Profili costituzionali della tutela del diritto alla riservatezza
della persona. Sono questi i diritti che più corrono il rischio di essere
travolti dall’impeto del torrente del progresso in assenza di solidi
“argini normativi”. Va detto che coniugare il progresso tecnologico
con la tutela dei diritti fondamentali da sempre riconosciuti e
disciplinati in Costituzioni, Convenzioni e leggi pone problematiche
più delicate rispetto alla tutela dei diritti a contenuto patrimoniale. Ciò
perché sono proprio i diritti a contenuto patrimoniale a trovare una
compiuta regolamentazione normativa (proprietà, trasferimento di
beni ecc.) rispetto a quelli a contenuto non patrimoniale. Per i diritti a
contenuto non patrimoniale l’adeguamento ai nuovi scenari socio-
tecnologici appare tutt’oggi molto più lento. Caso emblematico
riguarda proprio il diritto alla riservatezza degli individui di fronte al
crescente numero di mezzi (telematici, tecnologici) idonei a violare la
privacy degli individui con una facilità tale da risultare disarmante.
Ciò che in passato era oggetto delle fantasie romanzate di personaggi
del calibro di G. Orwell o Mc Luhan (“Grande Fratello” e “Villaggio
Globale” per tutti) è oggi realtà attualissima e concreta. Il problema
giuridico della tutela della riservatezza si fa ancora più spinoso
quando si ponga mente ad un fatto: a tutt’oggi i Governi e Parlamenti
di buona parte degli Stati (soprattutto occidentali) sono propugnatori
4
Profili costituzionali della tutela del diritto alla riservatezza
di una politica volta all’abbattimento delle barriere economiche,
sociali, politiche e giuridiche, sì da creare un vastissimo spazio
comune in cui i rispettivi cittadini siano in grado di spostarsi pur senza
perdere quei tratti storici distintivi che li caratterizzano. E’ quella che
viene chiamata “Libera Circolazione”: di merci, servizi, capitali e
individui. In particolar modo il problema si è posto per la circolazione
delle informazioni. Si tratta di contemperare esigenze a prima vista
inconciliabili, quali quelle di garantire la “circolabilità” delle
informazioni personali senza invadere o peggio ledere il diritto alla
riservatezza. L’obiettivo della tutela della riservatezza non è stato
oggetto di un unitario studio normativo, ma si è evoluto distintamente
nei vari paesi man mano che il problema si poneva. Può dirsi, senza
timore di essere smentiti, che in Italia lo studio del diritto alla
riservatezza è materia relativamente recente. Studi che hanno
contribuito in maniera determinante a rafforzare l’interesse, il dibattito
intorno alla regolamentazione legislativa di questo diritto; dibattito
che è sfociato nella redazione nel 1996 della legge 675 intitolata
“Tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento dei
dati personali”. Questa legge ha il compito di colmare
un’imbarazzante lacuna presente nella legislazione italiana, e che
5
Profili costituzionali della tutela del diritto alla riservatezza
faceva dell’Italia l’unico Stato europeo carente di una normativa
dettata a tutela del diritto alla riservatezza dei dati personali, in netto
contrasto con le legislazioni di altri paesi dell’UE (Spagna, Portogallo,
Francia, Germania, Svezia ecc.) che si sono dotate persino di norme in
materia di rango costituzionale. Proprio nell’ambito della materia
costituzionale, però, l’Italia paga la “obsolescenza” intrinseca della
sua Costituzione, redatta come sappiamo nel 1948 e quindi in tempi
non sospetti in cui l’esigenza di tutela di diritti nuovi e mutevoli, quale
quello alla riservatezza erano ancora da venire; e, in effetti, non si
riscontra un esplicito riferimento a questo diritto in tutta la Carta. Ne
dobbiamo quindi ricavare che il diritto alla riservatezza è privo di
tutela costituzionale? Ovviamente no. Così come lo scienziato usa il
microscopio per rendere visibile quello che l’occhio umano non
percepisce, così anche noi dobbiamo andare alla ricerca di quello che
potrebbe essere implicito nel dettato costituzionale, analizzando con
lettura attenta quegli articoli che potrebbero svelarsi idonei a
ricomprendere nel loro grembo il diritto alla riservatezza. Questo è
l’obiettivo che questa ricerca si propone, cioè vedere come la
Costituzione possa efficacemente garantire una tutela di rango
costituzionale ad un diritto che a prima vista ne risulta escluso.
6
Profili costituzionali della tutela del diritto alla riservatezza
CAPITOLO 1
LA NASCITA DEL DIRITTO ALLA RISERVATEZZA E LA SUA
EVOLUZIONE
1.1 Il caso Warren e Brandeis
Parlare di diritto alla privacy quale nuovo diritto è in un certo
qual modo sbagliato, in quanto una teoria del diritto alla privacy è
stata formulata già sul finire del secolo scorso. Nel 1880 appare per la
prima volta il termine privacy, usato per identificare una nuova
esigenza di libertà personale: il “right to privacy” appunto.
L’espressione appare come titolo di un articolo di S.D. Warren e L.D.
Brandeis, pubblicato poi nel 18901. Questi designarono il diritto alla
privacy come il diritto a starsene soli (to be let alone), il diritto di
godere della vita. Diritto che già allora veniva minacciato dalle
sempre più numerose intrusioni nella vita privata, perpetrate dai mezzi
di comunicazione di massa, in una società sempre più bisognosa di
informazioni. I giornali quotidiani all’epoca avevano già raggiunto
una diffusione tale da rendere facilmente di pubblico dominio una
notizia, che in condizioni normali sarebbe dovuta rimanere riservata.
Nel caso specifico tutto nacque da un episodio accaduto allo stesso
1
Warren A. Brandeis, in Harvard Law Review, 1890, 193. Traduzione italiana di Stefano Serra.
7
Profili costituzionali della tutela del diritto alla riservatezza
Warren: questi aveva sposato la figlia di un facoltoso senatore, e
conduceva una vita dispendiosa e dedita al lusso e alla mondanità,
particolari questi che avevano attirato la curiosità e la critica dei
giornali. Proprio per protestare contro quella che lui considerava una
vera e propria violazione della sua vita privata, si associò ad un suo
vecchio compagno di studi, Brandeis appunto (poi diventato giudice
della Corte Suprema), per portare davanti ai tribunali americani il
problema del “right to privacy” (diritto alla riservatezza) chiedendo
che di questo fosse data un’adeguata tutela giuridica. In particolare il
proposito era quello di “considerare se l’attuale legislazione contenga
un principio che possa essere invocato appositamente a protezione
della vita privata dell’individuo; e, in caso positivo, quale sia la
natura e l’ampiezza di esso.”2 L’invettiva dei due studiosi si rivolse
verso la crescente espansione e perfezione dei mezzi di
comunicazione, i cui comportamenti sempre più invasivi
richiamavano l’attenzione sul passo inevitabile che doveva compiersi
per la tutela della persona umana, ovvero, garantire all’individuo il
diritto << al rispetto della solitudine>>. Fotografie istantanee e servizi
giornalistici, avevano ormai invaso i confini della vita privata. Sulla
2
Traduzione da op. cit. nota 1. Traduzione italiana di Stefano Serra
8
Profili costituzionali della tutela del diritto alla riservatezza
necessità di tale protezione, d’altronde, non c’erano dubbi: il
pettegolezzo si era trasformato da occupazione tipica dei fannulloni in
vera e proprio merce di scambio, dando vita ad un’attiva industria del
commercio di informazioni. Pratica questa che andava a chiudere un
circolo vizioso in cui l’offerta creava la domanda, e ogni pettegolezzo
diventava fonte di ulteriori pettegolezzi, e così via verso uno
scadimento dei modelli di comportamento morali e sociali. Tutto ciò
avveniva ovviamente senza che coloro che erano oggetto del
pettegolezzo potessero efficacemente opporsi, se non facendo ricorso
agli strumenti messi loro a disposizione dalle leggi contro la
diffamazione e la calunnia. I principi su cui questi strumenti si
basavano erano però fondati su una serie di conseguenze del tutto
diverse da quelle su cui si voleva attirare l’attenzione.
Warren e Brandeis sostennero che il diritto comune garantisce
a ciascun individuo, il diritto di determinare in quale misura il suo
pensiero, i suoi sentimenti o emozioni possano essere comunicati agli
altri. Lo stesso ordinamento giuridico, inoltre, non conteneva norme
che costringessero un soggetto a renderli manifesti e anche quando
questi scelga di renderli noti, mantiene sempre il potere di fissare
entro quali limiti quelli saranno resi pubblici. La particolarità del
9
Profili costituzionali della tutela del diritto alla riservatezza
diritto alla privacy risiede, però, nel fatto di essere un diritto
immateriale e come tale estensibile a qualsiasi evento un soggetto
possa mettere in atto, indifferentemente dal mezzo utilizzato per farlo
(parole, musica, segni, dipinti ecc.). In tutti questi casi, l’individuo
deve essere libero di decidere se ciò che gli appartiene debba essere
reso pubblico, e nessun’altro deve avere il diritto di farlo senza il suo
consenso. In definitiva quello che ci si prefigge di tutelare è la serenità
interiore e il conforto di poter in qualsiasi momento impedire una
qualunque pubblicazione. Warren e Brandeis individuarono
nell’applicazione del diritto di proprietà la natura e il fondamento del
diritto alla privacy. In effetti questo diritto può ben essere difeso con
le normali azioni di rivendica, proprio perché impedendo la
pubblicazione di manoscritti, fotografie, dipinti e di tutti quei mezzi
che sono oggettivamente percepibili, implicitamente si assicura la
possibilità che con il divieto si possa tutelare la salvaguardia del
decoro, dei sentimenti e quindi della riservatezza dell’autore di quelli.
L’individuo viene messo nella possibilità di impedire che attraverso la
pubblicazione di quelle opere possa essere scoperta la parte della sua
personalità che invece egli vuole rimanga nascosta. Certo l’utilizzo del
principio proprietario è pur sempre una finzione, ma è anche vero che
10
Profili costituzionali della tutela del diritto alla riservatezza
lo scopo di chi divulga pettegolezzi è ottenuto utilizzando un qualcosa
che appartiene ad altri, in quanto tali fatti attengono alla vita privata di
un altro individuo, il quale avrebbe preferito non divulgarli. Tali
considerazioni portano alla conclusione che la protezione di pensieri,
sentimenti, emozioni in qualsiasi modo espressi, e la cui protezione
può spingersi sino al divieto di pubblicazione, sono un’applicazione
del generale diritto alla riservatezza; così come il diritto a non essere
diffamati, il diritto a non essere percossi, imprigionati ecc. si fondano
sulla loro qualità di essere “posseduti” (attributo, questo, proprio della
proprietà) è certamente conveniente parlare in questi termini anche
con riferimento al “right to privacy”. Ciò non deve portare però
all’estremizzazione di questi concetti; il diritto alla riservatezza non va
infatti inteso come assoluto divieto alla pubblicazione di qualsiasi
materia. Evidentemente ci sono dei fatti che rivestono una particolare
importanza dal punto di vista dell’interesse pubblico o generale. Si
faccia l’esempio di un soggetto che abbia difficoltà nel relazionarsi
agli altri, nel parlare o non riesca a pronunziare correttamente le
parole ecc., la pubblicazione di tali suoi difetti rivestono una ben
diversa importanza a seconda che quello stesso soggetto venga
chiamato a rivestire una carica pubblica o meno. Nel primo caso
11
Profili costituzionali della tutela del diritto alla riservatezza
commentare quei difetti non travalicherebbe i limiti della normale
convenienza, c’é infatti un interesse sociale da difendere e tale
interesse non è sacrificabile.
Discorso diverso deve farsi se si trattasse di un soggetto
privato, in questo caso ci troveremmo davanti ad un’inaudita
violazione arbitraria di un suo diritto. Non esisterebbe nessun interesse
sociale da anteporre a quello personale e intimo. L’obiettivo generale
in questione è la protezione della riservatezza della vita privata.
Poiché l’opportunità di pubblicare quegli stessi fatti dipende
esclusivamente da variabili riconducibili alla persona di cui si tratta,
ecco che occorrerà utilizzare regole sufficientemente elastiche da
poter abbracciare caso per caso ogni singola variazione. Ciò comporta
una più difficile applicazione del diritto alla privacy, tanto che si
rischia un suo utilizzo fallimentare. In via generale quindi si può
affermare che la pubblicità dovrebbe essere impedita in tutti quei casi
in cui gli argomenti di cui è oggetto siano riconducibili alla vita
privata, alle abitudini, alle azioni e alle relazioni che un individuo può
assumere senza che vi sia una significativa relazione con la capacità di
quel soggetto a rivestire una carica pubblica o qualsiasi altra funzione
riconducibile alla tutela della comunità stessa in cui egli opera.
12