Premessa
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Le strategie di trasferimento genico hanno permesso, a partire dai primi
anni Novanta, di ottenere cellule tumorali ingegnerizzate con geni
immunopotenzianti, nell’ipotesi di utilizzarle come vaccini per rendere più
efficace la risposta immunitaria antitumorale.
Interleuchina 18 (IL-18) è una citochina di recente scoperta, dotata di
diverse caratteristiche che potrebbero essere vantaggiose nella terapia dei
tumori: in particolare è in grado di indurre la produzione di elevati livelli di
Interferone-γ, potenzia la citotossicità delle cellule NK e polarizza la
risposta immunitaria adattativa verso il pathway Th1. Queste proprietà ne
hanno suggerito l’utilizzo in diversi modelli preclinici di terapia delle
neoplasie.
La somministrazione sistemica di IL-18 ha determinato, specialmente se
somministrata assieme ad Interleuchina 12, risultati terapeutici
incoraggianti ma anche spiccati effetti tossici.
La produzione di vaccini cellulari ingegnerizzati può costituire una
strategia per garantire elevate concentrazioni di citochina nel solo sito di
inoculo vaccinale, evitando concentrazioni sistemiche pericolosamente alte,
e coniugando l’immunostimolazione della citochina alla presenza del
repertorio antigenico tumorale.
Lo studio riportato in questa tesi si è quindi proposto di ottenere cellule
di carcinoma mammario murino TSA trasdotte con il gene per IL-18
murina, e di valutarne l’efficacia antitumorale.
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Introduzione
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1 IMMUNOTERAPIA GENICA IN ONCOLOGIA
1.0 LA RISPOSTA IMMUNITARIA ANTITUMORALE
Le terapie convenzionali contro i tumori (chirurgia, chemioterapia e
radioterapia) si sono progressivamente evolute durante gli anni,
incrementando considerevolmente la sopravvivenza dei pazienti; tuttavia, la
percentuale di pazienti curati non supera complessivamente il 45-50%. E’
quindi necessario individuare strategie antineoplastiche innovative che, da
sole o affiancate a quelle convenzionali, portino all’ampliamento delle
possibilità terapeutiche. Una delle strategie possibili consiste nello
sfruttamento della risposta immunitaria.
E’ noto da tempo che il sistema immunitario è in grado di promuovere
una risposta che può distruggere le cellule neoplastiche e mantenere una
memoria a lungo termine, a condizione che gli antigeni tumorali vengano
riconosciuti con efficienza.
Una dimostrazione sperimentale di questo fatto deriva dall’osservazione
che cellule tumorali inoculate nell’ospite allogenico vengono prontamente
rigettate perché gli antigeni di membrana, in particolare le molecole del
complesso maggiore di istocompatibilità (MHC), sono immediatamente
riconosciute come non-self da diversi cloni di linfociti T helper e
citotossici.
Purtroppo, le stesse cellule tumorali inoculate in ospiti singenici, spesso
non portano ad una risposta immunitaria risolutiva, nonostante la presenza
di antigeni peculiari (Nanni et al., 1999). Le ragioni di questo fenomeno
sono da ricercare nell’inadeguata presentazione degli antigeni tumore-
associati (per una scarsa espressione delle molecole MHC o di molecole co-
stimolatorie, o per una inefficiente presentazione da parte delle cellule
presentanti l’antigene), nella mancanza dell’adeguata combinazione di
citochine necessaria per la corretta attivazione dei linfociti NK e T, nella
presenza di fenomeni inibitori della risposta immune (Lollini et al., 1999).
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Al fine di rompere la tolleranza del sistema immunitario verso il tumore,
negli ultimi decenni sono stati tentati diversi approcci immunoterapici. I
primi tentativi di immunopotenziamento della risposta antitumorale sono
consistiti nell’allestimento di vaccini con cellule tumorali uccise, irradiate o
anche infettate con virus per aumentarne l’immunogenicità. I risultati
furono complessivamente scarsi. A partire dagli anni Ottanta le conoscenze
sulle citochine e la capacità di disporre di prodotti ricombinanti hanno
consentito di studiarne il possibile ruolo terapeutico antitumorale, ottenendo
risultati incoraggianti, ma evidenziandone anche i limiti terapeutici.
1.1 IMMUNOTERAPIA CON CITOCHINE
Le citochine sono proteine prodotte da molti tipi cellulari, con funzioni
regolatorie. Ciascuna citochina possiede effetti biologici caratteristici, che
spaziano dal potenziamento delle reazioni infiammatorie ed immuni, alla
crescita e differenziamento di vari tessuti. Alcune attività biologiche
possono essere sfruttate nella terapia dei tumori, in particolare:
• Il potenziamento della risposta immunitaria contro il tumore,
mediante induzione della processazione dell’antigene o la
stimolazione dell’attività di cellule dell’immunità innata e specifica.
• Il blocco proliferativo delle cellule neoplastiche, o la modulazione del
loro profilo di espressione di antigeni di membrana (sia MHC sia
tumore-associati).
• L’inibizione dell’angiogenesi tumorale.
Le caratteristiche di alcune citochine tra le più studiate per approcci di
immunoterapia dei tumori sono riassunte in Tavola I.
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Introduzione
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Tavola I: Caratteristiche di alcune citochine utilizzate in approcci di
immunoterapia dei tumori.
Citochina Principali effetti biologici
IFN-γ E’ attivo su tutte le cellule in quanto il recettore è
ubiquitario, e media in genere risposte antiproliferative.
Favorisce la proliferazione dei linfociti T deviando la
risposta verso il pathway Th1. Aumenta l’attivazione, il
differenziamento e l’attività citolitica dei linfociti T CD8+.
Aumenta l’attività NK. Promuove la presentazione
dell’antigene attraverso l’induzione di molecole MHC e di
molecole co-stimolatorie. Ha funzione antiangiogenica,
tramite l’induzione di citochine come Mig ed IP-10.
IL-2 Supporta la crescita e l’attività dei linfociti NK, T e B e dei
macrofagi. Aumenta l’attività tumoricida di macrofagi e
neutrofili.
IL-4 Polarizza la risposta verso l’attività Th2. Induce la
proliferazione dei linfociti B attivati, la maturazione dei
monociti a cellule dendritiche e la trasmigrazione degli
eosinofili. Promuove il cambio di classe a IgG1 ed IgE.
Attiva e fa proliferare l’endotelio.
IL-12 Polarizza la risposta verso l’attività Th1. Stimola
l’espansione e l’attivazione dei linfociti NK e T, e ne induce
la produzione di IFN-γ. Potenzia la citolisi promossa dai
linfociti NK e la responsività delle cellule T. Stimola il
differenziamento delle cellule presentanti l’antigene (APC)
ed una migliore presentazione dell’antigene (tramite IFN-γ
che induce le molecole MHC). Possiede attività
antiangiogenica (attraverso IFN-γ).
GM-CSF Induce la proliferazione ed il differenziamento di macrofagi,
granulociti e cellule dendritiche. Ha attività antiapoptotica
nei confronti dei neutrofili ed eosinofili. Aumenta l’attività
citotossica, la funzione APC ed il rilascio di citochine nei
monociti e macrofagi. Aumenta la proliferazione e la
migrazione dell’endotelio, inducendo su di esso
l’espressione di molecole di adesione.
Abbreviazioni usate nella Tavola: IL – Interleuchina; GM-CSF – granulocyte-
monocyte colony-stimulating factor; IFN-γ - Interferone-γ. Dati da Lollini et al.,
1999.
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Durante gli anni Ottanta vari studi preclinici e clinici evidenziarono
sporadiche ma imponenti regressioni tumorali in seguito alla
somministrazione sistemica e ripetuta di massicce dosi di citochine come
Interleuchina 2. Sfortunatamente questo approccio era accompagnato da
effetti tossici non accettabili. In seguito a ciò l’interesse si focalizzò sulla
somministrazione locale di basse quantità di citochina, in modo da
ottenerne una concentrazione elevata nel solo sito di crescita tumorale.
A partire dall’inizio degli anni Novanta, con il miglioramento delle
conoscenze sul trasferimento genico, si è evoluto il concetto di ottenere
vaccini cellulari mediante la trasduzione di geni di citochine in cellule
tumorali. Tali vaccini dovrebbero consentire il raggiungimento di una
elevata concentrazione locale di citochina, mantenendo bassa quella
sistemica. I risultati finora ottenuti hanno effettivamente mostrato che gli
effetti tossici collegati a questa strategia sono scarsi, quando non del tutto
assenti.
In diversi modelli, sia sperimentali sia clinici, la trasduzione di geni di
citochine ha utilizzato come cellule riceventi sia cellule normali, come
fibroblasti o linfociti infiltranti il tumore (TIL), sia le stesse cellule
tumorali. Quest’ultimo caso tuttavia sembra preferibile in quanto consente
la co-localizzazione degli antigeni tumorali con la citochina ed una
stimolazione immunitaria plausibilmente più forte (Lollini et al., 1999).
L’applicazione più ovvia di questo approccio è la vaccinazione
terapeutica di pazienti già portatori del tumore per suscitare una risposta
immune in grado di debellarlo. Poiché si sa che l’efficacia della risposta
immune è limitata al controllo di piccole masse tumorali, la strategia
idealmente migliore potrebbe essere quella della vaccinazione terapeutica di
pazienti con malattia residua minima o con probabilità di ricaduta. Nei
modelli sperimentali, tuttavia, per studiare la capacità immunopotenziante
dei vaccini ingegnerizzati, sono stati spesso utilizzati schemi di
vaccinazione profilattica, in cui cioè le cellule ingegnerizzate venivano
somministrate ad animali sani per verificare se erano in grado di indurre
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una risposta immunitaria tale da determinare il rigetto di un successivo
inoculo di cellule tumorali non ingegnerizzate.
Effettivamente, nei modelli sperimentali, la terapia genica con vari tipi di
citochine ha spesso portato ad una buona immunità antitumorale,
determinando il rigetto di un successivo inoculo di cellule neoplastiche
parentali non trasdotte (Allione et al., 1994; Musiani et al., 1996).
Risultati meno ottimistici sono stati in genere riscontrati nei protocolli
sperimentali di vaccinazione terapeutica. Infatti, oltre ad una grossa
variabilità degli esiti a seconda dei modelli sperimentali utilizzati, solo se la
somministrazione del vaccino seguiva di poche ore l’inoculo di cellule
tumorali (e solo con alcune citochine) l’effetto poteva ancora dirsi
soddisfacente (Tavola II). Le citochine che si sono mostrate
complessivamente più efficaci sono granulocyte-monocyte colony-
stimulating factor (GM-CSF), Interleuchina 2 (IL-2), Interleuchina 12 (IL-
12) ed Interferone-γ (IFN-γ). In particolare, parte dell’effetto di IL-12 è
dovuto all’induzione della produzione di IFN-γ; il ruolo di IFN-γ nella
risposta immune antitumorale sembra pertanto centrale.
Tavola II: Efficacia terapeutica di protocolli di terapia genica con citochine su
tumori murini già attecchiti.
Percentuale di protocolli con
efficacia terapeuticaGeni trasdotti
Numero
di studi
Numero di
protocolli
Nulla Bassa Intermedia Alta
IL-2 17 31 29% 39% 10% 23%
IL-4 6 6 33% 67%
IL-12 6 13 23% 8% 31% 38%
GM-CSF 12 22 18% 36% 18% 27%
IFN-γ 9 11 9% 64% 18% 9%
L’efficacia terapeutica è stata così classificata: bassa quando meno del 25% dei
topi erano privi di tumore e metastasi; intermedia quando la percentuale era tra il
25% ed il 50%, alta quando più del 50% dei topi risultava curato. Modificato da
Nanni et al., 1999.
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I protocolli di terapia genica di fase I sinora condotti hanno dato
essenzialmente risultati incoraggianti ma limitati. E’ incoraggiante il fatto
che sia stata evidenziata una scarsa tossicità dell’approccio, e che si sia
ottenuta una piccola percentuale di risposte obiettive (il 10% circa nei casi
migliori), nonostante che i pazienti arruolati nei protocolli di fase I fossero
poco idonei alla valutazione dell’efficacia terapeutica, in quanto le loro
condizioni immunitarie erano già compromesse. Si trattava infatti di
pazienti non più responsivi alle terapie tradizionali oppure con grande
carico tumorale (Lollini et al., 1999).
La ricerca si è orientata quindi al miglioramento dei risultati terapeutici,
sia mediante la combinazione di citochine già studiate e dotate di una
qualche efficacia, sia mediante lo studio di citochine di scoperta più recente.
Analogamente a quanto accadde in passato alla monochemioterapia,
soppiantata dalla polichemioterapia con risultati assolutamente più
soddisfacenti, si potrebbe infatti pensare di aumentare l’efficacia terapeutica
dei vaccini con approcci di politerapia genica. I geni da associare in terapia
combinata potrebbero essere scelti tra quelli che hanno provocato una
parziale risposta immunitaria, ed hanno meccanismi d’azione indipendenti,
così da rendere massima la probabilità di ottenere effetti sinergici (Nanni et
al., 1999).
Tra le citochine di scoperta più recente sembra interessante Interleuchina
18 (IL-18), sia per le sue capacità immunopotenzianti (è un forte induttore
di IFN-γ), sia per la sua possibilità di agire in sinergia con altre citochine
come IL-12.
1.2 MODELLI PER LA TERAPIA GENICA: IL CARCINOMA
MAMMARIO MURINO TSA
La variabilità dei risultati ottenuti con la stessa citochina trasdotta in
modelli sperimentali diversi, citata in precedenza, sottolinea l’importanza
della scelta del sistema. Modelli tumorali già dotati di immunogenicità o
con una limitata potenzialità di originare tumore o metastasi saranno più
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facilmente curabili di tumori aggressivi e poco immunogenici. Purtroppo i
tumori spontanei assomigliano generalmente di più a questa seconda
categoria. E’ quindi necessario scegliere modelli di studio che siano più
realistici possibile. Uno dei modelli sperimentali più diffusi in studi di
terapia genica è costituito dalla linea cellulare murina TSA.
La linea cellulare TSA è stata originata da un adenocarcinoma
mammario insorto spontaneamente in una femmina BALB/c ex
riproduttrice. E’ stata derivata all’inizio degli anni Ottanta presso il
Laboratorio di Biologia ed Immunologia delle Metastasi dell’Istituto di
Cancerologia di Bologna (Nanni et al., 1983).
La linea cellulare TSA presenta un comportamento estremamente
aggressivo, in quanto cresce sottocute nell’ospite singenico originando la
comparsa di tumori in quasi il 100% dei topi già successivamente ad un
inoculo di 104 cellule. A dosi superiori (105, 106 cellule) cresce anche
nell’ospite semisingenico (topi ibridi CB6F1, derivati dall’incrocio BALB/c
con C57BL/6), e nei topi DBA/2, che condividono con i topi BALB/c gli
antigeni H-2 ma hanno un diverso background genico. La crescita tumorale
non ha luogo in topi completamente allogenici, come i C57BL/6.
La crescita tumorale sottocutanea è accompagnata dallo sviluppo di
metastasi polmonari spontanee. Si osserva la formazione di colonie
polmonari anche in seguito all’inoculo endovenoso, procedura sperimentale
che simula le fasi della metastatizzazione successive all’intravasazione
delle cellule tumorali (Nanni et al., 1983). Questo artificio è sfruttabile a
scopo sperimentale per ottenere topi con micrometastasi polmonari su cui
simulare trattamenti simil-adiuvanti.
La linea TSA presenta una bassa immunogenicità: infatti cellule TSA
non trasdotte somministrate come vaccino profilattico o terapeutico, hanno
solo un debole effetto di rallentamento della crescita sottocutanea o di
riduzione del numero di colonie polmonari indotte dalla stessa linea TSA,
determinando raramente il rigetto completo di un inoculo successivo di
cellule parentali non trasdotte o la cura di animali già portatori di tumore.
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Inoltre, la linea TSA si trasduce con facilità. Nel corso degli anni è stata
trasfettata con svariati tipi di molecole immunopotenzianti, al fine di
ottenere vaccini per terapia genica. Le molecole trasdotte sono
principalmente citochine (IL-2, IL-4, IL-6, IL-7, IL-10, IL-12, IL-13, IL-15,
IFN-α, IFN-γ, TNF-α), ma anche geni di suicidio metabolico (citosina
deaminasi e timidina chinasi), molecole citotossiche di membrana (Fas
ligando), e molecole di adesione, co-stimolazione e presentazione
dell’antigene (ICAM-1, H-2 allogenico, B7.1 e B7.2, CD70) (Allione et al.,
1994; Musiani et al., 1996).
Le caratteristiche di crescita in vivo e la capacità terapeutica dei vaccini
prodotti con cellule TSA viene valutata attraverso protocolli standardizzati.
Ad esempio, la capacità terapeutica contro le metastasi polmonari viene
determinata trattando topi singenici con 25.000 cellule endovena,
vaccinando gli animali due volte la settimana a partire dal giorno seguente e
valutando dopo tre settimane le colonie polmonari, tramite microscopio da
dissezione. L’inoculo endovenoso di 25.000 cellule TSA parentali è in
grado di provocare colonie polmonari nella quasi totalità degli animali.
L’efficacia terapeutica dei vaccini si determina quindi per confronto tra il
numero delle metastasi sviluppate dagli animali vaccinati e non vaccinati.
Complessivamente, le caratteristiche della linea cellulare TSA e la
grande varietà di vaccini ottenuti e valutati in maniera oggettiva, ne hanno
fatto negli anni un modello per la terapia genica diffuso in tutto il mondo.
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2 INTERLEUCHINA 18 (IL-18)
2.0 LA SCOPERTA DI IL-18
Interleuchina 18 (IL-18) venne identificata nel 1995 in seguito a ricerche
condotte per individuare fattori proteici in grado di indurre produzione di
Interferone-γ (IFN-γ) da parte dei linfociti T ed NK (Antonysamy et al.,
1998).
Questi studi si basarono sull’osservazione che topi immunocompetenti
sensibilizzati con il batterio Propionibacterium Acnes (P.Acnes) e
successivamente trattati con lipopolisaccaride (LPS) (cui in seguito ci si
riferirà chiamandoli topi trattati con P.Acnes e LPS) sviluppavano alti livelli
sierici di IFN-γ con conseguente shock tossico ed epatite fulminante
(Okamura et al., 1995). Si sapeva da tempo che il trattamento con P.Acnes
seguito da somministrazione di LPS era in grado di indurre la produzione di
IFN-γ (Okamura et al., 1982). Dal momento che risultavano necessarie
cellule accessorie, era improbabile che LPS stimolasse direttamente le
cellule produttrici di IFN-γ. Inoltre, sieri raccolti da animali trattati con
P.Acnes ed LPS erano in grado di promuovere il rilascio di IFN-γ da cellule
produttrici. Fu quindi postulata l’esistenza di un fattore sierico solubile in
grado di indurre IFN-γ (Nakamura et al., 1989).
Questo fattore venne purificato nel 1993 dal fegato di topi trattati con
P.Acnes ed LPS (Nakamura et al., 1993). Nel 1995 fu clonato e denominato
in un primo momento Interferon-g-inducing factor (IGIF) (Okamura et al.,
1995). Nel 1996 venne clonato il suo omologo umano, e proposto il nome
Interleuchina 18 (Ushio et al., 1996).
2.1 GENE E PRODOTTO
Per il clonaggio del gene, il fattore purificato dal fegato di topi trattati
con P.Acnes e LPS venne sottoposto a digestione con tripsina. Due dei
frammenti risultanti furono sequenziati, ed in base alla loro sequenza furono
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sintetizzati dei primers degenerati. Grazie a questi primers, venne condotta
una Reverse Transcription – Polymerase Chain Reaction (RT-PCR) su
RNA epatico, ottenendo frammenti di cDNA che furono usati per sondare
una libreria di cDNA epatico preparata da topi trattati con P.Acnes ed LPS
(Okamura et al., 1995). Fu quindi isolato il clone contenente il cDNA di IL-
18 murina (mIL-18) che codificava una sequenza di 192 amminoacidi
precursore della proteina attiva (pro-mIL-18).
Dopo breve tempo furono clonati gli omologhi umano e di ratto. Le
rispettive caratteristiche, confrontate con il gene murino, sono riportate in
Tavola III.
Tavola III: Riassunto e confronto delle sequenze amminoacidiche di pro-IL-18.
CARATTERISTICHE TOPO UOMO RATTO
OMOLOGIA RISPETTO AL TOPO 66% 91%
LUNGHEZZA 192aa 193aa 194aa
RESIDUI LEADER SEQUENCE 1-35 1-36 1-36
Dati desunti dalla Banca Dati UniGene (www.ncbi.nlm.nih.gov/UniGene).
L’analisi della sequenza amminoacidica ha subito rivelato alcune
somiglianze tra IL-18 ed IL-1β.
Nonostante una omologia soltanto del 18% circa nella specie umana, IL-
18 presenta una signature sequence simile a quella di IL-1β (Ushio et al.,
1996, Tavola IV).
IL-18 possiede una leader sequence non classica, priva di possibili
peptidi segnale idrofobici o siti di glicosilazione (Okamura et al., 1995).
Essa occupa, a seconda della specie, i 35 o 36 residui amminoterminali
(Tavola III). Anche IL-1β possiede una leader sequence priva di regioni
ricche in amminoacidi idrofobici. Per la maturazione e la secrezione di IL-
1β e di IL-18 è necessario il taglio proteolitico della leader sequence.
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