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Una volta illustrata la metodologia progettuale ed individuate le specifiche
di progetto, nel CAPITOLO III si entra nel merito del dimensionamento del
manipolatore, basato sull’ analisi statica: in una prima fase sono stati eseguiti
alcuni semplici calcoli manuali, con il solo scopo di ottenere un dimensionamento
di massima, essenziale per la realizzazione del un modello tridimensionale
necessario per la successiva analisi agli Elementi Finiti.
Nel CAPITOLO IV viene trattato il progetto costruttivo del manipolatore, a
partire dai dati forniti dall’ Analisi Cinetostatica, necessaria al dimensionamento
dei componenti commerciali per la realizzazione delle coppie cinematiche. Questo
ha consentito la realizzazione del disegno d’insieme del robot; eventuali modifiche
apportate al modello (dovute ad esempio alla non aderenza tra dimensioni di
ingombro ipotizzate e reali dei componenti commerciali), sono state
opportunamente prese in considerazione, valutandone gli effetti sulle
caratteristiche di resistenza statica e sulle prestazioni dinamiche. Una volta
determinati gli effettivi ingombri degli elementi costituenti il manipolatore, nonché i
materiali che li costituiscono, è stato possibile ottenere la potenza richiesta agli
attuatori, ultima fase di una metodologia progettuale inevitabilmente iterativa.
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CAPITOLO 1
MANIPOLATORI PARALLELI DI TRASLAZIONE
1.1 INTRODUZIONE
Scopo di questo capitolo è fornire al lettore una breve panoramica sui
manipolatori paralleli, focalizzando l’attenzione sulla tipologia dei meccanismi di
pura traslazione.
La prima parte presenta un breve richiamo su caratteristiche e definizioni
fondamentali riguardanti i robot paralleli. Segue a questa, un’analisi specifica della
tipologia di manipolatore oggetto di studio, basata sullo stato d’arte e sulle ricerche
precedentemente svolte all’interno della Facoltà di Ingegneria dell’Università degli
Studi di Bologna. Infine vengono illustrate le soluzioni tecnologiche per la
realizzazione delle coppie cinematiche prese in considerazione durante la
progettazione.
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1.2 OSSERVAZIONI PRELIMINARI SUI MANIPOLATORI
PARALLELI
A differenza dei manipolatori seriali, i quali sono composti da membri
collegati tramite coppie attuate costituenti una catena cinematica aperta, i
manipolatori paralleli sono meccanismi in catena chiusa che possono essere
composti da una o più catene chiuse (dette loops), all’interno delle quali non tutte le
coppie sono attuate.
Tali manipolatori possono essere schematizzati come composti da un
basamento (dove tipicamente trovano spazio gli attuatori), collegato alla piattaforma
(elemento che supporta gli organi terminali) tramite catene cinematiche dette
gambe. A loro volta queste sono costituite da membri collegati da coppie
cinematiche, attuate e non: vengono progettate in modo tale da garantire alla
piattaforma il voluto numero di gradi di libertà (Fig.1.1).
Fig.1.1
6
Il posizionamento degli attuatori alla base è preferibile, in quanto rende
possibile la riduzione delle masse sospese e in movimento. Questo offre la
possibilità di costruire meccanismi più leggeri (quindi più performanti dal punto di
vista dinamico) e con maggiore rigidezza (data la ripartizione del carico su più
gambe) rispetto ai manipolatori seriali, consentendo la possibilità di aumentare il
carico pagante.
Un’ulteriore differenza tra le due tipologie di robot risiede nel differente
comportamento in configurazione di singolarità: mentre l’elemento terminale del
manipolatore seriale perde almeno un grado di libertà, quello del manipolatore
parallelo ne acquista almeno uno, come verrà chiarito nei prossimi paragrafi.
Proseguendo nel confronto tra robot seriali e paralleli occorre infine osservare che i
primi offrono generalmente un maggiore rapporto tra volume dello spazio di lavoro
e volume complessivo della macchina rispetto ai secondi, presentando dimensioni a
riposo ridotte ed avendo maggiore accessibilità allo spazio di lavoro.
1.3 MANIPOLATORI PARALLELI DELLA FAMIGLIA TPM
1.3.1 Stato d’arte
Da quanto esposto nel precedente paragrafo emerge come i manipolatori
paralleli siano particolarmente indicati in applicazioni che richiedano alte
prestazioni dinamiche (in termini di velocità e accelerazione raggiungibili
dall’elemento terminale), oppure un alto standard di precisione, data la possibilità di
progettare meccanismi particolarmente rigidi. Negli ultimi anni, hanno attirato
l’attenzione dei ricercatori i manipolatori paralleli la cui piattaforma possiede meno
di sei gradi di libertà ed in particolare quelli di pura traslazione: ci si riferisce a
questa tipologia con l’acronimo TPM (translational parallel mechanism).
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Il primo TPM (Fig.1.2), noto come Delta Robot, risale agli anni ottanta: si
tratta di un manipolatore dalle alte prestazioni dinamiche, adatto ad applicazioni di
movimentazione di piccoli oggetti o all’assemblaggio di componenti meccanici di
ridotte dimensioni.
Fig.1.2
Le elevate prestazioni dinamiche (velocità operativa fino a 10 m/s e
accelerazione massima di 100 m/s
2
), sono raggiunte principalmente grazie alla
snellezza dei membri costituenti le gambe; non essendo infatti sottoposti a flessione,
ad essi non è richiesta un’elevata rigidezza. Altre specifiche del prodotto, quali
massima massa manipolabile di 1kg, precisione di 0,5 mm ed errore di ripetibilità di
0,05 mm, fanno sì che non risulti idoneo ad applicazioni che richiedano maggiore
accuratezza (come sistemi di misura). L’impiego nel campo delle macchine utensili
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sarebbe possibile solamente rinunciando alla leggerezza e alla snellezza dei membri
e quindi, in definitiva, al raggiungimento di prestazioni dinamiche così elevate.
Un’ulteriore e significativo passo nella ricerca risale al 1991: Hervè e
Sparacino diedero origine ad una nuova classe di TPM aventi gambe dotate di
quattro gradi di libertà, ognuna in grado quindi di togliere due gradi di libertà alla
piattaforma. In figura 1.3 è visibile una schematizzazione del modello “Y-
STAR”[B4].
Fig.1.3
Successivamente furono elaborati, sia da Hervè e Sparacino che da altri
ricercatori, diversi modelli riconducibili a questa famiglia. In particolare si
ricordano: H-Robot e Prism-Robot (Hervè, 1995), i manipolatori 3-RP
A
P
A
R micro
finger [B5], 2-e 3-PRRR studiati da Zhao e Juang [B6], Jin e Yang [B7], Carricato e
Parenti Castelli [B8].
Nel 1996 fu presentato da Tsai il modello 3-UPU, un meccanismo
caratterizzato da 3 gambe dotate di cinque gradi di libertà: questa tipologia di
manipolatori TPM fu poi successivamente studiata da Frisoli [B9] e da Carricato e
Parenti Castelli [B8].
Di particolare interesse per il presente lavoro è risultato il prototipo del
manipolatore UCR (Fig.1.4) realizzato da H.S.Kim e L.W.Tsai.
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Fig.1.4
Tramite il sito web del Dipartimento di Robotica dell’Università della
California è stato possibile prendere visione di un filmato che mostra il robot in
funzionamento: data la scarsità di materiale inerente a questo tipo di manipolatori,
questo filmato, assieme ai dati allegati, è stato essenziale nella definizione dei
parametri per il progetto di un manipolatore parallelo di tipo 3-PRPR da parte di
Lanzoni [B3].
Si tratta di un manipolatore a tre gradi di libertà di traslazione, costituito da
tre gambe aventi quattro coppie cinematiche PRRR (in ordine, a partire dalla base),
è dotato di tre attuatori lineari disposti ortogonalmente, è completamente isotropo e
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disaccoppiato. I possibili campi di impiego sono: operazioni di posizionamento,
assemblaggio, misurazione, macchine utensili multi-asse.
1.3.2 Classificazione topologica della famiglia TPM
Nell’ottica di eseguire il progetto cercando di determinare quale fosse la
disposizione ottimale delle gambe del manipolatore, si è dimostrato necessario un
preliminare studio delle analisi cinematica e dinamica (B[1],B[2]), volto ad
individuare i vincoli e le possibili variazioni allo schema di base.
Detti n
g
il numero di gambe aventi n
i
gradi di libertà, la singola gamba verrà
indicata con Tni se, possedendo n
i
gradi di libertà, ne sottrae 6 - n
i
dalla piattaforma.
Sono diverse le possibili combinazioni di gambe che portano ad una configurazione
di tipo TPM, tra cui:
1. una gamba T3 (elimina le tre rotazioni);
2. una gamba T4 (elimina due rotazioni) e due T5 (ognuna ne elimina una);
3. tre gambe T5 (ognuna elimina una rotazione).
Per ottenere buone caratteristiche dinamiche e di resistenza, è necessario che
il manipolatore possegga almeno tre gambe, in modo tale che vi siano almeno due
loop e che così i tre motori possano essere montati sulla base.
Le condizioni topologiche e geometriche che le gambe devono rispettare
sono:
1. ogni gamba deve concedere alla piattaforma almeno tre gradi di libertà di
traslazione;
2. nessuna coppia cinematica di una gamba deve consentire alla gamba
stessa un grado di libertà che essa deve togliere alla piattaforma.
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Segue da quanto esposto che non possono sussistere accoppiamenti sferici e
che le coppie rotoidali non devono avere asse parallelo alla direzione dell’asse
attorno al quale la rotazione deve essere bloccata; non si hanno invece, a livello
teorico, vincoli nel posizionamento delle coppie prismatiche.
Le principali architetture di manipolatori di tipo TPM topologicamente
classificate sono [B1]:
1. T3 TPM: è composto da tre gambe di tipo T3, ognuna delle quali
comprende tre coppie prismatiche ad assi linearmente indipendenti. Si
tratta di un meccanismo iperstatico essendo ogni vincolo ripetuto tre
volte. Possedendo le gambe solo coppie prismatiche, è impedita alla
piattaforma ogni possibilità di ruotare, pertanto questa tipologia è esente
da singolarità;
2. T4 TPM: è costituito da tre gambe di tipo T4, ognuna delle quali consente
alla piattaforma la rotazione secondo un unico asse (w
i
). Pur apparendo
come un meccanismo iperstatico, dato che ogni gamba elimina due gradi
di libertà, in definitiva vengono eliminati solamente tre gradi di libertà.
Considerando che, per quanto esposto sopra, una gamba di tipo TPM non
può possedere coppie rotoidali ad asse parallelo a quello della rotazione
da vincolare, tali assi devono necessariamente essere paralleli alla
direzione w
i
la quale in questo modo rimane costante durante il moto;
inoltre il numero di coppie rotoidali può essere di due o tre. E’ necessario
osservare che, siccome la generica gamba consente la rotazione solo
attorno a w
i
e l’orientazione degli assi rimane costante durante il moto,
assemblando due gambe in modo tale che w
h
sia diverso da w
k
, una
gamba blocca la rotazione consentita dall’altra e quindi in definitiva la
piattaforma non può ruotare: sotto quest’ultima ipotesi non si hanno
quindi configurazioni di singolarità;