PROFILI DELL'INSTABILITÀ FINANZIARIA NEL MERCATO GLOBALE
errori compiuti dai governi occidentali negli ultimi anni ed ha evidenziato la necessità di
un’inversione di rotta nelle politiche economiche per gli anni a venire. Le scelte operate
congiuntamente dell’amministrazione Bush e dalla Federal Reserve dal 2001 in poi, hanno
dimostrato come in quel periodo l’unico modo per risollevare le sorti economiche del paese fosse il
ricorso all’indebitamento, sia a livello pubblico che privato; i tassi di interesse prossimi allo zero
che caratterizzarono i primi anni del nuovo millennio causarono, tuttavia, una bolla immobiliare
dalle dimensioni inaudite.
Finanza ed economia si intrecciarono pericolosamente in quegli anni: la promessa di una casa di
proprietà per tutti si scontrò con l’improvviso ed imprevisto crollo del valore delle abitazioni in
tutto il paese; l’incomprensione dell’effettivo rischio derivante dalla cartolarizzazione di svariati
miliardi di dollari di mutui subprime, determinò una situazione la cui criticità non fu
immediatamente compresa.
Numerosi istituti bancari ed assicurativi furono pesantemente colpiti dal crollo delle quotazioni
dei titoli di debito legati ai prestiti immobiliari e dall’uso spregiudicato degli strumenti derivati su
mercati privi di regolamentazione; la sottocapitalizzazione causò poi rischi per la loro stessa
sopravvivenza e solo l’intervento congiunto di governi e banche centrali scongiurò fallimenti che
avrebbero ulteriormente aggravato la situazione.
Da quanto descritto si evince come i problemi emersi negli ultimi mesi non abbiano riguardato
esclusivamente i mercati finanziari ma, più in generale, gli equilibri economici e produttivi a livello
mondiale: ci si è resi conto non solo dell’esigenza di nuove e più severe regole che disciplinino
l’operato delle istituzioni finanziarie, ma, soprattutto, è risultato evidente come la delocalizzazione
produttiva stia per portare ad un punto di non ritorno.
In tal senso, la finanziarizzazione delle economie occidentali ha dimostrato la sua insostenibilità
nel lungo periodo: i proventi di tipo finanziario, che per anni hanno rappresentato la principale voce
nei conti economici delle aziende, devono ora lasciar spazio ai ricavi tipici dalla produzione in
senso stretto.
Partendo dalla cronaca degli ultimi mesi del 2008, nel corso dei quali l’attenzione dei media a
livello mondiale era incentrata sui timori di fallimenti all’interno del sistema bancario, sul crollo
dei mercati azionari e sugli affannosi tentativi da parte delle istituzioni di arginare la crisi, si
cercherà, nel corso del primo capitolo, di individuare le linee guida con le quali si è sviluppata
l’instabilità finanziaria.
Nel secondo capitolo si andrà a ritroso nel tempo descrivendo lo scoppio delle più grandi bolle
speculative della storia, dalla tulipanomania olandese di metà XVII secolo, passando per il crollo di
Wall Street del ’29, fino ad arrivare a quella di inizio Duemila relativa ai titoli informatici; la
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INTRODUZIONE
descrizione e l’approfondimento di tali fenomeni permetteranno di evidenziare le differenze con la
crisi attuale, introducendo la possibilità di cogliere le vere motivazioni che stanno alla sua base.
Il terzo capitolo sarà, dunque, il centro del lavoro perché in esso si descriverà il contesto
internazionale nel quale l’instabilità finanziaria ha trovato terreno fertile sul quale diffondersi:
globalizzazione, deindustrializzazione, sviluppo tecnologico e deregolamentazione sono termini
chiave, la cui comprensione è fondamentale in una attenta disamina del contesto attuale; si
cercheranno, inoltre, di individuare i soggetti responsabili per i fatti accaduti, soffermandosi sul
ruolo giocato dal sistema bancario statunitense.
L’individuazione delle cause rappresenterà il passo cruciale per poter descrivere ed analizzare,
all’interno dell’ultimo capitolo, gli interventi che sono stati presi a livello sia internazionale che
locale da governi e banche centrali nel tentativo di ridare stabilità ai mercati: dal cosiddetto Piano
Paulson alle singole misure correttive prese dai paesi europei, con particolare attenzione agli
interventi compiuti dal nostro governo e dalla Banca d’Italia.
Le considerazioni appena descritte offriranno, in ultima analisi, un valido spunto per trarre delle
conclusioni a livello generale riguardanti gli argomenti oggetto della trattazione, cercando, nel
dettaglio, di individuare le azioni che dovranno essere intraprese nel tentativo di riforma dei
mercati finanziari, non dimenticando, tuttavia, l’esistenza di fattori che potrebbero acuire
ulteriormente l’instabilità attuale.
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CAPITOLO PRIMO
AGOSTO 2007 – OTTOBRE 2008: LE ORIGINI E
L’EVOLUZIONE DELLA CRISI
SOMMARIO: 1. Lo scoppio della bolla immobiliare statunitense e l’affiorare della crisi dei mutui subprime;
- 2. I primi fallimenti, il dilagare della sfiducia e il crollo dei listini borsistici mondiali.
1.1 Lo scoppio della bolla immobiliare statunitense e l’affiorare della crisi dei mutui subprime
Secondo le abitudini statunitensi, un cittadino si indebita nei confronti degli istituti bancari per
acquistare un immobile non tenendo conto della sua effettiva capacità di onorare il debito, quindi
non mettendo a confronto, come avviene nella realtà quotidiana il più delle volte, il suo salario con
la rata mensile indicata nel piano di ammortamento. In pratica, egli compie tale decisione quando
risulta confermata la seguente disuguaglianza: rata mensile da pagare alla banca minore del canone
di locazione da sostenere nel caso in cui si scegliesse l’alternativa dell’affitto.
A causa di questa discutibile prassi la politica monetaria della banca centrale degli Stati Uniti,
volta, nei primi anni del nuovo millennio, al mantenimento di un tasso di interesse prossimo all'1%,
determinò insolite conseguenze (Figura 1.1).
Il basso costo del denaro e l’enorme domanda di abitazioni diedero origine ad una bolla
speculativa immobiliare senza precedenti; i prezzi lievitarono vertiginosamente sino al 2006. Le
case di proprietà passarono dal 64% del 1994 al 69% del 2005 e il prezzo di queste aumentò del
124% tra il 1997 e il 2006 (Figura 1.2).
Questa situazione creò l’illusione di diffuso benessere e prosperità nella maggioranza della
popolazione: quando, però, dalla fine del 2004 in poi, la Federal Reserve, dovendo far fronte a
preoccupanti indici di crescita dell’inflazione, dovette aumentare i tassi previsti per le operazioni di
finanziamento, l’intero sistema si accorse di aver eretto un gigantesco castello di carta.
La bolla speculativa era inevitabilmente scoppiata e milioni di famiglie ne risentirono: essendosi
queste indebitate a tasso variabile per l’acquisto di un immobile, si trovarono nella situazione di
non riuscire a pagare le rate del mutuo, causa l’eccessiva onerosità sopravvenuta.
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AGOSTO 2007 – OTTOBRE 2008: LE ORIGINI E L’EVOLUZIONE DELLA CRISI
Le banche si ritrovarono con un elevato tasso di insolvenza tra i propri debitori: i pignoramenti
aumentarono sensibilmente toccando quasi il 9% sul totale dei mutui concessi (Figura 1.3), ma ciò
nonostante, la crisi si riflesse anche sugli istituti di credito. Le garanzie ipotecarie da essi possedute
infatti, non riuscirono a coprire interamente i crediti persi, senza contare che le case erano divenute
dei beni difficilmente vendibili.
Figura 1.1: Dal 2004 al 2006 la Fed ha alzato i Federal Funds interest rates loan 17 volte, portandoli
dall’1 al 5,25%.
1
Fonte: Board of Governors of the Federal Reserve System.
Figura 1.2: Indici di prezzo delle case negli Stati Uniti e nel Regno Unito.
2
Fonte: Thomson Financial Datastream.
1
Attualmente i tassi ufficiali applicati dalla Fed sono compresi tra lo 0% e lo 0,25% per i Fed Funds, a
seconda delle diverse necessità che si presentano, mentre il tasso di sconto è pari allo 0,50%.
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Si noti come le perdite di valore delle abitazioni abbiano riguardato inizialmente il mercato statunitense e
solo successivamente quello britannico e più in generale quello europeo.
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PROFILI DELL'INSTABILITÀ FINANZIARIA NEL MERCATO GLOBALE
Figura 1.3: Mutui residenziali negli Stati Uniti: previsioni dei tassi di incidenza delle procedure
esecutive sui mutui in essere, differenziate per tipologie di mutuo (valori percentuali; in nero: mutui
prime a tasso variabile; in rosso mutui prime a tasso fisso; in blu mutui subprime a tasso variabile; in
verde mutui subprime a tasso fisso).
Fonte: Thomson Financial Datastream.
In un primo momento le famiglie con difficoltà a pagare le rate del mutuo furono quelle meno
abbienti, ovvero quelle titolari dei mutui denominati subprime: i mutui subprime sono prestiti
immobiliari concessi a soggetti ad alto rischio. Il rischio sta nel fatto che il debitore si è già
dimostrato insolvente nel passato oppure perché non viene data sufficiente documentazione
sull’affidabilità di redditi o altre attività: al soggetto viene, quindi, concessa una sorta di seconda
chance in cambio del pagamento di tassi di interesse sensibilmente più alti e di commissioni e
penalità elevate.
Le percentuale di insolvenza per i mutui subprime nel 2000 era bassissima e pari circa al 5% del
totale; le percentuali negli anni successivi salirono notevolmente, con i picchi nel 2006 e 2007,
rispettivamente del 37,44% e 40,28%, per poi subire una lieve flessione nel 2008, quando 3
famiglie su 10 presentarono problemi di solvibilità.
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Il nocciolo della questione era il seguente: le banche che avevano concesso i mutui non capirono
da subito le possibili implicazioni di una così diffusa insolvenza tra i propri clienti. Alla base di
questa spensieratezza c’erano le numerosissime operazioni di cartolarizzazione poste in essere
negli anni precedenti.
3
Dati pubblicati in La grande crisi: domande e risposte, approfondimento de Il Sole 24 Ore.
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AGOSTO 2007 – OTTOBRE 2008: LE ORIGINI E L’EVOLUZIONE DELLA CRISI
Solamente comprendendo in che cosa consiste questa particolare operazione si può intuire quali
siano state le motivazioni che hanno spinto gli istituti di credito a concedere così facilmente mutui
immobiliari. Si immagini di essere nei panni di un soggetto che, trovandosi in una situazione di
eccessiva liquidità, decida di concedere un prestito
4
: quale dovrebbe essere la principale variabile
da tenere in considerazione per il cedente? Ovviamente la risposta è la capacità di credito del
richiedente che, a sua volta, dipende dalle sue entrate, la principale delle quali è il reddito. Come
descritto prima, però, la caratteristica dei mutui subprime riguarda proprio il fatto che il mutuatario
non presenti un’esaustiva affidabilità dei suoi redditi; qual è allora l’elemento che fa sì che il
mutuante decida di accollarsi il rischio di insolvenza del suo debitore? Il trasferimento del rischio a
terzi, fuori dal proprio bilancio, attraverso la cartolarizzazione del credito stesso. In breve, gli
istituti mutuanti, si trovarono nei propri bilanci, a fronte dei mutui concessi, crediti molto rischiosi
e con lunghi orizzonti temporali di scadenza: non volendo sobbarcarsi in prima persona i rischi di
tali crediti, decisero di emettere, tramite società veicolo cosiddette SPV
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(Special Purpose
Vehicles), titoli obbligazionari, con garanzia di rimborso proprio i suddetti crediti. I titoli furono
poi venduti a investitori privati o istituzionali e, in tal modo, i mutuanti videro rientrare le somme
prestate: i fondi ottenuti furono a loro volta usati per espandere gli asset. Dipanando quest’ultimo
aspetto, si può capire come tale meccanismo abbia offerto agli emittenti la possibilità di creare un
enorme massa di strumenti finanziari sulla base di attività estremamente rischiose, quali i mutui
subprime.
I titoli obbligazionari emessi sul mercato furono le cosiddette obbligazioni ABS, Asset Backed
Securities, che derivavano dalla cartolarizzazione di mutui immobiliari, crediti per l’acquisto di
autovetture e prestiti connessi all'uso delle carte di credito; queste trovarono collocazione in tutto il
mondo entrando nei bilanci di banche, assicurazioni , hedge funds e fondi sovrani.
Nello specifico, i titoli che avevano come base i mutui subprime erano chiamati RMBS
(Residential Mortgage Backed Securities); questi, presentando un rischio troppo elevato, venivano
impachettati insieme ad altri, aventi diverse combinazioni di rischio-rendimento, in modo da poter
garantire agli investitori titoli apparentemente più sicuri, denominati CDO (Collateralized Debt
Obligation) o obbligazioni strutturate.
Solitamente, all’interno di un titolo strutturato si trovavano RMBS di diverso grado di rischio,
dai mutui subprime, passando per i mutui Alt-A (dove Alt sta per alternative), fino ad arrivare alle
ipoteche più affidabili. I mutui Alt-A si trovavano a metà strada fra quelli di prima scelta (cosiddetti
4
Si ricordi che la liquidità posseduta deve avere determinate finalità da soddisfare, altrimenti risulta più
redditizio investirla.
5
Nell’ambito di un’operazione di cartolarizzazione, l’SPV è un soggetto appositamente costituito per
acquistare da un certo originator un dato portafoglio di attività e contestualmente emettere titoli di debito
garantiti da mutui immobiliari da collocare sui mercati. Il collocamento permette all’SPV di raccogliere i
fondi necessari per pagare all’originator il prezzo della cessione.
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PROFILI DELL'INSTABILITÀ FINANZIARIA NEL MERCATO GLOBALE
prime) e quelli concessi con garanzie sottili o con nessuna garanzia, c.d. subprime, tra i quali vanno
ricordati i più rischiosi in assoluto, ovvero i mutui NINJA, acronimo di No Income No Jobs or
Asset, dati cioè senza verificare il reddito, il possesso di un posto di lavoro o di un’attività a
garanzia. In particolare, i mutui Alt-A non rispondevano alle caratteristiche richieste dalle agenzie
semi-governative americane (GSE, acronimo che sta per Government Sponsored Enterprises) che
operano sul mercato secondario dei mutui; queste agenzie (Fannie Mae e Freddie Mac)
accettavano solo prestiti immobiliari aventi garanzie documentali verificate e con determinati
rapporti di prestito-valore della casa e di debito-reddito. Se queste garanzie erano insufficienti, ma
non così scarse da costringere il richiedente a pagare di più con un prestito subprime, il mutuo
veniva classificato Alt-A; questo tipo di prestito era naturalmente più caro rispetto a un mutuo
conforme ai criteri delle GSE, ma più conveniente rispetto ai subprime.
Per quanto riguarda le altre forme di cartolarizzazione, vanno ricordati i titoli alla cui base si
trovavano attività diverse dai mutui: i CMBS (Commercial Mortgage Backed Securities) derivanti
dalla cartolarizzazione dei prestiti immobiliari concessi per acquisto di costruzioni non residenziali
(uffici, fabbriche, centri commerciali) e i ABCP (Asset Backed Commercial Paper) alla base dei
quali c’era la carta commerciale, o commercial paper, ovvero una fonte di finanziamento a breve
scadenza per le imprese: si tratta di una specie di cambiale emessa delle imprese e sottoscritta dalle
banche. Anche se la negoziazione delle commercial paper è molto frequente, c'è una giacenza
media che siede fra le attività degli istituti bancari ed è proprio questa grandezza ad essere stata
oggetto di cartolarizzazione.
Quando nel mercato iniziarono a diffondersi le prime avvisaglie circa l’insolvenza dei mutuatari
statunitensi, le quotazioni dei titoli strutturati cominciarono a scendere. Anche se la crisi dei mutui
subprime è ragionevolmente collocabile verso la fine dell’estate 2007, già precedentemente vi
furono avvisaglie di ciò che sarebbe accaduto in questo mercato: molti hedge funds, a partire
dall’estate 2006, puntarono fortemente sul ribasso delle quotazioni dei titoli garantiti dai mutui
statunitensi, cogliendo probabilmente già appieno le conseguenze dell’inevitabile scoppio della
bolla immobiliare.
6
L’artefatto consisteva nel vendere allo scoperto un pacchetto di titoli CDO, i
più rischiosi possibili, puntando a guadagni elevati in caso di crollo futuro delle quotazioni. Quasi
sempre nei mercati borsistici, infatti, a causa dell’asimmetria informativa, i grandi investitori, come
gli hedge funds, sono paragonati ai mandriani che decidono la strada da seguire e sono i primi ad
intraprenderla: solo in un secondo momento sopraggiunge il gregge che rappresenta la massa dei
piccoli investitori.
6
“E allora ecco l’idea: mettersi al ribasso sui mutui casa confidando che, con l’afflosciarsi della bolla
immobiliare, aumentino anche le insolvenze delle famiglie americane; di quelle che, tra tassi in rialzo, valore
dell’abitazione che scende e impossibilità di rifinanziarsi, non riescono più a pagare la rata mensile”,
WALTER RIOLFI, Gli hedge ora speculano sui mutui, Il Sole 24 Ore, 19 agosto 2006.
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AGOSTO 2007 – OTTOBRE 2008: LE ORIGINI E L’EVOLUZIONE DELLA CRISI
Sino a questo punto le implicazioni derivanti della crisi statunitense dei mutui subprime
sembravano di poco conto; in realtà, nessuno era in grado di prevedere come si sarebbe evoluta la
situazione, anche se, alla luce di quanto appena visto, c’erano nel mercato borsistico i primi segnali
di una possibile caduta delle quotazioni. Molti esperti finanziari sostenevano che quello dei
subprime era un mercato di piccole dimensioni: il problema era, per così dire, contenuto. I media
trattarono poco l’argomento e, peggio ancora, nessuno si chiese se la crisi avrebbe colpito anche
l’Europa e gli altri mercati mondiali.
1.2 I primi fallimenti, il dilagare della sfiducia e il crollo dei listini borsistici mondiali
Per la maggioranza degli esperti finanziari, la crisi dei subprime riguardò principalmente, se non
quasi esclusivamente, gli Stati Uniti; tuttavia nel mondo attuale, dove lo sviluppo tecnologico ha
creato un sistema di interdipendenze e relazioni molto strette, gli effetti di una crisi di solvibilità di
parecchi milioni di famiglie americane si propagarono molto velocemente. L’implosione dei mutui
subprime iniziò nell’estate del 2008 quando un hedge fund di Londra, il cui valore era stimato
intorno ai 900 miliardi di dollari, dovette essere liquidato. Divenne chiaro che il problema andava
al di là dei mutui subprime. I principali colossi bancari gestivano miliardi di dollari di prestiti
tramite società fuori bilancio, le SIV
7
(Structured Investment Vehicles) e conduits
8
: la maggior
parte di questi prestiti era a lungo termine, finanziati, però, con carta commerciale a breve. Il
collocamento della carta commerciale si interruppe e al quel punto gli azionisti si resero conto che
le SIV, nonostante si trovassero al di fuori dei bilanci degli istituti di credito, erano di fatto parte
integrante di questi e una loro crisi si sarebbe immediatamente riflessa sull’intero sistema bancario.
Il fattore che determinò l’allargamento della crisi al mercato europeo va ricercato nei legami tra
le banche del vecchio continente e il mercato USA dei prestiti immobiliari: non a caso, la prima
crisi all’interno del sistema finanziario riguardò una banca britannica, la Northern Rock: questa,
oltre ad essere attiva sul mercato statunitense dei mutui, seguiva una politica di concessione dei
7
Sono degli organismi che nell’ambito di operazioni di cartolarizzazione finanziano l’acquisto delle proprie
attività mediante l’emissione di commercial paper o di titoli di debito a medio termine.
8
Sono dei veicoli societari che acquistano in via continuativa da vari clienti portafogli di attività finanziarie,
come obbligazioni e crediti commerciali. L’acquisto viene finanziato tramite l’emissione di Asset Backed
Commercial Paper a costi molto competitivi grazie al rating elevato di cui normalmente tali titoli godono. Le
operazioni di cartolarizzazione realizzate attraverso l’utilizzo di un veicolo conduit consistono
sostanzialmente in un processo di rimpacchettamento delle attività sottostanti in titoli a breve termine, a
basso rischio e dotati di elevato rating.
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PROFILI DELL'INSTABILITÀ FINANZIARIA NEL MERCATO GLOBALE
prestiti immobiliari estremamente permissiva, affidando fino al 125% del valore della casa; la sua
attività era caratterizzata, inoltre, dall’uso di una elevata leva finanziaria
9
.
Nelle prime settimane di settembre del 2007, si assistette al formarsi di lunghe code dinnanzi
agli sportelli delle filiali, con migliaia di correntisti intenzionati a prelevare i loro depositi. Tra di
essi si era creato il panico a causa di alcune voci diffusesi nell’ambiente: si diceva che l’elevata
esposizione della banca sul mercato statunitense dei mutui subprime avrebbe causato un
ridimensionamento degli utili previsti, con un calo di oltre 200 milioni di sterline sui dati attesi
dagli analisti. La scintilla che fece scoppiare il panico fu la concessione di una linea di credito
d'emergenza da 25 miliardi di sterline da parte della Bank of England: si calcolò che i depositanti,
dopo tale notizia, ritirarono in poche ore oltre un miliardo di sterline, circa il 4% dei depositi totali.
In quei giorni il titolo azionario della società perdette il 32%, mentre dall'inizio dell'anno aveva, nel
complesso, bruciato il 60% del proprio valore.
L’istituto, già prima della bufera, era un soggetto considerato rischioso a causa delle sue
modalità di approvvigionamento di risorse: queste, infatti, non si basavano sui depositi della
clientela, bensì sul ricorso all’indebitamento sul mercato dei capitali; le operazioni di
finanziamento, quindi, una volta iniziata la crisi dei subprime, divennero sempre più difficili e
costose: le obbligazioni emesse dall’istituto di credito trovarono sempre meno acquirenti, i prezzi
crollarono, mentre i rendimenti superarono di 10 punti percentuali quelli dei titoli di Stato (si parla
in questo caso di obbligazioni distressed
10
).
La crisi di liquidità dell’istituto, derivante dall’ingente somma dei depositi ritirati, costrinse il
governo inglese a nazionalizzare la banca la domenica del 17 febbraio 2008, a mercati chiusi;
l’operazione, definita temporanea dal Ministro del Tesoro inglese Alastair Darling, aveva
l’obiettivo di salvaguardare i posti di lavoro e dare stabilità alla banca.
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Il governo dell’allora
Primo Ministro Blair venne duramente criticato in seguito a questo intervento, giudicato troppo
oneroso e i cui effetti negativi sarebbero andati a scapito dei contribuenti.
L’FSA (Financial Services Authority), la Consob d’oltre manica, fece il mea culpa,
assumendosi una grossa parte delle responsabilità di quanto accaduto: “All'origine di tutti gli
errori”, si legge in un comunicato dell’organo di vigilanza dei mercati finanziari britannici, “c'e'
stata una inaccettabile mancanza di supervisione e di controlli”
12
; la banca, nonostante avesse tutti i
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Si tratta del valore dato dal rapporto tra l’attivo di bilancio ed il capitale proprio; è un parametro che mostra
il livello di esposizione della società a debiti verso terzi, denotando quindi eventuali carenze di
capitalizzazione.
10
“Se a luglio 2007 tali titoli (ndr) rappresentavano solo il 2% circa del totale, a febbraio 2008 erano salite al
22%”, La grande crisi: domande e risposte, approfondimento de Il Sole 24 Ore, pag.13.
11
MARCO NIADA, Nazionalizzazione «temporanea» per Northern Rock, Il Sole 24 Ore, 18 febbraio 2008.
12
NICOL DEGLI INNOCENTI, La Consob inglese su Northern Rock: abbiamo fallito, Il Sole 24 Ore, 26
marzo 2008.
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