VI. TRUST, FIDUCIA E MANDATO: ESPERIENZE A CONFRONTO
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negozio di ritrasferimento non eseguito. In secondo luogo, se il fiduciario
trasferisse abusivamente i beni immobili o mobili registrati oggetto della fiducia, i
principi della trascrizione farebbero comunque salvo l’acquisto dei terzi, anche se
fossero in mala fede. Per il fiduciante sarebbe impossibile recuperare i beni e ad
esso non resterebbe che esercitare l’azione contrattuale e richiedere il risarcimento
dei danni per l’inadempimento del pactum fiduciae.
Ulteriore grave inconveniente connesso all’utilizzo del negozio fiduciario è
costituito dalla (relativa) inopponibilità del pactum fiduciae ai terzi creditori del
fiduciario: non rilevando all’esterno il carattere fiduciario dell’intestazione, ai
sensi dell’art. 2740 c.c. essi hanno la possibilità di rivalersi su tutti i beni presenti
e futuri del proprio debitore, compresi quelli trasferitigli dal fiduciante salvo il
disposto dell’art. 1707 c.c.
Il trust non presenta tali aspetti negativi: come nel negozio fiduciario, vi è (anzi,
può esservi) un trasferimento del bene in capo al trustee, ma insito nel suo titolo
di proprietà vi è un “difetto equitativo” che lo lega indissolubilmente agli scopi
specifici del trust. In ipotesi di breach of trust, infatti, i principi dell’equity
intervengono efficacemente per tutelare il beneficiario mediante azioni dirette al
recupero della cosa indebitamente alienata dal trustee: come visto
precedentemente
1
, il terzo acquirente in mala fede può essere considerato
constructive trustee dei beni che ha illegittimamente acquisito e diventare di
conseguenza il bersaglio del tracing del beneficiario.
Inoltre, a differenza dei trasferimenti fiduciari, i beni trasferiti in trust sono legati
da un vincolo “reale” di destinazione allo scopo: essi costituiscono un patrimonio
separato dal patrimonio personale del trustee e pertanto non cadono in
successione, né in comunione legale tra i coniugi, né soprattutto possono essere
aggrediti dai creditori personali del trustee, neppure in caso di fallimento. Non
1
Si veda sopra p. 160.
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solo: la “segregazione” opera non soltanto nei confronti dei creditori personali del
trustee, ma anche dei creditori personali del disponente e del beneficiario. Al di
fuori dei casi in cui è possibile esperire l’azione revocatoria contro il trasferimento
dei beni al trustee, ai creditori del disponente è preclusa qualsiasi possibilità di
aggredire il trust fund, per il semplice fatto che il settlor non ne è più proprietario:
a differenza di quanto accade nei rapporti fiduciari, il disponente non ha alcun
diritto di riavere quanto trasferito al trustee, né di incidere sulle concrete modalità
di gestione, né di agire contro di esso per ottenere il rispetto delle clausole inserite
nell’atto istitutivo del trust.
L’alienazione a titolo definitivo dei beni al trustee costituisce un vantaggio
competitivo di non poco rilievo, specie se si considera l’atteggiamento tenuto
dalla nostra giurisprudenza nei riguardi dei trasferimenti fiduciari. Non sono
mancate, infatti, diverse pronunce (peraltro contrastate dalla dottrina) che hanno
evidenziato come nei confronti dell’amministrazione finanziaria titolare dei beni
fiduciariamente trasferiti continui ad essere il fiduciante, in ragione del fatto che
la sua titolarità “effettiva” deve prevalere sulla titolarità solamente “apparente”
del fiduciario
2
.
In termini civilistici, la fiducia fra il disponente e il trustee è dunque solo un
motivo dell’atto e non influisce né sulla ricostruzione causale del negozio né sulle
sue regole operative: mentre il negozio fiduciario nasce e si sviluppa fra i due
soggetti che gli hanno dato vita, la fiducia non sopravvive all’istituzione del trust,
poiché il disponente perde qualsiasi prerogativa nel momento stesso in cui
trasferisce il diritto al trustee
3
. Come visto, la “potestà di abuso”, a lungo studiata
2
Cass., 10 dicembre 1984, n. 6478, Riva v. Ministero delle finanze, in Foro it., 1985, I, c.
2325 s.
3
La dottrina, infatti, preferisce tradurre il termine trust non come “fiducia”, ma come
“affidamento”.
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dalla nostra dottrina, non ha nulla da spartire con il trust: con riguardo ad esso, se
di fiducia può parlarsi, deve parlarsi di fiducia legale: l’ordinamento sa come
reagire contro l’abuso, che è un illecito come tanti altri.
37. Segue: trust e società fiduciarie.
Uno strumento ulteriore che il nostro ordinamento di civil law offre in alternativa
al trust consiste nel trasferimento di valori mobiliari a società fiduciarie o a
imprese di investimento specializzate nella gestione professionale di patrimoni.
Le società fiduciarie, previste dalla l. 23 novembre 1939, n. 1966, si propongono
di assumere sotto forma di impresa e mediante intestazione fiduciaria
l’amministrazione e la gestione di patrimoni per conto terzi. La distinzione teorica
tra amministrazione “statica” e amministrazione “dinamica” operata
tradizionalmente nell’ambito dell’attività fiduciaria svolta da tali società ha
assunto oggi un rilievo giuridico e pratico non indifferente.
L’amministrazione dinamica, nell’ambito della quale la società fiduciaria dispone
in modo autonomo e discrezionale dei beni che le vengono intestati allo scopo di
incrementarne il valore, è stata assimilata alla gestione su base individuale di
portafogli di investimento e quindi sottratta alla disciplina della l. 1966/39. In base
al disposto di cui all’art. 60, 4° comma, d.lg. 23 luglio 1996, n. 415 (decreto
Eurosim), la società fiduciaria, sia che eserciti la sola attività di gestione (con o
senza intestazione fiduciaria dei titoli) sia che svolga altri servizi di investimento,
è soggetta alla comune disciplina che regola lo svolgimento dei servizi di
investimento, oggi contenuta nel d.lg. 24 febbraio 1998, n. 58 (Testo Unico della
Finanza). Ciò comporta che il principio della separazione patrimoniale previsto
per le altre imprese di investimento è applicabile anche al rapporto che lega le
società fiduciarie ai propri clienti: ai sensi dell’art. 22, 1° comma, d.lg. 58/98,
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infatti, «nella prestazione dei servizi di investimento e accessori, gli strumenti
finanziari e le somme di denaro dei singoli clienti, a qualunque titolo detenuti
dall’impresa di investimento [...] costituiscono patrimonio distinto a tutti gli effetti
da quello dell’intermediario e da quello degli altri clienti. Su tale patrimonio non
sono ammesse azioni dei creditori dell’intermediario o nell’interesse degli stessi
[...]. Le azioni dei creditori dei singoli clienti sono ammesse nei limiti del
patrimonio di proprietà di questi ultimi».
Il rapporto di affinità che lega l’amministrazione dinamica svolta dalle società
fiduciarie e la gestione attuata mediante trust è lampante. Tuttavia, esiste una
differenza (pratica) fondamentale: mentre la separazione patrimoniale attuata dalle
società fiduciarie e dalle imprese di investimento opera solo nei confronti del
gestore (i creditori personali del singolo conferente possono infatti soddisfarsi sul
patrimonio da questi affidato alla società fiduciaria), nell’ambito del trust la
“segregazione” opera in tutte le direzioni, cioè sia nei confronti dei creditori
personali del trustee, sia nei confronti dei creditori personali del settlor.
D’altra parte, l’amministrazione statica, che si traduce nell’intestazione fiduciaria
e nell’amministrazione di titoli in conformità alle puntuali istruzioni fornite dal
cliente (quindi senza alcuna discrezionalità o autonomo potere di disposizione),
viene tuttora fatta rientrare nell’attività di amministrazione di beni per conto terzi
di cui all’art. 1, l. 1966/39; come tale, essa viene comunemente assoggettata alla
disciplina del mandato senza rappresentanza. In questo caso, quindi, i beni
fiduciari non possono essere considerati come un patrimonio autonomo e distinto
e la loro separazione dal patrimonio della società fiduciaria (anche in caso di
fallimento della stessa) avviene in base alle condizioni previste dall’art. 1707
c.c.
4
.
4
Questa tesi è confermata da una recentissima sentenza: cass., sez. I, 21 maggio 1999, n.
4943, Napolitano v. Fidimpresa Servizi fiduciari, in Giust. civ., 1999, p. 2635.
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Anche nell’ambito operativo dell’amministrazione statica lo schema del trust
risulta essere lo schema vincente: «dalla valutazione della natura (e della
conseguente efficacia) degli strumenti di tutela azionabili dal beneficiary del trust
(mezzi sconosciuti al nostro ordinamento, imperniato sul principio della tutela
meramente obbligatoria di tutti quei diritti non ricompresi nel ristretto numero
delle situazioni reali), emerge la profonda diversità e se vogliamo la maggior
idoneità del trust ad organizzare le garanzie collaterali alle operazioni finanziarie
e a tutelare gli interessi del beneficiary [...]»
5
. Niente di tutto questo può ritenersi
applicabile ad un rapporto, come quello che lega il cliente alla fiduciaria, basato
su un semplice contratto di mandato.
38. Segue: trust e mandato senza rappresentanza.
Generalmente, i sistemi di civil law hanno tentato di rispondere alle esigenze
derivanti dalla gestione o amministrazione di beni nell’interesse altrui facendo
riferimento alla figura del contratto di mandato, adattato di volta in volta
(convenzionalmente dalle parti o da apposite leggi) alla specifica operazione
gestoria che si è inteso realizzare. Tuttavia, come emerso dal confronto effettuato
con il negozio fiduciario (ricondotto nella sua struttura ad un mandato senza
rappresentanza)
6
, alla chiara definizione di diritti, obblighi e forme di tutela
spettanti alle parti di un trust (settlor, trustee, beneficiary) si contrappone
l’incertezza, in dottrina e giurisprudenza, circa: l’esatta definizione della
posizione giuridica del mandatario senza rappresentanza rispetto al mandante e ai
suoi aventi causa; il rapporto che si instaura tra mandatario e bene oggetto del
5
G. BALDINI, Mandato e fiducia. Il trust, in F. ALCARO, (a cura di), Il mandato, Giuffrè
Editore, Milano, 2000, p. 433.
6
Si veda sopra, p. 146.
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mandato in relazione alla diversa disciplina predisposta al variare della natura
dello stesso; l’opponibilità del mandato ai terzi aventi causa del mandante e del
mandatario; ecc.
Come è stato argutamente osservato
7
, ciò appare essere il risultato di una forzatura
(compiuta in sistemi giuridici come il nostro sprovvisti di istituti o meccanismi
generali idonei a consentire una efficiente “segregazione” dei patrimoni) tesa ad
estendere l’operatività di uno strumento (il mandato) al perseguimento di scopi
che superano ormai abbondantemente l’ambito di relazioni che con la disciplina di
cui agli art. 1705 s. c.c. il legislatore si proponeva originariamente di
regolamentare.
Il mandato senza rappresentanza, infatti, non determina la formazione di una
massa patrimoniale separata, né è capace di produrre da solo gli effetti sostanziali
di un trust.
Solo in materia mobiliare l’art. 1706, 1° comma, c.c. sembra riconoscere al
mandante una prerogativa in qualche modo assimilabile agli equitable estates
riconosciuti ai beneficiari del trust. Tuttavia, la tutela offerta dall’ordinamento
italiano soffre di diverse limitazioni, anche di ordine processuale: l’onere
probatorio grava infatti sul mandante, il quale deve dare prova della conoscenza
da parte del terzo acquirente dell’esistenza del mandato; in secondo luogo,
l’opponibilità del mandato ai creditori del mandatario è subordinata ai requisiti
previsti dall’art. 1707 c.c., senza contare che in caso di fallimento del mandatario
e di confusione dei beni nella massa, il mandante rimane creditore chirografario
per le somme incassate dal mandatario in seguito all’esecuzione del mandato.
Il beneficiary, invece, è sottratto al concorso con i creditori del trustee ed è
legittimato a rivendicare in ogni caso i beni che costituiscono il trust fund. Inoltre,
egli ha diritto di considerare come beni facenti parte del trust fund anche i beni
7
G. BALDINI, Mandato e fiducia. Il trust., cit., p. 431.
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rivenienti dalla loro trasformazione: così, in aggiunta all’azione di rivendicazione
(tracing), il beneficiary ha la possibilità di far valere le proprie pretese anche sulle
somme di denaro (beni fungibili) che hanno eventualmente preso il posto di
determinati beni costituenti il trust fund.
E’ sintomatico osservare come anche nell’esperienza dell’agency di common law
8
,
allorché il principal intenda trasferire all’agent la proprietà dei beni in vista del
raggiungimento di determinati obiettivi, spesso viene istituito su di essi un trust.
Ad esempio, è prassi istituire un trust sulle somme che l’agent incassa a seguito
dell’esecuzione di un mandato ad alienare: in questo modo, le somme sono
sottratte alle possibili pretese dei creditori del mandatario e ai pregiudizi che
potrebbero derivare, in ipotesi, dalla morte del mandatario stesso. Non bastasse, la
giurisprudenza di common law è costante nel ribadire un concetto fondamentale: il
rapporto principal-agent è un rapporto fiduciario e di conseguenza la titolarità di
beni e diritti cede dinanzi all’esigenza (preservata dalle regole di equity) di
reprimere le frodi
9
. Così, se l’agent (mandatario con o senza rappresentanza)
tradisce la fiducia del principal (mandante/rappresentato) non osservando le
istruzioni da quest’ultimo impartitegli e comunque non realizzando lo scopo in
vista del quale l’agency agreement fu stipulato, l’agent stesso diviene constructive
8
E’ la versione anglosassone del nostro mandato. Con essa si denota il rapporto che sorge
allorché una parte (il principal) conferisce all’altra (l’agent) il potere di compiere atti nel suo
interesse, con l’effetto di modificare la sua posizione giuridica verso i terzi: «agency is the
fiduciary relationship which exists between two persons, one of whom expressly or impliedly
consents that the other should act on his behalf so as to affect his relations with third parties, and
the other of whom similarly consents so to act or so acts» (F.M.B. REYNOLDS (Ed.), Bowstead and
Reynolds on Agency, 15
th
ed., London, 1996, p. 1). In via di prima approssimazione, dunque, il
trust si colloca tra le ipotesi di esercizio del diritto nell’interesse altrui, mentre l’agency ha come
tratto proprio il compimento di atti nell’interesse altrui.
9
Cfr. Grand Court delle Isole Cayman, 1998, Islena Airlines v. Jefferson and Jefferson
Travel Services Ltd, in Trusts, 2000, p. 402 s.
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trustee a favore del principal. In concreto, l’inadempimento dell’agency
agreement da parte dell’agent fa sì che il principal possa chiedere ed ottenere la
restituzione sia dei beni acquistati dall’agent abusando dei propri poteri, sia dei
beni non utilizzati dall’agent ma a lui assegnati dal principal in vista dell’attività
da compiere, sia ancora dei beni nell’attuale disponibilità dell’agent in seguito
allo svolgimento dell’attività non andato a buon fine.
La superiorità del trust emerge con evidenza anche in materia di gestione
professionale del risparmio, nel cui ambito operativo hanno mostrato tutti i loro
limiti i tentativi di adattare lo schema tipico del mandato ad un rapporto in cui il
mandante non è in grado di impartire dettagliate istruzioni al mandatario, per il
semplice fatto di non possedere le competenze tecniche necessarie. Una delle
principali differenze che passano tra mandato e trust, infatti, concerne gli obblighi
che gravano rispettivamente sul mandatario e sul trustee. Da una parte, il
mandatario è tenuto a conformarsi alle istruzioni impartite dal mandante (l’atto
giuridico compiuto oltre i limiti del mandato resta infatti a carico del mandatario
medesimo ai sensi dell’art. 1711, 1° comma, c.c.). Dall’altra, il trustee gode della
massima autonomia e discrezionalità nell’amministrazione dei beni del trust: egli
è libero di compiere tutti gli atti che ritiene più opportuni ed idonei al
perseguimento degli scopi del trust.
Altra differenza degna di nota è quella che attiene alla disciplina dell’estinzione
degli istituti in esame. Il trust, a differenza del mandato, non si estingue in caso di
morte, interdizione, inabilitazione del beneficiary (presunto mandante) e, a ben
vedere, non si estingue neppure nel caso in cui questi eventi si verifichino nei
confronti del trustee (presunto mandatario): molto semplicemente, viene nominato
un nuovo trustee.