Introduzione
2
necessaria una verifica della risposta, che in termini di precisione, siccome le
variazioni che si danno sono molto legate all’esperienza dell’operatore.
Quindi si può intuire l’importanza di un metodo analitico che, già in fase di
progetto del diplexer, tenga conto dell’interazione tra i due filtri. In passato sono
state proposte diverse metodologie per la compensazione delle interazioni tra i
vari componenti del diplexer, ma, purtroppo, la loro importanza era tale solo se
ci si fermava all’aspetto teorico; infatti, l’ostacolo da superare è sempre stato
quello di elaborare una teoria efficace, applicabile ai casi reali. Molti di questi
studi si limitavano a suggerire delle operazioni da compiere su modelli a costanti
concentrate, non trovando delle equivalenze semplici e dirette con le
configurazioni utilizzate nella pratica.
Lo scopo di questo lavoro è stato quello di applicare una particolare tecnica di
sintesi del diplexer normalizzato ideale, sviluppata da Rhodes, al caso reale di
un diplexer realizzato in struttura slabline; il passo più importante è stato quello
di trovare l’equivalenza tra il modello a costanti concentrate, corretto in modo
opportuno dalla teoria, e il modello a costanti distribuite, che rappresenta la
configurazione utilizzata in pratica. Un aspetto molto critico nella costruzione
dei diplexer è la scelta e il dimensionamento del nodo d’ingresso: infatti, è
proprio questo il punto in cui si svolgono le interazioni più forti tra i due filtri. In
questo lavoro, per realizzare tale elemento si è adottata un’astina risonante alla
frequenza centrale del diplexer.
Il lavoro è suddiviso nel seguente modo:
nel primo capitolo, si introduce il diplexer, definendo le sue caratteristiche e
mostrando le principali configurazioni utilizzate nella pratica; quindi si
presentano le procedure di progetto maggiormente utilizzate, nel caso di
diplexer con nodo di ingresso.
Nel secondo capitolo, si richiamano i principali aspetti della sintesi di un filtro a
microonde, elemento fondamentale per il progetto del diplexer. Viene mostrata
Introduzione
3
la sintesi di tre tipologie di prototipi passabasso, a partire dalle specifiche
passabanda della struttura filtrante.
Nel terzo capitolo, si mostra la procedura di Rhodes, che serve a modificare il
prototipo passabasso in modo tale da compensare le interazioni reciproche tra i
filtri. Quindi, è spiegato come si rettifica questo metodo per farlo aderire meglio
al caso in esame. Infine, si presenta un esempio di sintesi di un diplexer
prototipo, secondo la procedura di Rhodes.
Il quarto capitolo, è la parte più importante di questo lavoro, in cui confluiscono
tutti gli aspetti sopra indicati per il progetto del diplexer. In particolare, si
descrive la procedura di progetto, spiegando come si sono risolti i vari problemi,
che si sono presentati. Si introducono inoltre due tipologie d’accoppiamento
delle uscite: con carico ideale e con astine d’accoppiamento.
Nel quinto capitolo, si presentano due esempi di progetto di diplexer, utilizzabili
per applicazioni radiomobili. Infine, sono riassunte le conclusioni di questo
lavoro e sono proposti alcuni possibili miglioramenti e innovazioni al progetto.
Nell’appendice A, si mostrano due procedure per il calcolo della matrice
capacità per unità di lunghezza, di una schiera di linee accoppiate: la prima si
basa sul concetto di ammettenza pari e dispari di due linee accoppiate; la
seconda si basa su un’analisi elettromagnetica, nell’ipotesi che vi sia un unico
modo TEM, che si propaga nella struttura. Infine, nell’Appendice B, viene
ricordato il legame tra la matrice di scatter e le matrici di impedenza e
d’ammettenza.
Capitolo 1
Generalità sui diplexer
In questa sezione, vengono introdotte le principali caratteristiche e peculiarità
dei diplexer utilizzati nelle telecomunicazioni, descrivendo vantaggi e svantaggi
delle varie configurazioni adottate.
Nel paragrafo 1.1, si definisce il diplexer e la sua funzione e vengono mostrate
le principali proprietà che lo caratterizzano. Nel paragrafo 1.2, si presentano le
due grandi classi di diplexer, illustrandone vantaggi e svantaggi, e si mostrano
alcuni esempi di strutture realizzative. Nel paragrafo 1.3, si introducono le due
principali metodologie di approccio al progetto: una, basata sul
dimensionamento del solo nodo di ingresso, l’altra, sull’ottimizzazione del
diplexer nella sua globalità.
1.1 Funzione del diplexer
Il diplexer è un elemento, a tre bocche, realizzato con lo scopo di separare
segnali che occupano bande molto contigue in frequenza: esso è il caso
particolare di una famiglia molto più estesa di apparecchiature che prende il
nome di multiplexer. Questi ultimi sono costituiti da una porta comune che
alimenta più uscite, dalle quali usciranno segnali desiderati.
Capitolo 1 : Generalità sui diplexer
5
IN
OUT 1
OUT 2
f 2 f 1
f
1
f
2
Figura 1.1 : schema di principio di un diplexer
Per caratterizzare la qualità di un diplexer si definiscono alcuni parametri tipici,
oltre a quelli che qualificano i due filtri che lo costituiscono. In primo luogo, una
peculiarità importante di un diplexer è la “vicinanza” tra le due bande: le
difficoltà di progetto sono tanto maggiori, quanto più le bande dei segnali, che si
intendono dividere, sono contigue. In realtà, non è tanto il valore assolto della
distanza tra le bande quello che conta, quanto piuttosto il rapporto tra questa
distanza e le due bande passanti del dispositivo. Un altro parametro importante
del dispositivo sono le perdite di ritorno alla bocca di ingresso, che ne
caratterizzano il livello di adattamento. Infine, di grande rilevanza sono le
attenuazioni che subisce il segnale nel passaggio tra la bocca di ingresso e le due
uscite ed il guadagno tra le due uscite: quest’ultimo definisce il livello di
comunicazione tra i due canali.
1.2 Strutture realizzative
Nella pratica, ci sono molte possibili configurazioni per la costruzione di un
diplexer, ognuna delle quali pensata per aderire, nel miglior modo possibile, alle
Capitolo 1 : Generalità sui diplexer
6
esigenze di progetto. Queste soluzioni si possono sempre ricondurre a due
principali categorie: con nodo di giunzione o con disaccoppiatori. Nella prima,
le due strutture filtranti sono unite per mezzo di un nodo, progettato in modo tale
da operare su entrambe le bande; in questo tipo di configurazione, l’interazione
dei due filtri è elevata, in quanto l’elemento di giunzione usato non è in grado di
annullare l’effetto che una struttura ha sull’altra. La seconda tipologia di
diplexer, è quella che utilizza elementi che disaccoppiano completamente le due
strutture filtranti, come, ad esempio, circolatori oppure ibridi. Il principale
vantaggio di questa configurazione è l’eliminazione dell’interazione tra i filtri,
che quindi possono essere progettati e sintonizzati separatamente; di contro, vi è
un incremento delle perdite di inserzione e del costo complessivo
dell’apparecchiatura. Nella prima tipologia, invece, il progetto e la sintonia sono
di gran lunga più complicati e critici, ma le perdite risultano migliori.
Ad esempio, una struttura realizzativa in guida d’onda, che appartiene alla prima
classe di diplexer, è mostrata in Figura 1.2; i filtri sono tipicamente implementati
mediante tratti di guida, che realizzano i risonatori, accoppiati mediante setti,
mentre il nodo è realizzato con una giunzione a Y.
ingresso
filtro 1
filtro 2
setti
Figura 1.2 : diplexer in guida d'onda, con giunzione a Y
Capitolo 1 : Generalità sui diplexer
7
Generalmente, questo tipo di diplexer viene impiegato per applicazioni di
comunicazione satellitare, in una gamma di frequenze che va dai 20 ai 30 GHz.
Nella Figura 1.3, viene mostrato lo steso diplexer, realizzato con filtri in guida
d’onda, ma con nodi di ingresso implementati tramite circolatori.
circolatore
filtro 2
filtro 1
ingresso
Figura 1.3 : diplexer con circolatori
1.3 Metodi di approccio al progetto
Il progetto di un diplexer con nodo di giunzione è un problema complesso da
risolvere, a causa delle forti interazioni tra gli elementi filtranti. Si possono
individuare due principali metodologie: dimensionamento della giunzione e
ottimizzazione del diplexer nel suo complesso.
Nella prima categoria, si racchiudono quei metodi che realizzano e
dimensionano il nodo, in modo tale che l’effetto di ciascun filtro, nella banda
dell’altro, sia minimo, lasciando inalterati i due filtri.
In Figura 1.4, è mostrato un esempio di nodo di ingresso realizzato tramite una
giunzione e due tratti di linea. Si cerca di ridurre l’interazione tra le due
Capitolo 1 : Generalità sui diplexer
8
strutture, imponendo che l’impedenza di ingresso del filtro 2 (filtro 1), riportata
all’ingresso del diplexer sia nulla.
uscita 2
ingresso
filtro 1
uscita 1
l
1
filtro 2
l
2
giunzione
Y
1
Y
2
Figura 1.4 : diplexer con nodo di ingresso realizzato tramite una giunzione e due tratti di linea
Nel caso di giunzione ideale, le due strutture filtranti sono collegate in parallelo
mediante i due tratti di linea: quindi, per soddisfare le condizioni sopra imposte,
devono essere verificate le seguenti espressioni:
( )
( )
( )
( )
( )
( )
=
+
+
=
=
+
+
=
0
tan
tan
0
tan
tan
211,2
211,2
12,
122,1
122,1
21,
ljYY
lYjY
YY
ljYY
lYjY
YY
c
c
cin
c
c
cin
b
b
w
b
b
w
, ( )1.1
dove ( )21, winY e ( )12, winY sono, rispettivamente, le ammettenze, al nodo di
ingresso, guardando verso la struttura 1 e 2, calcolate alla pulsazione centrale del
filtro 2 e 1; mentre, 2,1Y e 1,2Y sono le ammettenze di ingresso del filtro 1 e 2,
alla frequenza centrale della struttura filtrante 2 e 1, e
c
Y è l’ammettenza
caratteristica della linea. Risolvendo il sistema ( )1.1 , si ottengono le lunghezze
delle due linee ( )2.1 .
−−−=
−−=
c
c
Y
Y
artgl
Y
Y
artgl
1,2
1
2
2,1
2
1
1
1
b
b
( )2.1
Capitolo 1 : Generalità sui diplexer
9
Questo tipo di metodologia è stata sviluppata anche nel caso di giunzione
asimmetrica a tre porte, evidenziandone i vantaggi e gli svantaggi (Morini e
Rozzi [1]).
Il limite principale di questo procedimento sta nel fatto che la compensazione, di
ogni filtro, è fatta solamente alla frequenza centrale dell’altro e, quindi, quanto
più saranno vicine le bande di trasmissione, tanto più i due filtri interagiranno,
con la conseguenza di un peggioramento del comportamento globale del
dispositivo.
Il secondo approccio al progetto si basa sull’ottimizzazione del diplexer nella
sua interezza: per rispettare le specifiche imposte, si modificano tutte le
componenti del diplexer, comprese quelle delle due strutture filtranti. In
letteratura, sono stati sviluppati molti lavori che si basano su questa tipologia di
progetto: ad esempio, in [2] redatto Bandler e altri, è proposto un metodo
ricorsivo per l’ottimizzazione di un diplexer a microonde, che sfrutta l’algoritmo
di Gauss-Newton. Il limite principale di questo lavoro sta nell’elevata
complessità computazionale, visto il gran numero di variabili utilizzate. Un’altra
tipologia di procedimenti, che appartiene alla classe di progetti che ottimizzano
l’apparecchiatura nel suo insieme, è quella in cui la ricerca dell’ottimo avviene
tramite la modifica di particolari elementi del prototipo passabasso della
struttura totale; lavori di questo tipo sono stati elaborati da Rhodes [3,4] e Levy
[5]. Si vede che questi metodi modificano sempre gli elementi vicini alla
giunzione, poiché sono questi ultimi che subiscono maggiormente la “presenza”
di elementi estranei alla propria struttura filtrante. Questi criteri forniscono una
soluzione molto buona e in tempi molto brevi, ma il loro limite sta nella
difficoltà di trovare un equivalente a microonde del prototipo ottenuto.
L’obiettivo di questo lavoro è stato quello di utilizzare e rielaborare un metodo
appartenente a questa classe [3], utilizzando, come filtri, strutture realizzate in
slabline.
Capitolo 2
Richiami sulla teoria dei filtri
Nella progettazione di un diplexer, un ruolo molto importante appartiene al
progetto del singolo filtro, in quanto una buona realizzazione iniziale delle due
strutture filtranti rende più semplice la costruzione dell’intero dispositivo. Nel
paragrafo 2.1, si introducono gli aspetti generali della teoria dei filtri, illustrando
i parametri fondamentali che ne determinano il comportamento, e si mostra il
procedimento di progetto adottato in questo lavoro. Nel paragrafo 2.2, vengono
richiamati gli aspetti basilari della teoria dei filtri, mostrando la sintesi di tre
tipologie di filtri: senza zeri di trasmissione (sottoparagrafo 2.2.1), folded
(sottoparagrafo 2.2.2) e inline (sottoparagrafo 2.2.3). Nel paragrafo 2.3, si
presenta il procedimento necessario per passare dal prototipo passabasso alla
rete passabanda.
2.1 Introduzione alla teoria dei filtri
Un filtro di frequenza è un circuito a due bocche, schematizzabile come doppio
bipolo, che ha la funzione di lasciar passare segnali che occupano una
determinata banda, detta banda passante, e ne riflette altri, che occupano bande
di frequenza che si desidera non trasmettere, dette bande arrestate. Nel caso in
cui il dispositivo non abbia dissipazioni interne, l’attenuazione in banda arrestata
è causata da un fenomeno di riflessione delle oscillazioni, aventi la frequenza
Capitolo 2 – Richiami sulla teoria dei filtri
11
compresa in questa banda: per questo motivo, in questa zona, si ha un alto
rapporto di onde stazionarie.
B.T. B.T.
B.P.
B.A. B.A.
A
Ac
A MAX
Figura 2.1 : maschera d'attenuazione del filtro: B.P.= banda passante; B.A.= banda arrestata; B.T.=
banda di transizione.
Nella banda passante, invece, si vuole che il coefficiente di riflessione sia il più
piccolo possibile. Per caratterizzare il grado di trasmissione di un filtro, per ogni
frequenza di interesse, si considera il rapporto di perdita di trasduzione, detto
anche attenuazione, definito come rapporto tra la potenza disponibile del
generatore, 0P , e quella erogata al carico, LP :
=
LP
PA 0log10 . La banda passante
sarà allora definita come quella gamma di frequenze in cui l’attenuazione è
inferiore di un valore massimo prestabilito, 21 e+=MAXA , mentre la banda
arrestata è quella in cui si hanno perdite maggiori di un valore minimo dato, cA ;
il rimanente intervallo sarà definito banda di transizione (Figura 2.1). Se il filtro
fosse privo di perdite, mantenere piccolo il coefficiente di riflessione in banda,
Capitolo 2 – Richiami sulla teoria dei filtri
12
equivarrebbe a fissare la minima attenuazione, dato che 21 MMA Γ−= , detto MΓ il
massimo coefficiente di riflessione nella banda passante. In realtà, le perdite
nella banda passante sono molto maggiori di quelle imposte dal progetto. Per
questo motivo, il dimensionamento del filtro viene effettuato nell’ipotesi di
dissipazioni nulle. Nei casi pratici, cioè con perdite finite, la banda passante
viene definita facendo riferimento al parametro 11S , il quale non viene
praticamente influenzato dalle dissipazioni. Si definisce allora banda passante
come l’intervallo di frequenze per cui
2
2
2
max21
2
11
1
1
e
e
+
=−≤ SS . Un aspetto
altrettanto importante è la ripidità dei fronti, dovuta alla larghezza della banda di
transizione: più quest’ultima sarà piccola, maggiore dovrà essere il grado di
complessità della struttura.
Una volta fornite le specifiche del filtro, si progetta la rete a costanti
concentrate, che realizza il prototipo passabasso normalizzato, cioè avente
larghezza di banda e resistenze di carico unitarie. Da questo, si passa poi al
circuito che implementa il filtro passabanda, tramite un opportuno procedimento
di denormalizzazione. Se la risposta del prototipo passabasso è simmetrica
attorno all’origine, il processo di trasformazione da passabasso a passabanda
genera una curva con simmetria di tipo geometrico attorno alla frequenza
centrale 0f . Per ottenere, invece, una caratteristica asimmetrica nella risposta
passabanda, si deve costruire un prototipo passabasso asimmetrico, che può
essere ottenuto mediante l’introduzione di elementi ideali (suscettanze costanti
con la frequenza). Trovata la rete passabanda, si cerca di realizzare ogni
componente della rete a costanti concentrate con un elemento a costanti
distribuite. Ciò può essere fatto in maniera accurata nel caso di bande relative
medio-piccole, in genere inferiori al 10%.
Capitolo 2 – Richiami sulla teoria dei filtri
13
2.2 Richiami sulla progettazione di filtri a parametri distribuiti per
bande medio-piccole
In questo paragrafo, sarà illustrato un metodo per ricavare il prototipo
passabasso nel caso generale di risposta in frequenza asimmetrica. Un circuito a
due bocche può essere sempre rappresentato, alle sue porte, tramite la matrice di
scatter S . La funzione di trasferimento del bipolo è data dall’elemento 21S di tale
matrice, esprimibile come rapporto di due polinomi Q e P , di grado m e n , con
mn ≥ , nella frequenza complessa Ω+Θ= js .
( )
( )sP
sQ
S =21 . ( )1.2
Gli zeri di P e Q devono essere opportunamente scelti in modo tale che la rete
sia fisicamente realizzabile.
Dalla ( )1.2 , nel caso in cui 1=Q , il filtro è detto a tutti poli, dato che non
presenta zeri di trasmissione; se, invece, 1≥m , 21S presenta zeri a frequenze
finite: se questi zeri si collocano sull’asse immaginario, sono detti zeri di
trasmissione.
In assenza di perdite, da 21S è possibile ricavare il rapporto di perdite di
trasduzione del filtro, definito come:
( )Ω⋅+== 22
2
21
1
1
NF
S
A e , ( )2.2
dove e è un parametro che è collegato al massimo coefficiente di riflessione
MAXΓ in banda dalla relazione:
2
2
2
2
1
MAX
MAX
MAX Γ≅
Γ−
Γ
=e , ( )3.2
Capitolo 2 – Richiami sulla teoria dei filtri
14
mentre ( )ΩNF è la funzione di Chebycheff generalizzata, che consente una
risposta equiripple in banda, anche in presenza di zeri di trasmissione. Questa si
può esprimere come rapporto di due polinomi:
( )
( )
( )
( )
( )∏
∏
=
=
Ω−Ω
Ω−Ω
=
Ω
Ω
=Ω
z
d
N
k
kz
N
k
kd
N D
N
F
1
,
1
,
, ( )4.2
dove dN è l’ordine del filtro, ovvero il numero di poli, mentre zN è il numero
degli zeri di trasmissione; kdj ,Ω e kzj ,Ω sono gli zeri di riflessione e di
trasmissione, rispettivamente.
Gli zeri kzj ,Ω sono imposti dalle specifiche; per ricavare kdj ,Ω si utilizzano le
espressioni ( )5.2 , che esprimono in forma chiusa la funzione generalizzata di
Chebycheff ( )4.2 :
( ) ( ) ( ) ( ){ }
ℜ+Ω−=Ω ∑
=
−−
ZN
k
ZN xeNNF
1
11
coscoscos per 1≤Ω
( ) ( ) ( ) ( ){ }
ℜ+Ω−=Ω ∑
=
−−
ZN
k
ZN xeNNF
1
11
coshhcoscosh per 1>Ω
( )5.2
dove
kz
kz
x
,
,
1
Ω−Ω
ΩΩ−
= . Imposti gli zeri kz ,Ω , si calcola ( )ΩNF , per alcuni valori
i
Ω=Ω , appartenenti all’intervallo [ ]1,1− , tramite la relazione ( )5.2 .
La conoscenza di questi valori del polinomio di Chebycheff, permette di
esprimere ( )ΩN , per
i
Ω=Ω , utilizzando la ( )4.2 , come:
( ) ( ) ( ) k
i
N
k
k
N
k
kziiNi aFN
z
Ω+=Ω−ΩΩ=Ω ∑∏
== 11
,
1 , ( )6.2
e da questo calcolare i coefficienti ka , mediante fitting polinomiale. Una volta
noti questi ultimi, si ricavano gli zeri di riflessione come radici del polinomio
( )ΩN .
Capitolo 2 – Richiami sulla teoria dei filtri
15
Ricordando che ( )
( )sP
sQ
S =21 e definendo 11S come:
( )
( )sP
sR
S =11 ; ( )7.2
si nota che le radici di ( )sQ sono gli zeri di trasmissione, le radici di ( )sR sono
gli zeri di riflessione, mentre le radici di ( )sP sono i poli della funzione di
trasferimento.
Nei prossimi due paragrafi, viene mostrata la sintesi di tre tipologie di filtri:
nella prima, si sintetizza il filtro nella forma canonica; nella seconda e nella
terza, si sintetizzano prototipi con zeri di trasmissione, in due particolari
configurazioni: con ingresso e uscita posizionati sullo stesso lato (prototipo
folded), oppure con ingresso e uscita su lati opposti (prototipo inline).
2.2.1 Sintesi del prototipo senza zeri di trasmissione
Nel caso in cui non si desiderino zeri di trasmissione, 1=Q , si può sintetizzare il
filtro, avente in banda passante oscillazioni equiripple, tramite i polinomi di
Chebycheff ( )ΩNF , calcolati per questo caso particolare:
( ) ( ) ( )[ ]ΩΩ=Ω −1coscos NTN per 1≤Ω ,
( ) ( ) ( )[ ]ΩΩ=Ω −1coshcosh NTN per 1>Ω .
( )8.2
E’ noto che fissata l’attenuazione minima fuori banda e il coefficiente di
riflessione massimo in banda, l’ordine del filtro è completamente determinato.
Per mezzo delle ( )8.2 e utilizzando le procedure [6, pag 310] oppure [7], si
ricavano i coefficienti
i
g del prototipo passabasso normalizzato, cioè avente
banda e resistenza di carico unitarie, che vanno a formare il prototipo, come in
Figura 2.2 .