“La vita è particolarmente difficile da definire perché è un processo dinamico, continuamente
mutevole e di una complessità straordinaria”.
Quindi non riuscendo a descrivere in maniera esaustiva la Vita
1
, si cerca di fare gioco forza ed
evidenziare le caratteristiche che la differenziano dal suo alter-ego, la materia non-vivente, ossia
tutto quello che ci sarebbe se, quasi 4 miliardi di anni fa, non si fosse iniziato un business che è
riuscito a imbrigliare le proprietà della materia verso il raggiungimento di un obbiettivo,
l’acquisizione di un’identità, evadendo dallo stretto controllo della termodinamica e diventare
l’eccezione che conferma la regola. Infatti, la materia vivente non disobbedisce ad alcuna legge
fisica, tuttavia rappresenta nell’universo fisico una presenza inedita: un tentativo disperato ed a
termine di sottrarsi alla seconda legge della termodinamica.
Perciò un modo per ottenere una caratterizzazione del fenomeno Vita è quello di armarsi dei
principi della fisica e della chimica e spiegare in base ad essi la possibilità dell’insorgere di
sistemi materiali quali gli organismi viventi. Questo significa spiegare come, tra gli innumerevoli
sistemi fisici a priori possibili, ce ne siano anche taluni dotati delle proprietà e caratteristiche
proprie della Vita.
Ossia il campo d’indagine dell’origine della Vita.
1.1 L’origine della Vita
Cosa è la Vita? Come si è formata? Domande esistenziali come queste hanno da sempre agitato
la mente dell’uomo.
Secondo i filosofi greci la vita era insita nella materia stessa e da essa emergeva spontaneamente
quando le condizioni si facevano favorevoli. Nel III secolo a.C. Aristotele raccolse le idee
relative alla generazione spontanea formulate dai filosofi che vissero prima di lui e le sintetizzò
in una teoria i cui effetti si sono fatti sentire fino a tempi molto recenti. Per il grande pensatore
greco, gli organismi viventi nascono, in genere, da altri organismi a loro simili, anche se a volte
possono scaturire dalla materia inerte.
1
Bisogna però dar giustizia a numerose pubblicazioni riguardanti la definizione di Vita. Si guardi per esempio
Luisi, 1998, Margulis and Sagan, 1995 e Schopf, 2002.
2
La teoria della “generazione spontanea” passò indenne attraverso il Medioevo e il Rinascimento
e fu sostenuta da illustri pensatori come Newton, Cartesio e Bacone. Nel XVI secolo vi era
ancora qualcuno disposto a credere che le oche nascessero da alcuni alberi che si trovavano a
contatto con le acque dell’oceano, come andavano raccontando viaggiatori al ritorno da alcuni
viaggi in Oriente. Nel XVII secolo finì l’epoca delle leggende ed iniziarono le prime
sperimentazioni a sostegno della teoria della generazione spontanea. Il medico fiammingo Jean
Baptiste Van Helmont annunciò di aver condotto un esperimento mettendo a contatto chicchi di
frumento e una camicia sporca, in seguito al quale sarebbero nati dei topi dopo 21 giorni!! E’
evidente che quello di Van Helmont era un esperimento condotto male, tuttavia la strada giusta,
quella della verifica sperimentale delle idee, era stata aperta.
La scienza affronta le sue problematiche inquadrandole in un sistema logico-matematico, nel
quale è possibile inserire i diversi aspetti di un fenomeno elaborando una legge universale che
renda il fenomeno stesso interpretabile e collocabile in un framework teorico. L’origine della
Vita in quest’ottica è un evento difficilmente definibile e rappresentabile con un modello
scientificamente valido. La scienza, inoltre, non si basa su dogmi intangibili, ma su ipotesi e
teorie in continua evoluzione. Nel corso degli anni, infatti, sono state formulate varie ipotesi
sull’origine della Vita cercando di restringere, di volta in volta, il campo d’azione del caso e
delineando i limiti del probabile.
Un consistente impatto a questi studi fu fornito dall’opera di uno dei più grandi naturalisti di tutti
i tempi: Charles Darwin. La sua teoria evoluzionistica, formulata alla metà del XIX secolo,
sostiene che tutte le forme attualmente viventi possano aver tratto origine da pochi o forse
addirittura da un unico progenitore comune. Secondo Darwin (Darwin, 1859), sarebbe stata
quindi la selezione naturale a creare nuovi organismi e lo avrebbe fatto per adeguare le forme
viventi alle esigenze di un ambiente in continua trasformazione. Con il consolidarsi di questa
teoria, e grazie anche ai lavori sperimentali svolti da Pascal e Spallanzani, fu abbandonata la
strada della teoria dell’abiogenesi (la vita si origina da sostanze non viventi) a vantaggio della
teoria della biogenesi (la vita deriva dalla vita). Ma allo stesso tempo si aprì la porta a nuovi
interrogativi, primo fra i quali: chi ha generato il primo essere vivente se per generare un essere
vivente ci vuole un altro essere vivente? Infatti, uno dei “nodi” fondamentali della storia della
vita sulla terra è, ovviamente, quello della sua comparsa. Si tratta di un “nodo” così complesso
che lo stesso Darwin preferì lasciarlo insoluto, aggirando più o meno brillantemente il problema;
eppure sciogliere il “nodo” dell’origine della vita è indispensabile per tutta la costruzione
darwiniana dell’evoluzionismo: se i primi viventi non si sono “evoluti” dalla materia per cause
3
puramente meccaniche, a che scopo attribuire ai meccanismi delle “piccole variazioni casuali” e
della “selezione naturale” la successiva comparsa di tutte le specie animali e vegetali?
Nonostante le più recenti conquiste della Biologia, la Vita resta però il grande mistero
dell’Universo. La sua origine è ancora oggetto di ipotesi più o meno ardite, al confine tra scienza
e religione. Su questo incredibile fenomeno, difficile da studiare perché accaduto circa 4 miliardi
di anni fa e in condizioni molto diverse da quelle attuali, sono state costruite varie teorie,
tendenti a dipanarne i misteri e che discuterò nei prossimi paragrafi.
1.2 Gli inizi
A quanto tempo fa si può far risalire la formazione della Terra? Da studi di datazione utilizzanti
il calcolo del decadimento del nucleo di atomi oggi esistenti (come
129
I,
53
Mn,
107
Pd), si è
ricavato che l’aggregazione di piccoli corpi all’interno della nebulosa solare avvenne circa 10
milioni di anni dalla nascita del Sistema Solare (Lugmair and Shukolyukow, 1998) (Fig. 1.1).
Allo stesso modo, è stato osservato che lo sviluppo della Terra si protrasse, sotto l’influenza di
impatti e collisioni planetarie (Halliday, 2000), per 100 milioni di anni.
Fig. 1.1: Cronologia della formazione del Sistema Solare in miliardi di anni
4
Tra 4,51 e 4,45 miliardi di anni fa, la Terra raggiunse la sua massa presente, con un cuore
metallico ed una primitiva atmosfera (Halliday, 2001). In questi stadi precoci la Terra aveva un
oceano di magma incandescente, dovuto ai continui bombardamenti di corpi celesti ed all’effetto
di copertura fornito da una calda e densa atmosfera, situazioni che lasciavano poco spazio ad un
possibile sviluppo della vita. Gran parte di questa atmosfera si sarebbe successivamente
modificata a causa della dispersione della nebulosa solare e delle continue collisioni planetarie,
causando un rapido raffreddamento della Terra e comportando la solidificazione della porzione
più esterna formando una crosta primitiva.
A quando si può far risalire la formazione degli oceani o meglio della prima acqua presente allo
stato liquido? Dati recenti, ottenuti da analisi su antichissimi cristalli di zircone, i più antichi
solidi terrestri tuttora conosciuti, suggeriscono che l’acqua liquida possa aver fatto la sua
comparsa intorno a 4,4 miliardi di anni fa (Wilde et al., 2001; Mojzsis, 2001), rendendo
finalmente possibile lo sviluppo della vita, anche se i continui bombardamenti di corpi
extraterrestri potrebbero aver indotto una fusione delle rocce superficiali e una vaporizzazione
dell’idrosfera. E’ anche possibile che la biogenesi si sia ripetuta più volte prima che le condizioni
diventassero meno proibitive e consentissero al processo evolutivo di instaurarsi.
Tra 4,0 e 3,9 miliardi di anni fa i continenti e gli oceani si sarebbero stabilizzati ed i primi reperti
di microfossili recuperati nei sedimenti di Apex in Australia (Schopf, 1993) daterebbero intorno
a 3,5 miliardi di anni fa.
1.3 L’atmosfera primitiva
Non esiste un generale accordo sulla composizione dell’atmosfera primitiva, con teorie che
variano da una composizione riducente (CH
4
+ N
2
, NH
3
+ H
2
O o CO
2
+ H
2
+ N
2
) ad una neutra
(CO
2
+ N
2
+ H
2
O). L’unico aspetto sul quale entrambe le teorie concordano è che non fosse
presente O
2
libero (Lazcano and Miller, 1996). D’altra parte, condizioni riducenti sono
assolutamente richieste per la sintesi di amminoacidi, purine, pirimidine e zuccheri (Stribling and
Miller, 1997). In alternativa, bisognerebbe postulare una provenienza extraterrestre per i primi
composti organici (Anders, 1989). Tuttavia, è stato obiettato che la loro quantità non sarebbe
stata in ogni caso sufficiente per innescare i primi processi biosintetici (Chyba et al., 1990).
5
Un altro problema estremamente dibattuto è quello relativo alla temperatura della Terra
primitiva. Si ritiene che l’intero pianeta rimase allo stato fuso per diverse centinaia di milioni di
anni dopo la sua formazione (all’incirca 4,6 x 10
9
anni fa) (Wetherill, 1990). Alcuni modelli
prevedono alte pressioni parziali di CO
2
o di altri gas serra, con conseguente aumento delle
temperature che, compensando una supposta riduzione della luminosità solare del 30%,
avrebbero evitato un completo congelamento degli oceani (Kasting, 1993). Le alte temperature,
in quanto favoriscono tutte le reazioni esoenergetiche, avrebbero giocato a favore anche delle
transizioni dalle reazioni abiotiche alle prime entità autoreplicanti. Del resto, dalle più recenti
ricostruzioni filogenetiche si evince che i progenitori comuni a tutti gli odierni organismi viventi
siano stati microrganismi ipertermofili (Pace, 1997, Di Giulio, 2003) (Fig. 1.2). D’altro canto,
nell’ipotesi di un’origine della Vita a “freddo” (Bada and Lazcano, 2002), bisognerebbe
assumere un ruolo chiave per i catalizzatori minerali (Ferris et al., 1996) .
Fig. 1.2: Albero filogenetico basato sulle sequenza di rRNA
6
1.4 Tre modelli per spiegare l’origine della Vita
Per rispondere alla domanda riguardante l’origine della Vita tre modelli sono stati
principalmente considerati con interesse dalla comunità scientifica per spiegare come, partendo
dai composti elementari, si sia arrivato alla formazione dei biopolimeri che sono alla base del
fenomeno Vita.
1.4.1 Origine autotrofica
La teoria detta autotrofica si basa su un modello di atmosfera primitiva molto ricco di CO
2
(Kasting, 1993). Alte pressioni di CO
2
(10-100 atm) implicano però l’assenza di condizioni
riducenti e quindi di sintesi di composti organici, rendendo perciò necessario postulare che
piccole quantità di questi fossero portati dalle comete, dai meteoriti o dalle polveri stellari. Nel
1988, Wächtershäuser elaborò un modello molto evoluto di autotrofia che prevede la biosintesi e
la polimerizzazione di molecole semplici sulla superficie di metalli sulfurei FeS e FeS
2
. La
reazione:
FeS + H
2
S ==> FeS
2
+ H
2
è particolarmente favorita termodinamicamente (AG° = -9,23 Kcal/mol; E°= - 620mV a pH 7 ed
a 25 °C) e la combinazione FeS/ H
2
S risulta essere un forte agente riducente (Wächtershäuser,
1988). Questo binomio può essere utilizzato per ridurre doppi legami, α-chetoglutarato in acido
glutammico, tioli ad idrocarburi e molte altre molecole organiche (Hafenbradl et al., 1995).
Tuttavia, il sistema FeS/H
2
S non può ridurre CO
2
ad amminoacidi, purine o pirimidine anche se
ci sarebbe più dell’energia libera necessaria per guidare queste reazioni (Keefe et al., 1995).
1.4.2 Origine eterotrofica
Le prime formulazioni della teoria eterotrofica furono avanzate alla fine degli anni venti dal
biologo anglo-indiano Haldane (Haldane, 1928). Egli partì dall’osservazione che la Terra
primitiva dovesse avere caratteristiche molto diverse da quelle attuali. Se oggi si formasse
7
spontaneamente del materiale organico – egli faceva notare – questo verrebbe immediatamente
divorato da qualche organismo vivente, mentre sulla Terra primitiva la materia organica, non
decomposta dai batteri o da altri microrganismi, avrebbe potuto persistere e, lasciata tranquilla,
avrebbe avuto tutto il tempo necessario per svilupparsi ed evolversi.
Lo stesso concetto era stato formulato molto tempo prima da Darwin, il quale in una lettera ad un
amico cosi si esprimeva: “Si dice spesso che esistono oggi tutte le condizioni per la prima
formazione di un organismo vivente, condizioni che potevano essere state presenti anche in
passato. Se (ma quale grosso “se”!) si potesse immaginare che in qualche piccolo stagno caldo,
con ogni sorta di sali ammoniacali e fosforici, luce, calore, elettricità, ecc., si fosse potuto
formare chimicamente un composto proteico pronto a subire trasformazioni anche più
complesse, oggi tale materia sarebbe subito divorata o assorbita, cosa che non sarebbe invece
avvenuta prima della formazione degli esseri viventi” (Darwin, 1888).
Il ricercatore sovietico Oparin, nel 1924, pubblicò un libretto (successivamente tradotto in
inglese nel 1938) (Oparin, 1938) nel quale ipotizzava un’atmosfera primitiva a carattere
fortemente riducente, composta di idrogeno, vapore acqueo, metano, azoto e ammoniaca. In tale
atmosfera, la cui esistenza non è suffragata da prove sperimentali, le scariche elettriche dei
fulmini e le radiazioni ultraviolette solari avrebbero provocato la sintesi di semplici composti
organici, fra cui amminoacidi, purine e pirimidine che, disperdendosi negli oceani, avrebbero
formato il cosiddetto “brodo primordiale”, nel quale per reazioni chimiche successive, si
sarebbero formati casualmente acidi nucleici e proteine.
Le idee di Oparin-Haldane furono il backround da cui partì uno degli esperimenti centrali della
moderna ricerca sull’origine della Vita. Nel 1953 (anno davvero proficuo per la biologia…), un
ricercatore americano, Stanley L. Miller, ideò un esperimento che potesse confermare l’ipotesi
del “brodo primordiale” (Miller, 1953).
L’apparecchiatura necessaria, costruita appositamente, era abbastanza semplice e consisteva di
due ampolle di vetro riempite rispettivamente di acqua tenuta ad alte temperature (che mimava
l’oceano ancestrale) e di una miscela di idrogeno (H
2
), ammoniaca (NH
3
) e metano (CH
4
) (gas
che, insieme al vapore acqueo, si riteneva fossero i costituenti principali dell’involucro gassoso
che più di quattro miliardi di anni fa circondava la Terra). Il vapore prodotto dall’acqua veniva
convogliato attraverso un tubo nel recipiente contenente i gas, all’interno del quale venivano
generate scariche elettriche che riproducevano i fenomeni temporaleschi presumibilmente
frequenti e intensi all’inizio della storia del nostro pianeta. L’analisi della miscela di composti
formatisi dopo una settimana di trattamento rilevò con sorpresa la presenza principalmente di
amminoacidi, ovvero i mattoni base della costruzione delle odierne proteine.
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All’esperimento iniziale, ne seguirono altri con miscele gassose di partenza diverse e fonti di
energia di vario tipo (raggi ultravioletti, raggi X, flussi di elettroni, temperature elevate)
ottenendo glucidi, lipidi, amminoacidi e nucleotidi (Miller, 1955). Mai si trovarono molecole
diverse da quelle dell’attuale materia vivente.
Ad oggi tre principali scenari della teoria eterotrofica vengono considerati dalla comunità
scientifica:
a) RNA – World: parte dal presupposto che l’RNA fu la prima specie macromolecolare,
dalla quale DNA e proteine si sono originate. Tornerò su questo argomento, centrale
nel mio lavoro di tesi, nel paragrafo 1.5.
b) Approccio compartimentalistico: si basa sulla necessità che all’inizio del business ci
sia un boundary sferico chiuso. Tutta la vita sulla Terra, infatti, è basata su
compartimenti chiusi e sulla interazione tra il mondo interno e quello esterno.
Quest’idea è rafforzata dal fatto che compartimenti cell-like si formano
spontaneamente da molecole di origine prebiotica (Deamer, 1985; Deamer, 1998;
Bachmann et al., 1992; Walde et al., 1994). Il framework da cui parte questo tipo di
approccio è che questi gusci, formatesi spontaneamente potrebbero aver incapsulato
alcuni semplici composti peptidici, i quali, insieme ad altre molecole, avrebbero
catalizzato alcune reazioni, innescando un semplice metabolismo protocellulare
primitivo.
c) Metabolismo prebiotico: incentrato sulla possibilità di instaurazione di un metabolismo
prebiotico prima dell’avvento degli enzimi. Si divide in due filoni (Luisi, 2006):
i) Metabolismo universale: esamina la chimica di sistemi modello di C, H e O.
Partendo da CO
2
e agenti riducenti, usando il potere generato da questi come
forma di energia, si sarebbe innescato un sistema chimico fattibile (Morowitz,
1992).
ii) Metabolismo su argille: scenario che nasce dal lavoro pionieristico di Cairn-
Smith, il quale sviluppando un idea proposta da Bernal (Bernal, 1949) elaborò un
modello che attribuiva ai minerali la possibilità di concentrare per assorbimento
sulle loro superfici monomeri delle macromolecole biologiche presenti
9
estremamente diluiti nel “brodo primordiale” (Cairns Smith, 1986; Ferris 1993) e
la capacità di realizzare un microambiente con condizioni stabilizzanti (Franchi et
al., 1999), che li preservasse dall’idrolisi, reazione principale in un ambiente
dominato dall’acqua come mezzo (Ferris et al., 2003). Questo ambiente
stabilizzante, insieme alla caratteristica tipica delle argille di disporre, grazie alla
presenza di pori o regioni cariche sulle loro superfici, molecole in posizioni
determinate e specifiche, avrebbe permesso la polimerizzazione di queste unità
monomeriche fra loro (Kebbekus, 1988; Ferris and Ertem, 1993; Kawamura and
Ferris, 1994).
1.4.3 Origine extraterrestre
Come descritto nel paragrafo 1.4.1, il modello autotrofico implicava un’origine extraterrestre di
alcuni composti prebiotici (Anders, 1989). D’altra parte, la teoria della panspermia fu già
avanzata agli inizi del secolo XX dal chimico svedese Arrhenius e prevedeva la migrazione
attraverso lo spazio e la colonizzazione di nuovi pianeti da parte di forme viventi semplici
(Arrhenius, 1907). La successiva scoperta di numerose molecole organiche in meteoriti, comete
e polveri stellari sosterrebbe l’ipotesi di una robusta chimica organica nell’Universo e di un
contributo non indifferente del materiale extraterrestre alla formazione della vita sul nostro
pianeta. La quantità totale di composti prebiotici in una nube interstellare è quantizzabile
nell’ordine di qualche tonnellata/anno (Ehrenfreund et al., 2002), anche se solo una piccola
percentuale di tali composti sopravvive all’impatto con la Terra. Per quanto riguarda un’analisi
qualitativa, il meteorite di Murchison (scoperto nel 1970), ad esempio, contiene
approssimativamente il 3% di carbonio organico (sotto forma di formaldeide, acido cianidrico,
formammide, acetaldeide) e 0,1 g di amminoacidi per Kg di meteorite (Dworkin et al., 2002). Le
purine adenina, guanina, xantina e ipoxantina e la pirimidina uracile sono state trovate in
concentrazioni da 200 a 500 parti per milione (Van der Velden and Schwartz, 1977).
10