relativamente pochi, in quanto per molto tempo il c.d. “pizzo” non è stato
considerato una “piaga sociale pressoché endemica, e tanto grave da
condizionare implacabilmente lo sviluppo economico, industriale e
commerciale, delle aree del paese in cui la consuetudine a subire le
angherie e le minacce si stava radicando più profondamente al punto da far
considerare stravagante ed isolato socialmente chi vi si opponeva,
rischiando in proprio le vendette e le realizzazioni delle minacce respinte e
denunciate”.
3
Il reato di estorsione si presenta, oggi, come uno dei più allarmanti
fra quelli contro il patrimonio, e fra i più gravi in assoluto.
4
Cedam, Padova 2007 e di RAGNO, Il delitto di estorsione. Profili dommatici, Milano,
1966.
3
L’espressione è di MECCA, L’estorsione, cit.., 2.
4
A titolo informativo, nei cinque anni fra il 1997 e il 2002 sono stati accertati dai
pubblici ministeri del distretto giudiziario di Palermo in media 450 casi di estorsione
ogni anno (V. Relazione del Procuratore Generale della Repubblica, Assemblea
Generale della Corte d’ Appello di Palermo per l’anno 2002, pag. 133. In generale, v.
CAZZOLA, L’Italia del pizzo, Einaudi, Torino 1992).
4
CAPITOLO I
IL RACKET DELLE ESTORSIONI
SOMMARIO: 1. Il sistema assassino. – 2. L’estorsione tangente.
Imprenditori: vittime o complici? – 2.1. Il criterio dell’“ineluttabile
coartazione”. – 2.2. I principali orientamenti ermeneutici.– 3. Una
possibile prospettiva di riforma.
1. Il sistema assassino
5
.
L’estorsione è la “tassa” delle mafie, come afferma Tano Grasso,
fino a qualche anno fa Commissario antiracket e antiusura del governo ed
adesso presidente onorario Federazione delle Associazioni Antiracket e
Antiusura Italiane (FAI), non c’è, né può esserci estorsione senza mafia.
“Il racket delle estorsioni contiene per intero, al proprio interno e nel suo
esercizio, tutte le componenti della fenomenologia mafiosa. È un delitto
che può essere consumato soltanto se chi lo esercita riesce ad intimidire in
modo continuo e significativo”.
6
Pagare il “pizzo” significa non solo fornire la criminalità di risorse
con cui alimentarsi e rafforzarsi, ma significa anche riconoscerle prestigio
5
L’argomento è ampiamente trattato da LA SPINA, I costi dell’illegalità. Mafia ed
estorsioni in Sicilia, Il Mulino, Bologna 2008.
6
V. GRASSO-VARANO, Storie di estorsioni mafiose e di antiracket, Capo
d’Orlando, 2005, 15.
5
e autorità agli occhi altrui. Questo significa accettare la cultura
dell’omertà, piegarsi totalmente alla volontà di criminali che domandano
soldi per garantire la protezione da eventi violenti che sono essi stessi a
produrre. Il rischio, infine, è quello di passare dall’essere vittime all’essere
complici delle mafie.
7
Il territorio, dunque, per la criminalità organizzata rappresenta uno
spazio da saccheggiare, da controllare e, infine, da condizionare. Il crimine
privatizza quello che è pubblico, non riconosce lo Stato né come legittimo
detentore del monopolio della forza, né come fonte legittima di produzione
delle leggi. Questo comporta che per la criminalità organizzata non
esistano cittadini ma sudditi, non sussistano diritti ma favori, la violenza e
l’intimidazione si sostituiscono alla pacifica convivenza e al dialogo come
modalità di instaurazione, mantenimento e rottura di relazioni, che
l’omertà e il silenzio prendono il posto della denuncia e dell’agire
trasparentemente.
Il settore delle estorsioni è da sempre monopolio esclusivo di Cosa
nostra
8
che tutela con ogni mezzo questo suo specifico spazio di “sovranità
illegale” da intromissioni esterne. A Palermo, ove si trovano la sede
riconosciuta di Cosa nostra e il centro principale delle più diverse attività
criminali organizzate, infatti, è semplicemente impossibile che soggetti
estranei all’associazione mafiosa svolgano attività estorsiva organizzata.
Per tutti è indispensabile avere ricevuto l’autorizzazione di Cosa
nostra, alla quale devono essere destinati i profitti dell’attività: infatti,
l’operazione di riscossione del c.d. pizzo costituisce una delle attività più
7
Sul tema della contiguità con le organizzazioni criminali, v. infra.
8
“Cosa nostra” è, ancora oggi, nonostante i duri colpi offerti dallo Stato negli
ultimi dieci anni, tra cui le recenti catture dopo decenni di latitanza del boss Bernardo
Provenzano e del boss Salvatore Lo Piccolo, una delle organizzazioni criminali più
pericolose e temibili sul territorio italiano e operanti anche al suo esterno. Essa mantiene
una struttura di tipo verticistico, fortemente gerarchizzata e soggetta a rigidissime regole
comportamentali.
6
remunerative della mafia.
9
Attraverso il c.d. “sistema assassino”,
10
Cosa nostra realizza due
obiettivi fondamentali: un obiettivo economico costituito dalla
acquisizione di considerevoli profitti
11
ed uno di politica territoriale,
costituito da un sistematico controllo del territorio nel senso che con il
pagamento del pizzo, una forma di tangente, gli operatori economici “si
mettono a posto” ricevendo in cambio una sorta di protezione.
Spesso coloro che finiscono vittima del racket delle estorsioni sono
prevalentemente imprenditori e commercianti della grande e piccola
distribuzione: alcuni si oppongono, reagiscono attraverso la denuncia, altri,
invece, decidono di non farlo. Piegarsi alla paura e pagare vuol dire
imboccare una strada che può condurre alla perdita della propria libertà,
non solo imprenditoriale: cedere la prima volta può predisporre a
successivi cedimenti quali, ad esempio, acquistare prodotti solo da certi
fornitori segnalati, assumere qualcuno debitamente raccomandato, che
possono, col tempo, sconfinare in veri e propri comportamenti illegali, fino
a trasformare l’iniziale vittima dell’estorsione in un soggetto più o meno
coinvolto nel sodalizio criminale.
12
9
Altre attività “vitali” per l’organizzazione mafiosa sono la gestione illecita degli
appalti pubblici e i traffici illeciti di armi e stupefacenti.
10
Giovanni Falcone sul libro bianco della Confesercenti Estorti E Riciclati
affermava che “il pagamento del pizzo è il riconoscimento tangibile dell’autorità
dell’organizzazione criminosa nel territorio e, in questo senso, costituisce una sorta di
tassa a favore dell’organizzazione che lo controlla”.
11
In un’intervista rilasciata a Leo Stilo e pubblicata sul mensile In Giustizia, n. 6,
2004, 12-13, il Commissario straordinario antiracket e antiusura Carlo Ferrigno afferma:
“attraverso il racket le organizzazioni criminali raccolgono, a basso rischio, elevate
somme di denaro destinate prevalentemente a sostenere le famiglie degli associati
detenuti, a pagare importanti collegi di difensori ovvero ad avviare ulteriori traffici
illeciti”.
12
Infatti, il pagamento del pizzo può dare inizio ad uno scambio di “favori” tra
imprenditore ed estorsore finalizzato o ad assicurare il libero ed indisturbato
svolgimento dell’attività, o la protezione da parte dell’organizzazione criminale. V.
infra.
7
L’attività tipica di Cosa nostra, che ha portato gli studiosi
13
a
definirla “l’industria della protezione”, non può, dunque, non essere
ancora oggi il racket delle estorsioni ovvero, come già riferito, “la
produzione e talora l’offerta coattiva di protezione, in forma
tendenzialmente monopolistica, contro un corrispettivo consistente in
un’utilità economicamente valutabile”.
14
Ne deriva che tramite la raccolta del pizzo le famiglie mafiose
incidono sul tessuto socio-economico in una duplice direzione: sottraendo
alle forze produttive ingenti quantità di capitali e interferendo
sull’articolazione dei processi economici. Ed infatti, il ricavato del pizzo
finisce sempre più spesso in attività legali e l’estorsore diventa anche un
imprenditore ed è proprio in questa constatazione che si nasconde un
micidiale paradosso: chi paga il pizzo finanzia un’impresa, quella mafiosa;
un’impresa con cui non potrà mai misurarsi in una leale concorrenza
perché questa ha il vantaggio delle relazioni mafiose e della violenza.
15
Studi approfonditi
16
sul fenomeno permettono di aver notizia del
modus operandi attraverso cui l’organizzazione criminale si muove sul
piano pratico della realizzazione del meccanismo estorsivo: si evitano, per
quanto possibile, attentati clamorosi, quali, ad esempio, l’esplosione di
ordigni, privilegiando il compimento di una serie di danneggiamenti
minimi
17
utilizzando a tal fine giovani a disposizione dell’organizzazione.
Dunque, l’attività intimidatrice esercitata dalle famiglie mafiose si
13
GAMBETTA, La mafia siciliana. Un’industria della protezione privata, Einaudi,
Torino 1992.
14
Al riguardo, v. SCAGLIONE, Il racket delle estorsioni, in I costi dell’illegalità, (a
cura di) LA SPINA, cit., 82.
15
V. GRASSO-VARANO, Storie di estorsioni mafiose e di antiracket, cit., 16.
16
Tali studi sono citati da LA SPINA, I costi dell’illegalità, cit., 64 ss.
17
Ad esempio, l’inserire della colla nella serratura dei negozi.
8
concretizza in azioni di varia natura
18
(minacce, attentati, danneggiamenti,
furti, ecc..) e ha assunto nel tempo dimensioni sempre più vaste tanto che
oggi vengono raccolte all’interno di una variegata casistica.
19
In proposito,
è, peraltro, possibile distinguere tra danneggiamenti simbolici e materiali:
tra i primi, il metodo più diffuso consiste, come già osservato,
nell’utilizzare giovani per posizionare la colla nelle serrature dell’esercizio
commerciale, le taniche di benzina in prossimità dell’impresa, i bossoli di
pistola dentro una busta e, talvolta, si ricorre anche ad intimidazioni dirette
come le telefonate minatorie. Solo nel caso in cui l’imprenditore si mostri
impermeabile agli avvertimenti, l’organizzazione criminale procede alla
realizzazione di una serie di danneggiamenti “materiali”: furti,
devastazioni, attentati incendiari e la violenta reazione mafiosa può
giungere, infine, all’uccisione dell’estorto. Da alcune indagini effettuate da
SOS Impresa emergono quattro modalità di riscossione del pizzo:
pagamento concordato, contributo all’organizzazione, dazioni in natura e il
c.d. cavallo di ritorno. Con il primo, si paga un tantum all’ingresso e si
pattuiscono rate mensili o settimanali; con il secondo, invece,
periodicamente si presentano due o tre persone chiedendo contributi per le
varie ricorrenze. Una fisionomia estorsiva a sé, che si sta diffondendo in
modo preoccupante è invece quella del “cavallo di ritorno”: avviene
attraverso il furto di merci e prodotti per poi estorcere un riscatto per la
loro restituzione.
Un altro profilo di non secondaria importanza riguarda il volto con
cui l’organizzazione si presenta all’estorto: a tal proposito i diversi
collaboratori di giustizia hanno illustrato il ruolo di c.d. “scarica”. Con
18
Così, MOROSINI, Mafia e appalti. La rilevanza penale delle condotte del
politico e dell’imprenditore, cit., 1048.
19
Sul tema, v. SCAGLIONE, Il racket delle estorsioni, in I costi dell’illegalità, (a
cura di) LA SPINA, cit., 89 ss.
9