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Capitolo Primo
STATI DI CRISI ED EMERGENZA
TERRORISTICA: INQUADRAMENTO
GENERALE
§ 1. - CRISI ED EMERGENZA
Nel diritto pubblico le espressioni “stato di emergenza” o “stato di eccezione”
1
rimandano ad una tematica frequente del costituzionalismo moderno che può
essere descritta come lo sforzo di garantire le principali tutele giuridico-legali
del sistema democratico e liberale anche nelle situazioni di estremo pericolo o
disordine. In questi contesti di straordinarietà ed eccezionalità (appunto) alcune
delle libertà fondamentali poste a garanzia della stessa convivenza civile
possono essere limitate, con provvedimenti di carattere più o meno
temporaneo, in virtù della difesa di interessi collettivi e quindi supremi.
Già da queste poche linee descrittive che inquadrano il concetto di crisi è
possibile cogliere il paradosso che la questione emergenziale porta
inevitabilmente con sé: nello “stato di eccezione” viene autorizzata la
limitazione dei diritti fondamentali per garantire l’esercizio di quelle libertà
basilari che sono il fulcro dell’ordinamento democratico occidentale basato
sullo Stato di diritto. In altre parole, di fronte a una qualsivoglia minaccia
all’ordinamento viene ammessa la sospensione della Costituzione proprio allo
scopo di preservare la Costituzione.
1
Rimanendo al di fuori dell’ontologia politica di Carl Schmitt per cui lo “stato di eccezione” si
configurava come un soggetto politico totalitario che deteneva il controllo assoluto in ogni
ambito della società tanto da trovare una completa realizzazione nell’esperienza nazista del
Terzo Reich – C. SCHMITT, Teologia Politica vol. 2, Milano, 1992.
12
È facile intendere come, in simili situazioni, il rischio, da una parte di una
pleonastica compressione delle libertà costituzionali e dall’altra di una
eccessiva stabilità delle misure adottate, sia molto sentito. La soluzione
generalmente accettata in dottrina, allora, consiste nell’accordare quale unica
sospensione possibile la deroga alla sola Costituzione formale limitatamente
alle stringenti necessità imposte dalle circostanze. Da qui l’esigenza di
introdurre nei testi costituzionali limiti strutturali e materiali all’azione
dell’Esecutivo anche nelle situazioni critiche.
Tuttavia dalla fine della seconda guerra mondiale si è consolidata la
tendenza ad utilizzare strumenti di intervento di carattere ordinario di fronte
alle principali emergenze interne e internazionali. Detto in altri termini, oggi
l’indirizzo maggiormente seguito è quello di gestire le situazioni di crisi
attraverso il ricorso continuo, e da un certo punto di vista più rassicurante, alla
legge ordinaria. Si arriva così a precisare un indicativo «superamento della
distinzione tra diritto normale e diritto eccezionale»
2
che era invece tipico del
costituzionalismo liberale di inizio secolo.
Questa inversione di marcia ha trovato appoggio nel riconoscimento sempre
più condiviso delle cosiddette “situazioni ibride”
3
in cui non è semplice
distinguere tra stato di guerra e stato di pace, tra normalità ed eccezione, e delle
quali l’azione terroristica rappresenta uno dei principali esempi. Di fronte alla
minaccia terroristica (quale ne sia la matrice) la tendenza comune è infatti
quella di inquadrare la conflittualità percepita nell’ottica di una lotta, di uno
scontro continuo che non può essere affrontato con i soli mezzi militari, ma che
necessita anche di soluzioni di carattere giuridico-legali.
Questa problematica si è riproposta con particolare forza a seguito degli
attentati che hanno colpito gli Stati Uniti l’11 settembre del 2001 e che hanno
ovviamente provocato l’immediata reazione dei governi al di là e al di qua
2
G. DE VERGOTTINI, La difficile convivenza tra Libertà e sicurezza. La proposta delle
democrazie al terrorismo. Gli ordinamenti nazionali, relazione per il Convegno annuale di
Libertà e sicurezza nelle democrazie contemporanee, Bari 17 – 18 ottobre 2003.
3
G. DE VERGOTTINI, La difficile convivenza tra Libertà e sicurezza, cit.
13
dell’Atlantico. Il mondo occidentale si è dotato di nuove legislazioni
antiterrorismo varate in tempi sorprendentemente rapidi, spesso nell’arco di
pochi giorni.
1.1 – La nozione di emergenza
Nelle costituzioni occidentali lo “stato di emergenza” è descritto molto
sommariamente come l’autorizzazione di poteri straordinari all’esecutivo
garantita, il più delle volte, solo da generiche ratifiche parlamentari. Si tratta di
un «fondamento logico-esistenziale dello Stato di diritto: l’emergenza consente
al Governo di prendere misure straordinarie nella lotta tra la vita e la morte per
la sua stessa sopravvivenza»
4
.
Definire l’emergenza secondo un criterio formale o materiale è pressoché
impossibile visto che altrettanto impossibile è prevedere aprioristicamente i
contorni delle situazioni di eccezionalità che giustificano il regime derogatorio
necessario per fronteggiare lo stato di crisi. Anche solo partendo da un’analisi
terminologica, è facile rendersi conto come le costituzioni o le leggi che si
occupano di stabilirne la disciplina siano carenti nel fornire una puntuale
definizione di espressioni quali “emergenza”, “eccezione” o “necessità”.
Non essendo precisamente ipotizzabile la situazione di pericolo le eventuali
disposizioni normative adottate a priori dal Legislatore rischiano di non coprire
tutte le esigenze che invece la circostanza di fatto richiederà vengano trattate.
Questo non azzera, ad ogni modo, la necessità di adottare ugualmente misure di
tutela dell’ordinamento anche al di fuori del formale dettato normativo. È
ovvio, in altre parole, che la crisi va comunque fronteggiata a livello legislativo
anche laddove non integri perfettamente l’ipotetica fattispecie prevista
anticipatamente: in questo caso il fondamento dell’ordinamento d’eccezione si
trova nel principio di necessità, ossia in una fonte-fatto.
4
B. ACKERMAN, The Emergency Constitution, in Yale Law Journal, Vol. 113, May 2004, p.
1037: «Call it the existential rationale: it is invoked by the threat of an enemy invasion or a
powerful domestic conspiracy aiming to replace the existing regime. The state of emergency
enables the government to take extraordinary measures in its life-and-death struggle for
survival».
14
È solo a partire dagli anni settanta del secolo scorso, però, che si è fatto
strada questo rimaneggiamento della problematica di fondo. Coerentemente
con la progressiva presa di coscienza dell’imprevedibilità ex ante della
situazione straordinaria da contrastare, la dottrina ha indirizzato i propri sforzi
non tanto nella individuazione di una fonte normativa in grado di legittimare il
ricorso ad istituti derogatori quali la compressione o la sospensione
5
dei diritti
di libertà quanto nell’elaborazione di meccanismi di controllo e di tutela sugli
stessi poteri straordinari concessi all’esecutivo.
Questo duplice compito di prevenzione e controllo è in genere di
competenza della Costituzione che viene concepita negli ordinamenti moderni
come “assetto del potere”
6
. L’ordinamento giuridico può svolgere questa
fondamentale funzione in due modi differenti:
1. può prevedere in anticipo i regimi derogatori necessari a fronteggiare le
situazioni di pericolo: si tratta, allora, di disposizioni sempre collegate
ad una forma “normalizzata” di emergenza poiché altro non sono che
espressioni diverse del medesimo indirizzo razionalizzatore che
nell’ottica del Costituente informa l’intero sistema. Con il vantaggio
che, prevedendo le situazioni di pericolo, si possono prevedere anche le
conseguenze negative scaturenti dalla risposta delle istituzioni
7
;
2. può operare tramite regimi derogatori istaurati al di fuori delle
previsioni costituzionali: si tratta di disposizioni che si ricollegano più
strettamente alla nozione della “eccezionalità innovativa”
8
. A ben
5
A. PACE, Problematica delle libertà costituzionali, Padova, 1983, p. 336: Compressione e
sospensione sono due concetti tra loro funzionalmente collegati: la sospensione è lo strumento
tecnico che consente la compressione di un diritto la quale è sempre una restrizione per cui non
è mai legittima quando pregiudica il libero esercizio dello stesso.
6
G. DE VERGOTTINI, La difficile convivenza tra Libertà e sicurezza, cit.
7
G. DE VERGOTTINI, La difficile convivenza tra Libertà e sicurezza, cit.: allora «più è seria
e mediata la volontà di proteggere i valori caratterizzanti la costituzione, più attenta dovrebbe
rilevarsi la preoccupazione di predisposizione preventiva di rimedi comportanti, ove ritenuto
indispensabile, deroghe alla normalità assistite da idonee forme di controllo politico-
parlamentare e giurisdizionale».
8
G. DE VERGOTTINI, La difficile convivenza tra Libertà e sicurezza, cit.
15
vedere, solamente una legislazione ad hoc è idonea a fronteggiare
situazioni di emergenza poiché, per quanto possa essere accurata e
meticolosa, la previsione delle circostanze di pericolo non sarà mai
perfetta essendo la singola situazione di crisi assoggettabile ad un
numero troppo elevato di variabili.
L’ipotesi più frequente è quella di una Costituzione silente sull’argomento o
tutt’al più quella di una Carta Fondamentale che detta timide disposizioni
generali. In questo caso siamo in presenza di una “presunzione”
9
del
Legislatore che ammette implicitamente il principio di necessità e legittima di
conseguenza lo stato di eccezione e le restrizioni costituzionali di tutela
dell’assetto democratico.
Nella Costituzione della Repubblica Italiana, ad esempio, manca qualsiasi
riferimento al concetto di necessità vista nell’ottica delle fonti del diritto
(eccezion fatta per la norma sulle dichiarazioni di guerra che comunque non è
mai stata formalmente applicata
10
). In tutti gli altri casi di emergenza interna e
internazionale vale quindi il ricorso a strumenti del diritto ordinario ed in
particolar modo l’utilizzo dei decreti legge con la conseguenza che l’asse
decisorio in questioni altamente delicate si sposta dal Parlamento (organo
originariamente designato a ponderare con maggiore saggezza le discussioni
politico-sociali del Paese) al Governo.
La Costituzione degli Stati Uniti d’America, invece, pur avendo una
specifica previsione dello stato di emergenza
11
, lascia ampio respiro
all’«immaginazione dell’interprete»
12
tanto da guadagnarsi l’appellativo di
“perenne invito al contrasto”
13
tra Presidente e Congresso. L’art. 1 § 9 della
9
A. BENAZZO, L’emergenza nel conflitto fra libertà e sicurezza, Torino, 2004, p. 13.
10
Si tratta dell’art. 78 Cost. Rep. Italiana che recita: «Le Camere deliberano lo stato di guerra e
conferiscono al Governo i poteri necessari».
11
Si tratta dell’art. 1 § 9 cl. 2 U. S. Const. che recita: «The privilege of the Writ of Habeas
Corpus shall not be suspended , unless when in cases of rebellion or invasion the public safety
may require it».
12
B. ACKERMAN, The Emergency Constitution, cit., p. 1041.
13
E. CHEMERINSKY, Constitutional Law, Aspen, 2001.
16
Costituzione americana individua, infatti, per entrambi questi soggetti
competenze specifiche in materia di emergenza
14
. Questa impostazione ha da
sempre tollerato due letture tra loro opposte da parte dei principali poteri
politici dello Stato: da un lato chi ammette la possibilità in capo all’esecutivo
di riconoscere e gestire in prima persona le situazioni di crisi e dall’altro chi
subordina la procedura ad una previa autorizzazione del Congresso.
Ad ogni modo, chiudendo il discorso, occorre sottolineare che
l’impossibilità di fornire una definizione puntuale, precisa ed esaustiva di
emergenza in senso lato e assoluto non inficia gli sforzi, comunque legittimi, di
quanti hanno tentato di circoscrivere una descrizione contingente e legata alla
situazione storico-politico di riferimento. Sforzi sicuramente utili nell’ottica
funzionale e pratica di chi è chiamato a fronteggiare materialmente situazioni
extra ordinem.
1.2 – Le situazioni di stress
A ben vedere c’è chi
15
, in relazione al fenomeno terroristico, parla di situazioni
di stress e non di emergenza né di quotidianità. Le condizioni di stress, infatti,
non sono ricollegabili né ai contesti di normalità né a quelli di crisi.
In una situazione di crisi (indipendentemente dalla natura da cui prende
l’avvio, un’invasione militare, un crack economico, un disordine sociale o
anche una catastrofe naturale) il capo di Governo potrebbe essere chiamato e
autorizzato a proclamare l’esercizio di poteri eccezionali e a sospendere la
Costituzione, ivi compresi i diritti politici. Nelle crisi di maggior spessore, poi,
la gestione politica deve necessariamente concentrarsi sulla propria
sopravvivenza in modo da far slittare tutte le altre questioni sullo sfondo. Al
14
C. BOLOGNA, Tutela dei diritti ed emergenza nell’esperienza statunitense: una political
question? in: www.forumcostituzionale.it, p. 2: durante una situazione di crisi è il Congresso
ad essere titolare del potere di dichiarare guerra e di stabilire le forme e le procedure degli
interventi armati, mentre è il Presidente ad essere investito della qualifica di commander in
chief dell’esercito con una competenza esclusiva e generale sugli affari esteri.
15
M. ROSENFELD, Judicial balancing in times of stress: comparing the American, British
and Israeli approaches to the war on terror, in Cardozo Law Review, Vol. 27-5, March 2006,
p. 2079.
17
contrario, nei periodi di normalità l’organizzazione istituzionale può e deve
prendere atto del dibattito politico quotidiano, può e deve garantire la più
ampia protezione possibile dei diritti costituzionali.
Le situazioni di stress sono collocabili a metà strada tra le crisi e la
normalità. Durante i periodi di stress la collettività è più propensa a considerare
una limitazione dei propri diritti per garantire un bene che ritiene prioritario e
superiore, ossia la sicurezza messa a dura prova da molteplici pressioni. Le
situazioni di stress differiscono da entrambe le nozioni di partenza: non
possono ovviamente essere assimilate alla quotidiana normalità, ma non sono
nemmeno paragonabili per gravità, intensità e durata delle minacce alle crisi
vere e proprie.
16
Il terrorismo e la conseguente “guerra al terrore” sembrano, nella visione di
Rosenfeld, con più probabilità rientrare nella categoria dello stress piuttosto
che in quella della crisi.
17
Gli atti terroristici sono sicuramente più sporadici di
un’invasione militare o di un conflitto bellico e generalmente causano più
danni psicologici che fisici: dal timore snervante e ineliminabile del verificarsi
imprevedibile di un ulteriore attacco alla cosiddetta overreaction, ossia alla
reazione esagerata e sproporzionata avvertibile sia sul piano giuridico che su
quello sociale.
Ad ogni modo, ad un’analisi attenta e puntuale, questi pericoli appaiono gli
stessi che è facile riscontrare nelle situazioni di emergenza. La linea di
demarcazione tra stress e crisi, tra stress ed emergenza, non è così netta e nitida
come la si dipinge. Lo stesso Rosenfeld è infatti costretto ad ammettere che
«the day of September 11
th
attacks, which resulted in around three thousand
deaths, and subsequent days in which the American nation had to cope with the
16
M. ROSENFELD, Judicial balancing in times of stress, cit., p. 2084.
17
Della stessa idea è, in verità, anche B. ACKERMAN il quale nel suo saggio The
Emergency Constitution, cit., p. 1044, afferma senza mezzi termini: «Undoubtedly, there are
times when a political society is struggling for its very survival. But my central thesis is that we
are not living in one of these times. Terrorism – as exemplified by the attack on the Twin
Towers – does not raise an existential threat, at least in the consolidated democracies of the
West».
18
shock of the sudden and unexpected attacks and with the prospect of imminent
future attacks, can be characterized fairly as a time of crisis».
18
1.3 – La normalizzazione dell’emergenza nella prassi odierna
Nella prassi recente si è manifestata la «contrarietà a ricorrere alla induzione
formalizzata di stati di emergenza»
19
. L’eventuale dichiarazione dello stato di
emergenza porta con sé molti vantaggi, non ultimo quello di delineare i
contorni della nuova situazione in atto specialmente a beneficio di quanti
potrebbero risentire del mutamento di regime.
Tuttavia il trend che si registra negli ultimi decenni è proprio quello di
evitare la cristallizzazione delle dichiarazioni formali. La formalizzazione dei
regimi di emergenza, in altre parole, viene vista criticamente come una
«regressione al passato mediante il recupero di poteri di prerogativa
dell’esecutivo»
20
: dichiarare lo stato di emergenza equivarrebbe, cioè, ad
ammettere pubblicamente la sconfitta del sistema democratico globalmente
inteso e basato sul principio di separazione dei poteri. La ratio di questo
biasimo risiede nell’idea che il semplice tollerare una possibilità di deroga
all’ordinamento democratico (seppur in situazioni di minaccia e pericolo)
equivalga a sancirne la non assolutezza.
Oggi, quindi, si tende a non proclamare specifici stati di necessità o
eccezionalità. La stessa dichiarazione di guerra è tendenzialmente in disuso: la
promulgazione formale sulla guerra al terrorismo operata dal Presidente
18
M. ROSENFELD, Judicial balancing in times of stress, cit., p. 2085: «Gli attacchi dell’11
settembre, che hanno registrato circa tremila morti, e i giorni successivi in cui gli Stati Uniti
hanno dovuto affrontare lo shock degli attacchi improvvisi e inaspettati e la prospettiva di
imminenti attacchi futuri, possono essere descritti onestamente come situazioni di crisi».
19
G. DE VERGOTTINI, La difficile convivenza tra Libertà e sicurezza, cit.
20
G. DE VERGOTTINI, La difficile convivenza tra Libertà e sicurezza, cit.
19
americano George W. Bush all’indomani degli attentati al World Trade Center
del 2001, in questo senso, rappresenta un’anomalia.
21
Non bisogna di certo pensare che le democrazie occidentali siano state (e
siano a tutt’ora) inermi di fronte alla minaccia terroristica. Ovviamente non è
così e, anzi, dopo l’11 Settembre, il ricorso ai regimi derogatori dei diritti di
libertà ha ripreso vigore in quasi tutti gli Stati occidentali. Semplicemente è
cambiato il modus di attuazione di queste limitazioni: non più collegate ad una
gestione diretta e palesata dell’emergenza, ma realizzate tramite il ricorso alla
legge e ad altri strumenti ordinari.
Il pericolo di subire attentati viene considerato come una costante nella vita
moderna: la realtà terroristica e la minaccia che essa inevitabilmente porta con
sé sono il riflesso di un rischio connaturato all’attuale stato dei rapporti
sviluppati in seno all’intera Comunità Internazionale. La logica conseguenza di
questa percezione è l’assuefazione della collettività di fronte alla presenza del
terrorismo nella vita di tutti i giorni. Detto in altre parole: la paura del
verificarsi di un atto terroristico, che altro non è che una situazione di pericolo,
viene fatta rientrare nella quotidianità e quindi, in un certo senso, viene
stabilizzata e controllata.
22
È proprio per questo che il ricorso sempre maggiore a strumenti di carattere
ordinario viene giustificato e, anzi, auspicato. Ciò che a prima vista dovrebbe
apparire come il mezzo meno idoneo a fronteggiare una crisi dai caratteri
eccezionali ed extra ordinem diviene invece il veicolo migliore per affrontare
l’emergenza terroristica nei suoi risvolti interni. Ossia, la cosiddetta
“normalizzazione dell’emergenza”
23
si serve dell’utilizzo delle più classiche
21
Anche se non si può parlare di dichiarazione di guerra vera e propria ai sensi della
Convenzione di Ginevra sulla guerra terrestre del 6 luglio 1906 a causa dell’incertezza sul
destinatario.
22
In realtà questa è una prospettiva scoraggiante come sottolineano L. H. TRIBE e P. O.
GUDRIDGE nel loro saggio The anti-Emergency Constitution, in Yale Law Journal, Vol. 113,
June 2004, p. 1816: «The normalization of terror is a dismal prospect. The silver lining,
however, is the possibility that the wider range of our civil liberties may persist, even under
pressure».
23
G. DE VERGOTTINI, La difficile convivenza tra Libertà e sicurezza, cit.
20
fonti ordinarie (tra le quali capeggia il ricorso alla legge e ai decreti legge) per
contrastare situazioni di crisi.
Così facendo, però, si allenta la distinzione operante tra misure a termine e
misure permanenti. La legge ordinaria porta con sé una intrinseca valenza di
stabilità e continuità che cozza con l’esigenza di un intervento puntuale e ad
hoc in relazione alla specificità di ogni singolo accadimento. Il rischio, in altri
termini, è che le misure adottate nell’ambito della lotta al terrorismo finiscano
per dare un carattere di costanza e permanenza ad interventi che avrebbero
dovuto essere unicamente temporanei, puntuali e peculiari.
24
In tutti i più recenti testi normativi varati per combattere la minaccia
terroristica, infatti, a fianco di specifiche disposizioni precise e a termine si
trovano indistintamente normative deputate a valere a tempo indeterminato.
Queste misure incidono ovviamente in maniera molto più marcata sulla
determinazione dei diritti e sono quindi estremamente pericolose.
La stabilizzazione dello stato d’eccezione è un fenomeno facilmente
riscontrabile a seguito dei fatti dell’11 Settembre. L’elaborazione della
cosiddetta “dottrina Bush”
25
si basa sulla riscoperta del principio di sovranità
come fondamento dell’esperienza costituzionale. L’ampliamento della sfera
decisionale dell’esecutivo trova il suo fondamento e la sua giustificazione
nell’esigenza di garantire l’esistenza dello Stato nazionale. Questa dottrina, a
ben vedere, non è mai stata sconfessata neppure dall’odierna Amministrazione
Obama che, al contrario, si inserisce perfettamente nel solco di questo
orientamento.
Possiamo cioè affermare, in riferimento alle situazioni di crisi scaturenti
dalla minaccia terroristica ed in particolar modo in relazione agli attentati del
24
Si tratta, in realtà, di una questione tutt’altro che nuova. Già N. MACHIAVELLI agli inizi
del XVI sec. osservava che nell’antica Roma: «Il Dittatore era fatto a tempo, e non in perpetuo,
e per ovviare solamente a quella cagione mediante la quale era creato». (Discorsi sopra la
prima Deca di Tito Livio, Libro I cap. XXXIV).
25
C. SBAILO’, Stato di diritto e sovranità: nella lotta al terrorismo, vengono al pettine I nodi
della via giudiziaria alla costruzione dell’Europa?, in www.forumcostituzionale.it – Forum di
Quaderni Costituzionali, p. 3.
21
2001, che «la minaccia suprema – cioè la distruzione della nazione – sia stata
metabolizzata nel sistema americano e sia oramai parte integrante dei nuovi
equilibri costituzionali»
26
.
§ 2. - I MODELLI NORMATIVI DI RISPOSTA ALLE SITUAZIONI
DI CRISI
Assicurare la continuità dei valori che stanno alla base dell’assetto democratico
è il fine a cui deve tendere ogni ordinamento d’eccezione. Questo obbiettivo è
al centro di ogni proposta normativa che voglia trattare il problema delle
costituzioni d’emergenza.
Possiamo analizzare, schematicamente, tre modelli differenti che vogliono
studiare e influenzare le reazioni istituzionali di fronte alle situazioni di crisi.
Queste tre diverse proposte non sono tra loro inconciliabili e non possono,
ovviamente, vantare delle pretese assolutiste. Ciascuna di esse presenta delle
imperfezioni che ne inficiano il perfetto funzionamento in relazione alle
ipotetiche situazioni concrete. Ad ogni modo una loro lettura combinata è
sicuramente utile per avere un’idea generale di come il problema
dell’emergenza è stato affrontato, quantomeno a livello teorico. Va da sé che il
dibattito in dottrina rimane aperto.
2.1 – Il modello dei checks and balances di B. Ackerman
27
Ackerman parte dall’assunto che l’errore generalmente compiuto
dall’impostazione tradizionale degli stati di emergenza sia quello di tentare di
prevedere l’imprevedibile, finendo con l’annunciare soluzioni teoriche estreme
e generalmente sconvenienti per circostanze di fatto meno allarmanti. Lo stesso
autore rileva però che, in virtù del panico generale suscitato dagli attentati
26
C. SBAILO’, Stato di diritto e sovranità, cit., p. 3.
27
B. ACKERMAN, The Emergency Constitution, cit., p. 1029.
22
terroristici, la popolazione tende a perdere fiducia nelle istituzioni. In uno
scenario del genere il solo potere giudiziario non può pensare di garantire
contemporaneamente i diritti fondamentali e l’esigenza di sicurezza che
l’opinione pubblica richiede.
Serve allora una Emergency Constitution, una Costituzione per
l’Emergenza, che permetta di adottare nel più breve termine possibile delle
misure normative in grado di prevenire un ulteriore attacco, ma che allo stesso
tempo sia ben conscia del suo carattere esclusivamente temporaneo. La
Costituzione per l’Emergenza di Ackerman contempla allora la possibilità di
limitare i diritti fondamentali dei cittadini, ma solo ed esclusivamente ponendo
un ferreo limite di durata a questi contenimenti. In altre parole, il regime di
deroghe operato in relazione alle situazioni emergenziali non può mai spingersi
all’estremo della sospensione tout court dell’ordinamento democratico.
Ackerman afferma che ciò che conta in una legislazione d’emergenza non è
tanto garantire l’esistenza e la continuazione (cioè la sicurezza) della nazione,
quanto piuttosto rassicurare i cittadini che il Governo ha la situazione sotto
controllo e che debellerà il pericolo tramite l’utilizzo di misure forse drastiche
ma sicuramente temporanee: «September 11 and its successors will not pose
such a grave existential threat, but major acts of terrorism can induce short-
term panic. It should be the purpose of a newly fashioned emergency regime to
reassure the public that the situation is under control, and that the state is
taking effective shortterm actions to prevent a second strike. This reassurance
rationale, as I call it, requires a sweeping revision of the emergency power
provisions currently found in many of the world’s constitutions»
28
.
28
B. ACKERMAN, The Emergency Constitution, cit., p. 1031: «L’11 Settembre e gli attacchi
seguenti non propongono una grave minaccia esistenziale, ma importanti atti di terrorismo
possono indurre il panico a breve termine. Lo scopo di un nuovo regime dell’emergenza
dovrebbe essere quello di tranquillizzare il popolo che la situazione è sotto controllo, e che lo
Stato sta prendendo effettive misure esauribili nel breve termine per evitare un secondo
attentato. Questa rassicurazione razionale, come la chiamo io, richiede una revisione radicale
delle disposizioni dei poteri di emergenza che attualmente si trovano in molte Costituzioni del
mondo».
23
L’autore propone, allora, un modello alternativo a quello che generalmente
fa capo alla gestione giudiziaria della crisi (il cosiddetto judicial management)
che ha il suo perno proprio nella reassurance function: l’esecutivo deve poter
contare su un’ampia delega di poteri nelle situazioni di crisi, ma questa deve
essere limitata esclusivamente al tempo dell’emergenza.
A garantire che il Governo non abusi dei poteri di eccezione quando non
sussistono le circostanze che ne giustificano il ricorso è predisposto il
Parlamento, attraverso una serie di meccanismi che gli garantiscono un
coinvolgimento sempre maggiore. Questo è il passaggio cruciale del modello
teorizzato da Ackerman: il costante controllo parlamentare sull’operato
dell’esecutivo altro non è che la massima garanzia di bilanciamento dell’intero
sistema. Nella teoria dei checks and balances, l’esecutivo è sottoposto
all’esame regolare del potere legislativo e questo significa che il suo contributo
di indirizzo politico può essere solo accessorio e sicuramente non può essere
visto come sostitutivo del sistema ordinario. I suoi poteri nelle situazioni di
crisi saranno cioè sì straordinari, ma mai assoluti o illimitati.
2.2 – Il modello delle misure extra-giuridiche di O. Gross
29
Gross afferma, invece, che la migliore soluzione possibile in tema di
emergenza sia quella di respingere ogni aprioristica previsione derogatoria
nella materia costituzionale poiché, inevitabilmente, essa finirà per acquisire il
carattere della stabilità. Infatti, la linea di demarcazione tra normalità ed
eccezionalità è sempre più labile.
Il terrorismo, allora, destabilizza e crea un’involuzione autoritaria dei paesi
democratici non tanto in relazione agli attentati e alle avvisaglie concrete che
essi minacciano, quanto in conseguenza delle misure di prevenzione e di difesa
che vengono adottate. Esse, in alcuni casi eccessive, vengono varate
inizialmente sulla spinta emozionale dei primi attentati e col tempo si
sedimentano nel sistema ordinario come acquisizioni di fatto.
29
O. GROSS, Chaos and Rules: Should responses to violent crisis always be constitutional?,
in Yale Law Journal, Vol. 112, 2003, p. 101
24
Per Gross il fondamento dei poteri straordinari non va ricercato nella
Costituzione, sia essa per l’emergenza o meno, quanto piuttosto nel combinato
di due azioni distinte ma collegate tra loro: action and ratification, l’azione
eccezionale dell’esecutivo e la ratifica successiva del Parlamento (ossia
dell’organo rappresentativo). Ed è proprio l’esigenza della ratifica che
promuove l’assunzione di una responsabilità condivisa da tutti i membri della
collettività all’interno di un unico sistema.
Il governo deve essere sempre in grado di giustificare ex post le proprie
scelte per un’esigenza di trasparenza e chiarezza. Tutti concorrono alla
responsabilità collettiva in questo sistema: non solo l’esecutivo ma anche le
altre istituzioni governative, l’assetto giuridico, l’opinione pubblica e gli
organismi internazionali. «I argue that the Extra-Legal Measures model
promotes, and its promoted by, concepts of ethics of political and popular
responsibility, political morality, and candor»
30
.
2.3 – Il modello dell’auto-apprendimento di M. Tushnet
31
In realtà quella di Tushnet è una revisione della proposta di Gross, e in quanto
tale perviene alle medesime conclusioni, ossia all’impossibilità del controllo
preventivo e alla completa inutilità delle previsioni costituzionali in tema di
emergenza.
Il pensiero giuridico di Tusnhet prende l’avvio dalla vicenda Korematsu,
nella quale la Corte Suprema degli Stati Uniti d’America sancì la legittimità
della deportazione di un alto numero di cittadini giapponesi a seguito
dell’attacco kamikaze sulla baia di Pearl Harbor. Il caso in questione divenne
l’emblema delle scorrette decisioni prese istituzionalmente nelle situazioni di
crisi e, più nello specifico, delle ingiuste violazioni dei diritti di libertà nelle
circostanze emergenziali.
30
O. GROSS, Chaos and Rules, cit., p. 112: «Io sostengo che il modello delle misure extra-
giuridiche promuove, ed è promosso dai, concetti dell’etica della responsabilità politica e
popolare, della moralità politica e del candore».
31
M. TUSHNET, Defending Korematsu? Reflection on civil liberties in wartime, in Public
Law and Legal Theory, working paper no. 368323, 2003
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Tuttavia l’autore sottolinea come questa discutibile decisione abbia giocato
un ruolo essenziale nel processo di apprendimento sociale (il cosiddetto social
learning) poiché il dibattito socio-culturale che ha innescato ha di fatto
impedito il ripetersi di esperienze simili. La stigmatizzazione delle vicende, in
altre parole, l’attribuire ad una situazione una connotazione negativa da parte
dell’opinione pubblica, fa sì che la stessa prenda una posizione di netto
contrasto con quanto successo e allontana se non elimina del tutto il ripetersi
dell’evento.
Secondo Tushnet le Amministrazioni tendono sempre ad esagerare la
portata delle minacce che debbono essere fronteggiate e a mascherare i propri
errori invocando i motivi del segreto di Stato. In questa prospettiva la
Costituzione materiale crea solamente limiti e problemi poiché incentiva
l’esecutivo a dare una visione distorta.
§ 3. - IL DIFFICILE EQUILIBRIO TRA DIRITTI DI LIBERTA’ ED
ESIGENZA DI SICUREZZA NELLA LOTTA AL TERRORISMO
Gli attentati all’America dell’11 settembre 2001 (gli aerei di linea trasformati
in bombe kamikaze che hanno causato il collasso del World Trade Center a
Manhattan, l’aereo dirottato e fatto schiantare sull’ala ovest del Pentagono a
Washington D.C. e il velivolo precipitato a Shanksville in Pennsylvania) hanno
riproposto, con drammatica prepotenza, un’antica e cruciale questione: quella
del bilanciamento tra diritti di libertà ed esigenza di sicurezza nelle situazioni
di emergenza.
La reazione dell’intera Comunità Internazionale, sulle prime, ha mostrato
particolare solidarietà verso gli Stati Uniti, il suo governo e il suo popolo. Uno
su tutti: il quotidiano francese Le Monde, da sempre poco incline al
filoamericanismo, nel settembre del 2001 titolava, parafrasando il discorso di J.
F. Kennedy al Rathaus Schöneberg di Berlino del 1963, «Siamo tutti
Americani».