Introduzione
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L’unico scopo dell’effetto serra naturale è quello di mantenere sulla terra una
temperatura media che rispetti le forme di vita esistenti: della radiazione solare
incidente sull’atmosfera, solo la metà riesce ad attraversarla (un 25% viene
assorbito, mentre un altro 25% viene riflesso); del 50% rimanente, un 5% è riflesso
dalla terra ed un 45% è assorbito, innalzando la temperatura terrestre; il nostro
pianeta emette energia per via della sua temperatura e, di questa, l’88% viene
riflesso indietro e solo il 12% attraversa l’atmosfera e si disperde nello spazio: ciò
significa che l’atmosfera è trasparente all’energia che giunge dal sole, ma opaca alle
radiazioni emesse dalla terra, evitando così il verificarsi di un raffreddamento
eccessivo.
Le attività umane da decenni stanno generando un effetto serra aggiuntivo a quello
naturale: le emissioni nell’atmosfera di ulteriori quantità di gas serra tendono ad
alterare gli equilibri del sistema climatico.
Tali emissioni derivano per la maggior parte dal consumo e dalla combustione di fonti
fossili, dalla produzione industriale, dall’agricoltura, dalla gestione dei rifiuti. Inoltre, la
distruzione delle foreste riduce l’assorbimento dei gas serra, in particolar modo
dell’anidride carbonica.
Secondo le indagini, nel 1995 l’82% delle emissioni di gas serra erano composte da
anidride carbonica, il 12% da metano, il 4% da protossido di azoto ed il rimanente
2% era dato dalla somma di HCFC e PCF.
Per valutare il contributo che essi danno all’effetto serra bisogna considerare i
seguenti parametri:
o la loro concentrazione nell’atmosfera;
o la loro capacità di intrappolare energia;
o il tempo medio nel quale un gas rimane in atmosfera.
Considerando questi tre fattori, il Segretariato delle nazioni unite sui cambiamenti
climatici ha concluso che l’anidride carbonica è la maggiore responsabile dell’effetto
serra di origine umana, e il maggiore responsabile delle sue immissioni in atmosfera
è il settore energetico. Negli ultimi 40 anni la concentrazione di anidride carbonica in
atmosfera è incrementata dello 0,5%.
Gli esperti [ENEA, 1998] concordano col fatto che, a causa dei cambiamenti climatici,
nel prossimo futuro ci si dovrà attendere i seguenti fenomeni:
o aumento della temperatura del pianeta: dal 1860 ad oggi la temperatura
media è aumentata dello 0,6%;
o aumento delle precipitazioni, soprattutto nel nord ed alle medie latitudini;
o aumento della frequenza e dell’intensità di eventi climatici estremi;
o aumento del rischio di desertificazione per alcune zone;
o diminuzione dei ghiacciai;
o crescita del livello del mare: negli ultimi 100 anni si è verificato un
innalzamento di circa 10 ÷ 25 cm.
Introduzione
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Si prevede che la bassa atmosfera e la superficie terrestre continueranno a
riscaldarsi, incrementando la loro temperatura di un valore compreso tra 1,5 e 5,8 °C,
con un tasso medio di circa 0,3 °C ogni tre anni.
In conseguenza dell’aumento di temperatura, si verificherà anche un incremento
dell’evaporazione e, con essa, delle precipitazioni. Ma questo aumento complessivo
non sarà equamente ripartito tra tutta la superficie terrestre: sarà concentrato nelle
alte latitudini e nell’equatore durante tutto l’anno, mentre nelle medie latitudini
soltanto durante i periodi più freddi.
Il livello del mare crescerà in conseguenza dell’espansione termica degli oceani e
dello scioglimento dei ghiacciai.
A causa di tutti questi cambiamenti alcuni ecosistemi rischiano di scomparire o di
vedere minacciata la loro biodiversità genetica, causando pertanto l’estinzione di
molte specie.
Muterà la resa dei terreni agricoli ed alcune colture potrebbero essere spostate in
altre zone (ad esempio le viti si sposteranno dalle medie alle alte latitudini).
Le malattie infettive si diffonderebbero con più facilità, a causa delle migliori
condizioni di sopravvivenza per quegli organismi (batteri, virus, funghi, ecc.) che ne
sono responsabili.
Con lo scioglimento dei ghiacciai la risorsa idrica si distribuirebbe in maniera diversa:
alcuni corsi d’acqua scomparirebbero e una quantità maggiore andrebbe a finire
negli oceani, in cui la qualità dell’acqua è piuttosto scadente; le zone costiere
diminuirebbero la loro estensione.
I.2) Sviluppo sostenibile: una necessità agli effetti dei cambiamenti
climatici
Il concetto di sviluppo sostenibile [ENEA, 1998] è stato suggerito per incentivare ad
utilizzare le risorse energetiche ed ambientali, in modo da contribuire alla riduzione
delle emissioni di gas serra.
Lo sviluppo tecnologico, pur garantendo una migliore qualità della vita, ha la
contraddizione di degradare l’ambiente a causa dell’alto sfruttamento delle risorse,
che non possono essere rinnovate con la stessa velocità con cui sono consumate.
L’attenzione è incentrata in particolar modo al problema del deterioramento dei
capitali naturali come acqua, terra, foreste; la produzione di rifiuti tossici produce,
inoltre, danni gravi direttamente sulla salute dell’uomo.
È ormai accertato che i problemi maggiori nascono dall’esigenza di produrre grandi
quantità di energia: attualmente essa viene prodotta soprattutto bruciando i
combustibili fossili, come è esplicitato nella tabella che segue.
Introduzione
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Tipo di fonte energetica
Contributo percentuale rispetto
alla produzione totale
Petrolio 38%
Carbone 24%
Gas 20%
Nucleare 6%
Idraulica 2%
Biomassa (legno, ecc.) 8%
Innovative e rinnovabili
(eolico, solare)
2%
Tabella I.2 – Combustibili utilizzati per la produzione di energia
Per fonti energetiche non rinnovabili si intendono i combustibili fossili, presenti in
natura grazie alla decomposizione di sostanze organiche avvenuta milioni di anni fa.
Sono dette non rinnovabili in quanto si trovano in natura in quantità limitata ed hanno
bisogno di tempi lunghi per rinnovarsi (tuttavia, attualmente non esiste il problema di
un loro esaurimento, in quanto sono stati scoperti, di recente, nuovi giacimenti).
Le fonti di energia rinnovabili sono quelle che, invece, possono essere considerate
inesauribili. Si può comprendere in questa categoria l’energia solare, idraulica,
eolica, delle biomasse, delle onde e delle correnti. Nel futuro sarà necessario
aumentare, per quanto possibile, la produzione di energia da fonti rinnovabili, sia per
far fronte ai problemi di degrado dell’ambiente che per fronteggiare l’esauribilità delle
fonti fossili.
L’idea di uno sviluppo sostenibile nacque negli anni Settanta, quando la
consapevolezza della questione ambientale ha portato allo sviluppo di iniziative per
la difesa dell’ambiente globale e locale, ed alla nascita delle associazioni
ambientaliste.
Negli anni Ottanta il concetto fu meglio specificato, trovando una diffusione a più
larga scala, culminando nel “Rapporto Brundtland”, della Commissione Mondiale per
l’Ambiente e lo Sviluppo, che lo definì come lo “sviluppo capace di soddisfare i
bisogni del presente senza compromettere la capacità delle future generazioni di
soddisfare i propri bisogni”.
Nel corso di questi ultimi decenni sono state molteplici le iniziative internazionali a
favore dello sviluppo sostenibile.
Nel 1979 a Ginevra viene firmata la convenzione sull’inquinamento
atmosferico regionale o transfrontaliero, varata per affrontare i problemi
legati all’acidificazione ed allo smog fotochimico.
Nel 1987 è adottato il protocollo di Montreal, ratificato nel corso degli anni
da oltre 160 paesi di tutto il mondo: esso impegna i paesi firmatari ad
Introduzione
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eliminare gradatamente l’utilizzo e la produzione delle sostanze riducenti lo
strato di ozono stratosferico.
Nel 1991 inizia la campagna dell’ICLEI (Consiglio Internazionale per le
Iniziative Ambientali Locali) “Città per la protezione del clima”, che offre
sovvenzioni ed assistenza tecnica alle città e ai paesi aderenti per
sostenere programmi ed iniziative che migliorino l’efficienza energetica,
che si traducono in riduzioni delle emissioni di gas ad effetto serra.
Nel giugno del 1992 a Rio de Janeiro è tenuta la Conferenza Mondiale
sull’Ambiente e lo Sviluppo a cui hanno partecipato i rappresentanti dei
governi dei paesi di tutto il mondo. Si sono discussi i problemi ambientali
del pianeta e i loro legami con i problemi dello sviluppo sociale ed
economico.
La conferenza ha approvato la “Dichiarazione di Rio sull’Ambiente e lo
Sviluppo”, con cui gli Stati si sono impegnati a tutelare l’ambiente ed a
perseguire lo sviluppo sostenibile. Tali Stati si sono perciò impegnati ad
adottare misure finalizzate alla prevenzione, controllo e mitigazione degli
effetti delle attività umane sul pianeta.
Tra i documenti prodotti assume grande importanza l’Agenda 21: è un
programma di azioni per lo sviluppo sostenibile del pianeta. Essa parte
dalla premessa che la società non può continuare a perseguire l’attuale
modello di sviluppo, avente un eccessivo impatto sull’ambiente e causante
un divario economico notevole tra le nazioni; considera che l’uomo è al
centro del programma e sottolinea che lo sviluppo sostenibile deve essere
realizzato proteggendo l’ambiente affinché i bisogni delle generazioni
presenti e future siano equamente soddisfatti; individua nei governi i
maggiori responsabili della progettazione e dell’attuazione dello sviluppo
sostenibile, poiché saranno essi che dovranno cooperare a livello
internazionale e promuovere la partecipazione di comunità locali.
Nel dicembre del 1997, a Kyoto, è stato concordato un Protocollo attuativo
della Convenzione che impegna i paesi industrializzati e quelli in economia
di transizione (cioè dell’Est europeo), responsabili di oltre il 70% delle
emissione mondiali di gas serra, a ridurre le emissioni entro il 2012,
complessivamente del 5,2% rispetto alle emissione rilevate nel 1990.
La riduzione del 5,2% viene ripartita in maniera diversa a seconda dei
paesi: i paesi dell’Unione Europea dovranno ridurre dell’8% le loro
emissioni (in particolare, l’Italia dell’8%, ma altre nazioni, come la Norvegia,
sono autorizzate ad aumentarla).
Tale protocollo indica, inoltre, le politiche e le misure che dovranno essere
adottate per la riduzione delle emissioni:
Introduzione
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o promozione dell’efficienza energetica;
o sviluppo delle fonti rinnovabili e delle tecnologie innovative per la
riduzione delle emissioni;
o protezione ed estensione delle foreste per incrementare la
capacità del pianeta di assorbire anidride carbonica;
o promozione dell’agricoltura sostenibile;
o limitazione e riduzione della produzione di metano nelle
discariche di rifiuti e in altri settori energetici;
o misure fiscali appropriate per disincentivare le emissioni di gas
serra.
Il Protocollo prevede anche che le misure nazionali siano integrate da
strumenti di cooperazione tra paesi in modo da ottenere il massimo
risultato con la riduzione del costo al minimo.
In realtà il protocollo non è ancora stato ratificato da tutti i paesi che lo
proposero, ma ha già prodotto rilevanti conseguenze economiche ed
organizzative, in particolare nel settore energetico: basti ricordare
l’esempio italiano in cui, con Decreto del Ministero dell’Ambiente del 28
maggio 1998, si sono individuati gli strumenti per promuovere lo sviluppo
sostenibile; la Delibera CIPE del 19 novembre 1998 ha definito le linee
guida per le politiche e le misure nazionali di riduzione delle emissioni di
gas serra; con la Legge 344 del 1997 il governo si è impegnato a
sviluppare ed adottare misure per favorire la sostenibilità ambientale; con il
DPCM. n. 11 del 15 maggio 1999 si istituisce la “carbon tax”.
Altre misure minori, ma sempre volte all’incentivazione dello sviluppo
sostenibile, sono state adottate dal nostro governo negli ultimi anni.
Anche i progettisti che lavorano nel campo dell’edilizia possono e devono dare il loro
contributo promuovendo un’architettura sostenibile, vale a dire un modo di costruire
che sia rispettoso delle esigenze delle generazioni future.
Si possono sintetizzare in sei punti i principi che aiutano a perseguire un tale scopo:
o protezione dell’ambiente naturale;
o massimo riutilizzo dei materiali;
o minimizzazione delle risorse;
o utilizzo di fonti energetiche rinnovabili;
o ambienti interni non tossici;
o perseguimento della qualità costruttiva.
I.3) C-TIDE: la ricerca
C-TIDE (Changeable Thermal Inertial Dry Enclosures) è il prodotto da studiare
nell’ambito di una ricerca finalizzata a progettare pareti costruite con tecnologia “a
Introduzione
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secco” (senza muratura, calcestruzzo o giunti di malta in genere) e in grado di
risolvere i problemi di inerzia termica che normalmente caratterizzano edifici
prefabbricati costruiti in questo modo (cfr. paragrafo I.4.1).
La questione principale riguarda la difficoltà di garantire il raggiungimento di
condizioni di comfort all’interno di edifici che, costruiti con elementi edilizi
prefabbricati di tipo leggero, non riescono ad accumulare calore (ovvero hanno
bassa inerzia termica), e per questo si richiede un sensibile intervento dell’impianto
di condizionamento.
I dispositivi a calore sensibile (cioè che aumentano la temperatura mentre
accumulano calore) come l’acqua, il mattone, la muratura o la roccia, non sono
materiali da costruzione adatti per le strutture leggere.
Si può ricorrere in questo caso ad accumulatori a calore latente, che sfruttino il
fenomeno del passaggio di fase per assorbire i flussi energetici entranti: i materiali a
cambiamento di fase (PCM) hanno un’elevata capacità di immagazzinare calore ed il
passaggio di fase avviene a temperatura praticamente costante, per valori che sono
vicini alla temperatura di comfort.
Scopo della ricerca è produrre un know-how (prodotti flessibili, strategie di progetto,
software per il calcolo, ecc.) da utilizzare per tenere conto, ad esempio, che la
soluzione costruttiva adottata per un clima equatoriale non potrà essere adatta per
climi temperati (o lo sarà solo in determinate stagioni).
L’utilizzo di questi materiali dovrà essere finalizzato a migliorare la qualità delle
condizioni di vivibilità di un ambiente, promuovere la concezione e la progettazione
degli edifici con procedure sostenibili, ottimizzare l’uso delle risorse energetiche.
Considerando l’impulso che la Comunità Internazionale cerca di dare allo sviluppo
sostenibile e l’interesse che ha ogni Nazione a diminuire i consumi energetici (sia per
motivi economici che di tutela ambientale) si intuisce facilmente che, oltre a
raggiungere il comfort negli edifici, si riuscirebbe a dare un contributo alla risoluzione
del problema del degrado ambientale.
Per fare riferimento a dati quantitativi, si è stimato che, durante l’inverno, il consumo
energetico di un edificio si aggira intorno ai 200˙000 KJ/mc, mentre, durante l’estate,
il condizionamento di un edificio richiede un consumo energetico di circa 150˙000
KJ/mc. Considerando l’elevato numero di edifici costruiti con tecnologie leggere, si
può concludere che, migliorando i consumi per questi edifici, si possono ridurre i
consumi totali (a livello di Comunità Europea) del 10 ÷ 15%: tali risparmi
porterebbero ad una diminuzione della produzione di energia e, quindi, alla
diminuzione di emissioni di gas serra.
L’innovazione più consistente che verrebbe apportata da questo nuovo modo di
progettare le chiusure degli edifici, consiste nel ristabilire l’inerzia termica delle
chiusure esterne in edifici che, usualmente, sono costruiti con tecnologie a bassa
inerzia termica.
Introduzione
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Inoltre, considerata la possibilità del materiale di accumulare grandi quantità di calore
durante il passaggio di fase, si può sfruttare questa inerzia termica in modo che entri
in azione quando effettivamente serve (si ricordi il comportamento delle antiche
murature romane: gli elevati spessori determinavano sensibili inerzie termiche) e,
soprattutto, non permetta che la temperatura si alzi ulteriormente (gli accumulatori a
calore sensibile hanno bisogno che la temperatura si alzi di un certo valore affinché
essi possano accumulare calore).
Questa caratteristica è particolarmente interessante per gli edifici del terziario, o
comunque per quelli utilizzati solo durante il giorno, in cui non sarà difficile garantire
condizioni di comfort durante le ore di lavoro, dimensionando opportunamente lo
spessore del PCM, scegliendo il suo punto di fusione, e creando tecnologie adatte
alla presenza dei nuovi materiali.
Pertanto, i principali obiettivi della ricerca sono i seguenti:
o realizzare chiusure esterne ad elevata inerzia termica e con tecnologia a
secco che possano essere adatte per edifici leggeri;
o studiare quali prestazioni possano essere richieste a questi elementi, per
capire a quali tipi di edifici e contesti progettuali possano essere applicati;
o progettare chiusure che possano essere sostituite a seconda delle stagioni
o nel caso in cui ci si accorga che non siano adatte per la situazione
scelta.
Non si esclude che, in certi casi, sia necessario inglobare PCM in partizioni interne
invece che in quelle esterne, o anche in controsoffitti o solai.
Le fasi principali della ricerca, così come è stata concepita, sono le seguenti:
o definire i possibili usi di C-TIDE, soprattutto in relazione ai contesti
geografici più adatti per il suo utilizzo ed ai contesi progettuali (edifici
residenziali o del terziario, ad uso giornaliero o a tempo pieno, ecc.);
o identificare le prestazioni da richiedere al sistema per poter soddisfare le
esigenze dell’utente in relazione ai contesti climatici e progettuali;
o capire quali modelli funzionali (cioè stratificazioni contenenti materiale a
cambiamento di fase) possano soddisfare le esigenze precedentemente
individuate;
o costruire prototipi di edifici o di chiusure che possano essere testati
opportunamente (in laboratorio o in campo);
o definire metodologie di calcolo (che facciano uso di software) da utilizzare
in fase di progettazione per la verifica delle prestazioni richieste nel
particolare contesto in cui l’edificio dovrà essere inserito.
È utile sottolineare l’importanza di poter definire una strategia progettuale e di
previsione: da un lato si vuole definire la procedura con cui si cercherà di prevedere il
modello funzionale adatto per diversi tipi di edifici, dall’altro dovranno essere
Introduzione
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elaborati modelli di calcolo che possano essere di supporto ai progettisti per risolvere
problemi specifici.
Il primo passo consisterà nell’esaminare l’edificio nel suo complesso (con chiusure
esterne di tipo comune) per capirne il comportamento dal punto di vista energetico;
solo in un secondo momento si potrà procedere nel tentare soluzioni innovative per
risolvere eventuali problemi di alti consumi energetici; la soluzione verterà,
comunque, sempre verso l’aumento dell’inerzia termica delle chiusure esterne, per
bloccare il flusso di calore eccessivo che, durante la stagione calda, impedisce il
mantenimento delle condizioni di comfort, o accumulare calore che proviene dalla
radiazione (durante la stagione fredda) per rilasciarlo in momenti opportuni della
giornata, risparmiando sui consumi energetici per il riscaldamento.
L’introduzione di questa nuova tecnologia costruttiva è perciò finalizzata a migliorare
l’efficienza energetica degli edifici, riducendo le potenze degli impianti di
condizionamento (sia per la stagione calda che per quella fredda). Questo
significherebbe ridurre le emissioni inquinanti, in linea con quanto richiesto dal
Protocollo di Kyoto.
La tecnologia di costruzione a secco, che sarà usata per C-TIDE, permette il
recupero totale dei suoi componenti (metallo per la struttura portante, isolante
intermedio, PCM, pannelli modulari per finiture esterne ed interne) al termine del suo
utilizzo. Ciò contribuirà ad aumentare la possibilità di riciclaggio del materiale,
diminuendo l’inquinamento.
I.4) Una strada percorribile: progettazione e realizzazione di pannelli
C-TIDE
Su questo filone di ricerca è focalizzato l’oggetto della presente tesi: esso consiste
nella progettazione, nella realizzazione e nell’analisi del comportamento termico di
pannelli sandwich destinati alla messa in opera in chiusure verticali esterne e che
presentino le seguenti caratteristiche, già individuate nelle linee guida della ricerca C-
TIDE:
o utilizzo di tecnologie a secco;
o elevata inerzia termica;
o leggerezza e maneggevolezza.
Sarà necessario costituire un background di conoscenze riguardante i prodotti
attualmente presenti sul mercato, evidenziandone gli aspetti positivi e le eventuali
carenze, i materiali utilizzati, le tecnologie impiegate e le procedure di realizzazione.
Con un simile panorama sarà quindi possibile capire come procedere nella creazione
del nuovo prodotto, che risulti altamente competitivo e capace, se non di risolvere,
almeno di limitare i problemi descritti precedentemente.
Introduzione
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I.4.1) Problema dell’inerzia termica
Come accennato, l’obiettivo della tesi è quello di realizzare pannelli sandwich che
siano capaci di resistere ottimamente al passaggio di flussi di calore, impedendo
pertanto il sovrariscaldamento degli ambienti interni. Gli elementi edilizi prefabbricati
di tipo leggero, come sarà ampiamente trattato nel capitolo primo, risultano avere,
rispetto alle comuni tamponature verticali, elevate trasmittanze termiche, limitando
pertanto l’isolamento termico dell’ambiente.
I grafici che seguono rappresentano l’andamento del flusso termico in una parete
costituita da pannelli sandwich e in un comune muro “a cassetta”, nell’arco di 30 ore
e in una stagione primaverile, considerando le nostre latitudini.
Le sezioni delle due pareti, dall’interno, sono così organizzate:
o Pannello sandwich: alluminio (0,5 mm) – polistirene (10 cm) – alluminio
(0,5 mm);
o Muro “a cassetta”: intonaco (2 cm) – mattoni forati (12 cm) – polistirene (3
cm) – intercapedine d’aria (3 cm) – mattoni forati (8 cm) – intonaco (2 cm).
Grafico I.1 – Andamento del flusso termico, nella superficie interna, di un pannello sandwich
Grafico I.2 – Andamento del flusso termico, nella superficie interna, di un muro “a cassetta”
Introduzione
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Per calcolare la potenza complessiva entrante, è sufficiente integrare rispetto al
tempo il flusso termico negativo: nel primo caso si ottiene un valore pari a circa 168
KJ/mq, mentre nel secondo la potenza entrante, nell’arco delle 30 ore, è limitata a
circa 3,9 KJ/mq.
Risulta evidente come l’impiego di elementi edilizi prefabbricati di tipo leggero
comporti un alto dispendio di energia, sia per raffreddare gli ambienti durante le
stagioni calde, che per riscaldarli durante quelle fredde.
Come detto illustrando gli obiettivi della ricerca C-TIDE, un rimedio possibile è quello
di introdurre nel pannello sandwich uno strato di materiale a cambiamento di fase,
con inerzia variabile.
Il guadagno termico che si avrebbe, come dimostrato nel successivo calcolo, è
notevole, riducendo di oltre il 35% la potenza complessiva entrante.
Il grafico sottostante riporta l’andamento del flusso termico, nella superficie rivolta
internamente, di un pannello sandwich al quale è stato aggiunto uno strato di PCM
spesso 3 cm.
Grafico I.3 – Andamento del flusso termico, nella superficie interna, di un pannello sandwich con
abbinato uno strato di 3 cm di materiale a cambiamento di fase
Calcolando la potenza complessiva entrante si ottiene un valore pari a circa 109
KJ/mq, nettamente inferiore rispetto al caso in cui il PCM era assente, ma ancora
lontano dalla quantità calcolata nel muro “a cassetta”.
Si tenterà, quindi, di individuare soluzioni che tendano a ridurre maggiormente la
potenza entrante complessiva.