7
CAPITOLO 1- Definizione del concetto del managerialismo
modelli e teorie
8
CAPITOLO 1- Definizione del concetto del managerialismo: modelli e teorie
1.1- Definizione concettuale del managerialismo
Il termine manager deriva dal verbo inglese to manage il quale deriva a sua volta
dall’italiano maneggiare che nella Toscana del XVI secolo, significava ”trattare con le mani,
saper usare qualcosa con particolare abilità, amministrare”.
Lo troviamo per la prima volta nell’enciclopedia Hoepli del 1985 con questa
definizione: “nell’impresa moderna, dirigente è colui che assume direttamente la funzione
dell’imprenditore”
1
.
Il termine manager secondo la definizione di Mario Grasso
2
, “ha acquistato nel
tempo un significato a più largo spettro, investendo anche le fasce più alte dei professionisti
che sino a pochi anni or sono facevano parte della più ammucchiante definizione di
impiegati “
Infatti, nonostante l’uso inflazionato del termine, rimane tuttavia inalterata la valenza
imprenditoriale della funzione manageriale: “il manager è una persona che è in grado di
intraprendere il proprio ruolo in termini imprenditoriali”
3
.
Il termine “imprenditore” viene comunemente usato per soggetti impegnati in un
lavoro in proprio, ma in realtà tale termine è tutt’altro che preciso, in quanto rinvia a
condizioni, soluzioni organizzative, risorse professionali ed economiche, tipi di attività assai
diverse.
Viene così introdotta una prima distinzione tra lavoratore autonomo e imprenditore,
anche se spesso, soprattutto nelle piccole imprese, tra le due realtà non esistono tagli netti,
ma passaggi evolutivi e differenze di gradi.
Ritornando al nostro oggetto d’analisi che sono le donne, non possiamo invece
definire le “imprenditrici” come una categoria omogenea, in quanto sono diverse le
motivazioni, i vissuti personali e lavorativi, le risorse impiegate nel dar vita ad un’impresa;
inoltre i percorsi delle donne che avviano un’azienda sono spesso segnati da discontinuità e
da cambiamenti.
Senza entrare in merito a spiegazioni giuridiche complesse e poco utili ai fini della
mia ricerca, ho preferito scegliere una definizione funzionale e assumere il termine
1
Grasso M. (1998), Fare il manager, essere manager, Milano, Franco Angeli Editore, p. 7
2
(ivi p. 8)
3
(ibidem)
9
“imprenditore” per designare un soggetto che svolge un’attività autonoma che non si limita
all’esercizio di un mestiere, ma che comporta il coordinamento del lavoro di altri
4
.
Dai manager tutti si attendono che sappiano gestire una collettività di persone, piccole
o grandi che siano e che sappiano ricomporre i conflitti interpersonali; saper guidare le
situazioni, capire le evoluzioni, prevedere i cambiamenti.
Il manager, deve accettare di operare in una realtà che procede per tentativi, che
richiede di saper imparare dagli errori ma anche di perseverare in una situazione di
incertezza, senza ripiegare nella ricerca di conferme.
Inoltre, vorrei leggere l’imprenditorialità oltre che come fenomeno economico anche
come fenomeno culturale avvertendo che «l’agire imprenditoriale costituisce un archetipo
dell’azione sociale» e osservando che «il significato simbolico dell’im/prendere o
dell’intra/prendere è racchiuso nella figura mitologica di Mercurio e del carattere mercuriale:
astuzia, intelligenza pratica, creatività ed apertura al nuovo e all’avventuroso»
5
.
4
Franchi M. (1992), “Le regole del gioco: un percorso di lettura”, in Franchi M. (a cura di), Donne
imprenditrici. Le regole del gioco, Milano Franco Angeli Editore.
5
Bruni A., Gherardi S, Poggi B. (2000), All’ombra della maschilità. Storie d’imprese e di genere, Guerini,
Milano 2000, p. 1
10
1.2. Una nuova figura del manager: l’intraprenditore
Ho trovato molto utile ai fini della mia ricerca, la definizione di Ronnie Lessem che
definisce una nuova figura, quella “dell’intraprenditore”
6
.
Secondo Ronnie Lessem, uno dei più noti specialisti inglesi di management
development, al termine “intraprenditore” associa il concetto di tensione creativa, poiché
“intra” ha il significato di entrare e “ prenditore” - dal verbo prendere - impegnarsi.
In questa sfera si trova non un particolare tipo di manager ma tutto il ventaglio di
personaggi protesi allo sviluppo aziendale, dall’innovatore, al realizzatore, al leader,
all’imprenditore, al protagonista del cambiamento, all’animatore.
Secondo l’autore, il termine “intraprenditore” assume un duplice significato: supera la
divisione concettuale fra attività manageriale e attività imprenditoriale e, in secondo luogo, fa
da ponte fra impresa e sviluppo.
Il termine “impresa” deriva dal vecchio mondo istintivo del piccolo commercio, dove
si riteneva che imprenditore si nasce e non si diventa; quello di sviluppo fa parte del nuovo
mondo, quello in cui viviamo, dove le capacità imprenditoriali si possono sviluppare.
1.2.1- Kevin Kiingsland: La teoria dello spettro tipologico
Ronnie Lessem ha cercato di analizzare la grande spaccatura che divide il manager
dall’imprenditore con vari “archetipi”, ciascuno dei quali opera con successo all’interno della
propria sfera d’azione, volta sia agli aspetti personali sia a quelli professionali, in cui si
esprime l’intera gamma delle potenzialità imprenditoriali, adottando un particolare criterio
d’indagine rivolto sia agli aspetti professionali che caratteriali chiamato “teoria dello spettro
tipologico”.
Questa teoria è stata elaborata da Kevin Kiingsland
7
che ha impiegato diversi anni
sperimentandone i principi con studenti di psicologia e d’economia.
Si tratta fondamentalmente di un modello di comunicazione, infatti secondo l’autore
noi comunichiamo attraverso uno spettro le persone emanano e ricevono di rimando sette tipi
di energia; questi sette tipi di energia personale paragonati secondo l’autore ai colori
dell’arcobaleno sono carichi di potenzialità latenti e di forza reali.
6
Lessem R. (1998), Il nuovo Intraprenditore, 7 storie di successi-Gli archetipi della nuova managerialità,
Milano, Franco Angeli Editore, p.3
7
( ibidem)
11
Ogni persona è paragonata ad un edificio di sette piani, dove per ciascun piano brilla
una luce di colore diverso, per esempio al settimo piano vi splende “l’ispirazione”al sesto
“l’intuizione”, al quinto “l’autorità”, al quarto la “forza di volontà”, al terzo segue
la”flessibilità”, al secondo “l’entusiasmo” e infine al primo piano si accende la luce
“dell’energia fisica”.
Riconoscere lo spettro della propria personalità porta a sviluppare il senso di
individualità, a mano a mano che ci scopre riflessi negli altri.
L’esame dello “spettro tipologico” basato sul modello di comunicazione e di
comportamento è stato ideato per “tracciare un profilo” della personalità e dello stile della
leadership.
Ho trovato interessante citare solo quattro dei sette personaggi individuati da Ronnie
Lessem
8
per spiegare la teoria dello “spettro tipologico”; questi quattro personaggi sono un
esempio di donne manager hanno conseguito successi, ognuna a modo proprio e in campi
diversi; inoltre ho pensato che la teoria scelta dall’autore per identificare gli aspetti
professionali e caratteriali potesse essere un mezzo utile per poter delineare la personalità, la
professionalità e le capacità manageriali delle donne da me intervistate:
• La designer Mary Quant ha dimostrato una notevole inventiva per la creazione di
nuovi modelli e una grande lungimiranza nel cogliere le potenzialità di un mercato
quasi totalmente inesplorato. In settori così vasti, che vanno dalla moda, alle
acconciature per capelli, alla cosmesi e all’arredamento per la casa ha raggiunto
un’eccezionale notorietà in tutto il mondo femminile e non. Mary ha capito ciò che la
gente voleva e, con la collaborazione di molti fabbricanti e distributori, ha creato i
prodotti giusti al momento giusto. Mary possiede una personalità magnetica e un
acuto spirito di osservazione.
• L’artefice del cambiamento Steve Shirley ha creato un’attività da un problema
sociale. Ha liberato le donne, lei compresa, dalla difficile scelta fra casa e lavoro
offrendo a tutte la possibilità di occuparsi sia della casa sia del lavoro. Attraverso
la“F Internetional” ha creato strutture e sistemi che permettono a 800 donne di
lavorare come analiste di sistemi e programmatrici edp nei luoghi e per i progetti
più confacenti alle loro esigenze e inclinazioni. Steve è un idealista che ha
istituzionalizzatola flessibilità.
• L’animatrice Nelli Eichner fondatrice di “Interlingua” ha sviluppato un’attività
non tanto a scopo di profitto quanto per mettere in pratica la sua passione per le
lingue in un campo che potesse coinvolgere la sua famiglia. Nel realizzare quest’idea
8
(ivi p.8)
12
ha creato una “famiglia di nazioni” di cui essa stessa è contemporaneamente regista
e interprete. Nelli possiede una personalità accattivante e un entusiasmo inesauribile.
• L’avventuriera Anita Roddick ha viaggiato in tutto il mondo al pari dei
grandi esploratori della storia, naturalmente non alla scoperta di nuove terre,
bensì di prodotti naturali. Nel costituire la “Body Shop”ha unito il suo amore per
natura con l’inesauribile energia fisica di cui è dotata, costituendo una catena di
punti vendita in franchising di prodotti per la cura di capelli e della pelle.
Continuando a viaggiare in luoghi lontani alla ricerca di sempre nuovi ingredienti
naturali, la sua vita e il suo lavoro sono diventati una continua avventura. Anita è
una persona con una straordinaria energia, che ama l’ignoto.
L’autore afferma che gli “intraprenditori” come quelli descritti possiedono una
notevole personalità: a differenza del più impersonale “manager” sono molto più se stessi.
Per comprendere le loro attitudini, motivazioni e i loro comportamenti di fondo,
l’autore ha scelto di spiegare la “teoria dello spettro” in quanto si tratta di una teoria che si
applica alla personalità, alla professionalità e alle competenze manageriali perchè consente di
mettere una qualità in relazione con l’altra.
Questa teoria fornisce la base per sviluppare l’abilità personale e professionale, infatti
sviluppo personale e professionale devono marciare di pari passo.
Ricoprire posizioni manageriali infatti, offre alla persona sia uno stimolo personale
inteso in termini di successo nel quale il manager deve riuscire a sviluppare le proprie abilità
personali, essere soggetto attivo, affermando i propri valori e la propria identità personale, e
sia uno stimolo professionale, in quanto la persona chiamata a rivestire una posizione
manageriale deve essere in grado di saper gestire la natura del potere affidatole, e deve
possedere abilità professionali che caratterizzano la sua figura professionale.
13
1.3-- Le abilità professionali de manager: assunti concettuali e strumenti del
metodo delle competenze: nella linea “Mc/Bo/S&S”
Nello svolgimento della ricerca qui descritta, si è puntata l’attenzione proprio su
quelle caratteristiche e capacità comportamentali, personali e di relazione necessarie al
manager per gestire al meglio i processi lavorativi.
L'approccio nasce all'inizio degli anni ‘70 negli U.S.A., nell'ambito delle ricerche di
psicologia delle organizzazioni compiute da McClelland. In seguito, nel 1982, Boyatis
individua 286 modelli di competenza, che Spencer e Spencer aggregheranno in sei gruppi o
clusters distintivi, arrivando ad individuare 21 competenze di base o generiche necessarie
all’assolvimento del ruolo del manager
9
.
Tra gli esponenti di maggiore spicco di questo gruppo cè lo psicologo del lavoro
David McClelland, il quale nel 1973 con l’articolo “Testing for competence rather than
intelligence” sostenne l'opportunità di usare, per la selezione del personale, la valutazione
delle competenze dei candidati piuttosto che i test di intelligenza o le certificazioni
scolastiche.
Secondo l’autore, infatti, gli elementi in grado di predire la performance sono le
competenze da individuare attraverso la ricerca empirica.
Richard Boyatzis, il più significativo allievo di D.McClelland, contribuisce con il suo
libro del 1982, “The Competent Manager”, ad approfondire il concetto di competenza
richiamandosi al lavoro di Klemp secondo il quale la competenza è una “caratteristica
intrinseca di un individuo e casualmente correlata ad una prestazione efficace o superiore
nella mansione”
10
.
Un decennio dopo Lyle e Signe Spencer, in “Competence at Work”, riprendono la
definizione di competenza di Boyatzis (pur con alcune differenze), rielaborandola soprattutto
in chiave di ulteriore operativizzazione del concetto, rendendola uno strumento ancor più
preciso e alla portata di un utilizzo gestionale.
Indicativo è stato il contributo di Crescenzi (2002)
11
che ha suddiviso i clusters
riscontrati da Spencer e Spencer sulle relative competenze.
9
Picirilli F. (2005), L’operatore sociale come manager dei casi e dei servizi, in P. Patrizi (a cura di),
Professionalità competenti, Roma, Carocci.
10
Testa P. e Terranova P. (2006), La gestione per competenze nelle amministrazioni pubbliche, Roma,
Rubettino Editore, p. 42
11
citato in Picirilli F. (2005), L’operatore sociale come manager dei casi e dei servizi, in P. Patrizi (a cura di).
Professionalità competenti. Roma, Carocci.