizziamo un gran numero di interfacce:
• rubinetti;
• interruttori;
• sistemi di apertura/chiusura di porte (serrature, lucchetti,
ecc.);
• sistema di guida dell’automobile (volante, cruscotto e
comandi vari);
• comandi della TV (dello stereo, della lavatrice, ecc.);
• computer (sistema operativo e software applicativo).
11
In generale, riusciamo ad interagire in maniera abbastanza
soddisfacente con la gran parte di tali oggetti, tanto che l’interfaccia ci
appare inconsapevolmente così scontata da averne un’idea vaga e
fumosa: evidentemente quei prodotti supportano una tecnologia
ottimamente interfacciata, “discreta” al punto da risultare evanescente,
pressoché invisibile.
Alcuni hanno parlato di infodomestici
12
, ad indicare, più
specificatamente, quei prodotti di uso comune (macchina fotografica
digitale, calcolatrice scientifica, chitarra elettrica interfacciata con
standard MIDI
13
, ecc.) dotati di una tecnologia informatica rispettosa,
non intrusiva e di facile utilizzo.
Tuttavia, davanti a una fotocopiatrice o ad un fax - oggetti
altrettanto quotidiani - potrebbe capitare di trovarsi in difficoltà: sarebbe
il sintomo che il prodotto in questione è dotato di una cattiva interfaccia.
1.3.c QUALCHE ESEMPIO
A ben vedere, alcune persone in certi specifici ambiti potrebbero
incontrare qualche problema, anche se poste dinanzi ad azioni ed oggetti
molto più elementari di una fotocopiatrice o di un fax.
12
Cfr. Raskin (1978) in Norman D. A., Il computer invisibile, Apogeo 2000.
13
Acronimo di Musical Instrument Digital Interface, è un formato per files musicali.
12
Fare il caffè è un’operazione comunemente ritenuta molto
semplice, banale, alla portata di tutti.
Si possono, tuttavia, senza neanche allontanarci troppo dalla
realtà, ipotizzare ambiti in cui tale atto potrebbe assumere una
complessità insospettata
14
:
1. AL BAR. Se andassimo al medesimo bar alla medesima ora
ogni giorno e chiedessimo sempre un caffè forte freddo con due
cucchiaini di zucchero, potremmo, dopo qualche tempo, anche
non chiederlo: il barman, con ogni probabilità, vedendoci entrare
preparerebbe il nostro “solito”.
2. LA NUOVA COLF. Se volessimo che anche la nuova colf
preparasse il nostro caffè forte freddo con due cucchiaini di
zucchero, almeno le prime volte saremmo costretti a spiegarle un
po’ di cose (dove si trova la caffettiera, il caffè, lo zucchero, le
tazzine, i cucchiaini). A ciò, dovremmo aggiungere che lo
vogliamo ben forte, freddo quanto basta, con due cucchiaini di
zucchero, e che possibilmente ce lo porti già mescolato lei.
3. LA COLF EXTRACOMUNITARIA. In questo caso, in aggiunta a
quanto sopra dovremmo fornire spiegazioni sull’uso della
14
Cfr. S. Postai in http://www.vocabola.com/.
13
caffettiera: si apre così, qui si mette l’acqua fino a questo segno,
quindi si inserisce il filtro, si riempie di caffè, ci si avvita sopra
quest’ultimo pezzo e si mette sul fuoco. Ora, non resta che
aspettare di sentire un gorgoglio, segno che si può spegnere il
fuoco. Probabilmente ci vedremmo costretti a mostrarle come si
accende un fornello (la colf potrebbe non aver mai usato i
dispositivi di sicurezza contro le fughe di gas). Infine le
indicheremmo la tazzina da usare.
4. IL ROBOT DOMESTICO DA EDUCARE. Qui l’elenco delle cose
da spiegare rischierebbe di diventare lunghissimo: il nostro
interlocutore, se pure in grado di comprenderci, dovrebbe essere
istruito a partire dai primi rudimenti, proprio come un bambino
(cos’è, a cosa serve, dov’è, come si usa il rubinetto dell’acqua, ad
esempio).
14
1.4 FRAMES
Gli esempi presi in considerazione, e svariati altri che si
potrebbero addurre, mostrano inconfutabilmente che, per poter
interagire efficacemente, c’è bisogno di una “piattaforma” cognitiva
comune.
Il nostro universo di segni, imprescindibile al fine di comprendere
la realtà, si poggia su frames cognitivi: un frame è una “cornice”, una
modalità interpretativa, una chiave di lettura strettamente legata allo
specifico ambito socio-culturale in cui nasce.
Senza frames cognitivi risulterebbe impossibile qualsiasi
interazione, non soltanto uomo-macchina, ma anche uomo-uomo: la
comunicazione tra umani è basata sulla condivisione dei medesimi
frames cognitivi di alto livello, cioè sull’accordo circa le interpretazioni
più “generali” relative ad oggetti, eventi, comportamenti.
Il problema è capire quanto il frame può variare senza che la sua
capacità cognitiva ne perda in efficacia: se, da un lato, il frame deve
rimanere stabile per fornire un terreno comune di comunicazione-
comprensione - e, quindi, di interazione -, dall’altro, esso deve
trasformarsi in funzione dell’identità e delle funzionalità, così da
evidenziare le potenzialità offerte dall’oggetto.
15
L’interfaccia ha il dovere di essere coerente con un frame
cognitivo condiviso dagli utilizzatori del sistema: quanto maggiore è il
grado di condivisione del frame, tanto più efficace risulta l’interazione.
Di qui, la vitale importanza dell’interfaccia, il solo mezzo che,
mediando - e, quindi, sovrapponendo in parte le rispettive “aree”
cognitive - rende possibile l’interazione fra ambienti più o meno diversi
(quali l’essere umano e le “macchine” in senso lato, ad esempio).
1.5 AFFORDANCE
Un’interfaccia è realmente efficace solo quando mostra
l’affordance
15
dell’oggetto, intendendo con tale termine l’insieme delle
operazioni che un oggetto permette di compiere.
E’ cosa nota che gli utenti di molte “macchine” - dai
videoregistratori ai computer - utilizzano solo quella parte di funzioni
percepite come possibili.
Anche per questo, è importante distinguere fra tre tipi di
affordance:
1. affordance reale: l’insieme delle operazioni che un oggetto
permette realmente di svolgere;
15
Da to afford, “permettersi”.