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1 INTRODUZIONE
1.1 Cos’è la Formula SAE
La Formula SAE nasce nel 1978 negli Stati Uniti, con l’obiettivo di dare agli studenti la
possibilità di mettere in pratica le conoscenze acquisite durante il percorso di studi. La
manifestazione rappresenta inoltre un’occasione per entrare a conoscenza delle piø
avanzate realtà tecnologiche del settore. Allo stato attuale si contano oltre 450 università
partecipanti in tutto il mondo.
Durante la competizione vengono valutati sia la validità dei progetti che le prestazioni dei
veicoli in prove dinamiche previste dai regolamenti (tabella 1.1).
Tabella 1.1:
Lista dei punteggi
Static Events Presentation 75
Engineering Design 150
Cost Analisys 100 325
Dynamic Events Acceleration 75
Skid-Pad 50
Autocross 150
Fuel Economy 100
Endurance 300 675
1000
Come si vede assumono importanza non solo le prove in pista (prove dinamiche), ma
anche gli eventi statici. Oltre alla progettazione porta punteggio anche l’analisi dei costi,
mentre tra gli eventi dinamici si fa notare la presenza della voce sui consumi, a
dimostrazione di quanto all’avanguardia sia la competizione.
I vincoli imposti dai regolamenti sono restrittivi solo laddove un errore di progettazione
possa andare ad intaccare gli standard di sicurezza. Ovunque possibile viene lasciata agli
studenti piena libertà di esprimere talento, creatività e fantasia.
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Figura 1.1 ET2ev in gara alla Formula Student Germany 2009
La progettazione, realizzazione e messa a punto di un veicolo richiede mediamente 8 – 9
mesi di lavoro full – time. Agli studenti sono così richiesti un impegno e una responsabilità
paragonabili a quanto avviene in campo lavorativo vero e proprio.
1.2 Obiettivi e metodi di lavoro
L’obiettivo della tesi consiste nella progettazione, realizzazione e messa a punto delle
sospensioni e del sistema di sterzo per la ET3, il veicolo che rappresenterà l’Università di
Pisa nella Formula SAE 2010.
Per far questo si è usufruito dei dati messi a disposizione dai due precedenti anni di
partecipazione all’evento, senza però chiudere la porta a nuove idee. Si è infatti fatto
ricorso non solo ad una forte evoluzione rispetto al vecchio veicolo, ma anche a idee
innovative, almeno rispetto a quanto realizzato finora dal team dell’Università di Pisa.
Data la ridotta esperienza, durante la progettazione è sempre stata prestata attenzione alle
scelte degli altri team, che hanno rappresentato un buon bagaglio di informazioni, a livello
sia tecnico che economico.
Facendo tesoro di quanto emerso dagli anni precedenti, si è cercato di ridurre al minimo i
tempi delle fasi di progettazione e produzione per massimizzare lo svolgimento di test in
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pista. Infatti, come in ogni competizione, l’affidabilità rappresenta il primo target da
raggiungere se si vuole poter competere negli eventi dinamici.
Grazie al bagaglio tecnico acquisito durante il corso di studi molti parametri sono stati
fissati già in fase di progettazione, anche grazie a quanto reperibile in letteratura. Laddove
ritenuto necessario, il tutto è stato affiancato da simulazione e sperimentazione, che si sono
rivelate le armi migliori. In particolar modo si è fatto largo uso di strumenti di simulazione,
in modo da ottenere il massimo know – how, anche in ottica futura, di ogni sistema
realizzato.
Di fondamentale importanza è stata la comunicazione tra i vari settori, dato che il risultato
finale è il frutto di una serie di compromessi tra le esigenze delle varie aree.
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11 x y 12 22 21 Figura 2.1
Sistema di riferimento veicolo
2 GENERALIT`
2.1 Sistema di riferimento
Durante il lavoro di tesi sono stati eseguiti progetto e realizzazione di sospensioni e
sistema di sterzo del veicolo con l’Università di Pisa ha partecipato alle competizioni
Formula SAE 2010. Dovendo progettare un intero veicolo, si è resa necessaria una
continua attività di interfaccia con altri settori
(principalmente telaio e gruppi ruota, ma anche
aerodinamica). ¨ stato quindi adottato un unico sistema di
riferimento veicolo, orientato come mostrato in figura 2.1,
centrato nella mezzeria dell’assale posteriore, con asse x
diretto in avanti, asse z verso l’alto, e asse y verso l’interno
curva nel caso di curva a sinistra.
L’adozione di un unico sistema di riferimento che possa
essere fissato fin dall’inizio della progettazione (fissarne
l’origine ad esempio nel baricentro, come è prassi in
dinamica del veicolo, sarebbe stato scomodo in quanto
solamente in fase avanzata del progetto la posizione del
baricentro sarebbe stata nota) ha comportato numerosi
vantaggi. Le interfacce a cui si è fatto riferimento in precedenza hanno riguardato non solo
l’accoppiamento su CAD 3D dei vari componenti, ma anche ai risultati delle varie analisi
FEM svolte.
2.2 Obiettivi e specifiche di progetto
Dai settori sospensioni e sterzo era atteso un alleggerimento in linea con quello che ci si
aspettava dall’intera vettura: il target principale era rappresentato da un dimagrimento dai
275 kg della ET2ev (vettura 2009) ai 200 ± 10 % della ET3 (vettura 2010).
I valori di passo e carreggiate anteriore e posteriore sono stati fissati dal settore dinamica
del veicolo, rispettivamente in 1640, 1220 e 1150 mm. Queste hanno rappresentato le
grandezze di partenza per la definizione degli attacchi tra triangoli delle sospensioni e
portamozzi, in quanto è tramite le sospensioni che avviene il posizionamento dei
pneumatici rispetto al resto del veicolo.
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Su altezza del baricentro (≤ 300 mm) e semipassi (820 mm per entrambi) i settori di
interesse non avevano un apporto molto marcato, essendo tra i piø leggeri in vettura e dal
posizionamento quasi obbligato.
Per ottenere l’alleggerimento desiderato sono stati adottati materiali non presenti sul
vecchio veicolo, quali carbonio e leghe leggere, e tecnologie a cui il team non si era mai
affacciato, come gli incollaggi strutturali o il taglio al laser di lamiere per componenti
come fazzoletti di rinforzo, bilancieri e leve per l’azionamento delle barre antirollio.
2.3 Architettura della sospensione: quadrilatero articolato
La tipologia di sospensioni scelte ha inevitabilmente influenza diretta sulla parte strutturale
delle stesse. Lo schema a quadrilatero articolato richiede infatti la presenza di elementi
rigidi di collegamento tra telaio e portamozzi. Dovendo togliere sei gradi di libertà al
gruppo ruota rispetto al telaio, si tratta semplicemente di collegare questi due componenti
con sei link: il tirante di sterzo (o di convergenza al posteriore), il push – rod (o pull – rod,
a seconda della soluzione adottata) e i quattro braccetti che vanno a formare i due triangoli.
Il fatto che quattro di questi link convergano a due a due in uno stesso punto e vadano a
formare i triangoli inferiore e superiore è dovuto a motivazioni diverse. Come si può
vedere in figura 2.2, le possibilità di collegamento tra gruppo ruota e telaio sono varie:
a) i quattro braccetti convergono a due a due a formare i triangoli inferiore e
superiore, soluzione adottata sulla ET3;
b) i triangoli si materializzano solo virtualmente, ed i quattro braccetti rimangono
separati;
c) soluzione mista.
Figura 2.2 Differenti metodologie per realizzare l’asse di sterzo
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¨ evidente come la soluzione b sia la piø versatile perchØ permette di ottenere
posizionamenti dell’asse di sterzo al di fuori della portata della soluzione a, però è anche
peggiore dal punto di vista costruttivo. Sono infatti necessari quattro giunti di
collegamento al portamozzo anzichØ due, il che comporta inevitabilmente maggiori costi
dovuti ad un maggior numero di alloggi per i giunti (si rammenta che gli alloggi dei
cuscinetti richiedono tolleranze dimensionali e finiture superficiali decisamente migliori
rispetto ad una lavorazione standard) e pesi aggiuntivi, principalmente per tre motivi: in
primo luogo un attacco sdoppiato comporta una maggior dimensione del corpo centrale del
portamozzo, inoltre se si considera la possibilità di fare uso di leghe leggere per l’unione
dei due braccetti a formare un triangolo, si ha un discreto vantaggio rispetto all’uso di due
distinti cuscinetti che sono necessariamente realizzati in acciaio. Un maggior numero di
cuscinetti comporta anche un maggior numero di elementi per il loro fissaggio (anelli
elastici, perni, bulloni, ghiere, eventuali distanziali, ecc.)
A supporto della soluzione a si deve anche dire che un unico triangolo risulta molto piø
rigido rispetto alla composizione di due braccetti che chiudono un quadrilatero formato con
parte del portamozzo.
Quanto riportato sinora non sono dettagli ma linee portanti della progettazione di una
sospensione, infatti:
- l’aspetto economico è sempre da tenere in conto: scarsa attenzione al risparmio
dove questo non “costa” niente in termini di prestazioni sottrae fondi a reparti in cui
i soldi fanno la differenza (rimanendo nel settore sospensioni, la differenza tra un
ottimo ammortizzatore, come quello montato sul veicolo attuale, con molte
possibilità di regolazione e attriti minimi che eliminano gli impuntamenti, e
ammortizzatori di medio rango, come quelli montati sulla vecchia vettura, è
dell’ordine di qualche centinaio di euro);
- il peso è un altro aspetto fondamentale, in particolare quello delle masse non
sospese ha un impatto enorme sulle prestazioni del veicolo (si veda in proposito il
capitolo 8 di [2]);
- salvo i casi in cui è l’elastocinematica a caratterizzare il comportamento di una
sospensione (ma questo non è il nostro caso) è fondamentale che la rigidezza del
sistema sia concentrata negli elementi elastici, pena un comportamento diverso da
quanto atteso in caso di cedimenti troppo pronunciati di componenti strutturali.
Elasticità concentrate permettono inoltre di simulare il veicolo con modelli molto
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semplici, senza dover ricorrere a modelli con elasticità distribuite, che necessitano
tempi molto piø lunghi per essere calibrati e per fornire risultati.
Per tutti questi motivi la soluzione scelta, adottata quasi ovunque in ambito di competizioni
tra monoposto, è stata quella dei due triangoli sovrapposti (soluzione a).
2.4 Architettura della sospensione: push – rod
Un secondo aspetto inerente la tipologia della sospensione riguarda la scelta del
meccanismo che aziona il gruppo molla – ammortizzatore.
Le figure 2.3 e 2.4 mostrano rispettivamente gli schemi push – rod e pull – rod. Nel primo
il braccetto che trasmette il moto verticale della ruota al bilanciere collegato con
l’ammortizzatore è sottoposto a compressione. Trattandosi di un’asta snella la sezione da
adottare non viene determinata dalle tensioni agenti sul braccetto bensì dal carico (pericolo
di incorrere in fenomeni di instabilità elastica). Nel caso dello schema pull – rod invece il
tirante è sottoposto esclusivamente a trazione, quindi si possono adottare sezioni minori e
ridurre le masse.
Figura 2.3 Schema sospensione di tipo push – rod
Dalle due figure sopra è chiaro come l’adozione dei due schemi comporti diverse
problematiche a livello di layout, caratteristiche però della singola applicazione. Inoltre la
scelta dello schema sospensivo da adottare viene effettuata all’inizio della progettazione
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dell’intero sistema, quando entrambe le strade sono percorribili dato che il layout del telaio
ancora non è definitivo.
Figura 2.4 Schema di sospensione di tipo pull – rod
2.5 Layout generale
In figura 2.5 è rappresentato un modello CAD 3D di sospensioni anteriori e sterzo.
Figura 2.5 Modello CAD 3D di sospensioni anteriori e sistema di sterzo dell’ET3 (vettura 2010).
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Si possono riconoscere la scatola dello sterzo, collegata al piantone (in blu) tramite una
prolunga ed un giunto di Cardano. Al piantone è saldata parte del meccanismo per lo
sgancio rapido del volante. Il tutto è alloggiato nel cannotto, parte solidale al telaio.
I due triangoli sovrapposti per lato compongono lo schema sospensivo descritto in § 2.3. I
gruppi molla/ammortizzatore vengono azionati da un braccetto collegato con i triangoli
inferiore e da un rinvio, secondo uno schema di tipo push – rod. Lo stesso rinvio aziona
anche il meccanismo antirollio tramite i coltelli (in blu) solidali alla barra.
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3 PROGETTO CINEMATICO DELLA SOSPENSIONE
3.1 Asse di sterzo
Per la definizione geometrica della sospensione (attacchi a telaio e portamozzi) si prendono
per primi in considerazione parametri statici, quali angolo di kingpin e di caster, scrub
radius, braccio a centro ruota trasversale, caster trail e avancorsa a centro ruota.
Tutti fanno riferimento all’asse di sterzo della ruota.
3.1.1 Angolo di kingpin, braccio a terra e braccio a centro ruota trasversale
Nella parte destra di fig. 3.1 è rappresentata la vista frontale di una sospensione. Gli
attacchi dei triangoli al gruppo ruota sono indicati con upper ball joint (UBJ) e lower ball
joint (LBJ). Dal punto di vista cinematico questi realizzano un asse di rotazione per il
gruppo ruota rispetto al telaio (asse di sterzo).
Figura 3.1 Struttura della sospensione anteriore.
L’inclinazione dell’asse di sterzo rispetto alla verticale è, nella vista frontale del veicolo,
l’angolo di kingpin. Questo ha una forte influenza sul camber in curva (altro angolo
caratteristico, di cui parleremo nel dettaglio piø avanti), ed è bene sia limitato in quanto,
con la sterzatura, dà un contributo positivo all’angolo di camber della ruota esterna,
situazione non ottimale.
La distanza tra l’intersezione dell’asse di sterzo ed il piano stradale e la mezzeria del
pneumatico (dove cioè si può ritenere concentrata la forza trasmessa tra pneumatico e
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terreno), è il braccio a terra trasversale, o scrub radius, considerato negativo se esterno
rispetto al veicolo.
Uno scrub radius positivo, cioè interno, fa nascere un momento che tende a ruotare il
pneumatico verso l’interno. In caso di mancata aderenza di una delle due ruote il momento
si opporrebbe a quello di imbardata dovuto all’aderenza di un solo pneumatico. In caso di
scrub radius positivo questo fenomeno verrebbe amplificato, portando ad un
comportamento poco prevedibile del veicolo. Dal punto di vista quantitativo il braccio a
terra trasversale deve essere abbastanza piccolo, per ridurre la forza che il pilota deve fare
sul volante in curva.
La distanza tra l’asse di sterzo ed il centro ruota, misurata in direzione parallela al piano
stradale, è il braccio a centro ruota trasversale. ¨ bene che anch’esso sia piccolo in quanto
un suo valore eccessivo comporterebbe grandi variazioni di convergenza al posteriore, non
per effetto cinematico ma in seguito alle forze di trazione dei pneumatici.
3.1.2 Angolo di caster, avancorsa e avancorsa a centro ruota
L’angolo di caster è, nella vista laterale della sospensione (parte sinistra di figura 3.1),
l’angolo formato tra l’asse di sterzo, e la verticale. ¨ bene sia orientato come in figura,
positivo, in quanto con la sterzatura dà un contributo negativo al camber della ruota
esterna. Comunque un valore eccessivo comporta un innalzamento del veicolo troppo
accentuato in condizioni di ruote sterzate.
L’avancorsa (o caster trail) è la distanza tra l’intersezione dell’asse di sterzo con il piano
stradale e la verticale passante per il centro della ruota. Deve essere positivo, come
rappresentato in figura, perchØ una qualsiasi variazione rispetto alla posizione statica della
ruota provoca la nascita di un momento, detto di autoallineamento, che aiuta a riportare il
pneumatico nella posizione iniziale. Un’avancorsa negativa darebbe, in questo senso, un
contributo instabilizzante. ¨ bene comunque che questa grandezza non assuma valori
eccessivi perchØ anch’essa ha una forte influenza sulla forza per realizzare la sterzata da
parte del pilota.
L’avancorsa a centro ruota è data dalla distanza tra l’asse di sterzo e il centro ruota,
misurata in senso longitudinale. Così come il braccio a centro ruota trasversale, questa
deve essere piccola in quanto il suo valore influisce direttamente sulle sollecitazioni dei
componenti del gruppo ruota.
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Durante il moto della sospensione tutte queste grandezze variano, ed è fondamentale che
scrub radius e caster trail non invertano il loro segno perchØ in tal caso il veicolo
assumerebbe un comportamento difficilmente prevedibile da parte del pilota.
3.1.3 Parametri caratteristici di progetto
All’anteriore gli attacchi tra sospensioni e portamozzi sono stati fissati principalmente
concentrandosi sulla posizione dell’asse di sterzo, in quanto uno dei due scopi principali
dello schema sospensivo è quello di ottimizzare il posizionamento del pneumatico rispetto
al piano stradale.
Ci sono però alcune altre considerazioni che devono essere fatte.
Le indicazioni dei piloti derivanti dalle esperienze degli anni passati sono state tenute in
forte considerazione: la forza per sterzare era ritenuta troppo elevata, quindi si è
provveduto a ridurre scrub radius e caster trail.
Una seconda indicazione, di carattere costruttivo, implica di allontanare il piø possibile i
due attacchi in modo da ridurre le forze che i triangoli della sospensione e il portamozzo si
scambiano, e in particolare di mantenere il giunto del triangolo inferiore vicino al suolo, in
modo da limitare le deformazioni dell’insieme gruppo ruota – sospensioni.
Un’ultima considerazione, inerente il comportamento cinematico della sospensione su cui
ci soffermeremo piø avanti, porta a fare, nella vista frontale, il triangolo superiore molto
piø corto del triangolo inferiore.
Queste scelte devono esser fatte tenendo in conto le esigenze del layout, dato che i due
giunti cascano all’interno del cerchio del pneumatico, che per motivi di regolamento è di
dimensioni piuttosto limitate (13”).
Al posteriore valgono le stesse considerazioni fatte per l’anteriore, tranne per il fatto che
l’importanza degli angoli di caster e di kingpin è abbastanza limitata data l’assenza del
sistema di sterzo, mentre assumono rilevanza il braccio a centro ruota trasversale e
longitudinale (avancorsa a centro ruota).
3.2 Centri delle velocità
In figura 3.2 è riportata la costruzione per la determinazione dei centri delle velocità delle
ruote rispetto alla cassa nel piano frontale (CVR) e del centro di rollio (CR) di una
sospensione a quadrilatero articolato. In realtà tutto questo è solo un’approssimazione
perchØ il moto della sospensione non è piano, si tratta comunque di parametri significativi
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perchØ al variare di essi cambiano fortemente il comportamento della sospensione e le sue
caratteristiche geometriche.
Figura 3.2 Costruzione per la determinazione dei centri delle velocità dei pneumatici rispetto alla cassa nel
piano frontale e del centro di rollio.
Nonostante CVR e CR varino con il moto della sospensione, la loro posizione nella
configurazione statica ci dà informazioni riguardo ad alcune caratteristiche cinematiche.
In particolare la posizione laterale del CVR d’ora in poi (y
CVR
) influenza l’andamento del
camber della ruota al variare dello scuotimento della stessa (o del rollio della cassa del
veicolo). Infatti il centro di istantanea rotazione altro non è che il punto rispetto al quale
ruota il pneumatico: un CVR fortemente al di là della mezzeria del veicolo rispetto alla
ruota presa in considerazione
garantisce un recupero di camber
minimo, quindi la ruota tende a
seguire l’andamento della cassa del
veicolo (vedi figura 3.3). Per
mantenere in curva un camber
negativo sulla ruota esterna è quindi
necessario un camber statico molto
pronunciato, situazione che peggiora
però il comportamento del
pneumatico in rettilineo, specie al
posteriore dove si ha la necessità di massimizzare la trazione. Per evitare di dover ricorrere
ad un compromesso troppo spinto tra un elevato camber statico e il rischio di avere camber
positivi sulla ruota esterna in curva, entrambe situazioni spiacevoli, è sufficiente avvicinare
il CVR alla mezzeria del veicolo. In questo modo il recupero di camber si fa sentire
Figura 3.3 Rollio della cassa del veicolo e camber delle
ruote con l’escursione delle sospensioni.
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maggiormente, consentendo così di adottare un minor camber statico. Al limite portando il
CVR dalla stessa parte della ruota, rispetto alla mezzeria del veicolo, si avrebbe un
aumento del camber negativo con l’aumentare del rollio della cassa (dal punto di vista
pratico questo comporterebbe però una geometria sfavorevole dal punto di vista strutturale,
con triangoli molto inclinati, punti di attacco tra sospensioni e telaio molto vicini e quindi
braccetti costretti a trasmettere forze elevatissime a causa del ridotto braccio delle varie
forze).
Per quanto riguarda l’altezza del CVR, e di conseguenza del centro di rollio (d’ora in
avanti h
CR
), c’è da dire che ha effetto sulla variazione di carreggiata del veicolo durante lo
scuotimento della sospensione, sul trasferimento di carico tra anteriore e posteriore e sul
rollio del veicolo in curva.
Le medesime considerazioni possono essere fatte nei confronti del centro delle velocità
delle ruote rispetto alla cassa del veicolo nel piano longitudinale (CVB), con la differenza
che l’andamento dello spin al variare dello scuotimento della sospensione (o del
beccheggio della cassa) praticamente non ha influenza sul comportamento del veicolo,
quindi sono altri i parametri che intervengono per la determinazione dei punti di attacco
della sospensione nella vista laterale, quali le percentuali di anti – dive, anti – lift e anti –
squat (parametri da cui dipendono le variazioni di assetto del veicolo).
3.3 Attacchi al telaio
Come abbiamo appena visto la definizione dell’asse di sterzo, dei centri delle velocità e di
sistemi passivi come anti – dive, anti – lift e anti – squat fissa completamente le
caratteristiche cinematiche della sospensione.
In realtà la progettazione della parte cinematica della sospensione non può ritenersi
conclusa con questa fase, infatti ancora non abbiamo parlato degli attacchi dei braccetti al
telaio. Dal punto di vista delle caratteristiche cinematiche, sarebbe bene che, nella vista
frontale, il triangolo superiore fosse abbastanza piø corto di quello inferiore (si riveda la
figura 3.2). Questo perchØ, in questo modo si riuscirebbe ad ottenere un buon recupero di
camber con sospensioni meno estreme.
Questa possibilità in un primo momento era stata presa in esame, ma è stata subito
abbandonata in quanto avrebbe comportato una forma del telaio non ottimale, dato che
questo comportamento inizia a presentarsi solo per grandi differenze di lunghezze tra i due
triangoli.
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Gli attacchi definitivi tra braccetti e telaio sono stati quindi fissati in base ad un
compromesso tra le esigenze dei due settori: essendo il telaio fatto da un traliccio di tubi, la
posizione degli attacchi non aveva molta libertà rispetto a quella dei tubi. Il compromesso
è stato ricercato tra layout, requisiti regolamentari, prestazioni delle sospensioni e del
telaio:
- layout: oltre alle sospensioni, il telaio rappresenta l’interfaccia con il veicolo
anche per tutti gli altri sottosistemi, quindi ci sono anche le esigenze di questi
da tenere in conto (questo rappresenta prevalentemente un vincolo di tipo
geometrico, ma anche strutturale);
- requisiti regolamentari: all’anteriore il regolamento prevede che all’interno
del telaio possa passare una sagoma di opportune dimensioni per garantire un
sufficiente spazio al pilota. Questo ha rappresentato un grosso limite per la
forma del telaio e quindi per il posizionamento degli attacchi delle sospensioni
(ma anche di ammortizzatori e scatola di sterzo, di cui parleremo piø avanti);
- prestazioni delle sospensioni: come è già stato descritto, la posizione degli
attacchi ha una certa influenza sul comportamento delle sospensioni. Si fa
notare che già in questa fase si è tenuto in conto l’aspetto strutturale, infatti non
si è guardato solamente alle caratteristiche cinematiche ma anche al fatto che
modificando la posizione degli attacchi cambiano le forze che passano dai
braccetti;
- prestazioni del telaio: piø il telaio è rigido torsionalmente, minori sono le
deformazioni dei punti di attacco delle sospensioni e quindi piø si è vicini alle
caratteristiche cinematiche di progetto (a questo proposito, quando si è giunti ad
uno stato di avanzamento del progetto ritenuto abbastanza valido di entrambi i
sistemi, sono state svolte delle analisi di elastocinematica per verificare che le
deformazioni dell’insieme telaio – sospensioni – gruppi ruota fossero
sufficientemente limitate).
Nonostante la presenza di molti fattori che non riguardassero direttamente il settore
sospensioni, la posizione che è stata fissata per gli attacchi al telaio ha permesso di ottenere
delle ottime caratteristiche cinematiche.