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in cui l’immagine occupa invece l’intero campo visivo, il suo carattere di simulazione può
evidenziarsi soltanto se è imperfetta, cioè se è incoerente coi nostri ricordi, oppure se non
è integrata col nostro sistema motorio (tocco l’immagine della mela e la mela non si
sposta, ad esempio). Un ruolo è svolto anche dalla coerenza dell’immagine, dal fatto che
obbedisca alle leggi di natura, ad esempio. Sembra dunque che le nostre attribuzioni di
realtà, il fatto che trattiamo qualcosa come reale e non, invece, come una finzione,
un’immagine, un’apparenza ecc…, abbiano a che fare con l’integrazione tra percezione e
motricità, con un ruolo importante della memoria (dubitiamo che qualcosa sia una mela
reale perché non assomiglia alle mele – s’intende alle mele che abbiamo visto e
ricordiamo di aver visto).
Spesso al termine “Realtà Virtuale” è associata l’idea di un’area in forte espansione nel
campo dell’informatica. Ci riferiamo alla computer graphics e, in particolare, alla grafica
tridimensionale, cioè la possibilità di visualizzare sul monitor di un computer un ambiente
dotato di prospettiva, illuminazione e di tutte le altre caratteristiche del mondo esterno che
percepiamo attraverso l’organo oculare. Di fatto la realtà virtuale, specie con le più recenti
evoluzioni tecnologiche non si ferma solo ad una rappresentazione attraverso la grafica
tridimensionale, ma si poggia anche su altri strumenti legati ai nostri sensi. L’audio
posizionale è uno di quelli che sta prendendo piega con maggior forza grazie alla sua
capacità di immergere letteralmente l’ascoltatore in una complessa coltre di effetti sonori.
Meno diffuso a livello domestico (visti i suoi costi spesso proibitivi), ma non per questo
meno interessante dal punto di vista scientifico, è lo sviluppo di alcune interfacce aptiche,
che trasmettono sensazioni legate al tatto come l’attrito o la gravità. Tenendo conto di tutti
questi fattori possiamo definire allo stesso tempo l’informatica come uno strumento della
realtà virtuale, perché i computer permettono l’illusione alla sua base, e la realtà virtuale
come uno strumento dell’informatica, in quanto apre le porte a tutta una serie di
applicazioni multimediali.
Uno degli esempi più lampanti di realtà virtuale è senza ombra di dubbio il cinema.
Spesso nelle produzioni cinematografiche, specie quelle di stampo hollywoodiano,
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trovano ampio spazio effetti speciali e ciò lo ritroviamo soprattutto nelle tipologie di film
in cui la fantasia del regista dà luogo ad una sceneggiatura futuristica, fantascientifica o
fantasy. In questo genere di pellicole i tecnici che si occupano di realizzare gli effetti
speciali hanno come obiettivo ultimo quello di illudere coloro che vedranno il film, dando
vita ad elementi della natura come fuoco, ghiaccio, vento o anche a personaggi (in alcuni
casi veri protagonisti della sceneggiatura) che devono essere allo stesso tempo reali ed
irreali, credibili ed incredibili, esistenti ed immaginari.
Figura 1.1: la locandina del film Matrix Revolutions
Di esempi in questo campo ne potrebbero essere fatti decine, tuttavia quelli più
rappresentativi dell’industria cinematografica sono essenzialmente due: “Matrix” ed “Il
Signore Degli Anelli”.
Il primo, frutto della fantasia e dell’ingegno dei fratelli Wachowski, ha fatto molto
discutere per l’originalità del tema trattato ed ha aperto nuove diatribe filosofico-
scientifiche su quello che è il mondo in cui viviamo. In questo caso la realtà virtuale
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rappresenta non solo lo strumento di divulgazione del film (attraverso stupefacenti effetti
speciali), ma anche l’argomento principe della stessa sceneggiatura.
Figura 1.2: la locandina del film Il Signore Degli Anelli - La Compagnia Dell’Anello
Il secondo è un esempio di stampo più classico e legato ad una trama meno futureggiante,
più fantasy, basata sull’opera “Il Signore Degli Anelli” di J.R.R. Tolkien, visionario di un
mondo irreale, di una realtà virtuale se vogliamo, in cui l’autore esprime con grandissima
forza e temperamento una critica alla guerra, all’industrializzazione, proponendo l’eterna
lotta tra il bene ed il male. Questo libro, che si per sé trasmette ai propri lettori una
sensazione immersiva molto profonda grazie all’enorme carica emotiva-psicologica di cui
è dotato, è stato portato sul grande schermo con una trilogia firmata dal regista americano
Peter Jackson che in totale si è aggiudicato ben diciassette statuette tra le quali non
potevano mancare le tre per i “Migliori Effetti Speciali”.
Pensare che la realtà virtuale trovi riscontro solo all’interno di applicazioni dedite
all’intrattenimento è un errore piuttosto comune. Di fatto esistono innumerevoli casi in cui
illudere la mente umana rappresenta un vantaggio non indifferente e questi vanno ben
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oltre il semplice diletto. Prendiamo in considerazione tutti quei mestieri in cui non ci si
può permettere di sbagliare ed in cui la realtà virtuale rappresenta l’unico strumento di
addestramento e pratica prima della prova sul campo. Stiamo parlando essenzialmente
della “simulazione”, una delle prerogative della grafica tridimensionale.
Ormai l’aeronautica della maggioranza dei paesi nel mondo effettua una lunga sessione
dell’addestramento di un pilota innanzitutto sui simulatori, facendogli accumulare decine
di ore di volo prima di fargli mettere piede su un veivolo reale. Le motivazioni alla base di
tutto ciò sono di varia natura: un pilota alle prime armi potrebbe perdere il controllo
dell’apparecchio portando la propria incolumità e quella del prossimo in serio pericolo.
Rientra all’interno del rischio anche una minaccia di tipo economica, secondaria da un
punto di vista etico, ma assolutamente non sottovalutata né messa in secondo piano dai
vari governi.
Figura 1.3: un’immagine di Flight Simulator 2004, simulatore di volo sviluppato da Microsoft
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Discorso simile si potrebbe fare anche per gli studenti delle facoltà di medicina, nonché
per gli stessi medici esercitanti la loro professione. La simulazione assume un ruolo
fondamentale in ambienti ospedalieri. Nuove modalità di interventi possono essere
sperimentate più volte sul simulatore senza mettere a repentaglio la vita dei pazienti. Le
più avanzate tecniche di analisi sono in grado di ricostruire in un’immagine
tridimensionale lo stato interno degli organi permettendo di diagnosticare varie patologie
con precisione e largo anticipo rispetto alle tecnologie tradizionali e preparando al meglio
il terreno per eventuali operazioni chirurgiche. Anche nel campo della ricerca biologica la
grafica tridimensionale ha trovato largo impiego: i più potenti microscopi a scansione
elettronica sono capaci di rappresentare in tre dimensioni la struttura molecolare di varie
sostanze. Non meno importanti sono gli applicativi legati alla riabilitazione, nonché al
supporto di persone invalide.
Indipendentemente dall’applicazione della realtà virtuale, che essa sia quindi a scopo di
intrattenimento, di addestramento o di supporto, l’obiettivo primario è quello di
immergere completamente l’utente all’interno di un mondo così realistico da renderlo
indistinguibile dal mondo reale. Se viene meno questo obiettivo, tutto ciò che ne deriva
perde in credibilità il che porta ad una serie di conseguenze spesso non propriamente
prevedibili. Esistono diversi esempi di produzioni cinematografiche i cui effetti speciali
non sono convincenti ed il risultato è un prodotto di scarso successo che non soddisfa i
propri clienti e che, probabilmente, procura un danno economico non indifferente al
produttore. Questa è solo una delle proiezioni di una realtà virtuale poco credibile. Una
situazione simile applicata ad un simulatore di volo per l’addestramento militare e civile
dei piloti può portare a risultati ben più costosi e preoccupanti.
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1.2 - I videogiochi
Esistono da decine di anni ed in questo stesso periodo hanno fatto parlare più volte di loro
per la ragioni più svariate. C’è chi li reputa un passatempo poco costruttivo che ottunde la
mente, c’è chi ritiene che siano un’opportunità per mettersi alla prova e per acquistare
fiducia di sé. Indipendentemente da queste diatribe, esiste un dato di fatto inattaccabile: i
videogiochi stanno raggiungendo un livello di diffusione impressionante.
Un tempo venivano chiamati semplicemente “giochi elettronici”, con chiaro riferimento a
quelle mini console portatili con schermo a cristalli liquidi a forme prestampate, oggi
esistono enti che stanno valutando se considerare come veri e propri artisti coloro che li
creano. I videogiochi stanno invadendo svariate tipologie di mercato, al punto tale da
rappresentare una delle più remurative fonti di guadagno per gli imprenditori. La loro
storia è legata ad un passato che li vedeva protagonisti di una ristretta cerchia di
piattaforme. Due sono i filoni che fin dalla metà degli anni ottanta vantavano
l’implementazione di videogiochi: quello delle console, macchine create con l’unico
scopo di divertire l’acquirente, e quello dei primi personal computer. Entrambe queste
soluzioni furono accolte timidamente dal mercato. Siamo all’epoca in cui il massimo della
tecnologia all’interno dell’ambiente domestico era rappresentata da un televisore (che
spesso non era più di uno per nucleo familiare). Nonostante ciò col passare del tempo la
loro espansione diventò un fenomeno esponenziale e fin da subito fu chiaro che le console
possedevano un sex appeal superiore rispetto ai personal computer. Un prezzo d’acquisto
inferiore a quello di un PC, una più vasta disponibilità di titoli e soprattutto una facilità
d’uso nettamente superiore, fece e fa tutt’oggi, la fortuna di queste macchine da gioco.
Anche i personal computer hanno subito una violenta diffusione anche se, in questo caso,
il motivo di ciò andava ben oltre il semplice intrattenimento elettronico: la nascita di
molte suite software fece acquisire ai PC tutta una serie di funzionalità che ne decretarono
il successo. I personal computer applicati ai videogiochi hanno subito una netta impennata
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solo con l’introduzione delle prime schede video con supporto all’accelerazione della
grafica tridimensionale.
Nel tempo la crescita e l’evoluzione di entrambe queste piattaforme le ha portate a
conquistare fette di mercato sempre più significative nel campo dell’intrattenimento. Tale
risultato spinse diverse software house a creare versioni distinte di uno stesso titolo in
maniera da assicurarsi un target più ampio possibile. Questo trand è diventato sempre più
comune con il passare degli anni al punto da diventare oggi normale routine per una
software house. Inizialmente, infatti, i costi che si dovevano sostenere per il porting di un
videogioco da una piattaforma all’altra erano elevati a causa delle notevoli differenze a
livello di architettura. Ogni produttore di console sviluppava il proprio SDK (Software
Development Kit) basato su librerie proprietarie che ne rendevano l’implementazione
incompatibile sui prodotti concorrenti. Ciò è vero anche per quanto concerne il mondo dei
personal computer: aziende produttrici di processori grafici, come 3dfx Interactive,
svilupparono delle API proprietarie ottimizzate per il proprio hardware e del tutto
inadattabili ad altri contesti.
Oggi la situazione è completamente differente: sono stati definiti degli standard per la
programmazione di videogiochi o, più in generale, per la gestione della grafica
tridimensionale su più piattaforme hardware e software. Le console hanno accresciuto il
loro target di utilizzo introducendo funzioni quali la riproduzione di film su DVD o la
navigazione su internet, tipiche di un personal computer. Con X-Box di Microsoft, la
stessa architettura hardware della console si è sovrapposta a quella di un PC: troviamo
componenti come una CPU, una GPU, un processore audio, un chipset per la gestione
della RAM, un hard disk, porte USB, ecc… Le funzionalità multimediali hanno subito una
netta impennata non solo sulle console, ma anche su apparecchi che fino a poco tempo fa
avevano mansioni completamente differenti. Un esempio è il prepotente mercato della
telefonia, che ha abbracciato l’industria dell’intrattenimento elettronico passando da
semplici titoli con grafica a due dimensioni come i noti tetris e solitario, ai più complessi
shooter a tre dimensioni. Il tutto è una naturale conseguenza di quelli che sono gli obiettivi
dell’evoluzione tecnologica: non solo voler offrire il maggior numero di funzionalità
possibili, ma anche proporle nel maggior numero di contesti possibili (nel caso dei
videogiochi: console, personal computer, palmari, telefoni cellulari).
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Di seguito alcune delle fondamentali tappe storiche [1] dell’industria dei videogame.
ξ 1822 - Charles Babbage inventa una macchina calcolatrice, potenzialmente capace
di "giocare a scacchi".
ξ 1889 - Un giapponese, Fusajiro Yamauchi, iniziò a creare un gioco di carte
giapponesi che riscosse un discreto successo nel paese del sol levante, fondando
così l’attuale Nintendo Corporation.
ξ 1954 - David Rosen fonda la Service Games (Sega) iniziando a produrre flipper da
bar.
ξ 1958 - William A. Higinbotham e David Potter creano il primo vero videogioco
della storia (Tennis For Two). Il videogame,creato utilizzando un semplice
oscilloscopio modificato a dovere, sarebbe servito come svago per i visitatori di un
impianto nucleare.
Figura 1.4: il primo vero videogioco della storia
ξ 1962 - Steve Russell programma Spacewars, il primo videogioco da 9kb,
dimensione enorme per l’epoca.