Documento fondamentale, per capire come, dal punto di vista istituzionale, il Partito Popolare
Italiano intendesse il concetto di regione, è la Relazione di Sturzo al congresso di Venezia del 23
ottobre 1921. L’ente Regione è qui visto in modo unitario, organico e sintetico di tutti gli interessi;
come organo “elettivo, rappresentativo, autonomo-autarchico, amministrativo-legislativo”.
Il capitolo prosegue con la proposta di legge (febbraio 1920) sull’istituzione di Camere regionali di
agricoltura che rappresenta la versione istituzionale del proposito di risolvere, attraverso il
decentramento regionale, la questione agraria.
Infine si rileva come, all’interno del Parlamento, il Partito popolare si fosse battuto più volte per le
autonomie locali, ponendole come una delle linee portanti della propria linea di condotta, e uno dei
punti pregiudiziali alle varie collaborazioni governative.
Il capitolo quinto è dedicato alle ipotesi e alle idee regionaliste delle altre forze politiche. Attraverso
un’attenta analisi delle varie proposte si mette in luce come il problema della riforma dello Stato
fosse sentito dalla quasi totalità dei partiti. Tutti, dai combattenti ai futuristi, dai repubblicani ai
socialisti, sembrano, in questo periodo, convergere sull’esigenza di liberare il Paese dal centralismo
statale.
2.2 Appendici
L’appendice n.1 è dedicata alla figura di Luigi Sturzo. Ripercorrendo le sue molteplici attività,
vengono messi in luce i momenti fondamentali della sua vita, dalle prime esperienze giovanili al
ritorno in patria dopo l’esilio.
L’appendice n.2 ha come oggetto il Partito Popolare Italiano. Viene considerata la sua storia, la sua
ideologia e le battaglie che hanno caratterizzato la sua azione, dalla costituzione, avvenuta nel 1919,
al suo scioglimento nel 1926.
L’appendice n.3, di carattere prettamente introduttivo, ripercorre in generale l’esperienza giuridica
italiana in materia di “governo locale”. Partendo dall’Unità d’Italia, viene fornito un profilo storico
di tutte le proposte di riforma in senso regionalistico dello stato italiano.
Oggetto dell’appendice n.4 è il dibattito sul regionalismo nel primo dopoguerra. L’esame è, in un
primo momento, rivolto ai vari interventi parlamentari a favore di una regionalizzazione dei poteri
statuali. In seguito, si mette in luce come anche a livello governativo venisse avvertita l’esigenza di
una regionalizzazione dell’azione periferica statale.
Dopo una breve esposizione dei vari progetti governativi viene considerato il contributo della
dottrina e della pubblicistica alla risoluzione del problema. Viene rilevato come i principali cultori
di studi amministrativi del tempo si riproponessero di studiare obbiettivamente il problema, al di
fuori delle passioni e delle polemiche politiche.
3. Conclusione
Possiamo notare, da quanto detto, come, per il periodo considerato, si sia assistito ad un movimento
a pendolo tra due teorie riguardanti il regionalismo: da una parte il concetto di regione forte, dove il
governo regionale è inteso come governo politico, e, dall’altro, il concetto di regione debole, ovvero
amministrativa.
In entrambi i casi, è agevole constatare come costante e uniforme sia rimasta l’istanza a favore
dell’autonomia regionale. Non meno costanti, però, sono apparse le risposte negative da parte della
classe politica la quale, compiendo un’opera più di registrazione che di soluzione dei problemi del
governo locale, ha preferito, in qualche caso, l’avventura autoritaria.
8
CAP. I
L’AUTONOMISMO STURZIANO
Affrontare il problema delle autonomie in Luigi Sturzo significa
ripercorrere un punto nodale del suo pensiero: è, infatti, il concetto di
autonomia che offre la chiave per la piena comprensione del rapporto
tra persona, società civile e Stato.
Senza l’autonomia delle varie forme sociali, e, al loro interno, delle
singole persone, lo sbocco in direzione del totalitarismo appariva al
sociologo cattolico inevitabile. “Quel che gli individualisti (liberali e
non) non hanno voluto comprendere, dopo tante esperienze da
Napoleone ad oggi – osserva Sturzo in uno scritto del 1948 – si è che
ogni forma di individualismo inorganico porta allo Stato accentratore
e questo crea i precedenti verso il totalitarismo”
1
.
1
L. Sturzo, Teorie politiche dei cattolici, introduzione al testo di E. Omedei, Orientamenti politici
dei cattolici italiani dell’Ottocento, Garzanti, Milano, 1948, p. 28.
9
Veniva così denunciato lo stretto legame intercorrente, nella
riflessione sturziana, tra la lotta allo statalismo e quella al totalitarismo
ed insieme era indicato il rimedio: il superamento
dell’“individualismo inorganico”, a favore di un “individualismo
organico”, tale perché articolato in una ricca complessità di forme
sociali. “La società – proseguiva il prete calatino nello stesso scritto –
ha in sé elementi che reagiscono alle tendenze accentratrici e alle
forme totalitarie; ma non sempre queste sono operative, se mancano
gli organi adatti alla resistenza ed alla trasformazione, come avviene
quando la società, ridotta alla più sciolta forma individualistica, perde
la enucleazione organica che coordina e armonizza la periferia al
centro.”
2
Il sistema delle autonomie costituiva per Sturzo proprio
questo complesso di “organi adatti alla resistenza”, contro la
potenziale prevaricazione dello Stato; ed insieme orientati alla
trasformazione della società, contro i rischi dell’appiattimento, della
conservazione, dell’immobilismo. In questo senso la società, nel
momento in cui sprigiona una serie di energie originarie, espressione
della sua nativa “autonomia”, assolve nei confronti dello Stato ad una
duplice funzione: negativa, di limite (la “resistenza”); positiva, di
2
Ibidem, p. 28.
10
impulso (la “trasformazione”).
3
Occorre qui ribadire che lo Stato,
secondo la concezione sturziana, non è fonte dell’autorità, ma garante,
con il compito di tutelare e coordinare le esigenze che provengono
dalla pluralità dei diversi organismi che autonomamente operano al
suo interno, con il fine ultimo di realizzare un vero sistema di
democrazia sostanziale.
In questo rifiuto dello Stato totalitario (nella sua accezione fascista,
soprattutto, ma anche come forma degenerativa della democrazia
parlamentare), Sturzo rappresenta il punto di confluenza delle due
grandi correnti del pensiero cattolico dell’Ottocento, quella neoguelfa
e quella cattolica-liberale.
3
G. Campanini, Sturzo e il problema delle autonomie, in Analisi storica, n. 4 (gen-giu), Schena,
Brindisi, 1985.
11
1. Il concetto di autonomia
Il sistema delle autonomie sturziano nasceva da una vasta
riflessione sul complesso dei rapporti sociali, più propriamente delle
“forme sociali”. “Non ogni rapporto sociale, anche se ripetuto in
indefinito, arriva a formare una società concreta, ma solo quei rapporti
che nel processo storico acquistano un valore prevalente nella struttura
sociale. Un tale valore viene acquistato quando i suddetti rapporti
esprimono un gruppo di interessi generali (interessi intesi in senso
sociologico e non economico); solo allora si concretizzano in veri
istituti sociali con propria autonomia e responsabilità.”
4
Da questo
denso ed importante passo emergono tre fondamentali concetti. In
primo luogo, la vita della società è vita di relazione, che si evolve
storicamente: in un certo senso, tutto è sociale. Ma, ed ecco la seconda
notazione, accanto a rapporti sociali di tipo generico, ve ne sono altri
di tipo specifico, orientati a tutelare ben individuati interessi: sono
appunto questi rapporti che fondano le varie società e gli istituti in cui
essi si esprimono. Infine, caratteristica di queste ultime è l’autonomia,
4
L. Sturzo, La comunità internazionale e il diritto di guerra (1928), Opera omnia, I-2, Zanichelli,
Bologna, 1954, p. 22.
12
che è appunto la condizione necessaria perché ciascuna società si
differenzi dalle altre.
Derivano da qui alcune importanti conseguenze: prima fra tutte il
riconoscimento della fondamentale importanza della categoria di
autonomia e di quella, per Sturzo correlativa, di “responsabilità”;
senza questa autonomia ed il suo concreto esercizio non si ha più
distinzione fra le forme sociali, ma ciascuna si mescola con le altre,
perdendo la propria specificità. In questo senso le varie “forme” in cui
si articola la fitta rete di rapporti sociali o sono autonome o ‘non
sono’.
Nella prospettiva sturziana, la storia dell’uomo è costituita dal vario
intrecciarsi di queste forme sociali, ciascuna delle quali tende
dialetticamente ad imporsi alle altre. Così la famiglia si è ingrandita
fino a divenire una sorta di piccola società autosufficiente; nel
proseguo è stata la comunità territoriale che si è posta come punto di
riferimento dell’intera società civile; le stesse società religiose in certi
periodi hanno tentato di trasformarsi in potere politico, e, a sua volta,
la forma politica ha preteso di assorbire in sé stessa la forma religiosa.
In quest’ottica, lo Stato democratico, auspicato da Sturzo, si
differenzia da quello totalitario per il fatto che consente l’affermarsi e
13
il persistere di “forme sociali” in un gruppo umano, ciascuna delle
quali dotata di una propria autonomia. Vi sono così forme
fondamentali (quella familiare, quella religiosa, quella politica) e
forme secondarie (economiche, internazionali
5
, culturali). Ogni forma
cerca di raggiungere rispetto alle altre la sua propria autonomia, ma
questa potrà essere sempre “relativa”, data l’impossibilità di ridurre ad
unità le varie forme di socialità. L’intervento dello Stato ha, in questa
prospettiva, non il significato di assorbire o modificare le varie
espressioni della socialità, ma piuttosto quello di contemperare le
spinte provenienti dai vari ambienti della società civile e di
armonizzarle in vista del raggiungimento del bene comune.
6
Famiglia e comunità internazionale rappresentano dunque gli
estremi, rispettivamente più ristretto e più ampio, di questa complessa
5
Anche se la comunità internazionale viene da Sturzo considerata “secondaria”, in realtà essa
tende a divenire “primaria”, sostituendosi in qualche modo allo Stato (nazionale) come forma
politica superiore, nel momento in cui i rapporti fra i popoli cessino di essere puramente
conflittuali, e dunque basati soltanto sulla forza (e quindi sulla guerra), per diventare appunto
“sociali”, in quanto tali impostati sulla ragione e perciò sul diritto. “Il giorno in cui si addivenisse
ad una comunità internazionale fondata sulla soluzione pacifica dei conflitti fra gli Stati, la
comunità internazionale e non lo Stato nazionale, diventerebbe la più elevata forma politica” (L.
Sturzo, La comunità internazionale e il diritto di guerra (1928), cit., p. 83).
6
L’analisi sociologica dei gruppi, che certamente Sturzo conosceva, sostiene che il gruppo
consiste in “un insieme di individui in reciproco rapporto tra loro in quanto portatori di
determinati interessi o valori comuni, la cui azione è rivolta al conseguimento di un comune fine”
(C. Mongardini, La conoscenza sociologica, ECIG, Genova, 1993, p. 127).
14
rete di rapporti sociali. Tra di loro si situa la vasta e non precisamente
delimitata sfera dei rapporti politico-sociali
7
.
Alla luce di quanto detto, possiamo adesso tentare una ricostruzione
dell’edificio sturziano della socialità. Una prima grande distinzione
separa la sfera del religioso e la sfera del politico in senso lato, dando
luogo alla fondamentale diarchia fra Chiesa e Stato. Quest’ultimo è
considerato da Sturzo non come persona morale, ma come termine
riassuntivo delle varie forme di socialità non riconducibili al fatto
religioso: in questo senso lo Stato è “l’organismo politico della
nazione; non è la nazione, non è l’autorità”.
8
Vi sono poi due realtà
che di fatto trascendono la politicità vera e propria: la famiglia e la
comunità internazionale. Rimangono, all’interno della sfera
propriamente politica, tre fondamentali forme sociali e cioè la classe
o, come in altri luoghi Sturzo la definiva, l’organizzazione
professionale; il comune e, più in generale, gli enti locali; ed infine lo
Stato, la struttura attraverso la quale si opera la “reductio ad unum”
dei molteplici rapporti fra gli uomini, sempre nel rispetto
7
Ne La vera Vita, infatti, Sturzo, in un primo momento affermava che “tre sono le forme
fondamentali della società, inconfondibili per natura e tendenti alla propria autonomia: la forma
familiare, la politica e la religiosa”, per poi, più avanti, elencare le seguenti forme sociali: “la
famiglia, la classe sociale, il comune, lo stato e la chiesa”, caratterizzate tutte dalla propria capacità
di auto-organizzazione ed operanti insieme nella prospettiva della libertà (“coexistentia
multorum”) e dell’autorità (“reductio ad unum”).
15
dell’autonomia delle varie forme sociali e quindi di quella che Sturzo
definiva la “coexistentia multorum”.
2. La concezione dello Stato
Per il sociologo cattolico lo Stato non è inquadrato semplicemente
accanto alle altre fondamentali forme sociali, ma ha nei loro confronti
una superiore funzione di coordinamento, incontrando, nell’esercizio
di questa funzione, il limite invalicabile del pieno rispetto della loro
autonomia. Con una felice espressione riassuntiva, Sturzo parlava
dello Stato come del “custode dell’ordine”.
9
Ma l’unità ben presto dà
luogo al dualismo e alla moltiplicazione dei gruppi sociali, cui
corrispondono nuovi tentativi di unificazione, e così di seguito,
all’infinito, attraverso una dinamica interna dei gruppi sociali che
nessun potere costituito è in grado, alla lunga, di dominare. Nel
passaggio dalla pluralità all’unità, poi, il momento dell’unificazione e
il punto finale della sintesi, non è lo Stato, ma sempre l’individuo,
8
Ibidem, p. 314.
9
L. Sturzo, Politica e morale (1938) – Coscienza e politica (1953), Opera omnia, I-4, Zanichelli,
Bologna, 1960, p. 255.
16
dato che la società è “il prodotto dell’attività associata, non fuori né
sopra gli individui, ma intanto società in quanto individui riuniti
insieme.”
10
In sintesi, per Sturzo, lo Stato (e, più precisamente quello
democratico) è la struttura che deve al suo interno conciliare l’unità e
la pluralità, l’omogeneità del corpo sociale e l’estrema varietà dei
corpi intermedi, l’autorità, intesa come esercizio responsabile del
potere, e l’autonomia dei singoli gruppi sociali. A questo Stato
corrisponde una situazione di democrazia che il sociologo cattolico
definiva “organica”, per opporla a quella “individualista”; democrazia
organica – chiariva Sturzo – nel senso che “nello Stato democratico
deve essere riconosciuta l’esistenza, l’autonomia, l’iniziativa di tutti
gli organi amministrativi, economici, sindacali, sociali, culturali e
religiosi che corrispondono ai bisogni e ai caratteri di ogni classe e
regione e popolazione e ai loro interessi generali e particolari”
11
. E’
questo, in sostanza, il disegno di uno Stato pluralista, che non
pretende di imporsi alla società civile, ma si pone piuttosto al suo
servizio.
10
L. Sturzo, La vera Vita, cit., p. 201.
11
L. Sturzo, La ‘nostra’ democrazia, in L. Sturzo, Politica e morale, cit., p. 263.