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Introduzione
Negli ultimi decenni la scuola italiana ha dovuto lavorare intensamente per cercare di
soddisfare le molteplici esigenze di una nuova realtà, più complessa e più problematica.
Essa si è dovuta interrogare a fondo per creare un clima di lavoro e di apprendimento nel
quale i bisogni educativi speciali di tutti i bambini potessero essere accolti e supportati.
Inoltre, sulla base delle recenti teorie dell’insegnamento-apprendimento, è stato
valorizzato, in modo sempre più significativo, il ruolo della dimensione cooperativa
all’interno dei percorsi scolastici.
Sono stati rivalutati diversi aspetti della didattica: si è avvertita l’esigenza di promuovere
il benessere in classe, di analizzare il ruolo fondamentale dei compagni e di utilizzare
metodologie sempre più inclusive.
L’insegnante ha giocato e gioca un ruolo attivo e fondamentale in questo compito. I
docenti sono chiamati a introdurre nuove risorse e a padroneggiare nuove metodologie
didattiche collaborative, come per esempio il Peer Tutoring, il Role Playing e il
Cooperative Learning.
Per utilizzare positivamente questi metodi, ci deve essere una buona cooperazione fra
compagni e ogni allievo deve poter sviluppare competenze decisive per favorire il lavoro
in gruppo, per saper esprimere la propria opinione, per stimolare la partecipazione di tutti,
per dare e ricevere aiuto, per ascoltare gli altri e per favorire una approfondita
comprensione dei compiti assegnati.
Purtroppo, l’applicazione di queste metodologie non sempre consente di conseguire
l’effetto positivo sperato. Possono, infatti, presentarsi difficoltà significative.
Durante l’anno scolastico 2021/2022 ho prestato servizio nel ruolo temporaneo di
insegnante di sostegno in una classe quarta della scuola primaria, composta da 25 alunni,
fra i quali un alunno con disturbo dello spettro autistico, un bambino con disturbo
oppositivo provocatorio e tre alunni con “bisogni educativi speciali (BES)”
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.
Le insegnanti all’inizio dell’anno, hanno tentato di impostare la maggior parte delle
attività in classe seguendo le modalità didattiche e organizzative del Cooperative
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Il ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (MIUR) con la direttiva ministeriale C.M. del
6 marzo 2013, n.8, ha cercato di dare visibilità e un adeguato riconoscimento di diritti alla vasta gamma di
quei bambini che incontrano difficoltà nelle attività scolastiche, ma non presentano certificazioni attestanti
i deficit. Nell’area dei BES (oltre alla sottocategoria degli allievi con disabilità) vengono considerate due
ulteriori condizioni: i disturbi evolutivi specifici e lo svantaggio socioculturale e linguistico. (Cottini, 2017).
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Learning, ma hanno ben presto, riscontrato alcune problematiche. Il bambino con
disturbo oppositivo provocatorio, prevedibile, faticava ad accettare e ad assumere una
prospettiva diversa dalla propria e, essendo sprovvisto di buone capacità di problem
solving e di controllo del comportamento, faticava nel relazionarsi positivamente con i
compagni.
Il team ha dunque esposto la situazione alla psicologa della scuola e al dirigente scolastico
e l’istituzione scolastica si è attivata proponendo un corso di formazione sul programma
Coping Power Scuola. Si tratta di un percorso educativo-didattico che, attraverso la
narrazione ai bambini di una storia (di cui si dirà al seguito) e l’adozione di specifiche
strategie didattiche (soprattutto il Cooperative Learning e il Role Playing), cerca di
accrescere la partecipazione degli alunni nelle attività del gruppo classe e di aiutare nel
saper riconoscere e modulare le emozioni, comprendendo, in particolare, che esistono
diversi modi per elaborare l’esperienza e reagire. Attraverso alcuni giochi e l’uso di
strumenti tecnologici (LIM, PC), le attività vengono proposte in modo coinvolgente, in
modo che l’attenzione e la partecipazione dei bambini possa essere maggiore.
Il progetto, secondo l’organizzazione proposta, è stato presentato alla classe attraverso un
racconto diviso in sei moduli consequenziali. Il titolo della narrazione, presentato nel
manuale di Bertacchi J, Giuli C., Muratori P. Coping Power nella scuola primaria: gestire
i comportamenti problematici e promuovere le abilità relazionali in classe, è
“Barracudino SuperStar”, i protagonisti della storia sono il pesciolino Barracudino e il
suo aiutante, il gambero Fernando. I due personaggi devono compiere un lungo viaggio
per arrivare a scoprire un tesoro.
Gli obiettivi principali del programma per gli alunni sono lo sviluppo di abilità
metacognitive rispetto ai propri vissuti, pensieri e comportamenti, ma anche di strategie
di autoregolazione emotiva e di capacità empatiche. I docenti, invece, attraverso la
progettazione e realizzazione delle attività previste dal percorso, hanno l’occasione di
aumentare le loro competenza comunicative e motivazionali e di migliorare le loro
capacità di gestione del gruppo.
Per riuscire a comprendere quanto il progetto “Coping Power Scuola” abbia contribuito
allo sviluppo di dinamiche inclusive e alla promozione di atteggiamenti e di cooperazione
in classe, si è progettata e realizzata una ricerca in classe, adoperando strumenti di tipo
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quantitativo con questionari a risposta chiusa somministrati agli alunni all’inizio e alla
fine del progetto sviluppato.
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Capitolo uno: La progettazione inclusiva e le strategie collaborative
La scuola, in questi ultimi anni, ha dovuto rispondere ad una crescita di richieste da parte
degli studenti. Risulta evidente che bisogna cercare di soddisfare molteplici e
differenziate esigenze. In particolare, si è evidenziata la necessità di «un affinamento delle
procedure didattiche, le quali debbono promuovere il ruolo attivo di ogni studente,
facilitando la partecipazione di tutti» (Cottini, 2017:21).
I bambini e gli adolescenti non devono soltanto sviluppare competenze teoriche e
acquisire conoscenze e abilità curricolari, ma hanno l’esigenza di far propri valori
fondanti della nostra società e abilità sociali indispensabili per uno sviluppo più
armonioso del proprio io, nel contesto delle relazioni sociali.
Per raggiungere queste finalità, nelle scuole italiane, viene riconosciuta l’importanza di
servirsi di strategie didattiche cooperative e collaborative, come per esempio il Peer
Tutoring, il Role Playing e il Cooperative Learning.
Prima di proporre una essenziale analisi di queste metodologie didattiche inclusive, è
indispensabile, seppur brevemente, delineare l’importante percorso di
inserimento/integrazione/inclusione degli allievi con bisogni educativi speciali nel
contesto scolastico italiano.
1.1 L’inclusione scolastica: le tappe fondamentali in Italia
Molti studiosi
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si sono soffermati sull’importanza del lungo cammino che sta conducendo
«verso un modello di scuola sempre più in grado di accogliere tutti gli allievi, rispondendo
alle esigenze diversificate di ciascuno di essi» (Cottini, 2017:29). Il punto di arrivo di
questo processo in costante (ri)definizione può essere individuato in un modello inclusivo
di scuola – intesa quale comunità educante – in cui «i principi di funzionamento, le regole
e le routines del contesto devono essere riformulati avendo presente tutti i componenti,
ciascuno con la propria specificità» (Pavone, 2014:162). Tale cammino, costellato di
difficoltà e di intuizioni lungimiranti, deve essere apprezzato nella specificità e nella
ricchezza della sua evoluzione storica. Molte delle proposte che si sono avvicendate nel
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Si vedano, per esempio, i lavori di Cottini (2017), D’Alonzo (2019), Ianes (2022) e Pavone (2014).
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tempo e tutte le soluzioni prospettate, infatti, hanno rispecchiato il clima sociale, politico
e culturale in cui sono stati definite.
Il percorso scolastico dei bambini con disabilità – per voler prendere in considerazione i
primi passi di questo lungo itinerario - è stato caratterizzato fino alla fine degli anni
Sessanta da un approccio medico-individuale. La convinzione comune era che il bambino
in situazione di disabilità potesse essere meglio aiutato se inserito in gruppi di coetanei
con deficit simili. «A seconda della tipologia e della gravità del deficit, quindi, gli allievi
venivano avviati alla scuola speciale o alle classi differenziali» (Cottini, 2017:30). In
questo modo si andava a definire e proporre un intervento soprattutto di tipo tecnico-
sanitario: non vi era, in altre parole, «la necessaria considerazione pedagogica per
l’allievo in quanto persona» (Cottini, 2017:30).
La constatazione dei risultati limitati, ottenuti con l’inserimento degli alunni in classi
differenziali e in scuole speciali, insieme alle sempre più pressanti contestazioni rivolte
all’intero sistema scolastico, hanno portato alla crisi delle istituzioni separate, proprio in
quegli anni, infatti, sono state autorizzate le prime esperienze di inserimento degli allievi
in situazione di disabilità nelle scuole comuni. Anche perché, fra la fine degli anni
Sessanta e l’inizio degli anni Settanta, sono maturate «in seno alla società civile numerosi
fermenti, dibattiti, contestazioni (…) in un processo di politicizzazione, tendente a
mettere in crisi il sistema sociale, assistenziale e scolastico e a sollecitare nuovi sbocchi
legislativi» (Pavone, 2014:43).
In risposta al declino delle istituzioni speciali, la Legge del 30 marzo 1971 n.118, è entrata
nella storia della scuola italiana come il primo pronunciamento giuridico a favore
dell’assolvimento dell’obbligo scolastico degli alunni con disabilità nelle classi normali
della scuola pubblica, cercando di attuare «scuola aperta a tutti». Tuttavia, rimanevano
ancora esclusi, i soggetti con gravi deficit intellettivi o menomazioni fisiche tali da
rendere difficoltoso l’apprendimento nelle classi normali (Pavone, 2014). Questa legge
ha rappresentato un’autentica chiave di volta soprattutto perché, a partire dal 1975, molti
medici e specialisti hanno iniziato a respingere la possibilità di attestare la situazione di
gravità della disabilità (Cottini, 2017).
Il primo periodo di frequenza delle classi comuni da parte degli alunni con disabilità è
stato caratterizzato da un sistema scolastico non ancora adeguatamente preparato e
attrezzato ad accoglierli. Il ministero dell’Istruzione si è, perciò, preoccupato di conoscere