I principi contabili internazionali, pertanto, sono delle regole tecniche che,
essendo filtrate attraverso la procedura di endorsement, acquistano valore di
norme giuridiche. Tali regole, di conseguenza, non rivestono funzione integrativa
della disciplina codicistica del bilancio, ma la sostituiscono integralmente, per di
più ispirandosi a scelte di fondo che sono in gran parte opposte
1
.
Considerando in primo luogo la struttura del bilancio, emerge, ad un primo
esame, come i principi contabili internazionali richiedano un grado di analiticità
inferiore rispetto a quello che viene imposto dalle norme degli art. 2424-2425 c.c.;
tale circostanza consente di semplificare gli schemi di stato patrimoniale e conto
economico, incrementando le informazioni da indicare in altri documenti quali la
nota integrativa, il prospetto delle variazioni delle voci di patrimonio netto e il
rendiconto finanziario.
Un altro significativo cambiamento è quello riferito alle valutazioni; infatti la
disciplina codicistica sceglie come criterio principale di valutazione il costo
storico delle attività da valutare, mentre gli IAS/IFRS assegnano una funzione
centrale al fair value (valore equo), che può essere definito, operando una forte
semplificazione, come il valore di mercato.
L’introduzione dei principi contabili internazionale pone importanti problemi
tecnici, si pensi ad esempio alla difficoltà di determinazione del valore equo
laddove non vi sia un mercato.
Un caso altrettanto delicato si presenta quando la valutazione di mercato
incorpora, come accade di norma, aspettative di redditi futuri e di futuri flussi di
1
Tale innovazione segna una differenza profonda anche rispetto ai temi esplorati in precedenza
dai giuscommercialisti con riguardo ai principi contabili. Si pensi ad esempio al dibattito che si è
sviluppato con riferimento al richiamo dei corretti principi contabili nell’articolo 4 del d.P.R. 31
marzo 1975, n. 136.
2
cassa; in tal caso l’adozione del fair value porta al recepimento all’interno del
bilancio di utili in realtà non realizzati. Ciò si pone, in tutta evidenza, in contrasto
con il principio di prudenza, così come inteso nella tradizione del diritto contabile
italiano e nel codice civile vigente
2
.
In quest’ottica appare plausibile interrogarsi su quali potrebbero essere le scelte
dell’autorità giudiziaria chiamata a valutare la legittimità di valutazioni basate su
previsioni di redditi futuri e/o di futuri flussi finanziari che non si siano realizzati.
Questo tema, che in realtà non è nuovo per l’ordinamento italiano, appare tuttavia,
in seguito all’introduzione degli IAS/IFRS, indirizzato a proporsi con una
frequenza e con un impatto superiori a quanto sia accaduto nel passato.
In conclusione, appare certamente possibile che l’applicazione dei principi
contabili internazionali conduca a valutazioni dell’attivo inferiori a quelle
derivanti dalla disciplina codicistica
3
. Tuttavia emerge che un sistema di
valutazione basato sul fair value conduce, nella maggior parte dei casi, ad esporre
dei valori più elevati di un sistema che sia incentrato sul costo storico; di più, i
valori esposti risultano essere maggiormente volatili in ragione della loro
costituzione che consta (altresì) di plusvalenze non realizzate e legate alle
oscillazioni di mercato.
La sostituzione del fair value al costo storico come parametro essenziale (seppure
non esclusivo) per la valutazione, trova una ragione nella tendenza che segna
l’evoluzione della disciplina delle società quotate in Europa e in Italia; tale
2
L’articolo 2423-bis, comma 1, n. 2, cc. pone tra i principi per la redazione del bilancio il precetto
in base al quale possono essere indicati esclusivamente gli utili realizzati alla data di chiusura
dell’esercizio.
3
Si pensi a tale riguardo alla capitalizzazione nell’attivo dello stato patrimoniale dei costi aventi
utilità pluriennale -che può essere l’occasione per manovre di sopravvalutazione illecita
dell’attivo-, e che viene consentita in misura inferiore a quella permessa dal codice civile.
3
tendenza si sviluppa seguendo la scia dell’esperienza statunitense. In questa
prospettiva nuova, il fulcro del sistema non è più rappresentato dalla tutela dei
creditori, bensì viene ad essere sempre più ravvisato nella tutela degli investitori.
In particolare, i principi contabili internazionali risultano precipuamente idonei ad
orientare le scelte di quei soggetti che operano nell’ambito di una prospettiva di
breve termine e con una elevata propensione al rischio.
D’altra parte, il regolamento 1606/2002 non dimentica i creditori, gli investitori
che operano in una prospettiva di medio e di lungo periodo o con misurata
propensione al rischio. L’adozione dei principi contabili internazionali viene in
effetti imposta soltanto per i bilanci consolidati delle società quotate la cui
funzione è esclusivamente informativa; l’estensione ai bilanci d’esercizio, che
hanno altresì una funzione organizzativa e in base ai quali si determina l’utile
distribuibile, è rimessa alla facoltà degli Stati membri per le società quotate e non
quotate come anche per i bilanci consolidati delle società non quotate.
Il legislatore italiano ha fatto ampio uso di questa facoltà; con il d. lgs. 28
febbraio 2005, n. 38 ha imposto l’adozione dei principi contabili internazionali
anche nel bilancio d’esercizio delle società quotate, delle società con titoli diffusi
fra il pubblico, delle banche ed intermediari finanziari, delle imprese assicurative
quotate che non redigono il bilancio consolidato; inoltre ha permesso ad altre
categorie di società di applicare i principi contabili internazionali. In seguito a tali
previsioni normative si va delineando, in ordine alla redazione del bilancio di
esercizio, un panorama caratterizzato dalla coesistenza di società che utilizzano i
principi contabili internazionali e società che applicano la disciplina tradizionale.
4
Questa circostanza, crea delle difficoltà in merito alla confrontabilità tra i risultati
delle une e delle altre. Ancora, e forse soprattutto, delicati problemi si pongono
con riguardo alla tutela dei creditori sociali.
Il d.Lgs. 38 del 2005 e il progetto OIC
4
ritiene di fornire una soluzione per questo
problema mediante la previsione di riserve costituite dai plusvalori che derivano
dall’applicazione del fair value. Queste riserve, sono in linea di massima
indisponibili; nondimeno, esse devono essere utilizzate a copertura delle perdite
che non siano assorbite da altre voci del netto patrimoniale. In tal modo viene
evitata la riduzione del capitale sociale con contestuale ricapitalizzazione o messa
in liquidazione, laddove il capitale sociale sia sceso al di sotto del minimo legale.
Ciò mette a rischio l’interesse dei creditori sociali proprio nei casi in cui esso è
più esposto a situazioni di pericolo, cioè quando la società è in crisi.
In tal modo, la funzione che il capitale sociale riveste all’interno del nostro
ordinamento viene messa in dubbio
5
.
La scelta del legislatore italiano di applicare i principi contabili internazionali
anche al bilancio di esercizio, appare motivata dall’opportunità di evitare i costi di
una doppia contabilità. In realtà, la soluzione adottata non sembra permettere che
questo doppio costo venga evitato.
4
Organismo Italiano di Contabilità (OIC), in attuazione delle direttive comunitarie 65/2001 e
51/2003, ha predisposto un progetto di riforma della disciplina codicistica del bilancio di esercizio.
5
Proprio alla luce di queste considerazioni il capitale sociale è stato da tempo abbandonato in
molte legislazioni statali statunitensi. Appare altresì significativo che anche in Italia e nel resto
dell’Europa la conservazione di tale istituto sia oggetto di dibattito fra giuristi ed economisti
cultori degli orientamenti giuridici statunitensi.
5
2. L’armonizzazione contabile nell’Unione Europea
La creazione di un mercato comunitario privo di ostacoli alla libera circolazione
di merci, persone, servizi e capitali è un obiettivo definito in maniera chiara nel
Trattato istitutivo della CEE del 1957. A tal fine il legislatore comunitario ha
perseguito il coordinamento delle discipline commerciali dei Paesi membri e la
predisposizione di modelli e regole commerciali uniformi, per l’esercizio
dell’impresa all’interno del mercato comune.
In un quadro così delineato, l’uniformità dei bilanci delle imprese europee appare
fondamentale al fine di agevolarne l’internazionalizzazione, mentre la difformità
dei criteri contabili si pone come limite alla comparabilità dei conti e realizza
conseguenti disagi per gli operatori economici.
La globalizzazione dei mercati e il crescente sviluppo di società operanti a livello
internazionale, ha reso necessaria per la comunità europea, sin dagli inizi degli
anni settanta, l’emanazione di provvedimenti legislativi al fine di armonizzare la
normativa commerciale dei Paesi membri. A tale scopo, a partire dal 1968, sono
state emanate numerose direttive di armonizzazione della materia societaria; in
particolare in materia di principi per la redazione dei bilanci la direttiva 78/660
CEE
6
, la direttiva 83/349/CEE
7
e la direttiva 84/253 CEE
8
. La relativa attività
legislativa comunitaria, si è sviluppata tenendo in costante conto l’esigenza di
conciliare tradizioni giuridiche estremamente differenti tra loro; in effetti, la
tradizione di diritto continentale muove da un metodo volto a definire un
complesso di regole precise e puntuali, mentre la tradizione di matrice
6
IV direttiva societaria sui conti annuali delle società di capitali
7
VII direttiva societaria sui conti consolidati dei gruppi di imprese
8
VIII direttiva societaria sull’abilitazione delle persone incaricate al controllo dei conti annuali
6
anglosassone segue un approccio legato alla definizione di principi di
comportamento generali.
La disciplina in oggetto, non si è proposta l’obiettivo di realizzare
l’armonizzazione completa delle normative contabili nazionali; essa nondimeno
ha introdotto, all’interno degli ordinamento degli Stati membri, alcuni importanti
postulati di bilancio come il quadro fedele e corretto (true and fair view), la
continuità operativa (going concern), la competenza economica, la costanza di
struttura di bilancio e dei principi di valutazione negli esercizi, il divieto di
compensazione tra le singole voci di bilancio, la presenza di informazioni
omogenee e quindi comparative.
L’importanza assunta da queste direttive, è emersa dal miglioramento generale
della qualità delle norme contabili e dalla maggiore confrontabilità dei conti delle
imprese; queste circostanze hanno rappresentato certamente un vantaggio per le
imprese, in particolar specie per quelle transfrontaliere.
Tuttavia, la disciplina in discorso, con il passare del tempo ha manifestato
notevoli limiti. Ciò è dipeso in larga parte, dalla circostanza che la stessa
disciplina abbia proposto trattamenti contabili alternativi; tali opzioni, hanno
generato inevitabili differenze tra le normative nazionali degli Stati membri che le
hanno recepite. Ulteriori difficoltà sono dipese dalla lunghezza dei tempi di
recepimento da parte dei Paesi membri e dalle differenti interpretazioni che gli
stessi hanno fornito in merito a taluni principi. Infine, occorre sottolineare, che i
provvedimenti comunitari hanno omesso di disciplinare numerosi aspetti
contabili.
7
Le lacune ed i limiti evidenziati sono stati ulteriormente accentuati
dall’evoluzione del panorama finanziario internazionale; in effetti, i mercati
immobiliari internazionali hanno attraversato un periodo di profondi cambiamenti
a causa del crescente uso delle tecnologie informatiche, della globalizzazione dei
mercati e, in ambito europeo, dell’introduzione dell’euro.
In questo mutato contesto economico, le direttive comunitarie, non rispondevano
più alle esigenze di quelle società europee che intendevano quotarsi nei mercati
mobiliari od europei internazionali, le c.d. global player. Tali difficoltà
dipendevano dalla circostanza che i bilanci di dette società, redatti
conformemente alle direttive comunitarie e alle leggi nazionali che ne davano
attuazione, non soddisfavano le norme più specifiche prescritte in ambito
internazionale; di conseguenza le imprese si trovavano costrette a dover
rielaborare i propri bilanci sulla base dei principi contabili che venivano
riconosciuti internazionalmente.
In considerazione di tali problematiche la comunità europea ha rivisto la propria
strategia UE sull’armonizzazione contabile per integrare il quadro normativo
applicabile alle società. Il Parlamento ed il Consiglio hanno preso atto della
circostanza che, dal momento dell’approvazione delle direttive, le finalità, i
contenuti e i modelli di calcolo delle informazioni finanziarie si fossero
trasformati e continuassero a trasformarsi.
L’obiettivo della nuova pianificazione, è stato quello di raggiungere l’uniformità
delle regole contabili negli Stati membri al fine di agevolare l’attività delle
imprese comunitarie in ambito internazionale ed assicurare, in particolar modo,
8
che i valori mobiliari di tali imprese potessero essere negoziati sui mercati
internazionali.
Con la comunicazione 508/95/CEE “Armonizzazione contabile: una nuova
strategia nei confronti del processo di armonizzazione internazionale”, la
Commissione Europea ha relegato la politica di armonizzazione perseguita
mediante le direttive societarie, in sostanza, una portata residuale e ha iniziato a
perseguire una politica finalizzata ad uniformare le regole contabili dei Paesi
comunitari mediante una procedura di omologazione degli standard elaborati da
un organismo che fosse dotato di notevole rappresentatività, a livello
internazionale, e che tenesse in considerazione le esigenze di globalizzazione
dell’economia ed in particolare dei mercati finanziari, agevolando al tempo stesso
la negoziazione transfrontaliera ed internazionale dei valori mobiliari.
La scelta è ricaduta su un insieme di principi che disponevano di vasto
apprezzamento internazionale: i principi emessi dal Board dello International
Accounting Standard Committee (d’ora in poi IASC), denominato IASB. In tal
modo la Commissione Europea ha rinunciato a predisporre direttamente un
quadro giuridico integrativo delle direttive; con riguardo all’elaborazione dei
principi, il nuovo assetto ha segnato la presenza di tale organo in veste di
osservatore.
Questo cambiamento degli orientamenti comunitari in materia contabile, ha
assunto un significato forte in primo luogo con riguardo all’approccio legislativo
alla materia; in effetti, l’intenzione di favorire un’armonizzazione mediante regole
che contemperino le tradizioni di civil law e di common law è stata abbandonata,
9
scegliendo di rendere il sistema normativo comunitario contabile esclusivamente
principle-based.
La “nuova strategia contabile” ha dato inizio al processo di avvicinamento
dell’informazione finanziaria contabile agli standard elaborati dallo IASB.
Questo procedimento di convergenza verso i principi contabili internazionali dello
IASC ha avuto una accelerazione notevole a partire dal 2000 con il Consiglio
Europeo di Lisbona del 23 e 24 marzo 2000, il Rapporto del Comitato di Basilea
emesso nell’aprile del 2000, il Report of the Technical Committee del Working
Group n.1 dello IOSCO presentato a Sidney il 17 maggio 2000.
Inoltre, la Commissione Europea con la Comunicazione al Consiglio e al
Parlamento Europeo del 13 giugno 2000
9
, ha delineato le finalità e la strategia che
intendeva perseguire in materia di informazione contabile, definendone le linee
guida nell’adozione dei principi contabili riconosciuti a livello internazionale e
nella revisione delle direttive IV e VII in senso coerente ad essi.
L’anno seguente è stata emanata la direttiva 2001/65/CE per regolamentare la
rilevazione, la valutazione e la rappresentazione al fair value degli strumenti
finanziari.
Con il regolamento 1606/2002, il legislatore comunitario ha imposto alle società
con titoli negoziati in un mercato regolamentato di utilizzare, nella redazione dei
conti consolidati, gli IAS a partire dal 2005. E’ opportuno in questa sede rilevare
come tale regolamento, al terzo considerando, sottolinei, con riguardo alle
direttive societarie, in particolar modo la IV direttiva societaria e la VII direttiva
societaria, che: “gli obblighi in materia informativa stabiliti da queste direttive
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CE COM (2000) 359 “la strategia dell’UE in materia di informativa finanziaria: la via da
seguire”
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