Iter metodologico del progetto
L’uso sostenibile del patrimonio culturale e ambientale è riconosciuto,
ormai a livello internazionale, un settore di interesse strategico per attivare
la crescita economica delle comunità locali.
Il recupero dei beni di questo patrimonio, attraverso il loro riconoscimento
come risorsa, permette alla collettività di ridare vita al patrimonio e di
rilanciarlo nel futuro. Questo riconoscimento comporta tutta una serie di
attività, di procedure senza le quali i beni del patrimonio non possono
essere riconsegnati alla collettività: il patrimonio va analizzato, studiato,
tutelato, valorizzato e conseguentemente fruito. Questo concetto può anche
essere esteso al di là degli oggetti materici: i fenomeni folclorici (tradizioni
socio culturali o antropologiche), i riti, le usanze, i canti rappresentativi
della tradizione contadina e rurale, possono essere considerati dei
monumenti in quanto “ricordo” della cultura di un popolo.
Ma il riconoscimento come risorsa, vale in modo particolare per il
patrimonio architettonico che viene definito da Victor Hugo in “Notre
Dame de Paris” come il “grande libro dell'umanità”, l'espressione
principale dell'uomo attraverso i suoi diversi stadi di sviluppo.
Sin dall'antichità l'uomo ha sentito il bisogno di incidere nella terra nel
modo più visibile, più durevole e più naturale le proprie tradizioni
suggellandola con i monumenti: "l'architettura cominciò come ogni
scrittura: dall'alfabeto, si piantava una pietra diritta, ed era una lettera, e
ogni lettera era un geroglifico e sopra ogni geroglifico riposava un gruppo
di idee come sulla colonna riposa un capitello" (Victor Hugo, 1831).
Concepire il patrimonio architettonico e culturale come risorsa da cui
promuovere lo sviluppo economico e sociale di un territorio permette di
innescare un processo di recupero e di rifunzionalizzazione orientati al ri-
uso dell'esistente, nel rispetto del valore semantico dei luoghi.
Con questo modo di procedere si realizza più di un obiettivo: si diffonde la
cultura del recupero mettendo fine allo spreco del territorio; si evita la
4
distruzione di un bene collettivo; si restituisce dignità e decoro a luoghi che
li avevano smarriti, favorendo il rispetto della natura del sito e dei suoi
valori culturali. Si contribuisce in definitiva alla diffusione di un'accorta
“cultura della trasformazione e del recupero” in alternativa alla dissennata
“cultura dell'espansione” che privilegia la logica del consumo delle risorse,
culturali, insediative ed ambientali delle nostre città.
Il riuso di un edificio culturale è un mezzo formidabile, probabilmente il
migliore, per garantirne realmente la conservazione: un monumento privo
di funzione si deteriora rapidamente; uno tenuto in efficienza può sfidare i
secoli. La funzione ed il riuso quindi diventano un “mezzo” per la tutela,
ma bisogna fare attenzione che non diventino il “fine” di un intervento.
Promuovere la cultura della trasformazione e del recupero dell'esistente
significa rispettare e valorizzare le vocazioni e le suscettività locali che
costituiscono un patrimonio da tutelare in tutti gli aspetti da quelli culturali
a quelli economici.
In particolare la provincia di Reggio Calabria dispone di una elevata
presenza di risorse naturali ed un patrimonio culturale (area grecanica) di
grande rilevanza, ricco di tradizioni e di testimonianze della cultura
materiale e rurale.
Partendo dal principio che attribuisce alla conservazione ed alla
valorizzazione del patrimonio ambientale e storico, ed in particolare dei
centri storici presenti sul territorio della provincia di Reggio Calabria, un
valore strategico e strumentale allo sviluppo economico ed alla
trasformazione sociale delle realtà locali, l’obiettivo principale di questo
progetto è quello di inserire il Borgo di Pentidattilo nel circuito turistico
“culturale” e di gestirlo secondo i principi della sostenibilità ambientale,
facendo leva sulla valorizzazione della cultura grecanica e sulle risorse
endogene locali, sia materiali che immateriali.
Il progetto si propone inoltre di individuare le strategie di valorizzazione
che possano utilizzare tutte le risorse presenti sul territorio, per recuperare il
5
borgo sia dal punto di vista storico-architettonico, che dal punto di vista
culturale e sociale, attraverso la legislazione europea, nazionale e regionale;
le ipotesi di gestione che devono prevedere gli aspetti economici da
utilizzare, la tipologia delle risorse ed il rapporto tra pubblico e privato nella
gestione del paese.
La qualità e l’importanza culturale del patrimonio architettonico di
Pentidattilo ci pone però di fronte alla problematica dell’individuazione del
punto di equilibrio “sostenibile” tra il compito primario della tutela e
conservazione del patrimonio culturale e le giuste esigenze di
valorizzazione dello stesso. La tutela modernamente intesa viene collocata
in una prospettiva completamente diversa rispetto al passato: il compito non
è più quello di restaurare e restituire il bene allo stato originario, ma
piuttosto quello di porlo nella veste di “importanza artistica, storica e
culturale”. Ciò impone non tanto di mettere in evidenza lo stile primigenio
del monumento quanto la valorizzazione di tutte le sue fasi con le
caratteristiche specifiche di ciascuna di esse, cioè permettere il
“riconoscimento” del monumento e delle sue parti, in tutti i periodi della
sua esistenza, che ne hanno caratterizzato le funzioni e gli usi.
In particolare risulta fondamentale far riconoscere nel patrimonio
architettonico su cui si interviene, sia il valore storico, artistico e culturale
del bene, sia il valore pratico che deriva dalla capacità di soddisfare le
esigenze della contemporaneità.
La valorizzazione comprende tutte quelle azioni che hanno come scopo
essenziale quello di incrementare la fruizione del bene culturale. Un bene si
valorizza migliorandone la conoscenza, che non significa ripetere l’azione
di riconoscimento della tutela, ma mirare a divulgare le conoscenze
acquisite attraverso l’incremento della fruizione. Fruire non significa
obbligatoriamente utilizzare i beni a fini economici ma significa essere
capaci di comprendere dall’oggetto la sua storia, rendere il bene culturale
capace di produrre “qualcosa” (anche semplicemente altra cultura, o un
6
miglioramento della qualità della vita urbana, cioè un ambiente creativo ed
innovativo in cui vivere), deve essere volano di generazione economica,
sviluppare tutti quegli aspetti che non sono direttamente collegati al bene in
se stesso ma che ruotano intorno ad esso e riguardano comunque la crescita
economica dell’area in cui il bene è inserito.
L’iter metodologico del progetto di ricerca può essere essenzialmente
ricondotto a tre fasi: analisi del territorio e di tutte le risorse presenti che
possano essere utilizzate nella valorizzazione dell’area in cui Pentidattilo è
inserita; analisi SWOT (Strengths, Weaknesses, Opportunities and Threats),
per analizzare e valutare le caratteristiche del territorio che offrono
maggiori possibilità di essere valorizzate, di attrarre risorse e di migliorare
le condizioni di benessere sociale dei cittadini; ideazione di strategie di
valorizzazione e di ipotesi di gestione che possano creare i presupposti per
la realizzazione di un intervento mirato al miglioramento della qualità della
vita nell’area.
7
1. Analisi del territorio
Il territorio preso in esame è costituito da una serie di centri storici, costruiti
in posizione difensiva per proteggere gli abitanti dalle incursioni,
mimetizzati nel paesaggio, quasi invisibili dalla costa, questi centri hanno
un dominio visivo sul territorio circostante fino al mare. Alcuni studiosi
individuano le ragioni di tale posizione geografica non tanto in un bisogno
difensivo o bellico, quanto nella possibilità di un più facile
approvvigionamento idrico in prossimità delle fonti sorgive e di tutela dalla
malaria che infestava le zone paludose costiere.
A rendere estremamente frastagliato il sistema territoriale, intervengono
anche le numerose “fiumare”, cioè i corsi d'acqua a carattere torrentizio, che
solcano l'entroterra creando profondi avvallamenti nel suolo. Si può
affermare che le fiumare hanno determinato un “modello insediativo a
pettine” connesso al binomio valli-fiumare; infatti la gran parte dei centri
sorge a ridosso di questi bacini idrografici e le vie di comunicazione stradali
costeggiano in posizione parallela i loro alvei. È quindi evidente l'enorme
importanza che questi corsi d'acqua hanno svolto nella vita delle comunità
locali: sono stati un agente separatore tra i diversi centri, ognuno visibile
dall'altro ma separato dalla vallata, per alcuni periodi dell'anno
impraticabile per periodi di piena; hanno costituito anche un polo di
attrazione per numerose attività economiche in quanto assicuravano
l'irrigazione delle coltivazioni, a volte impiantate sul loro greto con opere di
ingegneria idraulica molto audaci che consentivano di sfruttare l'energia
potenziale delle acque per il funzionamento di mulini e frantoi fino ai primi
decenni del secolo scorso.
Tale territorio si è rivelato, nei secoli, disagevole ed orograficamente
tormentato da eventi distruttivi (terremoti, alluvioni, frane, etc.). La
morfologia presenta caratteristiche particolari per cui i versanti troppo
acclivi e interrotti da movimenti del terreno, non hanno reso possibile
8
l'insediamento umano “continuo” con agricoltura intensiva e agglomerati
urbani di dimensioni ampi.
Questa tipologia insediativi ha caratterizzato, per gli stessi motivi, anche il
borgo di Pentidattilo.
1.1. Note storiche
Fondato probabilmente da una colonia di greci calcidesi (gli stessi che
fondarono Reggio Calabria), Pentidattilo si sviluppò durante il fenomeno di
migrazione interna dalle coste verso luoghi più alti e sicuri che caratterizzò
la storia di molti centri calabresi, a partire dal 640 a.C..
In epoca romana, col vicino Montebello, fece parte di un sistema difensivo
atto a sorvegliare l’accesso della fiumara S.Elia, via privilegiata per
l’Aspromonte.
Caduto l’impero romano, gli insediamenti lungo la costa furono
abbandonati, divenuti luoghi insicuri per via dei pirati che terrorizzavano
con selvagge scorrerie il Mar Jonio, Pentidattilo con la sua fortezza divenne
luogo sicuro. Nel VI secolo iniziò il dominio bizantino, per durare fino
all’XI secolo quando arrivarono i normanni.
Sotto la dominazione bizantina e la colonizzazione monastica basiliana, in
particolare tra il IX e il XII secolo, si consolidò l'organizzazione
ecclesiastica e vennero fondati numerosi edifici di culto, la maggior parte
dei quali andarono distrutti. In particolare dal 1282 sotto il possesso
dell’Archimandrita del S.S. Salvatore di Messina, durante la guerra del
vespro, la città fortificata fece parte del sistema difensivo del Regno e della
Calabria fin quando nel 1302 non fu invaso dagli Almugaveri (mercenari
teutonici) che occuparono il castello.
Intorno alla fine del XV secolo Pentedattilo fu feudo, prima dei Francoperta
di Reggio, poi degli Alberti di Messina. Molte chiese ed opere civili
vennero edificate sotto la Baronia degli Alberti, ai quali si deve anche la
fondazione del paese di Melito Porto Salvo. A questo periodo risale anche
9
l'ampliamento e il potenziamento del castello che venne dotato di baluardi e
ponte levatoio. Nel 1655 avvenne il passaggio dal rito religioso greco al rito
latino che causò la perdita della lingua greca.
Per tutto il XVII secolo Pentidattilo fu oggetto di contesa e di feroci lotte
feudali tra gli Alberti e gli Abenavoli di Montebello, lotte alle quali è
collegata la triste leggenda che vide coinvolte le due famiglie e di cui unica
certezza storica è la strage della famiglia Alberti ad opera del barone
Abenavoli e dei suoi uomini. Teatro di questa strage fu il castello, fuso nella
roccia e di cui rimangono poche vestigia tra cui un muro del salone
principale. Nel 1760 il feudo passò ai Clemente, marchesi di S. Luca e,
successivamente, dopo l'eversione del feudalesimo, venne acquistato dai
Ramirez di Reggio, nel 1823.
Il terremoto del 1783 danneggiò notevolmente l'abitato, tanto che il paese
risulta annoverato dal Vivenzio tra i “centri da erigersi in altro luogo”, in
base ad un'ordinanza del Governo che ne prevedeva il trasferimento alla
Marina, ma il progetto di trasferire Pentedattilo non fu mai attuato
nonostante fosse già stato redatto un piano dall'Ingegnere militare G.B.
Mori. Nel 1811, nel frattempo, il comune viene trasferito a Melito Porto
Salvo e Pentidattilo ne divenne una frazione.
Nel 1884 iniziano i lavori di recupero della chiesa dittereale dei SS. Pietro e
Paolo, commissionati dal Dittero Don Francesco Malavenda.
Successivamente altri disastrosi eventi naturali si abbatterono sul paese; le
numerose alluvioni e il terremoto del 1908 provocarono il lento esodo degli
abitanti verso la Marina.
A metà degli anni '60 il paese venne ricostruito circa 600 metri più a valle,
in luogo meno soggetto a franosità ed il paese “vecchio” venne
completamente abbandonato fino alla fine degli anni ‘80 quando
Pentidattilo, ormai in rovina, è “riscoperta” da giovani e associazioni; inizia
un lento cammino di recupero ad opera di volontari provenienti da tutta
Europa.
10