Capitolo 1 Fluidodinamica marina __________________________________________________________________
1.1 La fluidodinamica marina e l’Ingegneria Energetica,
punti di contatto L’analisi fluidodinamica delle correnti marine può avere molteplici risvolti
nell’ambito dell’Ingegneria energetica. In un sistema energetico sempre più
complesso e alla ricerca di nuove risorse da sfruttare per la produzione di energia
elettrica, un’analisi locale dei flussi marini, della correntimetria e del moto ondoso
può rivelarsi utile per quanto riguarda lo sfruttamento delle maree e delle stesse
correnti attraverso diversi sistemi di generazione di energia. Ad esempio
potremmo avere un sistema di:
• Colonna d’acqua oscillante[1][2]
Questa soluzione è stata adottata dalla scozzese Wavegen e dall’Australiana
Energetech per degli impianti dimostrativi. Il turbogeneratore ha la proprietà di
mantenere lo stesso senso di rotazione indipendentemente dalla direzione del
flusso d’acqua, quindi le turbine ricevono la spinta sia nella fase di altezza marina
crescente che decrescente. Gli impianti sono progettati per una potenza di 2 MW e
non sono necessariamente costieri. Con la costruzione di piattaforme al largo si
potrà raccogliere la spinta, ben più elevata, delle onde lunghe del mare. Possono
inoltre essere abbinati agli impianti eolici “offshore” rendendo migliore la resa
commerciale di entrambe le tecnologie. Ogni metro di fronte ondoso può
sviluppare mediamente 70 kW al largo e 20 kW sottocosta. Il progetto LIMPET
(Land-Installed Marine-Powered Energy Transformer), in Scozia, è collegato alla
rete elettrica e il costo del kWh è di 0,075 €, non male per un prototipo assoluto
del genere. Per fare un paragone basti pensare che i primi impianti eolici
producevano un kWh al costo di 0,16 € mentre oggi si hanno costi di 0,04 € con la
prospettiva di arrivare a meno di 3 centesimi. L'efficienza del sistema è buona,
circa il 50%, il fronte dell'impianto (sottocosta) è di 18 metri e le due turbine da
300 kW producono in un anno circa 2300 MWh. I migliori aerogeneratori con la
stessa potenza producono mediamente in un anno circa 1300 MWh, i costi del
prototipo sono 4 volte maggiori di quelli delle turbine eoliche attuali che però
godono di una certa industrializzazione. Il sistema sfrutta la variazione di
pressione dell’aria, causata dalle onde, in un’apposita camera. La camera è una
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sorta di contenitore, posto a una quota fissa, semi-immerso nel mare,
completamente aperto nel fondo, e chiuso nella parte superiore. Le onde causano
una variazione ciclica del livello dell’acqua nel contenitore, quindi della pressione
dell’aria intrappolata nella parte superiore del vano. Se nel cielo della camera si
operano aperture di sezione ridotta, l’aria ha possibilità di defluire nei due sensi,
in base al moto ondoso. È possibile sfruttare questa corrente d’aria tramite
particolari turbogeneratori ad aria, in grado di ricevere la spinta sia nella fase di
compressione che in quella di decompressione, mantenendo inoltre lo stesso senso
di rotazione.
Figura 1. 1 - Sezione di una turbina Wavegen[2]
• Sistemi basati sull'ampiezza dell'onda[3]
Questi sistemi sono stati sviluppati all’interno del progetto Pelamis, un
sistema con galleggianti che utilizza l'ampiezza dell'onda, e sono basati su una
struttura semisommersa che grazie al movimento dettato dalle onde agisce su dei
pistoni idraulici accoppiati a dei generatori. In genere la singola struttura è
composta da 5 elementi congiunti, ha un diametro di 3,5 m ed è lunga 150 metri,
la potenza è di 750 kW. Impianti di prova saranno installati al largo della Scozia
(750 kW) e al largo dell'isola di Vancouver in Canada (2 MW), gli impianti
commerciali dovrebbero essere di 30 MW e "coprirebbero" un km quadrato di
mare[3]. I primi sistemi commerciali saranno installati davanti alle coste del
Portogallo, il primo impianto sta per essere completato ed ha una potenza di 2,25
MW. Il movimento delle onde può azionare dei motori idraulici da accoppiare a
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un generatore elettrico. Uno studio recente fornisce un esempio del meccanismo:
una struttura galleggiante semisommersa, costituita da vari elementi lunghi
collegati in serie con appositi snodi (si immagini un convoglio ferroviario, come
forma e dimensioni) viene mossa dalle onde variando l’inclinazione relativa dei
vari elementi. Appositi pistoni idraulici posti in corrispondenza dei giunti mettono
in moto un fluido, in pressione in un circuito interno, che aziona il motore
idraulico, posto all’interno di uno degli elementi.
Figura 1. 2 - Particolare del prototipo Pelamis e struttura interna in sezione[3]
• Sistemi con impianti sommersi [14]
Questo particolare sistema sfrutta il principio di Archimede e si presta allo
sfruttamento del moto ondoso marino. Sono più di uno i sistemi che si basano sui
principi idrostatici, tra i quali l' AWS (Archimedes Wave Swing) , che nel maggio
del 2004 ha installato un impianto pilota al largo delle coste Portoghesi. Questo
progetto consiste in una struttura ancorata al fondo marino nella quale una camera
d'aria è compressa al momento del passaggio dell'onda sopra il sistema e risale
quando l'onda è passata. Nel sistema commerciale si dovrebbe avere una potenza
di 2 MW, con una struttura (completamente sommersa) alta 30 metri con 10 metri
di diametro. La massima efficienza si ha con onde che abbiano un’ampiezza di
almeno 5 metri, poiché con scorrimenti minori, l’energia prodotta è quasi
trascurabile rispetto al movimento stesso delle onde. A marzo 2004 l'americana
Ocean Power Technologies , che sta mettendo a punto un sistema simile, ha
annunciato la realizzazione di un impianto pilota al largo delle coste spagnole, che
a differenza del sistema AWS quello della OPT prevede un elemento affiorante. Il
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costo del kWh per questa tecnologia è stimato in 3-4 €cent per un impianto di 100
MW.
Figura 1. 3 - Schema generale di una OPT[14]
• Sistemi di superficie con bacino di raccolta[4]
Un altro modo per utilizzare le onde è studiato dalla società danese Wave
Dragon e affronta la questione in modo più tradizionale: cattura l'acqua dell'onda
in un bacino sopraelevato tramite una "rampa" e la fa passare per delle turbine ad
elica posizionate poco sopra al livello medio/inferiore dell'onda e al centro del
"bacino".
Figura 1. 4 - Schema generale di una WAVE DRAGON[4]
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• Progetto italiano per frangiflutti a recupero energetico In tale progetto viene descritto un sistema frangiflutto in grado di attuare
anche lo sfruttamento della forza d'urto delle onde del mare per produrre energia
elettrica. Si tratta di una struttura del tutto simile a quelle in corso di
sperimentazione da molto tempo del tipo Wave Dragon ma dalle quali si distingue
per la presenza di un serbatoio idropneumatico, finora mai utilizzato in
applicazioni del genere, ma che si ritiene essere in grado di regolarizzare il flusso
e cioè di trasformare un'energia pulsante come quella delle onde in energia che si
mantiene costante per periodi di una durata compatibile con una sua utilizzazione
ai fini idroelettrici; ovvero un’energia costante nel tempo, tale da generare
continuamente elettricità attraverso delle turbine idrauliche.
Figura 1. 5 - Sistema di frangiflutti per la produzione di energia elettrica • Energia dalle correnti marine e di marea L’energia delle correnti di marea è una delle fonti più interessanti ed
inesplorate tra le fonti di energie rinnovabili. Nella sola Europa la disponibilità di
questo tipo di energia è pari a circa 75 GW. Le forti correnti marine che
attraversano lo Stretto di Messina hanno una potenzialità energetica pari a quella
prevista dalla grande centrale idroelettrica in costruzione in Cina sul Fiume
Azzurro: circa 15.000 MW.
Le turbine per lo sfruttamento delle correnti marine possono essere (come
per le tecnologie eoliche) ad asse orizzontale o ad asse verticale.
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Le turbine ad asse verticale sono più adatte alle correnti di marea per il fatto
che queste cambiano direzione di circa 180° più volte nell'arco della giornata. I
costi di questi impianti sperimentali sono già ad un buon livello (0.07€/kWh), si
calcola di raggiungere costi ancora più competitivi per impianti multipli, società
che sviluppano sistemi del genere sono la Marineturbines e la Swanturbines. Un
metro quadrato di area, intercettata con una turbina, in una corrente d'acqua che
viaggia a 3 metri al secondo (11 km/h) dà una potenza di 3 kW.
Una corrente d'aria che investe una turbina eolica da un metro quadrato per
produrre 3 kW deve viaggiare a 28 metri al secondo (100 km/h).
Figura 1. 6 - Turbina ad asse verticale per lo sfruttamento delle correnti marine • Sfruttamento energia dal gradiente termico marino[18]
La prima centrale per la conversione dell'energia termica degli oceani (Otec)
è nata nel 1996 al largo delle isole Hawaii e produce energia sfruttando la
differenza di temperatura tra i diversi strati dell'oceano. L'energia solare assorbita
dalla superficie del mare la riscalda, creando una differenza di temperatura fra le
acque superficiali, che possono raggiungere i 25 - 28 gradi, e quelle situate per
esempio ad una profondità di 600 m, che non superano i 6-7 gradi. Le acque
superficiali, più calde, consentono di far evaporare sostanze come ammoniaca e
fluoro; i vapori ad alta pressione, mettono in moto una turbina e un generatore di
elettricità, passano in un condensatore e tornano allo stato liquido raffreddati
dall'acqua aspirata dal fondo. Una differenza di 20 gradi centigradi basta a
garantire la produzione di una quantità di energia economicamente sfruttabile.
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Attualmente si ha una potenza di 50 KW, ma si pensa di poter arrivare a 2 MW
anche se i costi sono molto alti.
Figura 1. 7 - Sistema sperimentale OTEC[18]
• Energia da osmosi Quando un fiume si versa in mare e l'acqua dolce si mescola con acqua
salata vengono liberate enormi quantità di energia. Ciò non è evidente e non è
intuitivo ma basti pensare che per ottenere acqua dolce dall'acqua salata serve
energia, per contro quando l'acqua dolce viene salata si libera energia.
Teoricamente ci sono diversi modi per convertire in energia utile l'energia
dissipata quando l'acqua dolce si miscela all'acqua di mare. Le due tecniche più
interessanti sono:
• ritardo-pressione per osmosi (pressure-retarded osmosis, PRO);
• elettrodialisi inversa (reverse electrodialysis, RED);
Le possibilità per un’applicazione pratica di queste due tecniche dipende
molto dalla riduzione di costo della membrana osmotica necessaria ai due sistemi.
Nel corso degli ultimi venti anni lo sviluppo di membrane osmotiche ha avuto un
buon incremento grazie all'applicazione nella desalinizzazione dell'acqua per usi
potabili ed irrigui e per la depurazione delle acque reflue. Grazie a ciò ora si
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comincia a pensare seriamente alla possibilità di utilizzare le membrane anche per
la produzione di energia.
Il fenomeno fisico della pressione inversa fu notato per caso la prima volta
nel 1784 quando il sacerdote e fisico francese Jean-Antoine Nollet mise una
vescica di maiale riempita di vino in un barile d'acqua. L'effetto fu che la vescica
si gonfiò fino a scoppiare. Il fisico olandese Van't Hoff nel 1899 descrisse il
fenomeno trovando la formula per calcolare la pressione osmotica. Il principio di
funzionamento di un impianto basato sul PRO è descritto nell'immagine 1.8.
successivamente negli anni Cinquanta c'è stato un crescente interesse per la
produzione di acqua potabile da acqua di mare. Un passo avanti è stato compiuto
dagli americani Sidney e Loeb che hanno prodotto una membrana semipermeabile
utile allo scopo. La produzione di acqua dolce per osmosi inversa è oggi una
tecnologia consolidata ed utilizzata soprattutto in Medio Oriente. Le stesse
membrane possono essere utilizzate in un impianto per la produzione di energia
elettrica con la tecnica PRO. Attualmente questa tecnica è sperimentata in
Norvegia dalla società Statkraft.
Figura 1. 8 - Differenza di energia potenziale fra acqua dolce e salata _______________________________________________________________
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1.2 Limiti di legge e tutela ambientale per gli scarichi in
mare[5]
Oltre a quanto esposto riguardo alla produzione di energia è molto utile
effettuare uno studio approfondito del livello di temperatura e di inquinamento
delle nostre coste e delle problematiche riguardanti l’immissione in mare di
inquinanti provenienti da impianti di produzione dell’energia da fonte fossile o
nucleare. Infatti, l’acqua di raffreddamento del condensatore di questi impianti, è
strettamente monitorata da leggi restrittive ambientali quali il “Testo unico
ambientale” in particolare il Decreto Legislativo 3/4/2006 n. 152 Norme in
materia ambientale (G.U. 14/4/2006 n. 88) che prescrive per scarichi a
temperature elevate[5]: per i corsi d'acqua la variazione massima tra temperature
medie di qualsiasi sezione del corso d'acqua a monte e a valle del punto di
immissione non deve superare i 3 °C. Su almeno metà di qualsiasi sezione a valle
tale variazione non deve superare 1 °C. Per i laghi la temperatura dello scarico
non deve superare i 30 °C e l'incremento di temperatura del corpo recipiente non
deve in nessun caso superare i 3 °C oltre 50 metri di distanza dal punto di
immissione. Per i canali artificiali, il massimo valore medio della temperatura
dell'acqua di qualsiasi sezione non deve superare i 35 °C, la condizione suddetta è
subordinata all'assenso del soggetto che gestisce il canale. Per il mare e per le
zone di foce di corsi d'acqua non significativi, la temperatura dello scarico non
deve superare i 35 °C e l'incremento di temperatura del corpo recipiente non deve
in nessun caso superiore i 3 °C oltre i 1000 metri di distanza dal punto di
immissione. Deve inoltre essere assicurata la compatibilità ambientale dello
scarico con il corpo recipienti ed evitata la formazione di barriere termiche
(ovvero degli elevati gradienti termici in zone limitate in superficie) alla foce dei
fiumi. Inoltre in appendice vengono allegate le tabelle 3 e 3/A del decreto
legislativo che riportano i limiti di legge per i vari inquinanti negli scarichi in
mare e in acque dolci ed i metodi per individuarli.
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1.3 Nozioni introduttive sui flussi costieri[6]
Per uno studio approfondito del problema dei flussi marini e dei processi
che regolano in generale la fluidodinamica marina, faremo riferimento
all’ingegneria costiera, nata come branca dell’ingegneria civile, che studia tutti i
processi di formazione del moto ondoso e dell’interazione fra le opere costiere o
marine vere e proprie, come possono essere degli scarichi industriali, con il
naturale susseguirsi dei flussi costieri.
1.3.1 Processo di formazione delle onde
Ci sono quattro diversi stadi nella generazione delle onde che possono
essere riconosciuti come meccanismi distinti ma facenti parte di un unico
meccanismo che porta alla formazione di un moto ondoso, ed essi sono:
1. Risonanza, prodotta dall’aria sulla superficie dell’acqua:
Il concetto e la teoria associata allo sviluppo dell’onda dalla risonanza
dell’acqua superficiale sono stati sviluppati nel 1957 da O.M. Philips. Questa
attività di ricerca ha costituito un progresso significativo nella comprensione della
generazione delle onde. Il movimento dell’aria sottoforma di vento è sempre
associato alla turbolenza, o a fluttuazioni casuali di pressione e velocità da valori
medi. Questi sono il risultato di vortici e mulinelli di masse di aria in movimento
con dimensioni variabili da pochi centimetri a centinaia di metri. La modalità di
questa distribuzione dimensionale è determinata dalla velocità del vento così
come dalle condizioni atmosferiche e dalla rugosità superficiale. Questi vortici
producono fluttuazioni di pressione e di direzione sulla superficie dell’acqua, ma
la teoria di Philips incorpora solo la fluttuazione di pressione sulla superficie
dell’acqua. La depressione causata dal movimento del mulinello di aria è piccola,
ma crea un’onda con una lunghezza d’onda determinata. Se la pressione viene
mantenuta a questo valore alla stessa velocità di applicazione, la velocità naturale
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dell’onda può diventare maggiore e crescere in dimensione fra cresta e gola,
ovvero crescere in ampiezza e lunghezza d’onda.
Figura 1. 9 - Apparato ideale per la generazione di onde[6]
La turbolenza in un fluido è un fenomeno tridimensionale, così questa
depressione superficiale è casuale sia spazialmente che temporalmente. La
propagazione delle onde dalla sua origine è così in ogni direzione, come gli
increspamenti circolari derivanti dall’impatto di un corpo solido sulla di una
superficie di acqua. Uno schema che riesce a riprodurre artificialmente questo
meccanismo è riportato in figura 1.9. Considerando inoltre uno schema del tipo:
Figura 1. 10 - Schema tipo delle varie direzioni delle forze in gioco[6]
Si nota come l’onda che viaggia con un angolo α rispetto alla direzione del
vento, tende ad allargarsi mentre quella che viaggia con la direzione del vento sarà
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fuori fase e non riceve benefici dai vortici. L’angolo dove avviene la miglior
generazione di onde è detto angolo critico. Quindi muovendosi a questo angolo
cr a o minore le onde ricevono energia di risonanza, ma oltre tale limite il
vantaggio è attenuato. Questo è il principale passo della crescita di un’onda
attraverso l’azione del vento superficiale; essa è utile se il tempo di applicazione è
minore del tempo di dissipazione dell’onda e se l’angolo tra la direzione del vento
e quella di propagazione dell’onda è maggiore o minore dell’angolo critico.
Un'altra discriminante per l’applicazione di questa teoria è che le onde generate
siano di piccola ampiezza. L’angolo critico a questo punto della generazione,
quando l’energia è trasferita linearmente con il tempo è dato da:
U gT U C
cr p a 2 / / cos @ @ dove C è la velocità dell’onda, T è il periodo
dell’onda, U è la velocità del vento e g è l’accelerazione di gravità. Questo valore,
partendo dalla velocità del vento nota, è tabellato in figura 1.11:
Figura 1. 11 - Angolo critico per la nascita di onde da risonanza per varie velocità del
vento[6]
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2. Scorrimento del flusso derivante dal profilo della velocità media del
vento:
La teoria di questo step che porta alla generazione di un’onda è stata
presentata da J.W. Miles nel 1957 simultaneamente alla teoria di Philips non per
sostituire la teoria della risonanza, ma per completarla. Molte delle assunzioni
sono le stesse di quelle per la risonanza, i maggiori cambiamenti risiedono
nell’inserimento del profilo logaritmico di velocità media sulla superficie
dell’acqua e nel trascurare le fluttuazioni dovute alla turbolenza. Il trasferimento
di energia è ancora assunto come effetto della pressione normale alla superficie e
sia le forze resistenti che quelle di trascinamento, anche in questa teoria, vengono
ignorate. Il modello assume inizialmente una superficie disturbata da onde
sinusoidali con cresta d’onda di infinita lunghezza e piccola ampiezza. La forma
delle onde induce un movimento del flusso d’aria a contatto con la superficie di
tipo vorticoso. Questo moto vorticoso dell’aria, simile ad un ricircolo, viaggia alla
stessa velocità dell’onda e la segue durante il suo tragitto. Si è assunta una
distribuzione del vento come in figura 1.12, ovvero con velocità media del tipo
logaritmico:
Figura 1. 12 - Schema di definizione dei vari parametri per lo shear flow[6]
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Sottraendo la C, ovvero la velocità di avanzamento dell’onda (in direzione
parallela a quella del vento) alla velocità media del vento, si ottiene lo zero in un
punto detto
c y . Questo punto definisce una zona critica al di sotto di esso dove la
velocità del vento è opposta alla velocità delle ondulazioni superficiali. Alla
coordinata
c y sopra la superficie del flusso di acqua si crea un vortice che preleva
energia al vento e la trasferisce all’onda. Quando l’onda si propaga sulla
superficie, la pressione entra in fase con l’onda e si ha una pressione positiva sulla
depressione. In questo modo l’onda riceve energia e cresce in ampiezza. L’energia
trasferita varia con la radice dell’altezza dell’onda così l’energia dell’onda si
innalza esponenzialmente insieme con la pendenza dell’onda.
Questi due meccanismi iniziali sono complementari fra loro, la risonanza
della turbolenza dell’aria provvede a creare l’ondulazione iniziale con uno spettro
di frequenze stabilito, dopodiché lo scorrimento della velocità media del profilo
del flusso promuove selettivamente le onde più corte.
3. Effetto di riparo: le onde influenzano il flusso dell’aria vicino alla
superficie:
La crescita dell’onda continua grazie allo shear-flow finché non raggiunge
una pendenza tale per cui il sottile strato di aria si stacca dalla superficie
dell’acqua. In questa fase, se non prima, il meccanismo di Miles non è più
applicabile. Nonostante questo, è osservabile che l’onda può continuare a crescere
attraverso un meccanismo diverso. Ad esempio con misure di pressione su profili
di superfici ondulate statiche, simili alle onde dell’oceano sottoposte a un getto di
aria sopra di esse, si è notato un differenziale di pressione fra il lato sopravento e
sottovento delle creste. Questo differenziale riesce a fornire energia all’onda
quando gli stessi profili ondosi posseggono un moto di avanzamento. Jeffreys nel
1925 ha promosso la tesi per cui la generazione di questo differenziale era il
risultato della forza di resistenza sulla forma di onda. Stanton nel 1937 ha
condotto studi in un canale artificiale per valutare tali coefficienti di resistenza
tenendo in considerazione solo le pressioni normali alla superficie dell’acqua (la
pressione è sempre normale, l’onda ha una superficie orientata in più direzioni) e
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ignorando le forze di stress tangenziale. Questa tesi prende il nome di “effetto di
riparo” (Sheltering effect) ed è risultata essere efficace considerando che sulla
cresta dell’onda si abbia la velocità massima sia dell’aria che delle particelle
dell’acqua e che le due velocità siano parallele fra loro. Ogni impulso dato a
queste particelle è influente nella crescita in ampiezza delle onde. Un problema
del concetto di “riparo”, è che la sua applicabilità è ristretta alle onde più grandi,
quando in realtà nell’oceano ci sono onde di grandezze diverse che viaggiano
insieme. Gli effetti delle diverse pressioni e delle energie assorbite e dissipate per
la resistenza della rugosità della superficie dell’acqua, sono state riportate in
figura 1.13, grazie a delle verifiche sperimentali effettuate da Philips e Miles da
Hino[31], per due velocità del vento (16 e 32 nodi). Lo stato costante, ovvero il
non accrescimento dell’onda per “sheltering effect”, si raggiunge quando l’energia
data è immediatamente consumata in modo eguale dalla rottura, dalla turbolenza,
dagli effetti viscosi o dalle correnti di deriva.
Figura 1. 13 - Percentuale di resistenza della pressione sulla resistenza totale esercitata sulle
onde dal vento e efficienza del trasferimento di energia alle onde[6]
4. Rottura (Breaking wave): dopo che le onde hanno raggiunto la loro
massima rigidezza La rottura è una parte integrante della formazione delle onde, infatti,
quest’ultima non potrebbe avvenire senza di essa. L’instabilità e la conseguente
rottura, non può essere trattata in modo quantitativo, ma solo qualitativamente,
poiché non sono state trovate spiegazioni analitiche per tale fenomeno. La rottura
delle onde è considerata da matematici e oceanografi solo come una dissipazione
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