Introduzione
L’impresa è un organismo vivente e come tale si evolve. Dalla Rivoluzione
Industriale ad oggi, il mondo economico ha conosciuto e continua a conoscere un
crescente sviluppo, che in tempi recenti è stato contraddistinto da due tendenze:
l’aumento delle dimensioni aziendali e il cambiamento dei rapporti tra le imprese,
non più orientati esclusivamente alla competitività. In sostanza, il processo di
sviluppo porta a definire accordi di cooperazione e collaborazione di lungo periodo
tra aziende indipendenti economicamente e giuridicamente.
Nonostante non siano un nuovo oggetto di studio, le forme cooperative e
collaborative, assumono attualmente un carattere particolare perché
rappresentano uno dei principali modi con cui le aziende si rapportano con
l’ambiente esterno
I gruppi societari, in questo senso, rappresentano una delle realtà più complesse e
multiformi nell’ambito dell’attuale economica internazionale e transnazionale, ed
anche in Italia la presenza degli stessi è divenuta sempre più preponderante.
La crisi finanziaria degli ultimi anni, il dissesto di grandi gruppi internazionali e
nazionali ( tra tutti, Il caso Enron ed il caso Parmalat), hanno però mitigato la corsa
alle grandi operazioni straordinarie. Invero, è notizia recente che, nel mese di
agosto del corrente anno, vi siano stati annunci di operazioni straordinarie, specie
da parte delle imprese meno indebitate, assistendo ad un moltiplicarsi delle offerte
pubbliche di acquisto (OPA) ostili.
Il presente lavoro, oltre ad indagare il fenomeno aziendale dei gruppi, vuole anche
far riflettere sulle conseguenze, dirette ed indirette, indotte dalle più recenti riforme
fiscali e societarie e sull’importanza che le politiche di tax plannimg, hanno
all’interno dei gruppi quale strumento di creazione di valore.
L’effetto congiunto delle riforme, tributaria e societaria ha profondamente
modificato le strategie di pianificazione fiscale dei gruppi societari.
Inoltre la necessità di un allineamento tra i Paesi appartenenti all’Unione Europea,
ha costretto il nostro legislatore ad una modificazione della legislazione nazionale,
con la necessità di creare dei nuovi mix di possibilità ed agevolazioni, per
incentivare anche in Italia, la collocazione di holding societarie. E’ in quest’ ottica
che bisogna inquadrare l’introduzione in Italia degli istituti del consolidato fiscale
7
nazionale e del regime di partecipation exemption, in quanto finalizzati a limitare la
concorrenza degli altri Paesi che già hanno adottato questa linea fiscale.
La prima parte del documento è incentrata sull’analisi del concetto del controllo,
quale elemento posto alla base del concetto di gruppo, analizzando le sue
possibili “declinazioni” nel codice civile, nelle legislazioni “speciali” e nel testo
unico delle imposte sul redditi (t.u.i.r.).
Successivamente ho indagato il rapporto tra controllo e gruppo, guardando quindi
all’analisi delle opportunità introdotte dalla riforma del diritto tributario, attuata con
il D. LGS. 12 dicembre 2003 n. 344, e dalla riforma societaria attuata con il D.
LGS. 17 gennaio 2003 n. 6, sulla disciplina dei gruppi fino a giungere all’analisi
dei regimi fiscali oggi previsti per il gruppo: il consolidato fiscale domestico, il
consolidato fiscale nazionale ed il regime di trasparenza.
L’analisi si è poi concentrata sugli aspetti più aziendalistici del gruppo, guardando
alle origini dei gruppi, alle motivazioni che ne portano la costituzione, agli elementi
tipizzanti, alle tipologie di gruppo più diffuse, alla corporate governance del gruppo
ed ad una disamina dei diversi sistemi di capitalismo.
In ultimo, sono passata alla valutazione del processo di armonizzazione delle
imposte dirette ed indirette nell’Unione Europea: la Direttiva sul trattamento fiscale
delle operazioni di riorganizzazione societaria, la Direttiva Madre-Figlia, la Direttiva
fusioni, la Direttiva Fusioni, la Direttiva sulle royalties e sugli interessi infragruppo
e la disciplina delle Controlled Foreign Companies ( CFC): tasselli di una politica
volta a favorire la cooperazione tra imprese, ma ben attenta a prevenire ed evitare
i riscontri negativi dell’elusione e dell’evasione fiscale.
E’ bene sottolineare che il quadro analizzato è un processo in continuo divenire: è
un periodo di cambiamento, di riflessione e di studio. Si attendono nuovi interventi
da parte dell’ Unione Europea e conseguentemente dei Paesi che ve ne fanno
parte. Giorno dopo giorno emergono nuovi spunti di riflessione, nuove proposte: a
fine agosto si è tenuto a Roma il Congresso Internazionale di IFA in cui sono stati
affrontati i principi di attualità internazionale, come la lotta ai paradisi fiscali,
evasione ed elusione ed i nuovi sviluppi sull’Iva; il Fisco entro il mese di ottobre
dovrà emanare almeno due provvedimenti per rendere pienamente operative le
misure varate con il Decreto Legge 78/2010 e con la relativa Legge di conversione
n. 122, nonché un provvedimento sulle reti di impresa e quello sull’accertamento
con adesione anche per chi partecipa al consolidato; è sempre più forte e sentita
8
la necessità di una riforma fiscale ( cosi come annunciato anche dal Ministro
dell’Economia e delle Finanze, Giulio Tremonti nei giorni scorsi); la Commissione
Europea è al vaglio dell’emanazione di nuove direttive sull’IVA.
Tutte queste considerazioni spiegano come ancora quest’argomento, seppur
ampiamente dibattuto, rimanga ancora oggi attuale e meritevole di interesse.
9
10
Capitolo I
Il controllo
1.1. Il controllo
Con il termine controllo si vuole intendere sia l’attività volta ad accertare
l’esattezza, la validità, la rispondenza a determinati parametri e criteri, sia la
relazione attraverso la quale si tiene qualcuno sotto il proprio dominio.
E’ proprio sotto questa duplice accezione che il termine controllo vive nel diritto
tributario.
Considerarlo un’attività, vuol dire, ad esempio, fare riferimento all’azione posta in
essere dall’Autorità Finanziaria per determinare l’imponibile e la liquidazione
dell’imposta, disciplinata dal d. P.R. 29 settembre 1973 n. 600.
In generale, si può affermare che questa attività rientra nella competenza della
determinazione del presupposto e delle vicende dell’obbligazione tributaria.
Considerare la relazione di controllo, invece, è oggetto di studio nell’ambito della
parte speciale del diritto tributario.
Questa disciplina è contenuta nelle disposizioni relative al IRPEF e all’ IRES,
contenuta nel Testo Unico delle Imposte sul Reddito (T.U.I.R.), ed ha una natura
“privatistica”, in quanto spetta al contribuente dichiarare il legame che lo riconduce
ad una certa persona, e successivamente, è l’ Amministrazione Finanziaria che
dovrà verificare la veridicità di tale affermazione, eseguendo una sorta di “controllo
del controllo” o meglio eseguendo l’ attività di controllo nella relazione di controllo.
Lo studio di queste relazioni è divenuto sempre più rilevante, negli ultimi anni,
soprattutto a seguito della riforma del diritto tributario e alla introduzione dell’
IRES, avvenuta il 12 dicembre 2003 con il D. LGS. n. 344.
All’ interno della nuova disciplina tributaria, gli artt. 117 ss, t.u.i.r. , relativi al
consolidato nazionale e gli artt. 130 ss, t.u.i.r. , relativi al consolidato mondiale,
hanno dato naturale riconoscimento fiscale al gruppo d’ imprese ed hanno
avvicinato l’ ordinamento nazionale ai sistemi più efficienti propri di alcuni Paesi
membri dell’ Unione Europea.
Nella Relazione che accompagna l’introduzione del decreto, viene ribadita
l’importanza che il gruppo ha ormai nella scena nazionale ed internazionale, fatto
che invece, storicamente, il nostro ordinamento ha faticato a riconoscere.
Il consolidato, si propone di tenere separati i comportamenti patologici, volti ad
eludere in maniera artificiosa le imposte, da comportamenti invece fisiologici per la
vita del gruppo in quanto riconducibili all’unitarietà del soggetto economico, ma
che comunque permettono l’espansione aziendale.
Il modello adottato per la tassazione del gruppo, prevede una sola base
imponibile, e quindi un’unica dichiarazione fiscale, nella quale si sommano tutti i
redditi delle società aderenti al consolidato. Questa impostazione si caratterizza
11
sia per la sua estrema semplicità, sia per la possibilità di prevedere la neutralità
per le transazioni infragruppo aventi ad oggetto il trasferimento di beni diversi da
quelli che producono ricavi.
Aggiungendo anche quanto disposto dal regime di partecipation exemption, risulta
chiara la volontà di eliminare ogni tipo di ostacolo fiscale alla migliore allocazione
delle risorse internamente al gruppo.
Al fine di avere una visione più chiara sulla relazione di controllo, bisogna indagare
il significato che questa assume in tutte le prospettive giuridico disciplinari.
Anzitutto si deve analizzare il contenuto dell’ art. 2359 c.c., al quale molto spesso
il diritto tributario rimanda: accontentarsi di questa prima definizione, risulterebbe
però essere estremamente riduttivo e semplicistico. Si deve infatti guardare
anche alle tantissime declinazioni che la parola controllo ha assunto nelle diverse
legislazioni speciali.
In dottrina è, infatti, molto diffuso considerare la nozione del c.c. come una
nozione generale di controllo nell’ambito del diritto societario, essendo però
questo concetto utilizzato anche in ambiti diversi : queste altre norme, quindi,
hanno carattere “speciale” solo quando suscettibili di applicazione analogica e di
integrazione della norma generale.
Al di fuori del diritto societario, invece queste assumono la veste di norme
“settoriali” il che impedisce di ritenerle modificative dell’ art. 2359 c.c. o integrative.
1
()
Si deve concludere che, non vi è disciplina di settore nella regolazione globale del
mercato e delle attività di chi vi opera, che non faccia riferimento ad una propria
configurazione di rapporti di controllo. Tale evoluzione fa parte di un più generale
fenomeno di scomposizione e frammentazione degli istituti, che pervade tutti i
settori del diritto privato ed è a sua volta il riflesso della complessità dei rapporti
sociali e delle istanze che l’ordinamento deve considerare e che sempre più
2
difficilmente possono essere unificate in categorie generalizzanti. ()
Appare necessario anche introdurre il rapporto tra controllo e gruppo, tanto nel c.c.
tanto nelle legislazioni speciali.
Tale relazione viene indagata nell’ ambito della disciplina societaria, ma
soprattutto con riferimento al fenomeno di gruppo di società : individuare il gruppo,
però, non significa solo individuare i rapporti di controllo. Molto spesso, i termini
“controllo” e “gruppo” sono stati usati per esprimere uno stesso concetto, giacché
entrambi, esprimono l’idea della pluralità nell’unitarietà, riscontrabile nella realtà
socio-economica. Nella realtà questi due concetti, esprimono due momenti
differenti della vita societaria: il controllo è lo strumento che permette di avere una
posizione di potere nell’ambito delle singole organizzazioni economiche e
1
E’ un argomento ampliamente dibattuto a seguito della proliferazioni di legislazioni speciali. Si veda M.S.
SPOLIDORO, in Il concetto di controllo nel codice civile e nella legge antitrust, 1995 458 ss; M. NOTARI , in La
nozione di “ controllo” nella disciplina antitrust, Milano, 1996, 225.
2
Il riferimento è a G. MARINO, La relazione di controllo nel diritto tributario, Padova, 2008, 11 ss.
12
rappresenta il momento strumentale; il gruppo, è invece il rapporto che ne
3
consegue fra le stesse organizzazioni e rappresenta il momento finale ().
Per la creazione del gruppo è necessaria l’esistenza di un rapporto di controllo ,
ma non ogni posizione di controllo sfocia necessariamente in un fenomeno di
gruppo.
Nel disciplinare questi concetti, si può partire dalla prospettiva del controllo,
limitandosi a questa, o si può partire dalla prospettiva del gruppo per poi giungere
anche ad essa.
Nel primo caso si vuole evitare che vi siano delle deviazioni del corretto ed
ordinato svolgimento dei rapporti interni, dando luogo ad abusi di potere; nella
seconda prospettiva, la disciplina è diretta a ricercare le condizioni nelle quali la
realizzazione dell’azione e degli interessi di gruppo, possa esser attuata.
In questo excursus iniziale, non si può non menzionare la rivoluzione apportata dal
D. LGS. n. 6 del 2003, che ha reso esecutiva la riforma del diritto societario nel
nostro ordinamento, permettendo un avvicinamento del diritto italiano al diritto
dell’Unione Europea.
In particolare, le disposizioni contenute nel capo IX, riconoscono la legittimità
dell’attività di direzione e coordinamento poiché espressione di una strategia
imprenditoriale perseguita attraverso un’aggregazione di gruppo. Il regime di
responsabilità per chi la esercita, viene sancito attraverso un equo
contemperamento tra interesse del gruppo ed interesse della singola società
soggetta a controllo.
Dato il forte intreccio di interessi che si manifestano, bisogna garantire la massima
verità e trasparenza: quest’ ultima viene realizzata attraverso la previsione di uno
specifico regime di pubblicità volto ad indicare la soggezione all’attività di direzione
e controllo; l’obbligo di dare motivazione analitica alle decisioni delle società
soggette a controllo; il riconoscimento del diritto di recesso al socio della società
oggetto di controllo, quando venga modificato l’oggetto sociale della società
controllante nonché all’inizio ed alla fine dell’attività di direzione e coordinamento.
Il legislatore, inoltre, non ha dato una definizione di “gruppo”, in quanto si può
rimandare alle nozioni proprie delle legislazioni speciali, ma soprattutto perché tale
definizione risulterebbe inadeguata all’incessante evoluzione della realtà sociale,
economica e giuridica.
La disciplina ha ad oggetto l’attività di direzione e coordinamento, che si assume
come dato di fatto, ed anche per questa non vi è alcuna formula giuridica che
definisca tale nozione; si ritiene però essa debba discendere dal potere di
controllo, potendosi riferire alle previsioni dell’art. 2359, comma 1, c.c.
Tale presunzione, opera sia verso le società poste al vertice del gruppo, sia per le
società poste in una posizione intermedia della catena di controllo.
Lo studio di questa relazione è stato ampiamente affrontato nell’ambito del diritto
tributario e si è giunti alla conclusione che in realtà il legislatore non ha mai portato
3
Si veda, G. FERRI, Concetto di controllo e gruppo, in AA.VV., Disciplina giuridica del gruppo di imprese,
Milano, 1982, 1338.
13
a compimento lo sforzo di risolvere in maniera sistematica la fisiologica doppia
imposizione economica che emerge quando due o più società sono tra loro
vincolate da un rapporto di colleganza, costringendo i “veri” gruppi a
camaleontiche geometrie al fine di evitare i distorsivi effetti fiscali che la loro
4
naturale conformazione avrebbe comportato. ()
Questo discorso si riferisce sia alla classica doppia imposizione economica dei
dividendi, ma anche alle possibili disarmonie impositive, che l’assenza di una
specifica disciplina normativa, ha contribuito a proliferare.
In queste situazioni, il controllo viene inteso nella massima estensione per poter
evitare la doppia imposizione economica: maggiore è il perimetro della relazione di
controllo per individuare i confini del gruppo, tanto più si può risolvere il problema
della doppia imposizione.
Nella realtà, invece, il legislatore tributario, che da sempre ha mostrato un forte
interesse per il sostenimento di un elevato gettito erariale e per evitare
comportamenti elusivi, si è sempre preoccupato dei fenomeni di doppia non
imposizione ed ha quindi adottato definizioni molto ampie del “controllo” (l’unica
eccezione è rappresentata dalla dichiarazione IVA operata congiuntamente dalle
società appartenenti al gruppo).
Per concludere il rapporto tra controllo e gruppo nel diritto tributario si muove tra
due opposte esigenze: l’eliminazione delle doppia imposizione economica da una
parte e l’eliminazione della doppia non imposizione.
Anche la giurisprudenza non ha mostrato pareri uniformi in merito alla relazione
tra controllo e gruppo: negli ultimi tempi, però, la Suprema Corte ha dato rilievo
giuridico al rapporto di gruppo instaurato tra più società ed ha offerto contributi
originali alla costituzione giuridico tributaria di questa nuova entità, al fine di
evitare la doppia non imposizione. In questo modo, si sta anche affermando
l’obsolescenza del dettato dell’ art. 37.3 del D.P.R. n. 600/1973 che dichiara che in
sede di rettifica o di accertamento d’ ufficio sono imputati al contribuente i redditi di
cui appaiono titolari altri soggetti quando si dimostri che egli ne è l’effettivo titolare.
In conclusione, sembra si possa affermare che, nonostante gli sforzi
giurisprudenziali più recenti, il legislatore non abbia sfruttato le innovazioni
introdotte in materia con la riforma del diritto societario.
1.2. Il controllo nel codice civile
Il nuovo codice civile del 1942 ha introdotto per la prima volta nell’ordinamento
positivo la nozione di controllo. In realtà, si regolava la materia dei vincoli
intersocietari, senza però dare una esplicita definizione di controllo, con la
definizione della società controllata nella prima formulazione dell’ art. 2359. Lo
scopo di questa norma era di evitare che fosse falsata la consistenza patrimoniale
4
Si veda AA.VV., La fiscalità industriale, di G. TREMONTI,Bologna, 1998.
14
attraverso incroci di patrimoni distinti solo formalmente, alterando il corretto
rapporto di forza entro le società a vantaggio del gruppo di comando della società
5
controllata. ()
In questa prima formulazione, l’art. 2359 considerava controllate le società in cui
un’altra possedeva un numero di azioni tale da assicurale la maggioranza dei voti
nell’assemblea ordinaria o quelle che, in virtù di particolari vincoli contrattuali,
fossero sotto l’influenza dominante di un’ altra società.
La prima riforma in materia si ebbe con la L. 7 giugno 1974, n. 216 : nell’art. 6 si
ridefinivano le ipotesi di controllo e si inseriva il concetto di società collegata e
quindi l’art. 2359 recitava:
“Sono da considerarsi società controllate:
1. le società in cui un’altra società, in virtù delle azioni o delle quote possedute,
dispone della maggioranza dei voti richiesta per le deliberazioni
dell’assemblea ordinaria;
2. le società che sono sotto l’influenza dominante di un’altra società in virtù delle
azioni o quote da questa possedute o di particolari vincoli contrattuali con
essa;
3. le società controllate da un’altra società mediante le azioni o quote possedute
da società controllate da questa.
“Sono considerate collegate le società nelle quali si partecipa in misura superiore
al decimo del loro capitale, ovvero in misura superiore al ventesimo se si tratta di
società con azioni quotate in borsa”.
Questa seconda formulazione è stata poi sostituta con l’attuale testo, in
occasione del recepimento della IV e della VII direttiva CEE in materia societaria.
Nella relazione di accompagnamento al D. LGS. 9 aprile 1991, n.127, nel contesto
della riforma per la trasparenza contabile di gruppo, nell’ affrontare il problema
della definizione delle imprese “ controllate ” ai fini del consolidamento, si è
dapprima riscritta la norma del codice che definiva questa fattispecie, di modo da
rendere tale definizione più precisa e completa e pertanto più idonea a richiami
6
parziali ai fini dell’ individuazione dell’ ambito del consolidamento ().
Pertanto il nuovo art 2359 c.c. recita:
“ Sono considerate società controllate:
1. le società in cui un’altra società, dispone della maggioranza dei voti esercitabili
nell’ assemblea ordinaria;
2. le società in cui un’ altra società dispone di voti sufficienti per esercitare
un’influenza dominante nell’ assemblea ordinaria;
3. le società che sono sotto influenza dominante di un’ altra società in virtù di
particolari vincoli contrattuali con essa;
5
Si veda, ad esempio, G. SBISÀ, Società controllate e società collegate, in Contratto e impresa, 1997,319.
6
Si veda G. SBISÀ, Società e imprese controllate nel d. l. 9 aprile 1991, n. 127, in Riv. Soc., 1992, 906 ss.
15
“Ai fini dell’applicazione dei numeri 1) e 2) del primo comma, si computano anche i
voti spettanti a società controllate, a società fiduciarie e a interposta persona; non
si computano i voti spettanti per conto di terzi.
“Sono considerate collegate le società sulle quali un’ altra società esercita
un’influenza notevole. L’ influenza si presume quando nell’ assemblea ordinaria
può essere esercitato almeno un quinto dei voti ovvero un decimo se la società ha
azioni quotate in mercati regolamentati”.
Questo articolo è rimasto tale anche a seguito della riforma del diritto societario
del 2003, se non per il riferimento alle “ azioni quotate in borsa ” invece che “ in
mercati regolamentati ”, nella presunzione di collegamento.
Il primo comma, contempla l’ ipotesi del controllo diretto, distinto nelle due figure
del controllo interno, che si scompone ulteriormente nel controllo interno di diritto e
nel controllo interno di fatto, e del controllo esterno.
Il secondo comma, invece, disciplina il controllo indiretto.
Il confronto con la precedente formulazione dell’ art., si può notare come le novità
non riguardano tanto le fattispecie di controllo, quanto il modo in cui esse sono
state intese ed il loro inquadramento sistematico.
Il controllo di fatto è disciplinato al secondo comma, individuando il cosiddetto
controllo interno di fatto, ed al secondo comma che definisce il controllo esterno,
attuato in virtù di particolari vincoli contrattuali tra società controllante e società
controllata.
Il terzo comma, individua il controllo indiretto, che è una modalità del controllo
interno, e che ricorre ogni qualvolta si disponga di voti spettanti a terzi e quindi si
tiene conto dei voti che si possono esprimere sia tramite società controllate, sia
tramite società fiduciarie o persone interposte.
La prima ipotesi in cui si manifesta il controllo è anzitutto una situazione di fatto
che si manifesta quando una società disponga del cinquanta per cento più uno del
capitale di un’altra società. Rispetto al passato non è più richiesta la titolarità delle
partecipazioni, in quanto non sempre sufficiente o necessaria per dominare
l’assemblea, bensì la disponibilità della maggioranza dei voti esercitabili
nell’assemblea ordinaria.
Con questo termine, si intende far riferimento anche a tutte le situazioni non
codificate in virtù delle quali una società si ritrova la maggioranza dei voti
esercitabili, a prescindere dal fatto che detti voti risultino insufficienti per
l’approvazione in prima convocazione di una deliberazione in virtù di quorum
deliberativi più elevati fissati dalla legge o dallo statuto.
Ad esempio, una modalità tipica di disponibilità della maggioranza dei voti è
costituita dagli accordi in base ai quali uno o più soci si obbligano a votare
secondo le indicazioni di un altro soggetto.
Non si attribuisce invece rilevanza al controllo congiunto che si manifesta quando
più soci, non disponendo nessuno della maggioranza dei voti, la ottengono in
forza di accordi parasociali che regolano l’esercizio del diritto di voto.
16
La seconda fattispecie si ottiene con la disponibilità di voti necessari ad esercitare
un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria: è questo il controllo interno di
fatto che deve risultare a seguito di accertamento empirico, più o meno agevole a
seconda che si tratti di società quotate o meno. Nel caso di società quotate, infatti,
è facilmente agevole conoscere i rapporti partecipativi e relative evoluzioni; più
difficile è l’individuazione degli stessi in società non quotate.
Quello che è importante, è che la disponibilità di voti che consentono di esercitare
un’influenza notevole in assemblea ordinaria, non deve esser occasionale, ma il
7
frutto di posizioni giuridiche e di rapporti che abbiano un certo grado di stabilità ().
L’ art. 2359.1 al terzo punto considera il controllo esterno, ossia l’assoggettamento
al controllo per effetto di particolari vincoli contrattuali.
Per i numeri 1) e 2) è ammessa l’ ipotesi del controllo indiretto ovvero attuato per
interposizione, fra la controllante e la controllata, di una terza società, controllata
dalla prima e controllante la seconda, da sola o in concorso indiretto attuato
tramite società fiduciarie o interposte persone.
La catena del controllo indiretto non ha limiti e può dar vita ad un vero e proprio
“effetto telescopico”; è da notare come la norma faccia riferimento ai punti 1) e 2)
ma non anche al 3) e si può tener conto dei voti spettanti a società controllate, ma
non dei particolari vincoli contrattuali fra le società controllate e altre società.
Quindi, se lungo la catena del controllo, ci si dovesse imbattere in una società
controllata in virtù di particolari accordi contrattuali, solo la sua controllante diretta
sarà da considerare controllante e non anche le controllanti antecedenti.
Ad esempio se A controlla B in virtù di particolari vincoli contrattuali, e B controlla
C mediante partecipazioni, A è controllante di C, in quanto si tiene conto anche dei
voti spettanti a B. Se C dovesse controllare D mediante partecipazioni, A
controllerà anche D, contando anche i voti che C esercita nell’assemblea di D.
L’ultimo comma dell’art. 2359 individua la nozione di collegamento: il legislatore,
però, non ne indica alcun elemento costitutivo dell’influenza notevole, potendo
quindi ravvisarla ogni qualvolta una società sia in grado di influire sull’attività
dell’altra o le consenta di avere una quota di partecipazione significativa.
Nel silenzio della norma, non sembra che il collegamento derivi dall’esercizio
effettivo dell’influenza notevole, bastando la possibilità di esercizio. Quest’ ultimo
si ravvisa quando la società dispone di almeno un quinto dei voti esercitabili
nell’assemblea ordinaria dell’altra, o un decimo, se la società è quotata in mercati
regolamentati.
7
Sempre G. SBISÀ, Società controllate e società collegate, in Società controllate e società collegate, op. cit.,
335
17
1.3. Il controllo nelle legislazioni speciali
Alla definizione di controllo offerta dal novellato art. 2359 c.c., si affiancano una
serie di nozioni offerte dalle cosiddette legislazioni “speciali”.
Risulta chiara, quindi, la volontà del legislatore di offrire nozioni diverse di controllo
in base agli scopi che si vogliono perseguire, più che giungere ad un’unica
definizione di controllo e di gruppo.
In realtà, non vi è corrispondenza tra la varietà di nozioni di controllo e le situazioni
sostanziali cui queste facciano riferimento: si tratta quindi di gravi disarmonie che
creano diversi problemi applicativi.
Il numero considerevole di nozioni di controllo è stato recentemente ordinato
secondo quattro criteri: a) le definizioni speciali di controllo richiamanti l’art 2359
c.c.; b) la clausola dell’influenza dominante; c) la definizioni speciali di controllo
richiamanti il solo art. 2359 c.c.; d) le definizioni di controllo prescindenti da
8
specifici elementi definitori né rinvianti a definizioni preesistenti ().
Nozioni speciali di controllo si trovano nella legislazione di ausilio all’industria e
delle partecipazioni statali, ma è soprattutto con la Legge Prodi del 3 aprile 1979
n. 95, che si è acceso un vivace dibattito sulla questione.
Altre nozioni di controllo sono contenute con la L. 10 ottobre 1990 n. 287, sulla
tutela della concorrenza e del mercato ( legge antitrust).
Ulteriori nozioni, sono state introdotte con il D . LGS. 20 novembre 1990, n. 356, in
materia di gruppo creditizio oggi in parte modificato con l’art 23 del T.U.B.
Il D. LGS. n. 127/ 1991, detta in materia di bilancio consolidato, un’altra e più
ampia definizione di controllo, cui si affianca l’ ipotesi del controllo congiunto.
Grazie a quest’ultimo si configura il consolidamento proporzionale in quelle ipotesi
in cui l’impresa abbia il controllo congiuntamente ad altri soci ed in base ad
accordi con essi, purché la partecipazione posseduta non sia inferiore alle
percentuali indicate nell’art. 2359.3 c.c.
La L. 17 maggio1991, n.157, sull’insider trading, impiega la nozione di controllo
dell’art. 2359 c.c., integrandola facendo riferimento agli artt. 5 e 7, della Legge
antitrust.
Un’ulteriore definizione di controllo è contenuta nel D. LGS. 27 gennaio 1992, n.
87, sui bilanci bancari.
Nel dare attuazione ad una Direttiva CEE sulle informazione pubblicitarie da dare
al momento dell’acquisto o della cessione di una partecipazione importante nelle
società quotate, il D. LGS. 27 gennaio 1992, n. 90, fissa una definizione di
controllo da impiegare nelle comunicazioni alla Banca d’ Italia e modifica la
nozione di controllo in materia di partecipazione al capitale delle società di
assicurazione contenuta nella l. n. 20/1991.
Vi è una definizione autonoma di controllo nella Legge 12 febbraio 1992, n. 149,
sulle O.P.A.
8
In tal senso, N. RONDINONE, I gruppi di imprese tra diritto comune e diritto speciale, Milano, 1999, 185-234.
18
In seguito ad una attuazione della II Direttiva CEE in materia bancaria, il D. LGS.
14 dicembre 1992, n. 481, ha modificato l’art. 27 della legge antitrust. Lo stesso
articolo è stato poi abrogato dall’art. 161.1 del D. LGS. 385/1993 ed ora sostituito
con gli artt. 22 e 23 dello stesso D. LGS. 385/1993 (T.U.B.)
Il T.U.B. ha notevolmente modificato la disciplina del controllo per gli enti bancari e
creditizi.
Altri importanti modifiche si sono attuate con il D. LGS. 24 febbraio 1998, n. 58,
(T.U.F.): partendo dalla definizione di società controllata prevista dall’art. 2359 c.c.
si è voluto estenderla alle i) imprese, italiane o estere, in cui un soggetto ha il
diritto, in virtù di un contratto o di una clausola statutaria, di esercitare un’influenza
dominante, quando la legge consenta tali contratti o clausole; ii) alle imprese,
italiane o estere, su cui un socio, in base ad accordi con altri soci, dispone da solo
di voti sufficienti ad esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria. In
ogni caso, si considerano anche i voti spettanti a società controllate o esercitati
per il tramite di fiduciari o di interposte persone; non si considerano quelli spettanti
9
per conto di terzi ().
L’ art 80.1, lett. b), D. LGS. 8 luglio 1999, n. 270 disciplinante l’amministrazione
straordinaria delle grandi imprese in stato d’insolvenza, dispone che per “ imprese
di gruppo” si considerino a) le imprese che controllano direttamente o
indirettamente la società sottoposta alla procedura madre; b) le società
direttamente o indirettamente controllate dall’impresa sottoposta alla procedura
madre o dall’impresa che la controlla; c) le imprese che, per la composizione degli
organi amministrativi o sulla base di altri concordanti elementi, risultano soggette
ad una direzione comune a quella dell’impresa sottoposta alla procedura madre.
Per l’ipotesi sub a) e sub b) il rapporto di controllo esiste anche nel caso di
soggetti diversi dalle società, nei casi previsti dal c.c. dall’art. 2359.1 n. 1 e 2, c.c.
Per finire, la L. 28 dicembre 2005, n. 262 disciplinante le nuove disposizioni per la
tutela del risparmio e la disciplina dei mercati finanziari, all’art. 6 ha introdotto una
nuova sezione IV bis, alla parte IV, titolo III, capo II, del T.U.F. rubricata Rapporti
con società estere aventi sede legale in Stati che non garantiscono la trasparenza
societaria, ed all’interno della quale sono previsti degli obblighi di trasparenza per
gli amministratori delle società italiane quotate e società emittenti strumenti
finanziari diffusi tra il pubblico, che controllino società aventi sede in un paradiso
societario o che siano ad esse collegate.
L’art. 165 ter del T.U.F. per individuare il perimetro del gruppo internazionale,
applica le nozioni di controllo previste dall’ art. 93 e la nozione di collegamento
10
prevista dall’ art. 2359. 3 c.c. ().
9
Il riferimento è a G. MARINO, La relazione di controllo nel diritto tributario, Padova, 2008, 62 ss.
10
Si veda G. MARINO, Paradisi societari e paradisi fiscali: norme di contrasto o contrasto di norme?, in Riv.
Dir. Trib., 2007, I, 967 ss.
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1.4. La relazione tra il controllo nel c.c. e il controllo nelle
legislazioni speciali
Alla luce di quanto dibattuto, ci si chiede quale sia la relazione tra la nozione di
controllo offerta dal codice civile e le diverse nozioni di controllo contenute nelle
legislazioni speciali, dato il loro rinvio allo stesso art. 2359 c.c.
Ciò che appare chiaro è che, ogni definizione di controllo acquista senso nella
misura in cui appaia funzionale agli scopi che il legislatore intendeva perseguire
dettandola; il compito degli interpreti della definizione di controllo è di verificare
l’ipotesi formulata antro i confini di ciascun settore si intervento.
Pur accettando l’idea che il controllo sia un concetto ad area variabile, non si può
non notare come tale pluralità di nozioni, crei diversi problemi applicativi.
A ben vedere, appare chiara l’ambiguità del rapporto tra norma speciale e norma
generale: tutto questo comporta che la norma speciale sia contrabbandata per
applicativa di quella generale, con la pretesa di interpretare la norma generale
attraverso quella speciale.
L’approccio da usare verso le molteplici definizioni di controllo non può muovere
dalla presa di coscienza di una specialità funzionale alla particolarità delle finalità
seguite: si deve necessariamente compiere una verifica sul terreno delle varie
leggi speciali.
Da tale verifica, molto spesso, emerge che la nozione speciale, è tale solo in
apparenza in quanto la nozione di controllo è ibrida. Se poi, dalla verifica, si
dimostrasse davvero l’esistenza di una nozione speciale, allora bisognerebbe
definire con esattezza i presupposti e le condizioni d’uso specifici.
Da un’analisi rigorosa si evince, nella stragrande maggioranza dei casi, che il
legislatore, invece di usare identici concetti, identiche nozioni, identiche parole per
disciplinare identici fenomeni, cosi come imporrebbe il metodo analitico, di volta in
volta gratuitamente arricchisce, dando una nuova pennellate, usa perifrasi. Ma la
fantasia in questo campo non è concessa. La monotonia è di rigore se la nozione
11
è identica ().
Il quadro complessivo evidenzia dunque una proliferazione di nozioni di controllo
ed una non sempre semplice identificazione delle diverse fattispecie - pur essendo
tutte definite “ controllo societario”-, da aggiungere alla frequente incertezza sulla
rilevanza degli interessi e degli obiettivi sottesi alla scelta di una nuova definizione
ed a ricorrenti interrogativi sulla congruità dell’estensione della nozione di controllo
di volta in volta accolta rispetto al fine perseguito, conducono verso un approccio
disilluso rispetto ad un’ipotesi metodologica. Si usa lo stesso termine “ controllo”
senza qualificazioni per evocare sinteticamente fattispecie tra loro diverse,
pretendendo di esportare surrettiziamente in un certo settore ed ad una
determinata problematica, che al controllo si riferisce ma senza una propria
definizione o con una definizione ritenuta scarna o insoddisfacente, l’estensione di
11
In tal senso P. MARCHETTI, Note sulla nozione di controllo nella legislazione speciale, in Riv. Soc., 1992, 5,6.
20
quella, tra le diverse nozioni, che l’utilizzatore dell’espressione giuridica ritenesse
12
la più appropriata ().
Questo approccio metodologico “concettuale” si contrappone al metodo
“metodologico” per il quale l’appartenenza di certe fattispecie al “tipo” si realizza in
virtù della ricorrenza di un tratto qualificante comune, che rappresenta il
denominatore comune di queste fattispecie.
Il tratto qualificante si ottiene a seguito di un processo di astrazione e di intuizione,
rinunciando quindi ad un’ elencazione completa degli attributi essenziali della
fattispecie stessa.
Il vantaggio che presenta il “tipo” rispetto al “concetto” è l’elasticità dei dati che lo
individuano, nonché la loro gradualità: al tipo possono appartenere fattispecie con
tratto qualificante comune, ma differenti per l’esistenza di ulteriori specificazioni di
13
contenuto ().
Quindi, la pluralità delle definizioni di controllo, non dovrebbe comunque impedire
di individuare degli “ epifenomeni” di un modello “ontologico” di controllo,
delimitato da una parte dall’ art. 2359 c.c. e dall’altro dal controllo di una o più
imprese dell’art. 7, L. n. 287/1990, sulla tutela della concorrenza e del mercato.
Tra questi due estremi, sembrerebbe esser lo stesso legislatore a selezionare le
14
fattispecie funzionali per ogni disciplina ().
Questo metodo è stato comunque oggetto di critica in quanto si ritiene sia
utilizzabile solo quando non vi sia una definizione legale del concetto di controllo
ovvero quando si debbano individuare degli elementi di disciplina applicabili a
fattispecie che non sono riconducibili a nessuna “nozione legale” o ancora quando
si debbano ritagliare, all’interno di una disciplina, disposizioni che non possono
essere derogate se non snaturando il fenomeno regolato, trasformandolo, quindi,
in un altro “tipo” di realtà giuridica.
Le conclusioni alle quali si è giunti più recentemente, sostengono che l’art. 2359
c.c. pur rappresentando la norma di maggior rilievo ed il “modello” cui le altre
nozioni spesso fanno riferimento, è una nozione “generale” solo nell’ambito del
diritto societario, che è una branchia del diritto d’impresa, ma che evidentemente
non lo racchiude tutto. Rispetto ad essa, le altre nozioni sono “speciali” solo se
l’art. 2359 c.c. ha valenza generale.
Al di fuori del diritto societario, invece, queste nozioni hanno natura “settoriale” più
che “speciale”, il che impedisce di ritenerle modificative dell’art. 2359 o integrative,
ma non di estenderle per analogia ad altri settori dell’ordinamento.
Pertanto, per individuare quale nozione sia applicabile, quando una disciplina
presupponga il controllo senza definirlo, si deve tener presente che poiché, l’art.
2359 c.c. non trova applicazione diretta, anche su di questo bisogna fare l’esame
12
In tal senso sempre P. MARCHETTI, Sul controllo e sui poteri della controllante, in I gruppi di società,
Milano, 1996, II, 1548 ss.
13
Si veda, M. LAMANDINI, Il “controllo”. Nozioni e “tipo” nella legislazione economica, in Quaderni di
giurisprudenza commerciale, Milano, 1995, 54,55.
14
Il riferimento è a G. MARINO, La relazione di controllo nel diritto tributario, Padova, 2008, 67; M.
LAMANDINI, Il “controllo”. Nozioni e “tipo” nella legislazione economica, op. cit., 8,9.
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