4
sperimentazione lo caratterizza pienamente e va oltre il supporto che egli utilizza: la memoria
emerge dall’apertura del linguaggio all’esperimento.
La materia del cinema, intuita da Kulešov negli oggetti reali, viene sperimentata da Gaglianone
attraverso un linguaggio che ne ridefinisce le connotazioni evidenziandone il significato profondo:
la memoria è una componente di questo significato.
In generale, la tecnologia video permette un’analisi più profonda dei propri fantasmi, o volendo
un’analisi più fantasmatica delle proprie profondità; non che il cinema non indaghi i propri specifici
fantasmi, ma lo può fare per vie più lente (lo sviluppo e la stampa) e credo forzando in parte la
propria natura, deviandola nei territori dell’immagine elettronica: non sto pensando alla genesi
degli effetti speciali né al supporto che il video offre oggi alla pellicola, bensì a quella concezione
memo-sperimentale estesa che in Gaglianone investe tanto il nastro analogico quanto la pellicola,
ma che per sua natura è propria più del primo che della seconda.
In altre parole, Gaglianone usa il video, usa la pellicola, usa anche il video e la pellicola
mescolandoli ma mai confondendoli, tenendo cioè conto delle specificità dei singoli supporti. La
sperimentazione non è ascrivibile a questa specificità che nei modi in cui viene attuata, poiché è un
principio (nel senso di inizio) anteriore, è una concezione superiore. Credo vada ricercato qui il
motivo per cui I nostri anni, che è cinema, reca in sé molte tracce del lavoro che Gaglianone ha
condotto sull’immagine video.
‹‹Può un lavoro in pellicola essere confrontato con un’opera in video oppure no?›› chiede
Stefano Della Casa considerando che ‹‹gran parte della produzione video è una ricerca sul cinema
che ripiega sul video per motivi economici, ma forse anche perché i due mezzi non vengono più
visti come alternativi e contrapposti, bensì come ampiamente sovrapponibili››
3
. In Gaglianone
l’approccio al video, quand’anche fosse determinato da motivi economici, segue esigenze artistiche:
3
STEFANO DELLA CASA, C’è cinema nel video?, in ‹‹Il nuovo spettatore››, 1993, n. 15, pp. 287-8.
5
il video non viene dunque pensato come contenitore provvisorio di immagini che si vorrebbero
destinate alla pellicola.
Tornando a Gobetti, egli si chiede quale sia la narrativa del video, ed al riguardo scorge
nell’opera del giovane regista (era il 1993) una probabile intuizione della video-narrazione, pur non
sapendo ancora bene se si potrà parlare di narrazione di cose diverse o di narrazione diversa delle
cose
4
. Gaglianone racconta in modo differente, peculiare: egli stesso afferma di prediligere inizi
difficili per i suoi lavori. Tale difficoltà dipende sia dai contenuti – mai banali – sia dalla sintassi
che, proprio in quanto sperimentale, può apparire non semplice e differente: è in questo esperimento
in atto che si concreta la narrazione diversa delle cose. Il suo sguardo è rivolto però soprattutto ai
marginali, a chi cioè vive ai margini di un luogo (c’è molta periferia nei suoi lavori), di un tempo (i
partigiani), di una condizione o concezione fisica (La carne sulle ossa, La ferita), che sono le cose
diverse da raccontare.
La video-narrazione gaglianoniana va oltre l’intuizione di Gobetti (l’intuizione scritta, almeno)
poiché fonde i due aspetti; inoltre, è la provocazione delle mancanze a rappresentare, sempre per
Gobetti, ‹‹la più forte delle spinte artistiche›› alla narrazione, arte che ‹‹forse il video è troppo
completo (oltre che complesso) per stimolare››
5
. La mancanza è altra costante in Gaglianone,
emerge da molti personaggi e assume forme e qualificazioni sempre differenti (è ora un orecchio
ferito, ora un corpo svuotato, ora un luogo che non esiste più).
‹‹I suoi film non eleggono un modo definitivo ma mettono in relazione i modi›› ha scritto Carlo
Cagnasso
6
: in Gaglianone c’è il documento ma c’è anche il racconto, e soprattutto esiste la
commistione tra i due; egli realizza da un lato documentari che sono personali ed indagano la sfera
soggettiva, dall’altro racconti che raccontano, ed insieme documentano, brani di vita che – oramai
4
Cfr. su questo punto PAOLO GOBETTI, Nel regno di Alice… cit., p. 14.
5
Ibidem.
6
CARLO CAGNASSO, Daniele Gaglianone. Il documento e il racconto, [intervento contenuto nel catalogo della
rassegna di cinema indipendente in formato breve Cortorama, tenutasi a Dronero (CN) il 3-4 giugno 2000], p. 17.
6
messi in finzione – trovano il proprio alter ego nella vita reale. Gaglianone ‹‹rifiuta di registrare; al
contrario egli parla, e lo fa con parole anche evidenti e invadenti››
7
.
Non un modo quindi, ma una relazione di modi entro i quali ed attraverso i quali raccontare:
pensando alla narrazione gaglianoniana immagino una sovrastruttura di relazioni narrative connesse
e distinte tra loro, il che rende in parte complicato il tentativo di classificare con termini e in schemi
precisi la multiformità (come multiprospettiva del racconto e dell’organizzazione del discorso) della
sua opera, ma non è mia intenzione procedere per classificazioni troppo nette e limitanti la mia
interpretazione. Più che dedicarmi ad un’analisi che rispolveri i dettami della critica istituzionale,
mi interessa presentare Daniele Gaglianone da un punto di vista emozionale, affettivo.
7
Ibidem.
7
Cichero
Approccio al documento
Indagando sui rapporti che si instaurano tra i mezzi audiovisivi e la storia, Peppino Ortoleva
8
coglie nel ‹‹videonastro›› possibilità uniche nel registrare l’espressività del testimone. Il nastro
contiene un numero maggiore di informazioni rispetto all’intervista scritta, poiché trattiene i gesti,
ogni parola ed anche l’ambiente fisico in cui viene filmata l’intervista. Ortoleva avverte però anche
tre pericoli insiti nel mezzo, tre rovesci della medaglia che possono essere indicati come illusione di
verità, incidenza del mezzo e manipolazione.
L’‹‹illusione di verità […] è implicita nei mezzi di registrazione meccanica della realtà››
9
e
manca, rispetto ad un’intervista scritta, di quella soggettività che emerge dall’intervistatore e, per
suo tramite, dall’intervistato. Questa realtà illusoria ha carattere deformante e parziale, può quindi
essere fuorviante. Inoltre una telecamera – in quanto oggetto massmediatico – può incidere sugli
eventi che intende documentare, o stimolando l’intervistato oppure inibendolo: si tratta in entrambi i
casi di un’interferenza nella comunicazione.
Condivido le osservazioni di Ortoleva ma voglio precisare che in Gaglianone la soggettività,
sua e degli intervistati, emerge chiaramente attraverso il documento (Cichero ne è una prova) e che
l’incidenza del mezzo non è comunque esclusiva della registrazione meccanica: può rivelarsi in
modo più sottile – poiché di carattere orale – attraverso l’incidenza dell’autore dell’intervista. Le
funzioni di stimolo e di inibizione possono agire anche in assenza di registratore: al mezzo si
8
Cfr. su questo punto PEPPINO ORTOLEVA, Espressività del testimone e illusione di verità, in ‹‹Il nuovo spettatore››,
1981, n. 4.
9
Ivi, p. 21.
8
sostituisce l’autore nella relazione intervistatore-intervistato dove il primo, in quanto conduttore del
dialogo, sviluppa in base alla propria incidenza i fili della conversazione.
Cichero raccoglie interviste filmate da Gaglianone nel 1992 ed altre non sue del 1985; il
materiale viene organizzato in modo da non lasciar trasparire l’estraneità di alcune riprese. Come ha
ben intuito Cagnasso, Gaglianone non restituisce ‹‹il mondo per quello che è›› bensì lo pronuncia
‹‹a partire da un preciso punto di vista.[…] Gaglianone racconta il mondo ma lo fa a modo suo e
questo accade anche nei suoi momenti più documentaristici››
10
. Tale preciso punto di vista viene
organizzato ovviamente e soprattutto in fase di montaggio.
Al riguardo, il terzo pericolo intuito da Ortoleva è la manipolazione, attraverso il montaggio,
delle immagini raccolte: ‹‹Secondo una tesi, che è stata espressa in forma estrema all’interno
dell’ANCR, da Beppe Risso, va condannato, in quanto manipolatorio, ogni intervento successivo di
montaggio o taglio sull’intervista […] che in quanto “unità significante autonoma” deve essere vista
nella sua interezza››
11
. Ortoleva non condivide la posizione di Risso, che sopravvaluta la ‹‹capacità
di documentazione storica implicita nel videonastro››
12
, tuttavia ne tiene conto.
Cogliendo il senso dell’operazione di montaggio in Cichero si intuisce però che la
manipolazione è presente nel suo senso stretto, a livello cioè di scelta del materiale ai fini di
presentarlo in modo coerente, e comunque sincero, e non a livelli più profondi e ideologici. In altre
parole, il montaggio in Cichero risponde a questioni di organizzazione del materiale e del racconto,
perché possa essere fruibile dallo spettatore: esso permette una fruizione semplificata (che non
significa banale), quindi potenzialmente diffusa, del materiale raccolto. L’occhio (soggettivo) con il
quale si vedono i partigiani di Cichero è regolato da quella vigilanza critica che Ortoleva ritiene
fondamentale per limitare al massimo ogni eccesso di incidenza.
10
CARLO CAGNASSO, Daniele Gaglianone… cit., p. 18.
11
PEPPINO ORTOLEVA, Espressività del testimone… cit., p. 22.
12
Ibidem.
9
Come ho detto, la memoria è uno dei temi fondanti la poetica di Gaglianone e Cichero,
anticipatore di molti contenuti de I nostri anni, non può che essere dialogo con la memoria in forma
di racconto di racconti dei partigiani della Val Cicagna; Cichero è stato voluto innanzitutto da Paolo
Gobetti per porre un freno all’‹‹impoverimento del peso della memoria nella società
contemporanea››
13
. La sua origine è in Ponte Rotto, libro che Giovan Battista Lazagna (Carlo) ha
scritto sulla sua esperienza e che interessa Gobetti soprattutto per la prima parte, incentrata
sull’‹‹apprendistato del difficile mestiere del partigiano››
14
. Partendo da qui, Cichero ricostruisce
per voce dei suoi partigiani un’esperienza che Lazagna definisce come ‹‹abbastanza rivoluzionaria
per allora››.
Discorso introduttivo a più voci
Gaglianone organizza la presentazione degli otto testimoni attorno alla figura che spicca tra
essi, Lazagna
15
, il commissario della Divisione Pinan-Cichero che si distingue dagli altri a due
livelli: sul piano filmico per il maggior numero di inquadrature che gli vengono dedicate e per come
esse sono gestite e distribuite nel flusso di montaggio; sul piano organizzativo-produttivo per la
totale e piena collaborazione che offrì all’ANCR affinché potesse realizzare il documentario e
anche per il libro delle sue memorie che costituisce l’ispirazione del documentario.
13
Ivi, p. 24.
14
PAOLO GOBETTI, Piemonte partigiano. Cinema e Resistenza in Piemonte 1943-1993, Torino, ANCR, 1993.
15
È doveroso spiegare brevemente chi fosse Giovan Battista Lazagna, del quale traggo la biografia dal risvolto di
copertina di Ponte Rotto. ‹‹Nato a Genova nel 1923, iscritto nel 1942 al PCI come membro della cellula universitaria,
sale in montagna a Cichero nell’aprile del ’44. Alla fine della guerra è Vice Comandante della Divisione Partigiana
‹‹Pinan-Cichero››, e in tale ruolo firma la resa del presidio tedesco di Tortona il 25 aprile 1945. Si laurea nel 1947 in
Giurisprudenza con una tesi in Diritto Costituzionale sulla nuova Costituzione repubblicana. Segretario di sezione del
PCI, segretario e animatore del Comitato di Solidarietà Democratica ligure per la difesa dei diritti politici e sindacali dei
partigiani e dei lavoratori di Scelba, […] è […] incarcerato a Milano (marzo-agosto 1972) e a Fossano (ottobre 1974-
ottobre 1975) con varie accuse di partecipazione a bande armate (Feltrinelli e Brigate rosse). Dal 1975 al 1981, vive al
confino a Rocchetta Ligure e a Urbino, dove negli anni 1976-1977 è incaricato di Filosofia del Diritto all’Università.››
10
Lazagna è mobile all’interno di Cichero e Gaglianone ne mostra azioni e gesti che forniscono
una chiara chiave interpretativa allo sviluppo del discorso. Inoltre egli introduce gli altri partigiani,
nell’ordine Lesta, Minetto, Marzo, Gino, Lago, Cucciolo e Denis, mostrati con lui o per suo tramite:
le inquadrature che fungono da tramite sono quelle di Lazagna che fuma oppure, in aperta
campagna, è alle prese con la motosega, attrezzo che nel finale simbolizzerà il crollo delle illusioni.
Scendendo nel particolare, la prima inquadratura di Cichero, in bianco e nero, contiene due
finestre: sullo sfondo quella di casa e in primo piano quella interna all’abitazione, il televisore, il cui
schermo è bianco. Una spirale di fumo sale da una sigaretta abbandonata nel posacenere sopra il
televisore, e l’inquadratura successiva offre un volto a quella sigaretta: Lazagna che fuma per un
attimo prima che lo stacco ci riporti sullo schermo bianco e a seguire all’aperto, nell’inquadratura
contenente lui e Emilio Roncagliolo (Lesta) che discutono.
Fin qui il silenzio, interrotto ora da Lazagna e Erasmo Marrè (Minetto) contenuti nello schermo
a colori del televisore: il secondo fuma e la nuvola bianca che sale dalla pipa diventa doppio
televisivo della spirale che sale dalla sigaretta. La colonna sonora è riempita da un rombare che
ricorda a tratti le raffiche delle mitragliatrici e la cui provenienza è specificata dall’inquadratura
successiva di Lazagna che tenta di avviare la motosega inceppata. Il sonoro continua fino al termine
di questo blocco introduttivo, prima sotto forma di brevi scariche di rumore ingolfato e di lunghe
pause in cui riverbera la campagna, poi in forma di rombo continuo e fastidioso una volta accesa la
motosega. In questo frastuono vengono presentati il casun in cui ebbe inizio l’esperienza partigiana
e la stretta strada per accedervi da un lato, Lazagna impegnato a segare un tronco d’albero
dall’altro: raccogliere legna per scaldarsi era uno dei compiti quotidiani di questi partigiani, per cui
Gaglianone ci riconduce agli anni della Resistenza con le immagini prima che con le testimonianze
parlate.
11
Una dissolvenza incrociata scioglie Lazagna nel bianco e nero ruvido, sgranato, di Momenti di
vita e di lotta partigiana di Don Pollarolo, sacerdote e partigiano che documentò con una Pathé-
Baby la vita all’interno della Divisione Cichero.
L’introduzione visiva nel vivo di Cichero è ormai completata: si ritorna a Cichero nella
dimensione attuale, con le immagini contemporanee del casun (dal vivo e su tela), ma si fa pure
ritorno alla Cichero di allora attraverso il repertorio di Don Pollarolo. A livello verbale è
Roncagliolo ad iniziare il racconto, ma lo vediamo anche illustrarci la zona visivamente: la
telecamera lo segue nel prato sottostante il casun con un movimento sporco ed il piano di ripresa
fortemente obliquo. È in corso una battuta di caccia al cinghiale, si odono spari tutt’intorno,
l’inquadratura si sporca ulteriormente: sembra di aver fatto un salto indietro nel tempo.
Il silenzio che accompagna l’inquadratura di Giovanni Battista Canepa (Marzo) non solo crea
un intervallo nella percezione, una pausa prima dell’introduzione di un nuovo argomento, ma anche
denota lo stesso Canepa che, a novantacinque anni, parla a fatica e molto poco. Canepa testimonia
la propria esperienza non a parole bensì attraverso la sua presenza: questa basta ed è pienamente
significante nel momento in cui viene accostata – per contrasto – alle testimonianze rese dai suoi
compagni.
Ancora una volta lo schermo televisivo: Lazagna chiede a Marrè di raccontargli l’impatto con i
partigiani e con i loro immaginari, mentre una dissolvenza incrociata ingrandisce lo schermo
portandolo ad occupare l’intero piano dell’inquadratura, secondo un procedimento molto comune in
televisione, ad esempio nei telegiornali; a turno ognuno racconta episodi di vita a Cichero,
caratterizzati innanzitutto dal senso di comunità così forte da spingere i partigiani a dividersi anche
le castagne (che erano il cibo più diffuso, sebbene sempre scarso) nel rispetto del precetto ‹‹tutti per
uno, uno per tutti››, come spiega Dionisio Marchelli (Denis).