29
2 IL CONCETTO DI STIGMA
2.1 Definizione e concetto di stigma
Lo stigma rappresenta un marchio visibile, un segno distintivo dalla connotazione
negativa con la capacità di gettare discredito e vergogna su coloro che ne sono
oggetto
21
.
Il termine riporta alla pratica di marchiare a fuoco e di segnare con il coltello criminali
traditori o schiavi in modo tale da creare un segno immediatamente riconoscibile.
Nell’antica Grecia, dove risiedono le origini della parola, così come nel Cristianesimo
il termine indicava alla collettività uno status da evitare e disprezzare: per i Greci uno
status morale, per i Cristiani in un’accezione metaforica indicava i segni corporali della
Grazia o del disordine fisico (Kozlovic, 2008)
22
.
Privando il termine del suo carico storico e rendendo più facilmente comprensibile il
suo significato la parola “stigma” è affine a quello di pregiudizio.
La parola pregiudizio deriva dal latino praeiudicium, con il significato di giudizio
anticipato, che nella lingua corrente ha assunto il significato di giudizio, opinione
errata che dipende da scarsa conoscenza dei fatti o da accettazione non critica di
convinzioni correnti
23
.
Lo stigma è quindi un pre-giudizio, un segno distintivo di disapprovazione sociale che
travalica i confini della singola patologia ed investe persone di diverse etnie, diverse
razze, età e patologie.
Molte sono le categorie di persone oggetto di giudizio, quella verso le persone affette
da malattia mentale è una discriminazione pervasiva e persistente. Si può affermare
che non vi sia univocità di rapporto tra lo stigma e i disturbi mentali i quali ne
rappresentano solo un campo di applicazione.
Tra i molti oggetti della discriminazione quello maggiormente interessato è il genere:
da un’indagine commissionata dall’assessorato alla pari opportunità della Regione
Emilia Romagna, dove oltre il 60% della mano d’opera femminile è impiegata, il 51%
degli intervistati ritiene che nel mondo del lavoro le donne siano soggette a
30
discriminazione di genere: avere famiglia, essere straniere, non avere una bella
presenza sono fra i fattori principali implicati.
24
Un altro campo in cui la discriminazione trova terreno fertile è il diverso per
eccellenza: l’immigrato. Il rapporto EUMIDIS, European union minorities and
discriminatione survey riporta i dati di un’indagine condotta tramite intervista diretta
ad un campione composto da 25000 immigrati e di 5000 europei reclutati in 27 stati
della UE. Per quanto riguarda le discriminazioni in aree significative come: cercare
casa, cercare e mantenere un lavoro, ottenere un mutuo, rapporti con personale
sanitario, negli immigrati vi è una percentuale che varia dal 44 al 64%, il quale riferisce
di essere stato vittima di discriminazione. Le discriminazioni riferite, rientrano in atti
penalmente perseguibili come ad esempio le aggressioni in percentuale dal 17 al
35%.
25
Secondo la ricerca condotta dall’UNAR, l’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni
Razziali, nell’ambito del progetto Diversitalvoro, sono molte le persone che non
riescono ad accedere al mondo del lavoro per una questione di discriminazione sulla
base di etnia, orientamento sessuale, disabilità.
L’indagine svoltasi in un periodo di dieci mesi (gennaio-ottobre 2012) fa emergere che
per due persone su tre di quelle che subiscono atti discriminatori si prospetta un futuro
di disoccupazione.
Figura 5 Ambiti in cui prevale la discriminazione
0,0% 10,0% 20,0% 30,0% 40,0%
Lavoro
Vita Pubblica
Mass media
Erogazione servizi
pubblici
35%
15,30%
15,10%
8,60%
31
Risulta evidente come le categorie nominate in precedenza come particolarmente
soggette a stigma e pregiudizio non abbiano tutte un punto in comune con la malattia
mentale.
Ciò rappresenta un utile elemento nella cura della persona che soffre di una patologia
mentale poiché, la consapevolezza e l’interiorizzazione di questa realtà permette alla
persona di non auto-discriminarsi.
L’auto-discriminazione è un’espressione della criticità degli aspetti soggettivi della
persona, una sorta di stigma interno descritto anche con il termine di “discriminazione
anticipata”.
Viene trattata dall’indagine INDIGO
26
come una parte cruciale del processo di
stigmatizzazione che la descrive come il risultato di una circolarità perversa che opera
sul piano delle reciproche aspettative negative e/o deluse nelle relazioni
interpersonali, piuttosto che sul piano del pregiudizio.
M. Spivak
27
, teorico di riferimento nel campo della riabilitazione psichiatrica descrive
come una spirale negativa il percorso che conduce ad una progressiva
desocializzazione e che è caratteristico di tutti i processi di stigmatizzazione.
Lo stigma, effetto del pregiudizio può colpire ogni momento-vita dell’uomo così come
ogni momento-malattia, di qualsiasi origine essa sia.
Lo stigma fu trattato in modo molto approfondito dal sociologo canadese Ervin
Goffman
20
, il quale nel suo saggio “Stigma. L’identità negata
28
” identificò lo stigma
come un discredito sociale permanente utile a indicare quei segni fisici associati agli
aspetti insoliti e criticabili della condizione morale di chi li ha .
E’ la società stessa a stabilire quali segni possono essere “normali” e quali “anormali”.
Goffman differenzia i segni che vengono percepiti come mancanze, alterazioni,
disonestà, malvagità; e segni o stigmi di origine tribale religiosa o nazionale che si
trasmettono di generazione in generazione contaminando così i membri di una
comunità.
Gli stigmi esistono presso tutti i popoli e fanno si che la persona in questione o il
gruppo sociale non siano considerati completamente umani, bensì molto affini alle
caratteristiche del demonio. Nello schema interpretativo che Goffman utilizza,
20
Ervin Goffman (Manville, 11 Giugno 1922 – Filadelfia, 19 Novembre 1982) sociologo canadese.
32
l’aspetto visivo è di fondamentale importanza poiché è proprio attraverso la vista che
lo stigma diventa palese. Egli infatti parla di “percettibilità” e di “codici visivi”.
Al fianco dello stigma che diventa palese vi è anche una parte di stigmi nascosti o che
devono rimanere tali se non in un contesto di grande intimità come la frigidità,
l’impotenza o la sterilità.
Nel suo libro Goffman indaga in modo molto approfondito tutte le dinamiche socio-
psicologiche dei micro-sistemi con cui le istituzioni e la società stessa controllano le
dinamiche attraverso le quali le persone colpite da un qualche stigma difendono la
propria identità.
Si delineano man mano due identità: “una identità sociale virtuale” che rappresenta la
facciata con cui una persona si mostra in società e “una identità sociale attuale” che
assegniamo agli altri dopo un contatto visivo, la percezione e i codici sociali che
abbiamo introiettato durante la nostra vita.
E’ proprio dall’incongruenza di queste due identità che prende vita il fantasma dello
stigma, come strumento attraverso il quale possiamo declassare e gettare discredito su
un particolare tipo di persona. Noi tutti seppure inconsapevolmente diamo importanza
ad attributi quali gli abiti, il portamento, la pulizia, il modo di parlare, e tutti quei segni
di status che usiamo per definire una persona a prima vista e che a loro volta ci
definiscono.
John Berger
21
affermò che “Il vedere viene prima delle parole”: il bambino guarda e
riconosce prima di essere in grado di parlare
29
. Il senso della vista è un’attività
processuale, l’oggetto si forma come input sensoriale, noi lo vediamo e poi la nostra
mente compie su di esso la sua azione: categorizzazione, significazione e
interpretazione. E’ solo ora che lo pensiamo
30
. (Kanisza 1991
22
)
Lo stigma risiede negli occhi di chi guarda.
21
John Peter Berger (5 Novembre 1926, Londra) è un critico d’arte, scrittore e pittore inglese
22
Gaetano Kanizsa (18 Agosto 1913, Trieste- 13 Marzo 1993, Trieste) è stato uno psicologo e pittore
italiano
33
2.2 Stigma e Disturbo mentale
Nel caso della persona affetta da disturbo mentale la questione “pregiudizio” si
complica ulteriormente. Le caratteristiche generali dello stigma e la sua connotazione
particolarmente denigratoria e negativa, nel momento in cui si associano alla malattia
mentale, aggiungono un significativo ostacolo al progredire del trattamento, nel caso
in cui esso sia in atto o nel peggiore dei casi ritardano o impediscono l’accesso alle
cure.
Finzen
23
, nel 1996 riferendosi allo stigma verso la schizofrenia parlò di “seconda
malattia”
31
poiché capace di determinare un peggioramento delle condizioni di vita
oggettive e soggettive.
Ma come può lo stigma influenzare l’outcome del trattamento?
In primis possiamo sottolineare come sia molto diffusa la non accettazione di soffrire
di una malattia mentale. Non è facile accettare senza conseguenze una diagnosi che
porta con sé un carico emotivo e di disabilità molto imponente.
La forte vergogna nell’ammettere a sé stessi di essere un “malato di mente” produce
un ritardo nell’accesso alle cure ed impedisce la precoce reperibilità di risorse che
potrebbero favorire un decorso positivo.
E’ immaginario comune che un malato mentale sia una persona incapace, dal punto di
vista della persona ammalata però accettare una generalizzazione così invalidante è
molto difficile.
Di conseguenza sono le persone in primis ad avere difficoltà ad ammettere, anche solo
a sé stesse, di soffrire di un disturbo mentale, e quindi rifiutare o rimandare il
trattamento.
E’ sovente che gli stessi familiari attendano mesi o anni prima di sottoporre il
congiunto malato all’attenzione di figure dedicate poiché non riescono a concepire che
la persona a loro cara corrisponda ai loro stereotipi sulla malattia e non vogliono o non
riescono a sopportare la vergogna associata.
Vi è una pervasività del pregiudizio, che porta le famiglie a diventare essi stessi
produttori di stigma, per esempio quando, per avvalorare la loro causa, per rendere
23
Asmus Finzen (24 Febbraio 1949, Taarstedt) medico e professore di pischiatria sociale
34
l’idea del carico emotivo-assistenziale che una malattia mentale porta, si ritrovano a
sottolineare unicamente gli aspetti più difficili e dolorosi del loro familiare
32
.
Lo stigma si riproduce su ogni tipo di terreno, sia esso consapevole o
inconsapevole.
D’altra parte sussiste il rischio opposto e cioè che chi soffre di queste patologie si adatti
all’idea che comunemente vi è della persona “malata di mente” considerandosi
incompetente e rispondendo così in modo peggiore ai trattamenti.
E’ provato da molti studi, tra cui lo studio di Doherty
33
, che i pazienti che accettano la
diagnosi a loro associata rispondano in modo molto inferiore alla cura rispetto a coloro
che la rinnegano. Ulteriori conferme in merito arrivano da uno studio di Warner
34
il
quale rileva come i pazienti psicotici che ammettono la malattia hanno un basso livello
di autostima e non riescono a esercitare un pieno controllo sulla loro vita.
Lo stigma quindi, anche se autoinflitto (self-stigma), rappresenta una dimensione di
forte sofferenza che aggrava l’esperienza di malattia della persona limitandone
l’accesso alle risorse sociali, come ad esempio l’opportunità di trovare casa e lavoro
35
,
inducendo una più bassa qualità di vita, una più bassa autostima, ostacoli e barriere nel
ricorrere a cure mediche
36
.
Rappresenta la principale causa della mancata richiesta di aiuto, dimostrato anche
dall’esistenza dell’evitamento esperienziale, il quale rappresenta un modo socialmente
incoraggiato e approvato di negare i pensieri e/o i sentimenti difficili e dolorosi. E’
inteso come il tentativo di ridurre, evitare o sfuggire alle emozioni difficili, ai pensieri
o alle sensazioni, anche se evitare queste esperienze significa di fatto rischiare di
peggiorare il disagio provato, causando spesso gravi conseguenze psicologiche e
fisiche che vanno ad intaccare il normale sviluppo della propria vita familiare,
lavorativa e sociale
37
.
L’evitamento esperienziale è un argomento che ritrova forte riscontro nella letteratura
scientifica, che lo sottolinea come un fenomeno ampiamente problematico e
contribuisce a sua volta a molti problemi comportamentali come la depressione,
l’abuso di sostanze, psicosi, ansia e in ultimo ma non per importanza all’adeguamento
alle condizioni mediche croniche
38
.
Lo stigma è una macchina che si autoalimenta.
35
Vi sono molte false credenze e stereotipi nei confronti del malato mentale che la
popolazione in generale tende a mantenere: inguaribilità, incurabilità, violenza e
pericolosità, inaffidabilità, mancanza di volontà, incomprensibilità, mancanza di
razionalità e di capacità di scelta, imprevedibilità, impossibilità di lavorare,
ingravescenza della sintomatologia ed in ultimo: la malattia mentale è sempre colpa
della famiglia.
39
Accade quindi di confrontarsi tutt’oggi con credenze frutto di secolari retaggi di
mistero e magia che circondano “la pazzia”, in particolar modo la schizofrenia, e
perdipiù ci si trova a dover combattere contro il mondo dei mass media che
contribuisce a mantenere in vita falsi miti.
2.3 Stigma e media
I media alimentano la figura dello schizofrenico come un individuo violento,
inaffidabile, imprevedibile, indolente ed irrazionale e della patologia in genere come
permanente e progressiva. La cinematografia è in continua produzione di scienziati
pazzi, medici fanatici e assassini folli, come quelli ben noti di “Psycho” e de “Il
silenzio degli innocenti”.
In “Terminator 2”, film visto da 160 milioni di spettatori, nelle scene girate
nell’ospedale psichiatrico, gruppi di pazienti vestiti di grigio sono guidati da infermieri
imponenti che brandiscono manganelli.
Ed ancora nel film “Qualcuno volò sul nido del cuculo”, vincitore dell’Academy-
Award nel 1975, girato nello State Hospital di Oregon, vennero utilizzate delle figure
alternative ai veri pazienti poiché questi non furono ritenuti abbastanza eccentrici.
Anche la stampa e la televisione non sono da meno nel mantenere questa linea: i
personaggi affetti da malattie mentali sono raffigurati come violenti e privi di qualsiasi
caratteristica positiva persino nei cartoni animati impostando lo stereotipo sin dalla
tenera età, basti pensare alla miriade di scienziati pazzi nelle animazioni per i più
piccoli.
Lo scienziato pazzo è una figura stereotipata, non necessariamente malvagio, ma
spesso sbadato, folle, eccentrico e maldestro. Lavora spesso con tecnologie avanzate
36
ed immaginarie allo scopo di portare a compimento i suoi piani perversi, giocando
spesso ad essere Dio, il padrone del Mondo.
Lo scienziato pazzo non è necessariamente un genio del male malgrado i due stereotipi
spesso si sovrappongono è però ossessivamente coinvolto dai suoi studi.
La più recente rappresentazione dello scienziato pazzo è il cartone animato “Il
laboratorio di Dexter”, il cui protagonista, Dexter presenta tratti di megalomania ed
ossessione per i suoi studi, con fondi illimitati e laboratori segreti.
Di frequente nella spettacolarizzazione mediatica troviamo il plastico dell'omicidio,
ricostruzioni dell'accaduto al limite del morboso, l’estremizzazione del caso
psichiatrico e le diagnosi a distanza, processi fatti sotto i riflettori prima ancora che si
siamo pronunciati i giudici.
Accanto ai casi più eclatanti, più in generale, c'è anche la più diffusa e capillare
inadeguatezza di tanti media nel trattare in maniera corretta una materia “sensibile”
come le malattie mentali, che le famiglie vivono fra mille difficoltà e vergogna. Basta
pensare all’alone oscuro che per anni ha accompagnato la vicenda degli OPG, dove
sono reclusi non solo serial killer ma anche persone che hanno commesso reati
bagatellari
24
, come è risultato dalle indagini della Commissione Sanità del Senato che
ha portato alla decisione di chiuderli.
Il film “C’era una volta la città dei matti” ci offre uno sguardo reale sull’argomento
tanto temuto degli OPG. Ci presenta gli ospiti, i pazienti-carcerati e gli infermieri-
carcerieri, quelli che non a caso venivano chiamati “ispettori”. Offre uno sguardo
sull’ambiente disumanizzante e su quelle che sono le storie dei singoli, che non celano
delitti efferati bensì storie di umana sofferenza.
Ricostruire con precisione i fatti accaduti è il compito di ogni cronista e di ogni regista.
Ma la necessità di riportare una notizia in tempi brevi, di essere sintetici, di stimolare
la curiosità del lettore può comportare, non solo nella titolazione, ma anche nella
stesura dell'articolo, l'uso di una terminologia non precisa, che concede troppo ai
24
bagatellare (meno com. bagattellare) agg. [der. di bagatella, bagattella, per adattam. del ted.
Bagatell, in posizione attributiva nelle espressioni qui citate]. – Nel diritto tedesco e in quello
austriaco (conservato fino al 1929 nella Venezia Giulia e Tridentina), sono detti processi b. (ted.
Bagatellprozess) quei processi civili che per il lieve valore dell’oggetto controverso si svolgono con
forme semplificate, secondo cioè la procedura b. (Bagatellverfahren), e che si distinguono dai
processi ordinarî soprattutto per la limitata impugnabilità delle sentenze. Per estens., reati b., nel
linguaggio forense, quelli che, per la loro minima lesività, hanno minore rilevanza sociale e possono
quindi essere repressi con sanzioni contravvenzionali o amministrative.