CAPITOLO I COS’È IL PROGETTO INTEGRATO
TERRITORIALE
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economiche del territorio regionale. Il lavoro prosegue con
l’inquadramento del PIT nel Programma Operativo Regionale, con la
definizione dei criteri e delle modalità alla base della scelta di
zonizzazione del territorio e, sulla base di quanto disposto nelle
Linee Guida (predisposte della Regione Calabria per l’attivazione
dello strumento sul territorio), con l’indicazione dei contenuti di un
progetto integrato e del quadro finanziario previsto. Particolare
attenzione, infine, è dedicata alla definizione del modello regionale
di gestione, soffermandosi sulle funzioni dei vari organi di gestione
a livello centrale e locale e, soprattutto, sul ruolo dei Sindaci nella
costruzione di un PIT.
Nel terzo capitolo è analizzato il caso del PIT 21 – Locride, le
caratteristiche socio-economiche del territorio, la sua idea-forza e i
motivi della scelta effettuata. Sono, inoltre, argomentati gli obiettivi
del PIT “Locride” e il quadro finanziario. Ampio spazio è riservato
all’iter procedurale di implementazione di tale strumento sul
territorio, con riferimento alle maggiori difficoltà incontrate, nelle
varie fasi, dagli attori locali. Infine, ci si sofferma sulle funzioni e sui
rapporti tra attori locali, sia istituzionali che socio-economici, e
livello centrale, vale a dire con la Regione e l’Autorità di Gestione.
Lo studio si conclude con una quadro dei limiti maggiori del PIT
“Locride” da un lato, e i suoi punti di forza, dall’altro, con l’obiettivo
di dare una visione, quanto più possibile completa, dell’impiego di
tale modalità operativa nel territorio, anche in previsione della
nuova programmazione 2007-2013.
CAPITOLO I COS’È IL PROGETTO INTEGRATO
TERRITORIALE
10
CAPITOLO I
COS’È IL PROGETTO INTEGRATO TERRITORIALE
1.1 Nuova programmazione e progetto integrato territoriale:
definizioni e quadro legislativo di riferimento.
Nell’ambito delle misure previste dal Programma di Sviluppo
del Mezzogiorno e, successivamente dal Quadro Comunitario di
Sostegno per le regioni italiane dell’Obiettivo 1
1
, la progettazione
integrata territoriale riveste un ruolo particolarmente forte per la
promozione dello sviluppo locale sostenibile da un punto di vista sia
economico che ambientale e sociale.
Lo sviluppo locale sostenibile comporta un approccio secondo
cui è possibile fare ricorso ad una pluralità di modelli (e non più a
modelli precostituiti) che, pur avendo parti sistematiche comuni,
1
Il Quadro di Sostegno Comunitario è il documento approvato dalla Commissione
Europea, d’intesa con lo Stato membro interessato, che contiene la fotografia della
situazione di partenza, la strategia, le priorità d’azione, gli obiettivi specifici, la
ripartizione delle risorse finanziarie e le condizioni di attuazione. È articolato in Assi
prioritari e attuato tramite dei programmi operativi (in Italia il PSM, sette POR
(programma operativo regionale) e sette PON (programma operativo nazionale)).
L’Unione Europea persegue, sostanzialmente, un obiettivo di coesione e sviluppo
economico e sociale in tutte le sue Regioni per ridurre nel tempo il divario tra gli Stati (o
regioni di Stati) in ritardo di sviluppo e quelli più avanzati. Gli obiettivi prioritari
dell’Unione Europea, per la programmazione 2000-2006, sono tre: Obiettivo 1
(promuovere lo sviluppo e l’adeguamento strutturale delle regioni che presentano ritardi
nello sviluppo), Obiettivo 2 (favorire la riconversione economica e sociale delle zone con
difficoltà strutturali) e Obiettivo 3 (favorire l’adeguamento e l’ammodernamento delle
politiche e dei sistemi di istruzione, formazione e occupazione). Per quanto riguarda
l’Italia, le regioni che rientrano nell’obiettivo 1 sono Basilicata, Calabria, Campania,
Puglia, Sicilia e Sardegna, vale a dire quelle regioni in cui il Prodotto Interno Lordo (PIL)
pro-capite è inferiore al 75% della media comunitaria (Regolamento CE n. 1260 del 1999,
art. 3). (per maggiori informazioni, www.tesoro.it – Dipartimento per le Politiche di Sviluppo).
CAPITOLO I COS’È IL PROGETTO INTEGRATO
TERRITORIALE
11
reperiscono configurazioni singolari e specifiche per ciascuna realtà
territoriale. Un modello di sviluppo locale così concepito, prevede
“un meccanismo interattivo che coinvolge diversi attori e soggetti
(pubblici e privati) in una logica di funzionamento di sistema, con
capacità di rispondere ai fabbisogni di servizi e di soluzione dei
problemi, che implementano conoscenze, capacità e competenze,
allungando la filiera produttiva. L’allargamento del mercato
(conseguenza dell’espansione produttiva e della crescita
dell’occupazione) e l’esplicitazione dei fabbisogni delle imprese e dei
cittadini fanno, infine, emergere nuove opportunità di investimento
e di valorizzazione di risorse, conoscenze e competenze inutilizzate.
Tutto ciò rende fattibili nuovi progetti di investimento e avvio di
nuove imprese e iniziative economiche la cui redditività è, ora, resa
possibile dall’avvio e dall’implementazione del processo di
sviluppo” (Garofoli, 2003, pag. 97).
Si evince allora come il modello di sviluppo locale, debba
partire dal basso per coinvolgere l’intero sistema economico-sociale
e sia basato su una logica processuale e di implementazione,
generatore di effetti moltiplicativi.
L’UE promuove quest’approccio già da tempo e, legandosi ai
valori territoriali, si presta a diverse interpretazioni e si traduce in
diverse modalità di azione. I Progetti Integrati Territoriali (PIT) sono
una di queste.
Il Progetto Integrato Territoriale (PIT), infatti, è definito dalle
“Linee guida su programmazione e valutazione ex ante” del
Ministero del Tesoro, coerentemente con la Delibera CIPE del 14
maggio 1999 (Orientamenti per il PSM), come un “complesso di
azioni intersettoriali, strettamente coerenti e collegate fra loro, che
CAPITOLO I COS’È IL PROGETTO INTEGRATO
TERRITORIALE
12
convergono verso il conseguimento di un comune obiettivo di
sviluppo del territorio e giustificano un approccio attuativo
unitario”.
La definizione in esame evidenzia due elementi fondamentali
della progettazione integrata territoriale che, se opportunamente
sfruttati, rendono la stessa una modalità operativa innovativa:
1. il concetto di integrazione progettuale, caratteristica generale
dell’attività cofinanziata dai Fondi strutturali;
2. il riferimento territoriale del complesso delle azioni
programmate, inteso non solo come destinatario di
iniziative e di azioni di sviluppo, ma come contesto di cui si
vogliono attivare le potenzialità latenti e/o presenti (QCS,
2000).
In primo luogo quindi, il principio guida del PIT è
l’integrazione dei progetti finalizzata allo sviluppo virtuoso del
territorio: integrazione fra azioni e tra i progetti in discussione e i
programmi regionali. I progetti integrati, infatti, devono inserirsi
coerentemente all’interno della strategia regionale, delle linee di
intervento (territoriali, settoriali e di filiera) e dei metodi
(concertazione, collaborazione pubblico – privato) esplicitati nel
Programma Operativo Regionale (POR), poiché costituiscono
modalità operative attuative della programmazione regionale,
finalizzate a dare esecuzione ai principi della concentrazione e
dell’integrazione delle risorse e degli interventi, attraverso la
costruzione di programmi/progetti locali incentrati su azioni e
investimenti legati da una logica comune.
La finalità, pertanto, è garantire una sintesi efficace e di qualità
fra le istanze regionali e locali, grazie a procedure di confronto e di
CAPITOLO I COS’È IL PROGETTO INTEGRATO
TERRITORIALE
13
intesa tra le parti e a meccanismi efficienti di valutazione e controllo.
Questo complesso sistema di azioni e relazioni dovrebbe, infine,
costituire una strategia di “rottura” dello stato attuale delle cose e
innescare percorsi virtuosi di crescita e innovazione locale.
Per quanto concerne il quadro legislativo di riferimento, va
sottolineato che la Progettazione Integrata Territoriale è definita, in
primo luogo, dal Programma di Sviluppo del Mezzogiorno (PSM)
redatto dal Dipartimento per le Politiche di Sviluppo e di Coesione
del Ministero del Tesoro, del Bilancio e della Programmazione
Economica (DPS) e, in secondo luogo, dal QCS per le regioni italiane
Obiettivo 1 predisposto dall’Unione Europea sulla base delle
indicazioni del PSM e del negoziato fra il Governo italiano e la
Commissione Europea (Colaizzo, 2000).
Il PSM ha come obiettivo generale una significativa e
sostenibile riduzione del divario economico-sociale delle aree del
Mezzogiorno (Regioni Obiettivo 1) attraverso la crescita della
competitività di lungo periodo, la creazione condizioni di accesso
pieno e libero al lavoro, facendo leva sui valori ambientali e di pari
opportunità. In particolare, il PSM mira a:
1. conseguire entro il quarto anno del settennio 2000-2006 un
tasso di crescita del Mezzogiorno pari al doppio di quello
medio dell’Unione Europea;
2. ridurre drasticamente il disagio sociale, soprattutto
mediante un forte aumento dell’occupazione regolare e la
conseguente riduzione del lavoro sommerso.
Si intende pertanto intervenire soprattutto con una strategia
dal lato dell’offerta finalizzata a produrre una discontinuità nei
comportamenti degli operatori, spingendoli a investire e a favorire
CAPITOLO I COS’È IL PROGETTO INTEGRATO
TERRITORIALE
14
di conseguenza lo sviluppo del Mezzogiorno. Così facendo, la nuova
programmazione dei fondi strutturali
2
, seguendo i principi e i
requisiti prima indicati, dovrebbe innescare meccanismi non lineari
di crescita, che sfruttino economie di agglomerazione, di
localizzazione e di scala
3
e consentano di portare, entro tempi
ragionevoli, il potenziale produttivo del Mezzogiorno in linea con il
resto d’Europa.
Come già precedentemente affermato, l’obiettivo finale di
questo complesso sistema di azioni è provocare una “rottura” dello
stato attuale di cose attraverso percorsi di crescita e innovazione.
Vero è che, un aumento del tasso di crescita avviene se si modificano
i comportamenti, le aspettative e le convenienze degli operatori. Ciò
si potrebbe ottenere qualora si riuscissero a produrre le esternalità
4
2
I Fondi strutturali, unitamente alla Banca europea per gli investimenti (BEI) e al Fondo
di coesione, è lo strumento finanziario con cui l’Unione Europea persegue l’obiettivo di
coesione e sviluppo economico e sociale di tutte le sue Regioni. Nello specifico, i fondi
comunitari attivati per il settennio 2000-2006 sono i seguenti: il Fondo sociale europeo
(FSE, per prevenire e combattere la disoccupazione e sviluppare le risorse umane e
l’integrazione sociale nel mercato del lavoro), il Fondo europeo per lo sviluppo regionale
(FESR, per promuovere la coesione economica e sociale attraverso la correzione dei
principali squilibri regionali esistenti nell’Unione Europea), il Fondo europeo per
l’agricoltura, orientamento e garanzia (FEAOG, per finanziare la politica agricola comune
(PAC) e definire il quadro del sostegno comunitario per lo sviluppo rurale sostenibile) e
lo Strumento finanziario di orientamento per la pesca (SFOP, per l’attuazione della
politica comune della pesca che contribuisce all’equilibrio tra conservazione, gestione e
sfruttamento razionale delle risorse ittiche e dell’acquacoltura e della trasformazione e
commercializzazione dei relativi prodotti). (per maggiori informazioni, www.tesoro.it –
Dipartimento per le Politiche di Sviluppo).
3
Le economie di agglomerazione e di localizzazione sfruttano le esternalità positive
presenti sul territorio. In particolare le economie di agglomerazione si generano tra
industrie interne ad un settore concentrate nella stessa zona, quelle di localizzazione tra
industrie interne ad un’area ma di diverso settore.
Le economie di scala, infine, si verificano nelle situazioni in cui il costo totale unitario di
lungo periodo decresce al crescere della produzione di un’impresa (sono dette anche
rendimenti di scala crescenti).
4
Le esternalità si verificano quando le conseguenze, positive o negative, del
comportamento di un operatore ricadono anche su altri soggetti. In particolare le
esternalità positive generano benefici mentre quelle negative svantaggi.
Generalmente, si distinguono le esternalità del consumo dalle esternalità della
produzione: le prime si realizzano quando un consumatore è interessato direttamente
CAPITOLO I COS’È IL PROGETTO INTEGRATO
TERRITORIALE
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necessarie a modificare i parametri stessi dello sviluppo. La
programmazione 2000-2006 indica, a tal proposito, delle “variabili di
rottura”, in grado di innescare un modello di sviluppo endogeno
delle Regioni Obiettivo 1 diverso da quello prevalso fin’ora, che
possono essere così elencate:
1. le esportazioni verso l’estero e il resto d’Italia, che, favorite dal
concorrere di un insieme di condizioni (economie collegate
agli interventi di contesto, innalzamento della produttività
del lavoro e dei servizi alle imprese, innovazioni, ecc.) e
riassumibili in un andamento competitivo del costo del
lavoro per unità di prodotto, costituirebbero un traino
rilevante di crescita sostituendosi ai consumi nazionali;
2. i consumi dei non residenti, che, legati a un forte aumento dei
flussi turistici (in seguito alla buona riuscita di azioni volte
a valorizzare le risorse del patrimonio culturale e naturale
del territorio) potrebbero innalzare i consumi interni;
3. gli investimenti privati, che, favoriti dal miglioramento
tangibile del contesto economico – sociale e del mercato del
lavoro, dovranno confermare l’avvio di un processo di
accumulazione innescato dalla leva dell’investimento
pubblico e dovranno, infine, attivare offerta soprattutto
all’interno dell’area stessa;
4. gli investimenti diretti, dall’estero e dal Centro-Nord, la cui
crescita assicurerebbe l’afflusso nel territorio di
alla produzione o al consumo di un altro individuo; le seconde, invece, si verificano
quando le possibilità di produzione di un’impresa sono influenzate dalle scelte di
un’altra impresa o di un consumatore (Varian, 1998).
CAPITOLO I COS’È IL PROGETTO INTEGRATO
TERRITORIALE
16
competenze e modelli organizzativi esterni che
abbatterebbero alcune discontinuità;
5. l’aumento dell’occupazione giovanile e femminile propiziata da
un clima più favorevole all’assunzione dei rischi
imprenditoriali e dall’adozione di interventi di
qualificazione dei servizi sociali e di realizzazione dei
principi di pari opportunità;
6. la riduzione dell’occupazione sommersa in seguito ad un più
efficiente finanziamento del mercato del lavoro, con
conseguente incremento della produttività del lavoro
emerso grazie al miglioramento del contesto ambientale,
organizzativo e formativo e dei mezzi capitali disponibili;
7. la promozione dell’economia sociale che produrrebbe nuova
occupazione;
8. la ricomposizione del mix industriale attraverso uno
spostamento a favore di settori più orientati
all’esportazione (in particolare produttori di beni
strumentali) e contraddistinti da una produttività pro-
capite maggiore o in crescita (in nicchie innovative);
9. la riqualificazione del settore agricolo attraverso il suo
inserimento in contesto di filiera agroindustriale, favorita
dalla maggiore valorizzazione del prodotto mediterraneo
(anche a livello internazionale);
10. il rafforzamento delle capacità di ricerca, innovazione e alta
formazione del sistema meridionale, affinché si verifichi un
processo di ammodernamento e diversificazione delle
imprese esistenti, si accresca il contenuto tecnologico delle
CAPITOLO I COS’È IL PROGETTO INTEGRATO
TERRITORIALE
17
produzioni del Mezzogiorno e si diffondano e valorizzino i
risultati della ricerca;
11. la ricomposizione del settore terziario, attribuendo maggior
peso ai servizi imprenditoriali e sociali alla persona e ai
servizi (in particolare quelli innovativi) alle imprese, per
assicurare una ricaduta nel territorio della maggiore
domanda di servizi indotta dalla crescita;
12. la razionalizzazione dei servizi tradizionali per assestare lo
sviluppo del settore turistico e assicurare il consolidamento
del settore distributivo (attraverso la riduzione dei costi
unitari delle piccole imprese) quale veicolo per l’offerta di
prodotti tradizionali, artigianali e delle piccole imprese
presenti nell’area;
13. l’efficienza del mercato del credito e dei capitali, necessaria per
garantire il giusto sostegno finanziario al processo di
crescita che si intende attivare;
14. l’ammodernamento della Pubblica Amministrazione che,
mediante una migliore organizzazione interna e la
fornitura di servizi qualitativamente migliori, sia in grado
si sostenere la crescita del sistema produttivo e il
soddisfacimento della domanda delle famiglie (Orientamenti
PSM, 1999).
Oltre che dal PSM e dal QCS, la nuova programmazione dei
fondi strutturali per lo sviluppo del Mezzogiorno è definita dalle
delibere del Comitato Interministeriale per la Politica Economica
(CIPE) del 22 dicembre 1998 (definizione delle procedure
partenariali per la formulazione del PSM), del 6 agosto 1999
(adozione del PSM) e del 14 maggio 1999 (approvazione del
CAPITOLO I COS’È IL PROGETTO INTEGRATO
TERRITORIALE
18
documento “Orientamenti” per la predisposizione del PSM).Altre
importanti disposizioni sono, inoltre, contenute in diverse
elaborazioni predisposte dal Dipartimento per le Politiche di
Sviluppo (DPS), nei Programmi Operativi Nazionali (PON) e
Regionali (POR) e, infine, nel Documento di Programmazione
Economica e Finanziaria 2000-2002 (DPEF).
Il tema del Progetto Integrato Territoriale, in verità, non è
ampiamente trattato nel PSM (anche se questi ne delinea
chiaramente i fondamenti programmatici) bensì nel documento di
“Orientamenti”, nonché nella Delibera CIPE del 14 maggio 1999 e, in
particolar modo, nelle “Linee guida sulla programmazione e la
valutazione ex ante” formulate nella fase di preparazione del PSM e
dei POR dal Dipartimento delle Politiche Sociali. Quest’ultimo
documento, infatti, dedica uno specifico paragrafo alla progettazione
integrata territoriale.
Infine, un altro importante documento predisposto dal DPS è
quello relativo agli “Orientamenti per le Regioni” (17 gennaio 2000)
formulato ai fini dell’inserimento dei PIT nei Complementi di
Programmazione (CdP).
Alla luce di quanto sopra esposto, si evince l’importanza della
promozione dello sviluppo locale nelle Regioni Obiettivo 1 (al quale
è dedicato uno dei sei Assi prioritari individuati dal PSM
5
)
attraverso la programmazione dei fondi strutturali e il ricorso alla
5
L’identificazione degli Assi prioritari di intervento che il PSM potrà assumere come
riferimento nel definire le scelte di investimento pubblico, deriva da una visione
complessiva dei problemi e delle potenzialità del Mezzogiorno. Gli Assi sono sei e si
riferiscono in particolare alle “Risorse naturali” (Asse I), alle “Risorse culturali” (Asse II),
alle “Risorse umane” (Asse III), ai “Sistemi locali di sviluppo” (Asse IV), alle “Città”
(Asse V) ed infine alle “Reti e nodi di servizio” (Asse VI); tutte scelte improntate sulla
dimensione e sulla progettualità locale (Colaizzo, 2000).
CAPITOLO I COS’È IL PROGETTO INTEGRATO
TERRITORIALE
19
progettazione integrata territoriale quale “modalità operativa di
attuazione” dei programmi cofinanziata di che trattasi (Colaizzo, 2000).
1.2 I principi guida e gli ambiti di applicazione.
Il Progetto Integrato Territoriale persegue, attraverso un
approccio integrato, un obiettivo di crescita riferito ad uno specifico
ambito territoriale, coerente con la programmazione nazionale e
regionale. La normativa vigente in materia ha definito, in varie
occasioni, i principi guida che regolano l’implementazione e
l’attuazione dei PIT.
In particolare, le già citate “Linee guida per la valutazione ex-
ante” sanciscono che gli interventi, riconducibili ad un progetto
integrato, possano riferirsi a diverse misure del POR e prevedere, in
tal modo, il coinvolgimento di più settori e dei diversi livelli
dell’amministrazione regionale (sviluppo della governance locale).
Affinché lo sviluppo si attivi è necessario, infatti, che economia,
società e territorio si muovano all’unisono e, pertanto fondamentale
è l’incremento e il potenziamento della governance locale, la quale
“include tutte le conoscenze, le competenze e il potere di controllare
il processo di trasformazione del sistema socio-economico locale e,
quindi include le istituzioni intermedie e le associazioni degli
interessi, oltre al sistema delle imprese. La governance dello sviluppo
locale implica, dunque, il coinvolgimento degli stakeholders
dell’economia e della società locale” (Garofoli, 2003, pag. 107), prevede il
coordinamento non soltanto tra gli attori locali dello sviluppo
(partenariato pubblico-privato come nel caso delle esperienze
CAPITOLO I COS’È IL PROGETTO INTEGRATO
TERRITORIALE
20
precedenti dei Patti Territoriali e della Programmazione Negoziata),
ma anche il coordinamento tra i vari livelli di governo (Regionale,
Provinciale, Locale) per garantire la coerenza dei vari interventi,
oltre che il sostegno, da parte degli organi di governo superiori, nelle
fasi di progettazione, gestione e valutazione. Il Progetto Integrato
Territoriale rappresenta, a tal proposito, “un’occasione storica per
realizzare questo tipo di governance, attraverso meccanismi di
coordinamento e premialità che favoriscano la capacità di
progettazione, l’integrazione di competenze, la messa in rete di
conoscenze e competenze e, soprattutto, il raggiungimento di una
sufficiente massa critica degli interventi, condizione necessaria per il
successo di un progetto di sviluppo” (Garofoli, 2003, pag. 99).
Il PIT, quindi, è una sorta di trampolino di lancio per innescare
un percorso di integrazione e valorizzazione di risorse e competente
nell’ambito di un territorio; si traduce, infatti, in un approccio
integrato e partecipativo allo sviluppo locale.
Si presenta come un’ambiziosa opportunità per tentare di
portare ad unitarietà programmatica le molteplici esperienze di
sviluppo locale che hanno visto la luce negli anni ’90, favorite, tra
l’altro, da un’offerta di strumenti e di risorse messe a disposizione
dal governo centrale e dall’Unione Europea (dai Patti Territoriali ai
PRUSST, dai LEADER agli Urban). Tra l’altro, il Quadro
Comunitario di Sostegno per le Regioni Obiettivo 1 della Comunità
Europea afferma, in modo esplicito, che il Progetto Integrato non è
un nuovo strumento di programmazione, bensì “una modalità
operativa di attuazione che fa sì che una serie di azioni – che fanno
capo ad Assi e Misure diversi – siano esplicitamente collegate tra
loro e finalizzate a un comune obiettivo” (QCS, 2000, pag. 157). Ciò
CAPITOLO I COS’È IL PROGETTO INTEGRATO
TERRITORIALE
21
significa che gli interventi ipotizzati nel PIT possano riferirsi a
misure diverse del POR e, pertanto, coinvolgono più settori
dell’amministrazione regionale.
Le “Linee Guida” prevedono una trattazione “a due stadi”
(Colaizzo, 2000, pag. 13) dei PIT, rispettivamente nell’ambito del
Programma Operativo Regionale (POR), che deve delineare gli
orientamenti generali, i dati relativi al complesso dei PIT di sua
competenza e le indicazioni specifiche solo dei progetti di maggiori
dimensioni, e nell’ambito del Complemento di Programmazione
(CdP), nel quale invece, sono indicati in dettaglio la descrizione e la
quantificazione dei fabbisogni di ciascuno dei PIT da attuare: esso,
infatti, è un “progetto definito che ha necessità di dotarsi di risorse
finanziarie, da quantificare complessivamente e distribuire tra le
Misure che contribuiscono alla realizzazione del Progetto”
(Orientamenti per le Regioni, 2000, pag. 3).
Per quel che riguarda l’ambito POR, le più volte citate “Linee
Guida” stabiliscono che questi deve:
a. illustrare tipologia e caratteristiche dei PIT, quali
componente fondamentale della strategia di sviluppo
regionale, degli assi prioritari di intervento e degli obiettivi
specifici;
b. indicare le misure che contribuiscono alla realizzazione di
un PIT, nell’ambito della descrizione delle misure stesse;
c. individuare orientativamente i PIT di maggiore rilevanza;
d. indicare l’entità complessiva delle risorse destinate ai PIT;
e. delineare la distribuzione temporale delle risorse
complessivamente destinate ai PIT, per asse di intervento.
CAPITOLO I COS’È IL PROGETTO INTEGRATO
TERRITORIALE
22
Con riferimento all’ambito CdP, invece, si osserva che in esso
è prevista l’identificazione e la descrizione di ciascun PIT, con
particolare attenzione:
a. all’ambito territoriale di intervento;
b. all’obiettivo specifico o combinazione di obiettivi specifici
al cui conseguimento è finalizzato il PIT, con indicazione
degli assi prioritari in cui esso trova collocazione;
c. ai nessi fra obiettivi specifici ed obiettivi globali (di asse);
d. agli interventi da realizzare e riferimento alle
azioni/misure di riferimento;
e. agli indicatori di realizzazione riferiti al PIT;
f. all’ammontare delle risorse destinate al PIT per annualità
di riferimento.
All’interno del Complemento di Programmazione
6
, dunque, il
Progetto Integrato Territoriale deve essere descritto accuratamente e,
sia nel Documento di “Orientamenti per le Regioni” che nel QCS
sono espressamente indicati gli aspetti che il CdP deve contenere a
proposito dello strumento di progettazione integrata in esame:
- identificazione dei contesti territoriali o tematici destinatari
prioritari degli interventi dei progetti integrati;
- individuazione degli obiettivi dei progetti integrati;
- indicazione della strategia di intervento;
- procedure di progettazione, approvazione e finanziamento
dei progetti integrati e ammontare delle risorse
complessive loro destinate;
6
Il Complemento di Programmazione, a differenza del POR, non è soggetto
all’approvazione degli organismi comunitari (che ricade, invece, nelle competenze
esclusive dell’autorità Responsabile del PO e del Comitato di Sorveglianza) ma va solo
trasmesso alla Commissione Europea.