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Introduzione
L’innalzamento degli standard di vita nei paesi più poveri del mondo potrebbe
generare costi altissimi in termini di impatti ambientale e sociale.
Parallelamente ad un’auspicabile modifica dei modelli di produzione e
consumo nei paesi sviluppati (Ellen McArthur Foundation, 2012), si renderà
necessario pensare a paradigmi economici sostenibili compatibili con le
società in via di sviluppo al fine di armonizzarne la crescita con i contesti
ambientale, sociale ed economico mondiali. L’economia circolare
rappresenta in questo senso un’alternativa valida tanto nei paesi sviluppati
quanto in quelli in via di sviluppo. La filiera del caffè ben si presta, data la
sua natura transnazionale, le sue dimensioni, le quantità di byproduct generati
e la centralità economica rivestita in molti paesi in via di sviluppo, a essere
scenario pilota di processi di business sostenibile alla base di cicli economici
virtuosi e rigenerativi.
Questo lavoro di tesi si pone come obiettivo primario la progettazione di un
processo di produzione di funghi freschi in Tanzania che aumenti la
circolarità della filiera del caffè impiegando come risorsa la polpa del caffè e
che superi i fattori di rischio e le maggiori problematiche dell’attuale processo
di produzione. Ulteriore scopo di questo lavoro è l’individuazione di pratiche
operative, processi secondari e strumenti tecnologici che permettano
maggiori sostenibilità e circolarità del processo di produzione fungina. In
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questo modo i produttori di caffè tanzaniani possono ottenere funghi freschi
commestibili dalle comprovate proprietà mediche e nutrizionali, limitando gli
impatti ambientali e dando valore a risorse di cui già dispongono.
Il lavoro di tesi costituisce naturale proseguimento e approfondimento di
un’esperienza progettuale che ha visto lo scrivente operare nell’ambito di un
team con competenze interdisciplinari (formato da Ivano Bilenchi, Lorenzo
Parrulli, Francesco Forina e Luca Latini) supervisionato dalla professoressa
Barbara Scozzi tra il 2017 e il 2018. In quel periodo, per partecipare al
concorso Lavazza and Youth for SDGs, il team ha sondato la possibilità di
utilizzare gli scarti agricoli da coltivazione di caffè per produrre funghi
commestibili dalle notevoli proprietà medico-nutrizionali in contesti difficili
come quello tanzaniano, mettendone in luce gli aspetti positivi legati alla
sostenibilità ambientale, sociale e economica. Fine ultimo del progetto è stata
la definizione di un percorso di formazione destinato ai produttori di caffè
tanzaniani con lo scopo di permettere loro di praticare la funghicoltura in
maniera sostenibile, sicura e remunerativa. Il progetto presentato dal team è
risultato vincitore del concorso ed è stato inoltre selezionato da Sustainable
Development Solutions Network, organizzazione operante sotto l’egida delle
Nazioni Unite, come una delle cinquanta migliori idee innovative in termini
di sostenibilità a livello globale. Partendo da quel lavoro progettuale nel
lavoro di tesi si è approfondito e modellato con gli strumenti del Sustainable
Business Process Management il processo di produzione di funghi freschi a
partire da polpa di caffè, e se ne sono indagati gli aspetti tecnologici,
operativi, ambientali e organizzativi.
La tesi risulta così strutturata. Nel Capitolo 1 si descrivono le discipline, il
metodo e gli strumenti utilizzati nel lavoro. Nel Capitolo 2 si introduce il tema
della coltivazione del caffè, si esaminano i principali byproduct e si
presentano le principali tecniche di valorizzazione degli stessi. All’interno del
Capitolo 3 si analizza il processo di produzione di funghi freschi attualmente
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eseguito nella maggior parte delle mushroom farm tanzaniane,
evidenziandone limiti e potenzialità. Nel capitolo successivo si passa alla fase
di process design, la quale ha avuto come presupposti l’analisi del contesto
tanzaniano e delle organizzazioni produttrici di caffè e l’utilizzo delle
tecniche più sostenibili di funghicultura e management dei coffee byproduct.
Nello stesso Capitolo vengono definite le attività facenti parte del to-be
process identificato, attività definite attraverso uno studio puntuale delle
migliori alternative in termini di sicurezza e impatti ambientali. Nel Capitolo
5 si riporta una analisi ragionata della sostenibilità del processo progettato,
evidenziando tecniche e risorse utili a limitarne ulteriormente gli impatti.
Vengono inoltre definiti i Key Process Indicator relativi al processo
sviluppato e ai processi secondari, come quello di valorizzazione del substrato
oramai non più fruttifero.
Notevole interesse è stato recentemente mostrato verso il progetto di tesi sia
dalla Fondazione Luigi e Pericle Lavazza che dagli agricoltori tanzaniani con
cui si è entrati in contatto durante lo sviluppo di questo lavoro. Nel mese di
settembre 2019 verrà effettuato un primo studio sul campo, in Tanzania, al
fine di effettuare una prima validazione del processo, con l’aiuto della
Fondazione Lavazza e dei produttori locali.
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Capitolo 1
Sustainable Business Process Management e
Economia Circolare
1.1 Il Business Process Management e l’organizzazione per processi
Il Business Process Management (BPM) si configura come una disciplina
manageriale volta all’analisi, alla modellazione, alla progettazione, al
miglioramento e all’automatizzazione dei processi di business e alla
definizione, alla misurazione, e al controllo delle grandezze relative alle sue
performance (Jeston & Nelis, 2014). Il processo di business, oggetto principe
delle indagini e delle ricerche del BPM, è tale qualora siano individuabili con
chiarezza:
• il prodotto o servizio che il processo intende fornire o erogare.
Prodotti e servizi in output devono risultare finiti, gestibili e fruibili in
autonomia dal cliente;
• la definizione di uno o più soggetti cui l’output (prodotto o servizio)
di processo è destinato e per cui, si assume, le attività interne al
processo possano generare valore riconosciuto;
• le competenze e le conoscenze, multiple e sinergiche, che concorrano
alla realizzazione dell’output;
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• le funzioni organizzative che il processo interessa;
• le differenti istanze, caratterizzate da un inizio e da una fine ben
definite, corrispondenti ciascuna a una singola esecuzione del
processo stesso.
Data questa definizione di processo, risulta che ogni azienda possa dirsi
caratterizzata, alle volte anche inconsapevolmente, da una serie di processi
che in qualche modo la definiscono. Soddisfano le condizioni prima elencate
e per questo possono configurarsi come processi molteplici e diversissimi
modi e metodi che le imprese hanno di soddisfare i bisogni dei clienti, siano
essi interni o esterni all’organizzazione. È possibile classificare i processi di
business seguendo numerosi e differenti criteri che considerino la loro natura,
importanza, clientela o tipologia di output. Earl e Khan (1994) forniscono una
classificazione di alto livello che divide i processi aziendali in quattro
categorie:
• processi core o primari - processi implicati direttamente nella
creazione di valore per il cliente esterno. Essi rivestono importanza
strategica fondamentale. Esempio di processo primario sono i processi
di produzione o di innovazione;
• processi di supporto - processi di back office che contribuiscono a
creare nell’organizzazione le condizioni utili all’istanziarsi dei
processi core. Essi hanno solitamente clienti interni e permettono, ad
esempio, di remunerare gli attori, di manutenere i macchinari o di
soddisfare esigenze burocratiche;
• processi manageriali - processi di alto livello che spesso interessano i
vertici strategici dell’organizzazione. Consentono di definire le
strategie aziendali, il comportamento che l’impresa deve assumere
dinanzi ad un determinato problema o i cambiamenti da apportare
all’organizzazione;
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• processi di network - processi che coinvolgono attori appartenenti a
organizzazioni esterne a quella in esame. Tali processi scavalcano i
confini aziendali e aprono l’organizzazione alla cooperazione e alle
alleanze. Molti dei processi che attraversano più organizzazioni della
stessa supply chain ricadono in questa categoria.
La categorizzazione presentata, per quanto permetta di incasellare i principali
processi aziendali, non riesce tuttavia a soddisfare la necessità, sempre più
sentita da imprese, innovatori e progettisti, di creare uno standard unico che
permetta di individuare e organizzare i processi con chiarezza. A tal fine sono
stati sviluppati numerosi Business Process Reference Model (BPRM),
tassonomie di processi che consentono di:
• individuare i processi interni ad un determinato settore e le attività che
li compongono;
• sviluppare un linguaggio standardizzato e comune relativo alla
definizione e descrizione di un processo;
• avere a disposizione le best practice relative al design di un
determinato processo;
• disporre di uno strumento universale cui possano attingere tutte le
organizzazioni che operano in un determinato settore.
1.2 Organizzazioni e processi
Pur disponendo del più corretto e completo BPRM, non è possibile in fase di
progettazione di un processo, sia esso primario o di supporto, fare a meno
dell’analisi delle organizzazioni in cui il processo verrà messo in pratica.
Esse, come i processi, risultano diversissime tra loro e molte sono le variabili
necessarie a fornirne una descrizione utile ai fini della progettazione del
processo che in esse si animerà. Tale analisi risulta utile non solo a monte
della progettazione di un processo, considerando cioè le organizzazioni come
a priori esistenti, ma anche a valle del process design, col fine questa volta di
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descrivere la struttura organizzativa che meglio interpreti le esigenze di
processo.
A fondamento della descrizione di un’organizzazione aziendale si trovano
undici variabili (Daft, 2004), di natura qualitativa e/o quantitativa,
raggruppate in due famiglie, quella delle dimensioni contestuali e quelle delle
dimensioni strutturali. Le dimensioni contestuali permettono di fornire un
quadro generale dell’intera organizzazione e dell’ambiente in cui essa opera,
mentre le dimensioni strutturali descrivono le caratteristiche interne e le
relazioni tra le unità organizzative che compongono il sistema.
Si fornisce una breve descrizione delle cinque dimensioni contestuali.
• Obiettivi e strategia - dimensione contestuale alla definizione della
quale concorrono sia vision e mission, caratteristiche qualitative
necessarie a indicare le vocazioni strategiche, tattiche e competitive
dell’organizzazione, che gli obiettivi operativi, goal
quantitativamente definiti;
• Ambiente - dimensione di ampio respiro, relativamente alla quale è
necessario specificare le coordinate di contesto in cui l’organizzazione
opera. Risultano ambiente per l’organizzazione la comunità in cui essa
opera, il quadro istituzionale e politico di riferimento, il contesto
economico e culturale, gli altri attori della supply chain di cui
l’organizzazione fa parte;
• Dimensione - al fine di descrivere la dimensione dell’organizzazione
è possibile fare riferimento a indicatori sia relativi al personale che ai
fatturati dell’impresa in esame (o eventualmente del gruppo da cui
dipende);
• Tecnologia - variabile qualitativa atta a descrivere le tecnologie di cui
l’organizzazione si serve;