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INTRODUZIONE
L'oggetto del mio lavoro è l'elaborazione dei costumi per La tragica storia del
Dottor Faust di Christopher Marlowe.
A differenza dei testi di alcuni suoi contemporanei quelli del Marlowe
fanno parte di un panorama meno battuto e, nonostante ci siano già state pro-
duzioni in prosa, in versi e in musica di questa tragedia, vi si trova un margine
di lavoro più ampio.
Ispirata dalla pubblicazione di Faustbuch (1587), una raccolta di storie in me-
rito a un presunto mago contemporaneo di Martin Lutero, appena una decina
di anni più tardi avremo la prima rappresentazione documentata del dramma
di C. Marlowe. Oltre duecento anni dopo anche Goethe ci fornì la sua inter-
pretazione della storia, modificando il finale e permettendo al mago di riunirsi
a Dio tramite la redenzione. Ultimo ma non ultimo, cinquant’anni dopo il filo-
sofo tedesco, Charles Gounod musicò la storia dell’infelice alchimista che ebbe
un pugno di mosche in cambio della dannazione eterna.
Il mito del Dottor Faust è stato spesso messo in scena con costumi attinenti
alla moda Elisabettiana, fino a che lo stile contemporaneo non si è fatto spazio
anche in questa pietra miliare della tradizione teatrale: ne vediamo un esempio
nel Doctor Faustus andato in scena nel 2016 al Duke of York's Theatre di Londra
con il tormentato protagonista in jeans e felpa che condivide il palco con de-
moni in canottiera e boxer di cotone bianco.
Ma se per almeno quattro secoli si sono susseguiti sui palchi personaggi
vestiti nello stile d’epoca e al giorno d’oggi si presentano alchimisti e demoni
con un look casual, cosa resta da esplorare?
Il mio obbiettivo è creare una rosa di personaggi ben integrati e a cavallo tra
antico e moderno: la schiera degli umani veste panni cinquecenteschi con la
gamma di colori propria del tempo, mentre con tecniche più moderne posso
dare vita a fantasie e incubi che trovano sfogo nei personaggi del soprannatu-
rale.
La prima parte del mio lavoro tratta l'analisi del periodo Elisabettiano: le
origini del teatro, il suo sviluppo, le sue convenzioni fino al 1642, anno in cui
il Puritanesimo riuscì a sradicare quasi completamente questa forma d'arte
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considerata dagli integralisti religiosi peccaminosa e immorale. Segue un’ana-
lisi sulla vita e le opere di Christopher Marlowe, autore enigmatico quanto
geniale, poi un capitolo interamente dedicato al personaggio di Faust attra-
verso i secoli, dalle origini del mito ai giorni nostri.
La seconda parte consiste nella ricerca iconografica: dal costume nei vari
strati sociali dell'epoca Elisabettiana attraverso un'attenta osservazione della
ritrattistica del tempo, alla rappresentazione del sovrumano o del subumano.
Ho reperito ampio materiale nelle raffigurazioni angelico-paradisiache e de-
moniaco-infernali all'interno delle miniature medievali, della pittura fiam-
minga, delle incisioni cinquecentesche, degli affreschi gotico-rinascimentali e
dei bassorilievi delle chiese europee.
L.P.
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PARTE I
I.1 Il teatro Elisabettiano
I.1.1 Come nasce, quando e come si sviluppa
Dopo la Guerra dei Cent’anni e la Guerra delle Due Rose, i Tudor riportano
stabilità politica in Inghilterra, dove inizia a diffondersi la cultura rinascimen-
tale proveniente dal continente. Enrico VII invita a corte diversi umanisti ita-
liani che promuovono le opere classiche. L’Umanesimo si diffonde a macchia
d’olio e influenza la produzione drammatica soprattutto attraverso scuole e
università.
John Colet (1466-1519) fonda la St. Paul’s School intorno al 1512, dando il via
all’uso, acquisito poi anche dalle altre università, non solo di studiare gli anti-
chi testi classici, ma anche di rappresentarli, talvolta imitandoli o producendo
opere nuove.
Fatta eccezione per le commedie scritte partendo da una base classica, le
convenzioni drammaturgiche medievali dominavano ancora la produzione:
per cercare di attirare gli spettatori, gli attori mescolavano fonti disparate. Dai
racconti biblici ai romanzi stranieri, dalle storie cavalleresche ai miti classici.
Un esempio per tutti: A Lamentable Tragedy Mixed Full of Pleasant Mirth, Contai-
ning the Life of Cambises, King of Persia, From the Beginning of His Kingdom, Unto
His Death
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, un’opera di Thomas Preston (1537-1598) che ambienta il suo
dramma in Persia, ma utilizza personaggi della mitologia ellenica, allegorie e
persino personaggi della storia inglese.
Con Enrico VIII i rapporti tra l’Inghilterra e la Roma di Clemente VII si lo-
gorarono, portando ad un concatenarsi di avvenimenti che influenzarono no-
tevolmente lo sviluppo del dramma inglese. Alla morte del sovrano, Maria I
(la Sanguinaria) perseguitò i protestanti, ma subito dopo di lei Elisabetta I ri-
prese la politica anticattolica del padre, arrivando a sconfiggere nel Canale
della Manica la flotta di Filippo II di Spagna, che era un alleato del Papa.
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“Una lamentevole tragedia, mescolata di piacevole allegria, che racconta la vita di Cambise, Re di
Persia, dall’inizio del suo Regno fino alla sua morte”. (1561 circa) [TdA]
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Nonostante questo le controversie religiose non si esaurirono: i Puritani vole-
vano eliminare ogni elemento cattolico dal culto e si opponevano allo sviluppo
del teatro professionale. Vennero scritti in questo periodo trattati sia a favore
che contro le attività “peccaminose” (gioco dei dadi, ballo, commedie ed inter-
ludi). I primi furono quelli che influenzarono di più gli scrittori della nuova
generazione, come Ben Jonson (1572-1637).
All’interno degli Inns of Court, ossia i college dove venivano formati i futuri
avvocati, i rampolli dell’aristocrazia venivano iniziati alla musica, alla danza
ed altre arti. Era usanza allestire piccole commedie durante eventi particolari,
come i festeggiamenti Natalizi, la visita della Regina o di altri illustri ospiti. La
prima tragedia inglese Gorboduc o anche Ferrex and Porrex fu scritta da due stu-
denti: Thomas Sackville e Thomas Norton. Fu rappresentata nel 1561 alla pre-
senza di sua altezza Elisabetta I ed ebbe un tale successo che venne ristampata
5 volte in 30 anni.
Durante il regno di Elisabetta I l’interesse per la cultura classica andò affie-
volendosi ed i drammaturghi si interessarono via via sia alle leggende inglesi
che alla produzione italiana. Nella seconda metà del XVI secolo un gruppo di
autori colti, chiamati University Wits, iniziarono a scrivere per il teatro pub-
blico. Tra loro c’erano Thomas Kyd (1558-1594) -che scrisse The spanish tragedy,
il dramma più conosciuto del XVI secolo-, Christopher Marlowe (1564-1593),
John Lily (1554-1606) e Robert Greene (1560-1592).
Loro contemporaneo, tuttavia non annoverato tra le file degli University
Wits, William Shakespeare (1564-1616) era già un autore affermato nella Lon-
dra dell’ultimo decennio del XVI secolo. Azionista dei Lord Chamberlain’s Men,
che diventeranno i King’s Men, nel 1599 Shakespeare era comproprietario del
più celebre teatro di Londra, il Globe. Tra le sue opere più importanti abbiamo
Richard III, Taming of the Shrew, Midsummer nights, The merchant of Venice, il ce-
leberrimo Romeo and Juliet, Titus Andronicus, il Julius Caesar, Hamlet.
Le fonti di Shakespeare furono svariate: storia, mitologia, leggenda, narrativa,
letteratura drammatica. Le sue opere erano caratterizzate dalla mescolanza di
parti in prosa e parti in versi, dall’assenza di atti, dalla ricchezza dei
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personaggi, ma anche dal fatto che l’intera scena si svolgesse sul palco nono-
stante la trama intricata, ricca di storie parallele.
Anche Ben Jonson è considerato uno dei drammaturghi di spicco dell’età
Elisabettiana: iniziò come attore, poi scrisse drammi ed in breve tempo si gua-
dagnò il favore del Re e della corte, tanto da ottenere una pensione reale che
fece di lui il primo Poet laureate dell’Inghilterra.
Considerato fino al primo quarto del XVII secolo un intrattenimento, la
drammaturgia divenne un’arte “nobile” quanto la poesia, grazie anche alla
pubblicazione e diffusione degli scritti di Ben Jonson. Tra le sue opere più co-
nosciute: Volpone, or the Fox, The Alchemist, Bartholomew Fair. Una delle princi-
pali caratteristiche del suo stile è l’inserimento di personaggi apparentemente
prelevati dalla realtà, che finiscono sempre per essere puniti per il loro difetti.
“Rese inoltre popolare la «commedia degli umori».”
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I drammi del Teatro Elisabettiano hanno caratteristiche comuni tra loro:
1. le vicende sono in successione cronologica;
2. non ci sono atti ma scene brevi;
3. l’azione si sposta in più luoghi che non vengono descritti dalla sce-
nografia, ma dalle battute degli attori;
4. il tono varia dal comico al serio;
5. il linguaggio è ricco di riferimenti, metafore e allusioni.
Intorno al 1610 si ebbe una mutazione della produzione drammatica: di-
ventò punto fondamentale il diletto del pubblico, si vollero scatenare reazioni
nella platea, tralasciando l’importanza educativa della narrazione per il sem-
plice gusto dell’intrattenimento. Gli scrittori acquisirono sempre più de-
strezza, complicando l’azione, tenendo l’attenzione sempre alta tramite
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BROCKETT O. G., History of the theatre, Allyn & Bacon, Newton (MA), (1987) p.310. La dot-
trina medica antica distingueva quattro «umori» fondamentali (il sangue, la flemma, la bile
gialla e la bile nera) dal cui equilibrio faceva dipendere la salute dell’individuo. Nell’epoca
elisabettiana questa concezione fu estesa alla psicologia. In particolare, Jonson attribuiva le
stranezze e le eccentricità del comportamento all’alterazione del rapporto dei quattro umori,
e seguendo questo principio creò una nutrita galleria di personaggi. [NdA]
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escamotage, alternando scene di lotta a scene pacate, ma tutto questo ha tra le
inevitabili conseguenze un crescendo di superficialità.
Tra gli autori più famosi di questo secolo, nonché successore di Shakespeare
nei King’s men, abbiamo John Fletcher (1579-1623), che per parte della sua car-
riera collaborò con Francis Beaumont (1584-1616).
Philip Massinger (1583-1639/40) divenne, dopo il 1625, l’autore di punta dei
King’s Men con i suoi 55 drammi. La sua opera più famosa e amata fu New way
to pay old debits.
John Ford (1586-1639) fu uno scrittore che, nel corso degli anni, venne eletto
portavoce del processo di decadimento culturale che caratterizzò la produ-
zione sotto Carlo I. Tis pity she’s a whore
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è forse l’opera più conosciuta, dove si
narrano le vicende di un fratello e una sorella che intrecciano una storia
d’amore incestuosa.
Nel XVI secolo l’affermazione del ruolo di drammaturgo non fu cosa sem-
plice: i teatri popolari la resero possibile, ma il pubblico richiedeva un costante
rinnovamento dei testi per poter mantenere alto l’interesse. Alla metà del se-
colo, quando la Regina Elisabetta I salì sul trono inglese, le compagnie pote-
vano essere tutelate dalle famiglie nobili, ma molte erano ancora illecite ed
alimentavano le contese religiose. La Regina decise dunque di prendere prov-
vedimenti per mettere ordine nel caos: stabilì che non dovessero essere pre-
sentati testi senza un’apposita licenza, che non dovessero essere rappresentati
temi politico-religiosi e designò le autorità locali come responsabili della scelta
di approvazione verso qualsiasi rappresentazione nel loro territorio. Appena
un decennio dopo queste norme furono riformate e rese ancora più restrittive:
furono soppressi i drammi ciclici medievali, fu proibito ai nobili di rango infe-
riore a quello di barone di mantenere una compagnia, ma ai gruppi di teatro
privi di una protezione nobiliare occorreva una licenza da parte di due giudici
di pace in ogni città in cui si esibivano. La nuova legge però per la prima volta
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“Peccato che sia una sgualdrina”. (1629-33) [TdA]
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proteggeva gli attori dall’accusa di vagabondaggio, favorendo il riconosci-
mento dei gruppi autorizzati.
Per quanto riguarda la propaganda, a metà del 1500 si utilizzavano manife-
sti affissi per le strade, ma cinquant’anni dopo si diffusero i volantini. In alcuni
casi veniva impiegato un corteo con tamburi e trombe per richiamare l’atten-
zione del pubblico, mentre il giorno stesso della rappresentazione veniva is-
sata una bandiera in cima al teatro, dal cui palco si annunciavano i successivi
spettacoli.
Nel 1574 fu delegata al Master of Revels
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la responsabilità di concedere le
licenze ai testi e alle compagnie. In questo modo era stato creato un documento
che permetteva automaticamente alle compagnie in suo possesso di esercitare
in tutto il territorio del regno, ma i funzionari locali si ritennero privati di po-
tere da parte del governo centrale e tentarono di ostacolare i teatranti in ogni
modo.
Ai Tudor successero gli Stuart nel 1603, con Giacomo I (1603-1625) prima e
Carlo I (1625-1649) poi. In questo periodo la corona rimase l’autorità al vertice
della gestione dei teatranti che finalmente riuscirono a trasferirsi dalla perife-
ria di Londra al centro della città.
Ben presto il Master of Revels divenne un mestiere così ben retribuito da es-
sere uno dei più ambiti in assoluto.
Per il teatro elisabettiano i costumi erano un elemento fondamentale: indi-
pendentemente dall’epoca in cui il dramma era ambientato, i personaggi erano
soliti indossare costumi in linea con la moda corrente. Erano costosi, ricca-
mente decorati, venivano realizzati investendo alte somme di denaro da parte
degli impresari. In alcuni casi erano vestiti venduti dalle famiglie nobili o ad-
dirittura dai reali. C’erano tuttavia delle eccezioni, cinque per essere esatti, ri-
spetto allo stile dei vestiti:
1) gli abiti vecchi dovevano dare l’idea di un altro periodo storico o di
personaggi fuori moda;
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Il funzionario della casa reale incaricato di sovrintendere ai divertimenti di corte. [NdA]