4
Capitolo I
LA RESPONSABILITÀ CIVILE E L’ART. 28 DELLA
COSTITUZIONE
1. PREMESSA
La questione giuridica della responsabilità civile della Pubblica
Amministrazione realizza, oggi, una fattispecie ampia e complessa del
diritto amministrativo, tanto sotto il profilo normativo degli istituti di
riferimento quanto sotto l‟aspetto sostanziale dei concreti interessi
coinvolti. In questo senso, dunque, l‟argomento della responsabilità
civile applicato alla P.A. ottempera, senza dubbio, alla funzione
generale del diritto, quale univoco linguaggio deontologico di
coesistenza in una società civile sempre particolare e contingente; non
si esime, cioè, dal ricercare il perfetto equilibrio tra certezza ed
obbligatorietà delle regole da un lato e cointeressenza dei soggetti
dall‟altro
1
. La tematica proposta, inoltre, pur nelle sue molteplici
1
Così COTTA S., Il diritto nell’esistenza. Anche per la norme utilizzate dal diritto amministrativo
risulta utile non trascurare gli aspetti ontologici che le pongono in essere. Si tratta di studi di
5
peculiarità, si rende portavoce di alcuni tratti caratterizzanti del diritto
amministrativo e dell‟essenza stessa della scienza
dell‟amministrazione
2
. Anzitutto la necessaria interdisciplinarità che
esige un singolare connubio di elementi pubblicistici e civilistici;
inoltre la precarietà delle frontiere di una materia in costante divenire
sulla scorta di studi dottrinali e pronunce giurisprudenziali; infine la
proliferazione, nel quadro delle fonti, delle discipline specifiche e di
settore
3
. Si tratta di aspetti che, evidentemente, necessitano analisi più
puntuali ed, allora, occorre procedere per gradi.
2. L’AMMINISTRAZIONE IN SENSO SOGGETTIVO
Dal punto di vista semantico, la responsabilità civile della P.A. è una
locuzione che intreccia due distinte nozioni.
Il primo aspetto che viene in rilievo è il concetto di Pubblica
Amministrazione. Attraverso un‟osservazione meramente lessicale,
fenomenologia del diritto, dovere giuridico e rapporti di inter-essenza e co-interessenza, che
consentono di tenere sempre presente la funzione primaria della norma giuridica ratione materiae.
2
Per completezza si richiama la distinzione puntuale tra diritto amministrativo e scienza
dell‟amministrazione in CASETTA E., Manuale di diritto amministrativo, cap. I, pag. 15 ss. La
scienza dell‟amministrazione si occupa della sistemazione teorica, dell‟analisi,
dell‟approfondimento del diritto amministrativo che ne costituisce il suo oggetto.
3
È un fenomeno ripreso da RODOTÀ S., La vita e le regole. Tra diritto e non diritto, pag. 9. In
un‟ottica più generale si considera la c.d. “law-saturated society, una società strapiena di diritto, di
regole giuridiche, dalle provenienze più dirette, imposte da poteri pubblici o da potenze private.”
6
per certi versi anche superficiale, l‟idea di “amministrazione” rinvia
ad un‟attività di gestione, di cura di interessi e di realizzazione che
poco, o nulla, riguarda il mondo del diritto. Ed invece, l‟ordinamento
giuridico conferisce rilevanza all‟immagine dell‟Amministrazione
come espressione materialistica del potere esecutivo astrattamente
delineato nella teoria della separazione dei poteri. L‟attività
amministrativa compete, cioè, al complesso degli organi al cui vertice
si colloca il Governo, nonché agli altri enti pubblici comunque
strumentali o ausiliari dello Stato. La definizione non è, però, ancora
del tutto esaustiva: è il momento di accogliere la tradizionale e
fortemente consolidata bipartizione dottrinale del termine
“amministrazione” e la sua duplicità semantica. A livello teorico,
infatti, si collocano l‟amministrazione in senso oggettivo e
l‟amministrazione in senso soggettivo; la prima ad indicare l‟attività-
funzione di gestione concreta degli interessi pubblici; la seconda “ad
esprimere la sede dell‟attività amministrativa, ovvero il soggetto che
quell‟attività svolge” (GIANNINI). Per ordine di completezza è anche
corretto rintracciare in una parte della dottrina
4
una terza accezione,
4
AA.VV., Diritto Amministrativo, a cura di MAZZAROLLI L., PERICU G., ROMANO A.,
ROVERSI MONACO F.A., SCOCA F.G., pag. 5. “…si può rilevare che il profilo che più lo
caratterizza è quello oggettivo, che, poi, si traduce in quello funzionale: un complesso di attività
distinte dalla legislazione e dalla giurisdizione, finalizzata al perseguimento di concreti interessi
pubblici; meglio: collettivi.”
7
quella funzionale, che in concreto, però, tende ad immedesimarsi,
intendendo specificarla, nella nozione oggettiva. Il fulcro di relazione
tra questi vocaboli si può individuare nello spunto del simul stabunt
ac simul cadent, poiché ad un‟attività non può non corrispondere un
soggetto e, viceversa, un soggetto non ha valore giuridico senza
attività. Ad ogni modo è necessario privilegiare l‟attenzione nei
confronti dell‟amministrazione in senso soggettivo, della quale,
peraltro, la dottrina suggerisce anche le espressioni sostitutive di
amministrazione-apparato ovvero di amministrazione-organizzazione;
l‟intento è quello di sottolineare come la struttura operativa costituisca
il motore di una macchina, quella amministrativa, che serve per
decidere ed operare.
Riguardo all‟aggettivazione “pubblica” dell‟amministrazione, occorre
premettere che lo Stato-istituzione si autolegittima e sopravvive per il
perseguimento di determinati fini comuni della collettività e per
questo di interesse generale
5
. Di qui il carattere pubblicistico
dell‟amministrazione che è giuridicamente rilevante nella misura in
cui gestisce la scelta e la realizzazione di obiettivi, essenziali o di
mero benessere, dei consociati. Del resto, questa finalità generale deve
permanere sempre, senza mai vacillare a seconda che ci si trovi in
5
DELPINO L. - DEL GIUDICE F., Diritto Amministrativo, pag. 7.
8
presenza di amministrazioni propriamente statali, piuttosto che enti
pubblici economici, piuttosto che amministrazioni c.d. indipendenti o
altre ancora: il fine dell‟interesse generale è presupposto primario per
la qualificazione ed il riconoscimento di ogni P.A.
Alla luce di queste premesse, la Pubblica Amministrazione, in estrema
sintesi, è un soggetto autoritario di diritto pubblico: ogni
amministrazione, organo, ente, autorità ritrova la sua ragion d‟essere
nella necessità che lo Stato intervenga in ogni infinitesima realtà e
imponga delle scelte onde assicurare la realizzazione degli interessi
della collettività.
3. LA TEORIA DELLA RESPONSABILITÀ CIVILE
A questo punto, è opportuno recuperare la locuzione di partenza
ed analizzarne il secondo aspetto: la nozione di responsabilità civile.
Anch‟essa, sul piano del linguaggio, rappresenta un nome comune; in
generale, allude alla posizione di dovere che l‟individuo assume a
fronte di una sua condotta che ingenera effetti dei quali il soggetto
stesso deve rispondere. In altre parole, sul soggetto grava l‟onere,
9
morale o giuridico, che relaziona il comportamento ed una situazione
da esso determinata. È un principio imprescindibile che informa ogni
esperienza di civiltà giuridica e, per averne un punto di partenza
storico, basti guardare, su tutti, al diritto romano, nello specifico ius
praetorium, nel quale la responsabilità è intesa come atteggiamento
riparatore del torto civile
6
. In vero, questa impostazione, astrattamente
considerata, già riscontra le prime complicazioni nel risvolto pratico;
si assiste, allora, proprio nello scenario romano, alla classica ed
intramontabile differenziazione tra responsabilità contrattuale e
responsabilità extracontrattuale: l‟una ancorata al sistema delle
obbligazioni, l‟altra imperniata sulla lex Aquilia de damno. Questa
sistemazione viene successivamente convalidata dal giusnaturalismo e
resiste sostanzialmente nei codici del 1865 e 1942. In realtà, poi, con
il passaggio dalla cultura giuridica dello stato liberale (nella quale i
doveri del privato sono rigorosamente circoscritti all‟atto di
autonomia o alla norma di legge) a quella dello stato sociale (segnata
dall‟esigenza più generale di protezione dei consociati), si è diffusa
una tendenza, in parte della dottrina e della giurisprudenza, a sfumare
il confine tra i due tipi di responsabilità, sino a giungere in alcuni casi
6
ARANGIO-RUIZ V., Istituzioni di diritto romano, pag. 380 ss.
10
ad affermarne la soppressione
7
. L‟intento è stato quello di riportare
entrambe le forme all‟assioma del neminem laedere, il generale
dovere di non ledere la sfera giuridica altrui. Così, da un lato,
l‟obbligazione contrattuale tende a presentarsi come struttura
complessa, con una serie di obblighi accessori funzionalmente
coordinati; in tal modo, la tutela si estende anche alla violazione di tali
obblighi ulteriori e non limitata alla mera prestazione dedotta nel
rapporto. Dall‟altro lato, l‟ambito della tutela aquiliana si spinge fino
a comprendere interessi connessi con attività contrattuali, come
avviene per la tutela dei diritti di credito. Questo tentativo, però, è
parso avere un significato solo dal punto di vista teorico poiché, oggi,
i due tipi di responsabilità continuano ad avere non poche sostanziali
differenze.
La distinzione rileva, innanzitutto, in tema di onere della prova: il
soggetto danneggiato, nell‟invocare la responsabilità a titolo
contrattuale, dovrà provare l‟inadempimento dell‟altro contraente
presunto danneggiante, il danno ed il nesso causale tra il primo ed il
secondo; non, invece, l‟elemento psicologico (dolo o colpa),
incombendo sul soggetto inadempiente l‟onere di dimostrare di non
aver potuto adempiere per una causa a lui non imputabile (art. 1218
7
SELLA M., Responsabilità extracontrattuale, in www.personaedanno.it.
11
c.c.). Nel caso in cui il soggetto danneggiato agisca per far valere la
responsabilità extracontrattuale, egli dovrà altresì fornire la prova
della condotta del danneggiante, del danno, del nesso causale, ma
soprattutto della sussistenza dell‟elemento soggettivo (dolo o colpa),
con la sola eccezione delle ipotesi di responsabilità aggravata o per
fatto altrui. Stante questa prima differenza, le due forme tendono,
tuttavia, a riavvicinarsi nuovamente, sotto la guida della
giurisprudenza: si ritiene che, per il fatto che, sia nell‟ipotesi di
responsabilità extracontrattuale sia in quella di responsabilità
contrattuale, spetta al danneggiato fornire la prova dell‟esistenza del
danno lamentato e della sua riconducibilità al fatto del debitore, la
posizione probatoria dell‟attore sia, di fatto, molto simile in
entrambe
8
.
Altre differenze, però, si rinvengono nei diversi effetti giuridici. Così
se l‟art. 1225 c.c. limita il risarcimento ai soli danni prevedibili nel
tempo in cui è insorta l‟obbligazione (salvo poi che l‟inadempimento
o il ritardo non dipendano da dolo), il requisito della prevedibilità non
è richiesto ai fini della risarcibilità del danno derivante da
8
Cass. 10 ottobre 2007, n. 21140. “A tal fine l‟art. 1218 c.c., pur ponendo una presunzione di
colpevolezza dell‟inadempimento, non agevola la posizione del danneggiato in ordine alla prova
dell‟effettiva esistenza del danno derivante dall‟inadempimento, onere non diverso da quello
incombente su colui che faccia valere una responsabilità extracontrattuale (così anche in Cass. 18
marzo 2005, n. 5960, GCM, 2005, f. 4).”
12
responsabilità extracontrattuale, atteso il mancato richiamo, da parte
dell‟art. 2056 c.c., della norma citata.
Inoltre, l‟azione per il risarcimento del danno contrattuale è, di regola,
soggetta al termine di prescrizione ordinario decennale, mentre quella
per il risarcimento del danno extracontrattuale è quinquennale
9
(ma
sono previste eccezioni nell‟uno e nell‟altro caso).
Infine, la ragione del mantenimento della distinzione può essere
individuata anche nella diversità di funzioni: funzione della
responsabilità contrattuale è la tutela nei confronti di un rischio
specifico di danno, creato dal particolare vincolo obbligatorio in
precedenza instaurato tra due soggetti; nella responsabilità
extracontrattuale, invece, il sorgere della relazione intersoggettiva
(nelle forme dell‟obbligazione risarcitoria) è successivo al giudizio
sulla ingiustizia del danno. Il richiamo all‟obbligazione preesistente
vale, di conseguenza, solo nella prima figura, al fine di individuare il
responsabile, di qualificare il danno come ingiusto e di determinare il
contenuto dell‟obbligo risarcitorio; operazioni che, diversamente,
9
Art. 2946 c.c. Prescrizione ordinaria – Salvi i casi in cui la legge dispone diversamente, i diritti si
estinguono per prescrizione con il decorso di dieci anni.
Art. 2947 c.c. Prescrizioni del diritto al risarcimento del danno – (c.1) Il diritto al risarcimento del
danno derivante da fatto illecito si prescrive in cinque anni dal giorno in cui il fatto si è verificato.
13
nella responsabilità aquiliana, devono trovare altrove il loro
fondamento.
Si spiega, così, come non sia possibile individuare un criterio di
imputazione della responsabilità unitario, comune ai due campi, non
potendosi accettare, in altri termini, la ricostruzione di entrambe le
figure di responsabilità intorno all‟unico schema dell‟illecito
10
.
L‟istituto aquiliano ordina i casi in cui un contatto sociale avviene al
di fuori di un precedente progetto tra le parti e, quindi, la
qualificazione ex post del fatto copre, così, un‟ampia dimensione,
aprendo al giudizio di responsabilità spazi sempre nuovi e, per questo,
estranei alla figura contrattuale, nella quale l‟obbligo risarcitorio sorge
sempre come specificazione di un obbligo preesistente.
Questa conclusione, però, non esclude la possibilità di un concorso tra
i due tipi di responsabilità, nell‟ipotesi in cui un unico comportamento
risalente al medesimo autore (un evento dannoso unico nella sua
genesi soggettiva) sia di per sé lesivo non solo di specifici diritti
derivanti al contraente dalle clausole contrattuali, ma anche dei diritti
assoluti che spettano alla persona offesa. Il punto è, da diversi anni,
10
Sono tutte differenze di regime giuridico che inducono a ritenere che la distinzione tra i due tipi
di responsabilità sia tutt‟oggi sostenibile. A conferma di ciò, si può aggiungere che è lo stesso
legislatore a ribadirla in alcune occasioni, si pensi, a titolo di esempio, alla l. 218/1995 di riforma
del sistema di diritto internazione privato.
14
pacificamente ammesso dalla giurisprudenza
11
. Allo stesso modo la
dottrina, dopo una prima restrizione per la quale tale cumulatività
dovesse essere esaminata per ogni singola specie di danno
(distinguendo, poi, tra danni a cose e danni all‟integrità personale),
oggi, correttamente, ammette, senza limitazioni di sorta, la tutela
aquiliana in concorso con quella contrattuale. Il contratto, infatti, se è
pur vero che vincola la parte limitatamente all‟esecuzione della
specifica obbligazione in esso prevista, non la esime, d‟altro canto, dal
rispetto del principio del generale neminem laedere che incombe su
chiunque.
Sempre nella disamina della teoria della responsabilità civile, occorre,
inoltre, fare riferimento ad una sorta di tertium genus di
responsabilità: quella precontrattuale. Estranea al linguaggio del
legislatore, essa è il risultato di una enucleazione dottrinale, dedotta
sulla scorta dell‟articolo 1337 c.c. La responsabilità precontrattuale si
traduce essenzialmente in una culpa in contrahendo ovvero nella
violazione del dovere di comportarsi secondo buona fede nello
svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto. Tale
tipologia di responsabilità non desta particolari dubbi di sistemazione
teorica atteso che dottrina e giurisprudenza sono pressoché concordi
11
Su tutte, Cass. 7 agosto 1982, n. 4437.
15
nell‟attribuirle natura extracontrattuale
12
. Più che un terzo genere,
sarebbe, allora, un‟ipotesi specifica, legalmente individuata, di
responsabilità aquiliana.
4. L’IMPUTAZIONE ORGANICA
Riconsiderando i passaggi fin qui svolti, si giunge a possedere, nelle
grandi linee, i due pilastri concettuali che sorreggono l‟oggetto
principale: responsabilità civile e Pubblica Amministrazione. C‟è,
però, da compiere un ulteriore passo, nel tentativo di individuare il
canale di collegamento tra i due concetti e pervenire ad una nozione
articolata, ma unitaria, che potrà costituire un valido e, forse,
pretenzioso punto di partenza.
Non si è ancora spiegato che il principio della responsabilità,
nella sua ontologia, nasce, alla stregua di tutti gli elementi di diritto,
con la finalità di tutelare e regolare i rapporti tra i consociati, cioè tra i
soggetti – individui, fisicamente intesi. Naturalisticamente, “soltanto
12
Così TORRENTE A. – SCHLESINGER P., Manuale di Diritto Privato. Pag. 484 “Secondo la
giurisprudenza e la dottrina la colpa in contrahendo è di natura aquiliana o extracontrattuale.” Pag.
663 “Nell‟ambito della responsabilità extracontrattuale – appunto perché il rapporto obbligatorio
non esiste tra le parti ed essa consiste nella trasgressione di un dovere generico di contegno –
rientra anche la culpa in contrahendo. Tuttavia, come si è detto, essa è soggetta ad una specifica
disciplina per quanto concerne la determinazione del danno risarcibile (limitazione al c.d. interesse
negativo).”
16
l‟uomo, l‟individuo, progetta, agisce, realizza” (TORRENTE –
SCHLESINGER) e, di conseguenza, soltanto l‟uomo dovrebbe assumere
obblighi risarcitori. Ma questa è una conclusione ormai desueta, alla
luce delle quotidiane esperienze nelle quali l‟uomo agisce non
soltanto uti singuli, ma soprattutto attraverso organizzazioni
variamente definite. Alla persona fisica si accosta, così, il concetto di
persona giuridica nelle vesti di società, gruppi, associazioni, enti,
amministrazioni. La Pubblica Amministrazione è, una persona
giuridica pubblica ed in quanto tale dotata di personalità giuridica,
dunque, della capacità di assumere diritti ed obblighi
13
.
È un giudizio che, in via di prima approssimazione, può apparire
pleonastico; invece, la sua utilità si coglie nella considerazione che il
legislatore, fino alla fine della prima metà del secolo scorso, non ha
mai ritenuto di doversi occupare della responsabilità della P.A. per
comportamenti lesivi degli interessi di terzi, in virtù di vari principi.
In primo luogo si è sempre sostenuta una formale incapacità di volere
e di agire di un ente, essendo volontà ed attività soltanto prerogative
degli individui; ne è conseguita una costante carenza di imputabilità.
13
Il settore amministrativo, in realtà, funge da ricettore di una varietà di persone giuridiche: enti
pubblici, enti parastatali, agenzie, autonomie funzionali, organismi di diritto pubblico, s.p.a. a
partecipazione pubblica, ecc. Hanno tutte caratteristiche particolari e spesso notevoli differenze tra
loro; in ogni caso, però, sono soggetti ai quali l‟ordinamento attribuisce la personalità giuridica,
stante, per tutte, una più o meno accentuata autonomia, ma soprattutto il perseguimento di un
interesse pubblico.
17
In secondo luogo, poi, l‟intrinseco carattere etico dello Stato ha
sempre prospettato il pensiero che un apparato pubblico che ne fosse
espressione, a priori, non potesse mai ledere i diritti di altri soggetti
che lo Stato stesso gestisce. In terzo luogo, però, se una lesione si
verifica, essa è attribuibile non già all‟ente, bensì ai funzionari ed ai
dipendenti che in concreto hanno eseguito l‟attività, ancorché per
conto dell‟amministrazione; in concreto, si realizza una responsabilità
di tipo indiretto, sorretta, inizialmente, dall‟art. 1153 c.c. del 1865
14
,
per il quale “chi beneficia dei vantaggi dell‟opera altrui, deve, altresì,
sopportarne le eventuali conseguenze sfavorevoli (cuius commoda,
eius incommoda)” (CASETTA); successivamente, dal meccanismo
della rappresentanza necessaria dell‟ art. 1388 c.c.
15
(del 1942),
secondo il quale l‟atto giuridico della persona fisica produce
direttamente effetto nei confronti della persona giuridica.
Ad ogni modo, nell‟esperienza dottrinale e giurisprudenziale della
prima metà del secolo scorso, il dogma della immunità statale in
materia di illecito civile viene gradualmente abbandonato
dall‟ordinamento. La chiave di volta, per questo cambiamento, è stata
14
L‟art. 1153 c.c. 1865 sanciva la responsabilità oggettiva dei padroni e committenti per danni
causati dai loro domestici o commessi nell‟esercizio delle incombenze a cui erano stati destinati.
15
Art. 1388 c.c. Contratto concluso dal rappresentante – Il contratto concluso dal rappresentante in
nome e nell‟interesse del rappresentato, nei limiti delle facoltà conferitegli, produce direttamente
l‟effetto nei confronti del rappresentato.
18
l‟affermarsi della c.d. teoria organica. Essa, se si vuole, è la naturale
evoluzione del modello della rappresentanza, apparso fin da subito
inadeguato a fronte della complessità della struttura organizzativa
della persona giuridica Stato; lo Stato-amministrazione, infatti,
mutuando un concetto sociologico, appare oggi, nelle sue diffuse
realtà, sempre più “un movimento ineguale, irregolare e multiforme”
16
; questo comporta la compresenza di numerosissimi rappresentanti a
ricoprire posizioni e funzioni diverse e spesso confliggenti tra loro,
tale da rendere inidonea la semplicistica imputazione del solo atto del
soggetto amministratore. Con la teoria organica, il dipendente perde
importanza di fronte al terzo danneggiato.
La figura dell‟organo, infatti, crea un rapporto di imputazione più
ampio e meglio articolato. In via preliminare, occorre puntualizzare
l‟idea dell‟organo: esso va identificato nella persona fisica (o nel
collegio di persone) che ha la materialistica capacità di compiere un
atto, tuttavia, dal punto di vista funzionale, risulta solo lo strumento
mediante il quale l‟ente agisce (organon = strumento). L‟atto posto in
essere dal soggetto amministratore non è proprio della persona, ma
16
Michel Eiquem de Montaigne – Essais (1588).