Introduzione
Differenti incontri, persone ed esperienze sfiorati in un
arco di tempo piuttosto lungo sono la causa principale di questo
lavoro. Riassumere le idee che essi mi hanno suscitato è un
compito gravoso al quale riconosco dal principio di non poter
rendere giustizia.
Tuttavia, il breve paragrafo che qui segue potrebbe
trovare una sua utilità ricordando alcuni pensieri chiave che
potrebbero essere d‘aiuto al coraggioso lettore che volesse
proseguire in questo breve seppur non sempre gradevole
cammino.
Il nucleo di questa ricerca è la volontà di indagare e
delineare in maniera generale i processi scatenati dai mezzi di
comunicazione di massa, in particolare la televisione, in seno
alla società cinese. Una serie domande ha ulteriormente tracciato
il percorso che avrei seguito: qual è la relazione che si instaura
tra un bacino allargato di spettatori che non hanno alcuna
relazione fra loro ma che si rapportano tutti allo stesso mezzo di
comunicazione di massa? E quale influenza questo mezzo
produce poi sulla loro organizzazione sociale, sulla loro maniera
di pensare e concepirsi come gruppo? E ancora, aveva davvero
PROPAGANDA E IDEOLOGIA DI STATO
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ragione Neil Postman quando suggeriva
1
che non era stato
Orwell a predire il nostro futuro con 1984 ma che invece avesse
avuto ragione Huxley, secondo il quale saremmo stati sopraffatti
dal disinteresse, dalla ricerca continua del divertimento
tralasciando la curiosità intellettuale? Infine, cosa si deve
conservare del teorema di Steven Johnson, tutto quello che ti fa
male ti fa bene?
2
(Johnson, 2000)
La materia accademica di riferimento scelta per questa
ricerca è l‘antropologia dei media, un approccio volto alla
comprensione delle procedure, degli spettatori, dei prodotti
audiovisivi e degli effetti socioculturali della produzione
mediatica.
Questo però non è che un contenitore all‘interno del
quale si cerca di classificare un processo assai sfuggente, che
esercita sulla società un campo d‘azione assai vasto, e che come
il linguaggio e le parole, non si riesce a contenere in maniera
definita. L‘uso e l‘influenza della televisione, il mezzo di
comunicazione di cui si tratterà maggiormente all‘interno di
questo scritto, tocca problematiche sociali, culturali e politiche
che sarebbe invece riduttivo racchiudere in un solo ambito.
Prima di tutto, bisognerà ricordare che la televisione è
uno strumento gestito da uomini a uso di altri uomini, più o
meno raggruppati in un contesto culturale che non è definito a
priori, ma che si definisce attraverso l‘uso che di questo
strumento viene fatto.
Ciò che si vuole qui suggerire è che, se si parla spesso
della televisione e dei media come specchi che riflettono la
società, come se si fosse in presenza di due mondi separati,
sarebbe piuttosto utile pensare il contrario, ossia che la società è
1
. Nella prefazione di Neil Postman (2002), pp.15-16.
2
. Steven Johnson, in Tutto quello che ti fa male ti fa bene, argomenta
la teoria che il prodotto televisivo o i videogiochi, lungi dal provocare un
deterioramento della produttività intellettuale, fungono invece da stimolo
continuo dell‘intelligenza e della ricerca.
INTRODUZIONE
9
uno specchio che riflette la televisione.
Questa affermazione va certo smorzata, e non vuole
dichiarare che l‘organizzazione e la concezione del legame
sociale sono integralmente basati sul discorso televisivo, ma che
piuttosto esiste un‘interferenza, un‘interazione più stretta di
quello che normalmente si è portati a credere tra questi due
campi, la televisione e la società, due mondi che si intersecano e
contribuiscono entrambi a (ri)crearsi.
Eppure, bisognerà distinguere qui due gruppi produttori
di significato: in primis l‘organo produttivo, ossia la televisione.
Credo che, da un lato, sia sbagliato concepire il sistema
televisivo in maniera monolitica, come un grande fratello,
appunto, che decide e gestisce dall‘alto politiche che verranno
applicate su un pubblico inconsapevole. Se la situazione è molto
più frastagliata, è perché a un livello più vasto, gli stessi
operatori che producono il racconto televisivo sono anche
fruitori dello stesso, e non si distanziano troppo dal pubblico.
Nondimeno, si deve ricordare che sin dalla sua
apparizione, la televisione - e non a caso essa è stata sempre più
facilmente accomunata alla radio che al cinema - è rimasta sotto
un controllo statale assai evidente
3
. La televisione privata, anche
in Occidente, è una tarda espressione di un potere extra-statale
che comunque, il caso italiano ce lo dimostra, resta assai vicino
alle strutture e alle rappresentazioni dello Stato centrale e si
differenzia certo da mezzi di comunicazione quali internet sui
quali il filtro statale fatica ancora a intervenire.
Dall‘altra parte, il pubblico resta un insieme anch‘esso
assai diversificato e stratificato, che è impossibile disegnare
3
. La grande eccezione, in questo senso, è costituita dagli Stati Uniti
d'America, dove la televisione assume fin da subito una certa indipendenza
rispetto all'organo statale. Tuttavia, anche in quel paese le si riconosce un
certo ruolo sociale e pedagogico almeno fino alla frammentazione delle
audiences negli anni ottanta (cfr. Eihlu Katz, 2009).
PROPAGANDA E IDEOLOGIA DI STATO
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come appartenente a un insieme definito, ma attraverso il quale
sarebbe forse più sensato individuare tendenze, flussi di idee o
campi di forza che assecondano, contrastano o accompagnano
l‘evoluzione culturale e ―socio-televisiva‖. Se per la letteratura
prevale dunque un tipo di interpretazione del ruolo del lettore
come produttore di senso all‘interno stesso del testo,
nell‘approccio allo studio televisivo questa dimensione viene
troppo spesso dimenticata, a favore di un troppo riassuntivo
schema di ricezione passiva rispetto al mezzo.
In questo senso, su entrambi i fronti di produttori e
spettatori, la Cina ha offerto un concreto esempio, nella sua
evoluzione e nella situazione attuale, di bacino di raccolta di
informazioni sullo stato attuale dell‘interazione dell'individuo
con la televisione.
La curiosità verso un sistema a prima vista assai lontano,
se non altro geograficamente, da quello italiano, deriva senza
dubbio dal desiderio di mettere in pratica certe capacità
linguistiche, ma anche di verificare su campo alcuni luoghi
comuni su quel paese. Sono pensieri espressi in modo velato
eppure evidenti e diffusi sul controllo ideologico e totalitaristico
dei mezzi di comunicazione di massa in Cina, e che non rendono
forse giustizia - per un approccio un po‘ naïf o una volontà più
di parte- alla complessità socio-politica del paese.
L‘identità si disegna infatti a partire dal rapporto con
l‘altro; essa è prima di tutto ciò che l‘altro non è, perché per
definirsi essa ha bisogno di un‘antitesi. Questo contrario, ciò che
―io non sono‖, è un‘opposizione prima di tutto sul fronte etnico,
ma secondariamente essa si gioca sul piano intellettuale. Per
questo, un criterio politicamente più schierato
nell‘interpretazione del cambiamento cui è soggetta l‘arena dei
media cinesi rischia di sottolinearne valori in realtà obsoleti,
come la piena dipendenza dalle politiche statali, la volontà di
indottrinamento della popolazione, l‘aderenza a principi e
ideologie che non fanno più parte delle problematiche principali
INTRODUZIONE
11
che i dirigenti del Partito Comunista Cinese si trovano ad
affrontare.
In secondo luogo, lo studio di una cultura ―altra‖ - le
virgolette indicano che in questo studio c‘è forse anche una
dimensione di appropriazione della cultura d‘arrivo, che non
diventa perciò più così distaccata - è un veicolo di riflessione su
se stessi e sul proprio ambiente di provenienza.
Interpretando la produzione e la ricezione del messaggio
creato si è cercato perciò di riflettere secondo un sistema di
specchi, come vale nel rapporto società-televisione, che
rimandino a una situazione più comune al lettore. Questo
intento, seppure in maniera un po‘ ingenua, si ripropone allora di
de-costruire l‘identità creata per opposizione e crearne invece
un‘altra, fondata sull‘accomunare o piuttosto sul conoscere se
stesso attraverso l‘altro e viceversa.
Non si potrà tuttavia evitare una breve presentazione
della situazione peculiare del paese che ci approntiamo a
descrivere.
Ying Zhu e Chris Berry (Zhu & Berry, 2004) identificano
nella televisione cinese il nuovo ambito dove si mette in atto la
comunicazione fra il centro di potere e le masse; un ruolo che il
mezzo televisivo ha strappato al cinema in seguito alla caduta
del maoismo. L‘avvento del capitalismo, della globalizzazione e
del commercio con l‘estero ha dunque contribuito a spostare il
centro della comunicazione su questo mezzo, di pari passo con
la sua diffusione nelle abitazioni dei cinesi.
Tra il 1980 e il 2000, la crescita vertiginosa dei
possessori di apparecchi televisivi in Cina è aumentata di pari
passo con il numero di ore e di stazioni televisive
4
. Pechino ha
perciò risposto a questa evoluzione implementando i sistemi
4
. Già nel 1993 la Cina era diventato il paese con il maggior numero
di possessori di apparecchi televisivi, che ammontavano a 230 milioni. Fonte:
http://www.museum.tv/eotvsection.php?entrycode=china, accesso 24 agosto
2010.
PROPAGANDA E IDEOLOGIA DI STATO
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regionali ma allo stesso tempo riconfigurando il suo mezzo di
espressione principale nella televisione.
La tarda apparizione di una dimensione commerciale
nell‘industria televisiva in Cina ha permesso l‘estendersi di un
grande divario rispetto all‘Europa: essa è rimasta sempre e in
maniera assai evidente una branca dello Stato, attraverso la
quale realizzare la comunicazione. Sotto questa luce, più che
servire da cartina tornasole dei cambiamenti sociali che
avvenivano in Cina, essa ha rappresentato prima di tutto il
simbolo di cambiamenti politici e della successione dei diversi
gruppi di potere al comando del paese.
Al contempo, la dipendenza da un potere centrale ha
trasformato la rete televisiva di Stato, ancora che prima che il
mezzo televisivo stesso, in un centro di produzione di valori
identitari e di appartenenza ad una comune cultura nazionale,
elementi di politica interna strategici considerata la vastità e la
complessità sociale della nazione cinese.
Per queste ragioni, questo lavoro si concentrerà
principalmente sull‘emittente nazionale cinese. Nata come
Televisione di Pechino, per ribadire la centralità della capitale
cinese nell‘economia narrativa del paese, in seguito alla caduta
del muro di Berlino alla fine del maoismo, essa ha dovuto
riorientarsi a causa dei profondi mutamenti socio-economici
vissuti dalla Cina in un recente passato. Entrando gradualmente
nel regime dell‘economia di mercato, ormai integrato a pieno, la
televisione si è modificata così come il paese e i suoi abitanti.
Il suo pubblico è altrettanto cambiato: l‘era
contemporanea dei media cinesi si gioca sulla creazione di una
―società capitalizzata‖ (shichanghua/ 市场化) in seno alla quale
appaiono molteplici e diversificati gruppi d‘espressione dei quali
non si può non tener conto. Ciò in vista soprattutto della
necessità economica di allargarsi alla diffusione di programmi
per un pubblico più vasto come richiesto dalle esigenze
pubblicitarie.
INTRODUZIONE
13
Non più dunque un organo centrale portavoce del partito
ma un sistema più complesso costretto a svincolarsi dal potere
statale ma allo stesso tempo da esso dipendente in termini di
riferimento: è lo Stato che permette a questa televisione di
esistere, sin quando essa può servire alla comunicazione tra le
alte sfere politiche e la popolazione.
La televisione cinese di oggi deve affrontare numerose
contraddizioni, conciliando censura e modernità,
amministrazione comunista, concorrenza e apertura
all‘economia di mercato globalizzata, rispondendo ugualmente
alle pressioni di una borghesia intellettuale cinese che esige ogni
giorno più apertura e libertà. Istanze che non si pongono
solamente sulla scala commerciale ma anche a livello politico:
questo mezzo è sempre di più chiamato a rappresentare e
sostenere la costruzione della nazione nel senso di ―comunità
immaginata‖ (Anderson, 1991). Il supporto nell‘edificazione di
questo legame identitario è ancora più forte quando meno
evidente, celato dai meccanismi della distrazione e
dell‘intrattenimento, parole dietro le quali troppo ingenuamente
si rischia di ignorare la diffusione di messaggi di sostegno alla
strategia politica. Costruire la nozione dell‘appartenenza è del
resto un compito non facile nel contesto di una globalizzazione
entro i confini della quale lo stato nazionale fatica a trovare la
sua dimensione. Un‘altra contraddizione sorge allora nella
natura nella televisione cinese, un sistema centralizzato e
nazionale, che per poter esistere deve allargarsi oltre le barriere
dello stato che lo ha creato: ecco dunque che cominciano a
crearsi nuovi canali, di origine cinese, ma in lingua araba, russa,
spagnola o francese
5
. E se dietro a quest‘apertura esiste
sicuramente una spinta economica, non si può evitare di
domandarsi se questo scavalcamento dei confini nazionali non
5
. Si tratta di nuovi canali aperti dalla televisione di stato CCTV tra
2004 e 2010.
PROPAGANDA E IDEOLOGIA DI STATO
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sia anche una forma di pubblicizzazione/commercializzazione
dell‘identità, ad uso prima di tutto degli espatriati e delle
seconde generazioni di cinesi nati all‘estero.
Infine, questo lavoro vuole sottolineare un ulteriore
aspetto del mezzo televisivo, quello cioè di arena dove si mette
in discussione, rielabora e riconfigura un‘identità collettiva nel
flusso continuo (Remotti, 2007) della sua (de-)costruzione.
La prima parte di questo lavoro verterà dunque sulla
presentazione generale del panorama organizzativo e legislativo
della televisione cinese: si traccerà un profilo degli organi
preposti al controllo della produzione audiovisiva e delle più
recenti legislazioni in vigore in materia di contenuti narrativi.
Seguendo l‘evoluzione storica dei cambiamenti avvenuti dalla
nascita (1956-58) della televisione cinese fino alla grande
riforma post-maoista (1976) e agli sviluppi dell‘epoca
contemporanea, si cercherà di definire come, sul piano giuridico
e quello ideologico, questo mezzo di comunicazione ha
interagito con i cambiamenti sociali in atto.
Nel secondo capitolo si entrerà nello specifico di alcune
emissioni per individuare le tematiche proposte dalla produzione
televisiva nell‘ambito di costruzione dell‘arena nazionale. Si
descriverà in particolare il processo di avvicinamento a un‘ottica
―dal basso‖, più popolare, dell‘informazione e della produzione
di intrattenimento, citando il genere documentario, assai diffuso
sugli schermi cinesi, e quello del varietà. Nell‘analisi si farà
inoltre riferimento alla cooperazione e all‘interferenza con e
delle politiche di partito nella scelta dei soggetti narrativi. Un
paragrafo a parte verrà dedicato a una delle trasmissioni più
importanti della televisione cinese, che ha avuto negli ultimi
venti anni una grande influenza sulla società del paese, ovvero il
Galà del Nuovo Anno cinese della CCTV .
Il terzo capitolo presenterà il rapporto del racconto
televisivo con la storia e la storiografia: come guarda al passato
(e di conseguenza al futuro) la Repubblica Popolare Cinese nella
INTRODUZIONE
15
sua produzione televisiva? E che tipo di influenza esercita
questo racconto, la selezione che degli avvenimenti viene fatta o
l‘ottica attraverso cui essi vengono messi in luce, sui cittadini
cinesi?
Delineando brevemente la linea filosofica più diffusa tra
gli intellettuali e i politici cinesi moderni, il neoconfucianesimo,
che è alla base della teoria dell‘ascesa pacifica, si
ripercorreranno alcuni esempi di rapporto con la storia moderna
e contemporanea che gli scrittori televisivi hanno proposto ai
loro spettatori negli ultimi anni. Si vedrà dunque come la
televisione abbia fornito il mezzo per la rielaborazione,
discussione e riscrittura della storia della Cina. I programmi che
verranno citati saranno perlopiù serie televisive, un genere
anch‘esso assai diffuso sul piccolo schermo cinese. Divertendo e
distraendo gli spettatori con situazioni prese in prestito alla vita
quotidiana, e attraendoli con storie d‘amore e di avventure
impossibili, il sottotesto di questi programmi ha spesso costituito
un luogo di diffusione e dibattito dell‘identità cinese, in
particolare dopo l‘apertura verso l‘esterno promossa da Deng
Xiaoping. Il capitolo sarà perciò anche l‘occasione per
introdurre questo tipo di emissione, caso assai peculiare nella
narrativa cinese e che ha assunto caratteristiche profondamente
differenti da produzioni occidentali dello stesso tipo. A questo
proposito, si vuole ribadire ancora una volta come citare questi
meccanismi sia un desiderio malcelato di stimolare il dibattito
critico attorno alla cultura popolare televisiva che si sviluppa sui
nostri schermi, che rischia di operare profondi cambiamenti
sociali proprio perché non fatta oggetto, nel nostro paese, di una
riflessione critica più profonda e articolata in seno all‘opinione
pubblica, restando spesso confinata nell‘ambiente accademico e
senza superare le maglie di un linguaggio troppo specialistico.
Il quarto capitolo si occuperà perciò di ritracciare
l‘apparizione, lo sviluppo e l‘ascesa al successo della serialità in
Cina. Per serialità intenderemo un racconto che si sviluppa su
PROPAGANDA E IDEOLOGIA DI STATO
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più puntate, di tipo concluso (serie) o non concluso (serial)
capace di costituire un appuntamento fisso per gli spettatori, ma
anche di veicolare al suo interno concezioni complesse sugli
aspetti comunitari e di organizzazione sociale. Tali temi
risultano accettati in maniera più efficace dagli spettatori proprio
quanto più essi risultano impliciti e suggeriti, piuttosto che
evidenti e programmatici. D‘altra parte, questo rischio è
imprescindibile: narrare è in qualche forma trasmettere,
tramandare una propria visione del mondo. Il problema che qui
si cercherà di affrontare è piuttosto quanto appaiano articolate e
variegate le visioni offerte dalla narrativa televisiva cinese, e
quale rapporto si stabilisca attraverso di esse tra l‘autorità
centrale e le masse. Quanto spazio esiste per la pluralità e un
tipo di discorso ―altro‖ all‘interno degli schermi cinesi (e non), è
una delle domande che più si vorrebbe far nascere nei lettori di
questo lavoro.
Una popolare espressione cinese suggerisce di non
―guardare alla realtà indossando occhiali colorati‖, cioè di
osservare le cose per quello che sono e non da un punto di
prospettiva troppo personale. Al contrario, questo scritto
vorrebbe suggerire di indossare un paio di occhiali dal colore
―cinese‖ - il rosso sarebbe forse troppo strumentalizzato - per
osservare con sguardo critico e colorato la nostra realtà. Per
esemplificare questo concetto, citerò un esempio fornitomi dalla
professoressa Luisa Prudentino, ordinaria di storia del cinema
cinese all‘Inalco di Parigi, che mi ha aiutato all‘avvio delle mie
ricerche e che colgo dunque l‘occasione per ringraziare. Il Galà
del nuovo anno cinese del 2009 fu in gran parte costruito attorno
alla tragedia del terremoto che aveva da poco colpito la regione
del Sichuan; esso fu inoltre il primo esempio di enorme
solidarietà televisiva del popolo cinese (fu organizzata per
l‘occasione una raccolta fondi di beneficenza). All‘interno della
trasmissione, si susseguivano le immagini del primo ministro
cinese Wen Jiabao che passeggiava tra le macerie, e aiutava a
INTRODUZIONE
17
scavare per cominciare a ricostruire una nuova città. Queste
immagini, suggeriva la professoressa, erano facilmente
accomunabili ad altre ben note al pubblico italiano, quelle cioè
di uno speciale del 6 aprile 2009 che il giornalista Bruno Vespa
aveva condotto su Rai Uno, primo canale della Radiotelevisione
italiana, in occasione del terremoto che aveva colpito la regione
dell‘Abruzzo e la città dell‘Aquila. Con una raffigurazione
simile, vi veniva presentato il capo dell‘esecutivo Silvio
Berlusconi mentre attraversava le strade della città devastata dal
sisma, un elmetto sulla testa ad annunciare il prossimo
intervento provvidenziale in favore dei terremotati (che peraltro,
visti gli ultimi sviluppi, pare stia tardando ad arrivare
6
).
Di questi meccanismi il pubblico televisivo dovrebbe
divenire sempre più cosciente, attraverso un‘educazione alla
lettura dei prodotti nel senso che questa ricerca prova, con alcuni
limiti, a delineare.
In ultimo, desidero ringraziare tutti coloro che mi hanno
sostenuto nella preparazione e la scrittura di questo lavoro, a
cominciare dai miei genitori. Non farò nomi perché la lista
sarebbe troppo lunga visto che sono tanti quelli che, nel loro
piccolo, con un gesto o un‘idea, hanno partecipato
all‘elaborazione del mio scritto. Sono persone che guardano alla
vita e al modo in cui la raccontiamo con spirito leggero, ma mai
troppo semplice, e con viva curiosità e memoria dei luoghi e
delle cose che quotidianamente attraversiamo.
Desidero inoltre esprimere un grande ringraziamento a
tutti gli insegnanti del mio corso di Laurea, che nonostante tutte
le difficoltà dell‘Università italiana continuano a svolgere il loro
lavoro con impegno e convinzione, credendo nelle capacità dei
6
. Come ha evidenziato quella che è stata ribattezzata come ―protesta
delle carriole‖, cominciata il 7 marzo 2010 e descritta su diversi quotidiani
(cfr. http://www.corriere.it/cronache/10_marzo_07/aquilla-protesta-
carriole_3e46d84a-29e4-11df-8fa3-00144f02aabe.shtml) accesso 24 gennaio
2011.
PROPAGANDA E IDEOLOGIA DI STATO
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loro studenti e invitandoli a porsi domande non facili, con la
stessa curiosità rinnovata ogni anno, e con instancabile coraggio
intellettuale. Tra questi c‘è ovviamente il mio relatore, Dott.
Piero Vereni, che ringrazio di cuore per aver accettato di seguire
questo lavoro e per i ricchi spunti di riflessione forniti - spesso a
distanza - oltre che per lo spirito sempre amichevole con cui ha
accolto le mie proposte e i miei spostamenti. Con lo stesso
piacere ringrazio la prof.ssa Simona Foà, correlatrice e in parte
ideatrice del progetto, che ne ha discusso a lungo con me tra una
pausa e l‘altra dalle infinite ma necessarie pratiche burocratiche.
A loro e a tutti gli altri, un grande grazie.