Introduzione
È difficile tener nella mente
l'immagine del male. Si fa
di tutto per cancellarla.
Raymond Queneau – Segni, cifre, lettere
«Delle rane essendo scontente per la propria mancanza di un'autorità inviarono degli
ambasciatori a Zeus per chiedere di procurare loro un re. Ed egli conoscendo la loro
ingenuità gettò un legno sulla palude.
E le rane dapprima spaventate per il rumore si immersero nelle profondità della
palude, ma in seguito, quando il legno fu immobile, risalite giunsero a tal punto di
disprezzo che addirittura salite su di esso vi si sedevano sopra.
E mal sopportando di avere un tale re si recarono per la seconda volta da Zeus e lo
esortarono a cambiare loro il governante. Infatti il primo era troppo inattivo.
E Zeus sdegnatosi con loro mandò loro una biscia, dalla quale, catturate, venivano
divorate. Il racconto dimostra che è meglio avere dei governanti inattivi che
sovvertitori.»
Riteniamo che a introduzione del nostro lavoro nulla avrebbe potuto essere più adatto di
una vecchia favola del grande scrittore greco Esopo (620 a.C. ca. – 560 a.C. ca.), che a
distanza di secoli impartisce una lezione buona per tutti ma in particolar modo per gli
Italiani. Probabilmente anche Borgese ebbe modo di pensare alla stessa favola durante
la composizione di Golia. Marcia del fascismo, oggetto del nostro lavoro e magistrale
pilastro della letteratura del Novecento, condannata sin da subito all'oblio sia per
l'antifascismo senza sconti dell'autore sia a causa di molteplici ragioni che avremo modo
di analizzare in seguito.
Golia fu composto in America tra il 1935 e il 1937, tra Boston e Chicago, sedi delle due
università in cui Borgese insegnerà in quegli anni (lo Smith College di Northampton e la
Boston University), dopo essere stato chiamato in California, dalla Berkeley University,
come visiting professor, nel 1931. Sarà questo l'inizio di un esilio durato diciotto anni,
con un solo rientro temporaneo, nel 1948.
4
Sarà la casa editrice statunitense Viking Press, fondata da Harold K. Guinzburg e
George S. Oppenheimer pochi anni prima (nel 1925) a pubblicare l'opera per la prima
volta, scritta in inglese dall'autore e uscita col titolo di Goliath, the March of Fascism
nel 1937 e subito ristampata nel 1938.
Un'opera nata e maturata in territorio americano dunque, tanto che nella prefazione alla
prima edizione italiana (1946), composta da Borgese a Riverside, nel Connecticut, nel
novembre del 1945, egli non solo ringrazia vivamente la traduttrice - Doletta Caprin
Oxilia – per i rischi corsi durante il lavoro, condotto in tempi ancora pericolosamente
sospetti, ma non può fare a meno di ammettere la sua incapacità di chiamare la propria
opera col titolo italiano: «esce finalmente Goliath in italiano, che non so risolvermi a
chiamare Golia».
Le ragioni dell'utilizzo della lingua inglese nella composizione dell'opera sono spiegate
dallo stesso Borgese: se all'emigrato tedesco rimaneva comunque la possibilità di essere
letto nella Svizzera germanofona e in Austria, e a quello spagnolo di trovare ampio
pubblico nella maggior parte dell'America Latina, l'italiano non aveva da chi farsi
leggere fuori dalla Penisola; l'inglese, che egli perfezionò giorno per giorno al motto di
«“swim or sink”», vale a dire “bere o affogare”
1
», gli permise di raggiungere un vasto
numero di lettori, al punto che Goliath fu ritenuto degno di comparire
nell'Encyclopaedia Britannica.
Ma chi è veramente Golia? Perché Borgese scelse proprio questo nome per la sua
opera? Golyat (il cui nome significa, non a caso, passaggio, rivoluzione) è il capo dei
Filistei, menzionato nella Bibbia nel primo libro di Samuele e famoso per la sua
battaglia col giovane Davide, membro dell'esercito di Saul e futuro re degli Israeliti.
Golyat, secondo il profeta e giudice (in senso biblico, capo militare e civile) Samuele,
non è esattamente un fuscello: «Dall'accampamento dei Filistei uscì un campione,
chiamato Golia, di Gat; era alto sei cubiti e un palmo. Aveva in testa un elmo di bronzo
ed era rivestito di una corazza a piastre, il cui peso era di cinquemila sicli di bronzo
2
».
1 In realtà Borgese qui opera una traduzione un po' libera del modo di dire inglese sink or swim,
letteralmente nuotare o affondare, che per gli angloamericani ha più il significato italiano di o la va o
la spacca.
2 1 Samuele 17, 4-5
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Golia era dunque alto circa 2,75 metri e reggeva comodamente un peso compreso tra i
50 e i 65 chili.
In Borgese Goliath è dunque prima di tutto il simbolo della rivoluzione, nel senso più
oggettivo del termine, quale stravolgimento, rovesciamento dell'ordine, sommossa e
confusione; in secondo luogo, diventa sinonimo di fascismo (e successivamente di
nazismo), quale entità proteiforme e nebulosa, gigantesca e vorace, inarrestabile; in
terzo luogo Golia è un gigantesco coagulo nero, formato e sorretto dalle singole
complicità del popolo italiano, chi per paura, chi per complicità e interesse, chi per
debolezza, chi per pura idiozia; in quarto luogo, per sineddoche, Golia è l'altro nome di
Benito Mussolini, e di Adolf Hitler, scialbi e banali vetturini alla guida di un carrozzone
diventato rapidamente un inarrestabile carro da guerra.
Borgese sceglie Golyat, un personaggio biblico pur sempre uomo: non ci sono mostri
mitologici nel libro. L'autore avrebbe potuto appellarsi a Giobbe, e tirare in ballo
Behemot o Livyatan, ma non lo fece: non certo perché già ampiamente usati da Hobbes
(e da Blake) ma perché troppo subdolo e raffinato il primo e troppo bestiale e privo di
umanità il secondo. Il fascismo fu invece opera completamente umana e ad un uomo
bisognava pensare perché fosse adeguatamente rappresentato.
In luogo di Golia, allora, forse Borgese avrebbe potuto pensare al Golem, ad un gigante
d'argilla, di sembianze umane, formato dai singoli frammenti delle complicità di italiani
e stranieri, fortissimo ma incapace di usare il cervello, privo di sentimenti e di
emozioni; questo però avrebbe significato non solo avvicinare Mussolini e Hitler a
personaggi del calibro di Judah Loew ben Bezalel (1520 ca – 1609) ma avrebbe lasciato
passare l'immagine di un fascismo senza cervello. Senza cuore né sentimenti sì, ma non
certo senza ragionamento e interessi.
Meglio Golia allora, messo di fronte ad un Davide senza fionda e senza sasso, ad un
eroe che non c'è, e dunque libero di muoversi a piacimento, mentre il re Saul del
momento, Vittorio Emanuele III, soffriva per naturale statura il confronto col gigante, e
preferiva deporre immediatamente le armi.
6
Forse è Borgese stesso a volere vestire i panni di Davide, non solo col proprio libro ma
col proprio comportamento e con la propria integrità. Non sarebbe certo stato sufficiente
questo a battere il gigantesco nemico, ma è pur vero che il sasso, più volte lanciato,
spesso e volentieri fu allontanato dalla sua traiettoria, e non sempre per colpa degli
avversari; a volte anche il fuoco amico preferisce diventare nemico.
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PARTE PRIMA
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1. Giuseppe Antonio Borgese: la terza via dell'antifascismo
Ciò che conta non è tanto la conquista
d'un punto nello spazio o di una pur preziosa
nuova cognizione tecnica o scientifica,
quanto la creazione d'un nuovo clima morale
Giuseppe Berto – Colloqui col cane
Prima di comprendere i motivi e le particolarità dell'antifascismo di Borgese, riteniamo
doveroso in questo luogo tracciare una brevissima biografia, che non ha alcuna pretesa
di esaustività e che vuole semplicemente tratteggiare a grandi linee la vita di uno dei più
importanti personaggi della letteratura italiana del Novecento.
Giuseppe Antonio Borgese nasce il 12 novembre 1882 a Polizzi Generosa, paesino di
tremila abitanti a un centinaio di chilometri da Palermo. Iscrittosi nell'anno accademico
1899-1900 alla Facoltà di Legge di Palermo, per volere del padre, abbandonò quasi
subito gli studi giurisprudenziali per trasferirsi a Firenze, dove si iscrive all’Istituto di
Studi Superiori Pratici e di Perfezionamento
3
, seguendo, tra gli altri, i corsi di Pio
Rajna, Pasquale Villari
4
e Girolamo Vitelli. Laureatosi in Lettere nel 1903, con una tesi
di laurea dal titolo Storia della critica romantica in Italia, strinse da subito un solido
rapporto con Benedetto Croce, che pubblicherà il suo lavoro finale per le Edizioni della
Critica di Napoli, nel 1905.
Il giovane Borgese rivela nei suoi primi scritti un forte tratto estetico, naturalmente di
impostazione crociana, legato non poco all'opera di Gabriele D'Annunzio.
Collaboratore del settimanale «Il Regno» di Enrico Corradini già dal 1903, contribuisce
nello stesso anno alla fondazione della rivista «Leonardo» di Giovanni Papini e
Giuseppe Prezzolini, nata da ispirazioni nietzschiane, neo-idealiste e dannunziane.
3 Cioè l'Università di Firenze, che pur riconosciuta come istituto universitario a pieno titolo già dal
1860, potrà chiamarsi così solo dal 1923.
4 Che dell'Istituto fu anche fondatore.
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Fedele al proprio giovanile dannunzianesimo, nel gennaio del 1904 Borgese fonda la
rivista «Hermes» con la collaborazione di Corradini: i fascicoli della rivista, non a caso,
erano stampati a mano su carta filigranata, e guarniti di sofisticate incisioni in legno.
Tra il 1907 e il 1908 diventa corrispondente, e poi caporedattore, de Il Mattino di
Napoli, per conto del quale trascorrerà due anni in Germania, scrivendo importanti
articoli finalizzati all'idea di sprovincializzazione nazionale che il quotidiano intendeva
perseguire
5
. Passerà poi a La Stampa di Torino, .
Il 1909 è un anno importante per Borgese: oltre a dare alle stampe il suo saggio su
Gabriele D'Annunzio
6
, viene nominato docente di Letteratura tedesca all'Università di
Roma, diventando a ventisette anni il più giovane professore universitario di ruolo del
Regno d'Italia. È proprio Borgese, nel 1910, a usare per la prima volta l'aggettivo
crepuscolare, in un articolo de La Stampa a recensione della poesie di Marino Moretti,
Fausto Maria Martini e Carlo Chiaves.
Dal 1912 la collaborazione con il Corriere della sera, iniziata due anni prima, diventa
permanente, tanto che lo scrittore non abbandonerà le sue pagine fino alla morte. Nella
veste di redattore di politica estera per il quotidiano milanese, Borgese attraverserà gli
anni a cavallo della Grande guerra, per poi essere chiamato in Svizzera a dirigere, a
Berna, l’Ufficio Informazione e Stampa di Palazzo Chigi durante il governo di Vittorio
Emanuele Orlando (1916 – 1919). Sono gli anni dell'allontanamento da D'Annunzio ma
anche del Borgese nazionalista e interventista, di un interventismo, però, particolare,
emerso da un calderone fatto di nazionalismo democratico, patriottismo risorgimentale e
libertarismo.
Anni comunque fondamentali, fatti di importanti missioni diplomatiche (passati
soprattutto a contatto con diversi fuoriusciti jugoslavi), tra cui l'ideazione e
l'organizzazione del Congresso delle nazionalità oppresse dall’Austria-Ungheria,
conosciuto poi come Patto di Roma: la riunione, tenutasi l’8 aprile 1918, coinvolgerà
tutti i rappresentanti dei popoli dell’ex Impero austro-ungarico, per intraprendere le
trattative di pace conseguenti alla dissoluzione dell’Impero.
5 Gli articoli furono poi raccolti nel volume La nuova Germania (Milano, 1909)
6 Gabriele D'Annunzio, Ricciardi, Napoli 1909
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Innumerevoli gli strali ricevuti in questi anni dagli esagitati nazionalisti, che all'inno
della vittoria mutilata di dannunziana memoria, accusavano Borgese delle peggiori
sozzerie, complice di un trattato di pace che prevedeva la cessione della Dalmazia alla
Jugoslavia.
Sono questi anche gli anni in cui si consuma l'irrimediabile rottura con l'antico maestro,
Benedetto Croce, evidenziata all’indomani della pubblicazione, da parte del filosofo di
Pescasseroli, del saggio su Giambattista Vico (1911); Croce accuserà Borgese, in una
lettera a Prezzolini, di avere «dannunzianamente trattato» il suo lavoro, e chioserà la
lettera dichiarando profondo rammarico per il filosofo napoletano del 1700, che aveva
dovuto sopportare le parole di una simile disgrazia d'uomo qual era Borgese
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L’avvento del fascismo tormenterà sin da subito Borgese, che vedrà interrotte le sue
lezioni all’Università un giorno sì e l'altro pure, puntualmente tacciato con aggettivi
quali vigliacco e rinunciatario, reo di concordare con la decisione del Governo di
cedere la Dalmazia alla Jugoslavia.
Dal 1917 insegna all’Accademia scientifico-letteraria di Milano e nel 1926 diventa
professore ordinario presso l'Università di Milano, che per lui crea appositamente una
cattedra di Estetica. Una spregevole aggressione ai danni dei suoi studenti, nel 1931,
convincerà Borgese ad accettare l'invito a tenere un ciclo di lezioni in America, presso
Berkeley; vi rimarrà per diciotto anni. Da lì rifiuterà di prestare il giuramento di fedeltà
al regime imposto a tutti i docenti universitari.
Nel 1937 pubblica, in lingua inglese, Goliath: the march of fascism, e l'anno dopo
aderisce alla Mazzini society, una associazione fondata da un altro illustre esule,
Gaetano Salvemini.
Nel 1939 divorzia dalla moglie Maria Freschi e sposa la giovane Elisabeth Mann, figlia
di Thomas Mann, che gli regalerà due figlie, Angelica e Domenica; da Maria Freschi
aveva già avuto Leonardo e Giovanna.
7 Lettera proposta da Dario Consoli nell'edizione da lui curata dell'opera di Borgese Peccato della
ragione. Cfr. Dario Consoli (a cura di), Giuseppe Antonio Borgese, Peccato della ragione, Catania,
Prova d'Autore 2010, p. 61
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Borgese continua la sua avventura americana nella veste di direttore della rivista
Common Cause e segretario generale del Committee to Frame a World Constitution
(Comitato per la formulazione di una Costituzione mondiale) portando avanti le proprie
idee di Federazione Mondiale, e arrivando ad essere proposto, nel 1952, per il Nobel per
la Pace.
Nel frattempo continua la sua attività di docente: dal al 1932 al 1936 insegna Letteratura
italiana e Letteratura comparata allo Smith College di Northampton (Massachusetts), e
dal 1937 al 1948 insegna all’Università di Chicago. Rientrerà in Italia nel 1946 ma è
solo nel 1949 che vi si trasferisce definitivamente, riprendendo la sua vecchia di
Estetica all'Università di Milano. Scomparirà a Fiesole, dove ormai si era stabilito, il 4
dicembre del 1952.
Nel panorama della storiografia contemporanea a Borgese le origini del fascismo sono
state generalmente ricondotte a due tipi di cause ben definite: questioni di ordine
economico – sociale e motivi di ordine filosofico, riconducibili a teorie basate sul
determinismo e sull'idea hegeliana di percorso dialettico. Borgese rifiuta entrambe le
teorie, negando l'idea che il fascismo possa essere spiegato tramite teorie economiche o
spiegazioni sulla lotta di classe; il punto di partenza di Golia è, anzi, il rifiuto pressoché
totale – per lo meno in teoria – di un qualsiasi tipo di spiegazione necessaria del
fascismo, considerato da Borgese come una completa anomalia, frutto
dell'irrazionalismo più oscuro.
Più compiutamente, la spiegazione di Borgese si colloca in quella terza via
dell'antifascismo riunita attorno al concetto di teoria del ceto medio, secondo la quale il
fascismo fu un prodotto indipendente dalle dinamiche capitalistiche, frutto della
frustrazione e delle speculazioni della piccola borghesia italiana.
In realtà in Golia le indagini sulle origini del fascismo sono particolarmente caotiche,
nebulose, confuse; l'abituale freddezza del critico viene meno in questa grandiosa opera,
dove le urgenze autobiografiche, gli inevitabili rendez-vous col proprio passato, come la
condizione di 'esule', si scontrano con i doveri dello studioso.
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Il metodo di analisi storiografica dell'autore è in Golia assai particolare, privo del
consono apparato di note, a volte funestato da reticenze su nomi e dati (spesso perché
l'autore tende a darli per scontati, data la quasi contemporaneità degli eventi), non
raramente pieno di aporie, non sempre sostenuto da dati oggettivi, frequentemente
invaso da un autobiografismo che uno storico, di norma, avrebbe dovuto evitare.
L'idea di anormalità del fascismo che Golia tenta di teorizzare nelle sue cinquecento
pagine è in realtà la principale e somma contraddizione del libro, la cui tesi è in realtà
più embricata e complessa.
La posizione autonomistica che l'autore vuole chiarire sin da subito, quella di un
fascismo come sentimento irrazionale fiorito improvvisamente nelle menti dei piccoli
borghesi italiani, viene smentita quasi subito da una suggestiva disamina della storia
italiana, letteraria ma anche sociale e politica, che a partire da Dante racconta la secolare
nostalgia italiana dei fasti dell'Impero romano, causa prima dell'avvento del Ventennio.
Una disamina che avvicina molto Borgese alla Storia della letteratura italiana di
Francesco De Sanctis; una teoria rischiosamente semplicistica, pericolosamente
schematica, che in Golia, invece, si fa dialettica e ricca di spunti interessanti.
L'idea dell'Impero romano fu realmente strumentalizzata dal fascismo, e a parte i
folklori dannunziani, buoni al massimo per le coreografie di piazza, il mito della
romanità fu uno dei punti più avanzati dell'ideologia fascista, non solo come
giustificazione delle invasioni africane ma soprattutto come occasione per una nuova
religiosità, da porre lentamente in posizione concorrenziale rispetto al cattolicesimo
romano.
Le accuse che Borgese muove al fascismo, desideroso di creare una nuova civiltà,
fondata sulla militarizzazione della politica, sulla 'sacralizzazione' della creatura Stato
(coincidente col proprio duce, dunque con Mussolini e coi suoi eventuali successori)
non solo era fondata ma sarà ripresa decenni dopo da alcuni importanti storici.
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