2
1. INTRODUZIONE
1.1 Problematiche ambientali inerenti allo smaltimento degli effluenti di
allevamento nei suoli agricoli
Negli ultimi decenni lo sviluppo degli allevamenti zootecnici intensivi ha modificato il
consolidato rapporto fra alimenti prodotti, animali allevati e deiezioni escrete. Le deiezioni
animali sono così passate da unica fonte primaria di elementi nutritivi per le piante
coltivate a materiale di scarso valore di cui disfarsene con il più basso costo e con la
minore manodopera possibile.
Al fine di rendere la gestione degli allevamenti sempre più meccanizzabile, si è passati
dalla gestione di materiale palabile (letame ottenuto con paglia) alla gestione delle
deiezioni in forma fluida senza più aggiunte, o quasi, di materiali da lettiera.
Prevalendo il concetto di smaltimento a quello di concimazione organica, fortemente
indotto da esigenze economiche, si è giunti a situazioni di gestione non appropriate dove
gli effluenti sono scaricati in acque superficiali o distribuiti nel terreno a dosi molto
elevate.
La salvaguardia dell’ambiente nella valorizzazione agronomica degli effluenti rappresenta
un aspetto molto importante che ha prodotto direttive comunitarie al fine di regolamentarne
la distribuzione e quindi fissare dei limiti temporali, spaziali e di concentrazione. I danni
all’ambiente che i reflui possono causare, se non vengono smaltiti correttamente, sono
relativi a:
• all’aria (emissione di cattivi odori e di ammoniaca …);
• al suolo (accumulo nel terreno di elementi minerali poco solubili, metalli pesanti e
fosforo);
• all’acqua superficiale e di falda (rilascio di elementi solubili in eccesso, in
particolare di nitrati, con possibile compromissione della potabilità);
Il punto più critico dell'utilizzo agronomico dei liquami resta la perdita di elementi
nutritivi, con conseguente possibile inquinamento delle riserve idriche del sottosuolo.
Strettamente legati a questo si inseriscono i concetti di inquinamento puntuale e diffuso: i
problemi di inquinamento puntuale sono causati quasi esclusivamente da reflui che
CAPITOLO 1: INTRODUZIONE
3
vengano versati direttamente nelle acque superficiali e più o meno profonde, mentre
problemi di inquinamento diffuso sono legati maggiormente alla gestione di reflui in
quantità non corrette e in epoche sbagliate da un punto di vista agronomico e
meteorologico. E' da notare il fatto che problemi del primo tipo sono facilmente eliminabili
anche perché facilmente individuabili, mentre problemi del
secondo tipo non sono mai completamente eliminabili ma solo riducibili intervenendo sulla
gestione globale dei reflui.
Alla luce di quanto detto, le modalità di distribuzione dei liquami sui suoli agricoli
dovranno essere individuate con gli obiettivi di: dosare correttamente gli apporti di azoto e
spandere nel momento idoneo e nelle corrette quantità con le idonee attrezzature evitando
qualsiasi forma di inquinamento. In effetti, già le normative vigenti relative alla gestione
dei reflui zootecnici, vincolano la dimensione dell'allevamento alla disponibilità di terreno
agricolo limitando le operazioni di spandimento a determinati periodi dell'anno.
La distribuzione degli effluenti nei terreni agricoli rappresenta la più logica chiusura del
ciclo naturale dei principali elementi nutritivi asportati dalle colture ed il suo valore
agronomico in termini di fertilizzante è indiscusso. Inoltre il letame, nonostante lo sviluppo
dell’agrochimica con i concimi minerali di sintesi, è il miglior ammendante poiché apporta
vantaggi considerevoli alle caratteristiche fisiche del terreno migliorandone la struttura.
Essenzialmente, i liquami contengono fattori di fertilità quali azoto, fosforo, potassio e
sostanza organica in diverse concentrazioni che è utile conoscere singolarmente per sapere
come meglio utilizzarli dal punto di vista agronomico.
La naturale trasformazione dell’azoto organico nella forma nitrica, passando per quella
ammoniacale ad opera della microflora presente nel terreno, data la sua forte solubilità e
quindi suscettibilità alla lisciviazione, ha portato alla regolamentazione delle
concentrazioni spandibili di liquame per ettaro espresse in kg N/ ha. Il D.M. 7 aprile 2006
che recepisce la direttiva 91/676/CE (nota come direttiva nitrati) esprime in 170 Kg N/ha la
dose massima spandibile in aree vulnerabili da nitrati mentre in 360 kg N/ha quella per le
zone non vulnerabili. Di conseguenza sono rivisti i carichi animali allevabili espressi in
capi per ettaro di superficie modificandoli in 1,2 capi/ha per i bovini da latte e 2 capi/ha per
quelli da carne. Per le aziende zootecniche lo smaltimento degli effluenti di allevamento
diventa quindi un aspetto sempre più problematico poiché all’espansione delle strutture di
allevamento non sempre corrispondono superfici agricole aziendali capaci di ricevere i
reflui prodotti.
CAPITOLO 1: INTRODUZIONE
4
1.2 Utilizzo energetico dei reflui zootecnici
1.2.1 Motivazioni generali
Nell’attuale complessità del quadro economico mondiale, l’agricoltura europea, da tempo
assolti i primari obiettivi di sicurezza alimentare, si trova ora ad affrontare una impegnativa
sfida di modernizzazione che coniuga produttività economica e pertinenza ambientale. Ciò
comporta non solamente un’evoluzione delle tecniche di produzione, con l’adozione di
sistemi meno impattanti, ma anche cambi di indirizzo produttivo: da settore quasi
esclusivamente dedito alla produzione di derrate alimentari, oggi all’agricoltura si chiede
sia di produrre energia grezza, sotto forma di biomasse, sia di prestare servizi di presidio
del territorio e di tutela dell’ambiente. Queste nuove “missioni” riportano il settore ad un
ruolo sociale incisivo, determinando nuovi insiemi di opportunità, ma anche di
problematiche.
In particolare, lo sviluppo della funzione energetica dell’agricoltura può trascinare il
settore in un ciclo virtuoso che vede collegarsi alle nuove opportunità economiche anche
delle vantaggiose ricadute sociali (mantenimento dell’occupazione soprattutto in ambito
rurale), ecologiche (presidio del territorio), culturali (sensibilizzazione della popolazione
all’utilizzo delle risorse locali).
Tale opportunità, comunque, richiede: la conoscenza delle potenzialità offerte dal
territorio, in termini di risorse già esistenti, di consolidato utilizzo o ancora non sfruttate,
e/o pianificabili per il futuro; un approfondimento culturale necessario per affrontare la
predisposizione di filiere complete, destinate alla valorizzazione dello sfruttamento delle
biomasse.
Il riutilizzo di effluenti di allevamento con finalità energetiche non è una realtà lontana o
irrealizzabile. La forma attuale più diffusa è senz’altro la valorizzazione agronomica nei
suoli agricoli ma, a causa delle problematiche precedentemente espresse, stano prendendo
piede diverse tecniche di gestione, tra cui la trasformazione del liquame attraverso
digestione anaerobica per l’ottenimento di un biogas (composto prevalentemente da
metano) e la sua conversione in energia elettrica e termica mediante cogeneratori.
Le motivazioni che hanno spinto allo studio prima, e alla realizzazione poi, di impianti che
producano biogas a partire dagli effluenti di allevamento sono molteplici.
La prima è senz’altro quella di trovare una soluzione allo smaltimento dei reflui,
problematica parzialmente risolvibile da tale innovazione. Nella fattispecie non si
CAPITOLO 1: INTRODUZIONE
5
provvederà allo smaltimento del liquame ma del digestato, ovvero il sottoprodotto della
conversione energetica rappresentato da ciò che rimane non digerito dalla flora microbica
nel digestore. La differenza non si coglie nella concentrazione di nitrati che rimane, dal
punto di vista quantitativo, per lo più invariata ma nella qualità dell’azoto. Il digerito
presenta più azoto nella forma ammoniacale che è significativamente più assimilabile dalle
colture rispetto al refluo di partenza e di conseguenza spandibile anche in copertura. Inoltre
il digestato è un materiale assai più stabile chimicamente del liquame di partenza e può
essere avviato a utilizzazione agronomica senza ulteriori processi di stabilizzazione. Anche
la normativa
1
considera il processo di digestione anaerobica ad un trattamento atto al
miglioramento delle caratteristiche del prodotto di partenza al pari dello stoccaggio.
La necessità di diversificare le produzioni dell’attività agricola e zootecnica può
concretizzarsi nella realizzazione di un impianto produttore di biogas: oltre al normale
processo produttivo, il reddito sarà incrementato dalla vendita di energia elettrica
permettendo quindi alle aziende agricole di essere più competitive sul mercato. Questa
alternativa non è un vantaggio esclusivo del settore zootecnico. L’impianto digestore può
essere alimentato, unitamente al liquame, anche da biomassa vegetale o scarti dell’agro
industria, nel pieno rispetto delle normative. A questo punto si realizza un’opportunità
anche per le aziende agricole con la possibilità di inserire nel ciclo aziendale nuove colture
dedicate e partecipando quindi alla generazione di EE applicando un forte valore aggiunto
alla biomassa prodotta. Per l’agro industria produttrice di scarti vegetali, animali o
amidacei, può realizzarsi l’opportunità di trovare una soluzione meno onerosa per lo
smaltimento del rifiuto, possibilmente anche legata ad una partecipazione negli utili
prodotti dalla vendita di EE. Inoltre, se si tratta di cooperative o industrie con terreni
agricoli di proprietà (ad esempio nel caso del settore ortofrutticolo), si concretizza la
possibilità di recuperare il digestato da smaltire nei propri terreni aumentando di fatto, per
l’azienda zootecnica, la superficie utilizzabile per lo spandimento.
Le motivazioni sin da ora descritte sono focalizzate strettamente alle necessità aziendali.
Esistono anche motivazioni di carattere globale che sono fortemente supportate dall’UE
attraverso regolamenti e direttive. Il nostro attuale sistema economico richiede ogni anno
un incremento di produzione che dovrebbe obbligatoriamente tradursi in un aumento della
ricchezza e del livello di qualità della vita. Per sostenere tale sviluppo è necessario un
apporto energetico sempre più elevato e, attualmente, la maggiore fonte energetica è
1
D.M. 7 aprile 2006
CAPITOLO 1: INTRODUZIONE
6
rappresentata dai combustibili fossili, primo fra tutti il petrolio. Questa risorsa, similmente
al gas naturale e ai carboni fossili, è presente in quantità limitata: le stime relative alla fine
delle scorte di petrolio ne ipotizzano le prime vere crisi di disponibilità tra i venti e i
quarant’anni (fonte ASPO, 2004).
Tuttavia, a prescindere dai numeri, è inevitabile che prima o poi la civiltà industrializzata
dovrà fare i conti con la scarsità di combustibili fossili e, del resto, ancor prima che il
petrolio si esaurisca, il prezzo dello stesso inizia già ad alzarsi in maniera considerevole e
tale avvenimento si ripercuote sull’economia globale diminuendo il potere d’acquisto del
denaro con conseguente impoverimento della popolazione. I fattori che rendono il prezzo
del greggio (e di conseguenza di tutti gli altri appartenenti alla stessa famiglia) così
instabile e sempre più proiettato verso l’alto, non sono riconducibili esclusivamente alla
sua natura non rinnovabile. Inoltre, va tenuto conto che i maggiori produttori di greggio
sono Paesi
2
con situazioni sociali e politiche altamente instabili dove spesso si combattono
guerre e si mette giornalmente in discussione l’ordine pubblico.
Le motivazioni ambientali costituiscono l’altro grande ordine di motivazioni che porta a
privilegiare le energie rinnovabili: il forte consumo di combustibili fossili, dalla
rivoluzione industriale ad oggi, ha notevolmente innalzato il livello di anidride carbonica
del pianeta provocando il cosiddetto “effetto serra” con conseguenti squilibri climatici ed
un aumento della temperatura media planetaria. Il problema sta diventando di primaria
importanza tanto che gran parte dei Paesi del mondo, nel congresso di Kyoto, si sono
impegnati a ridurre significativamente le emissioni di ossidi di carbonio: l’Italia,
nell’ambito dei propri impegni comunitari, ridurrà entro il 2010 le proprie emissioni del
7%
3
. Le risorse rinnovabili rappresentano una concreta soluzione anche per ridurre l’effetto
dei gas serra. Le emissioni di ossidi di carbonio durante la combustione di materiale
vegetale è neutrale, ovvero le loro quantità rilasciate al sistema sono le stesse assorbite
dalla pianta durante il suo ciclo vegetale. In pratica si restituisce all’ambiente ciò che è
2
L’Unione Europea dipende da queste Nazioni per il 50% del suo fabbisogno energetico, mentre l’Italia
arriva sino all’85%. Inoltre, le esigenze occidentali si sommano ed entrano in competizione con le crescenti
richieste di nuovi poli di consumo, quali la Cina e l’India, attualmente in fase di forte sviluppo.
3
Dal 3 al 15 dicembre 2007 si sono riuniti in sede ONU a Bali tutti i Paesi del Mondo per stabilire le misure
atte a limitare le emissioni inquinanti per il dopo Kyoto che terminerà nel 2010. Durante il negoziato si sono
raggiunti ottimi risultati come l’adesione al protocollo degli Stati Uniti, al contrario della precedente
conferenza di Kyoto, della Cina e dell’India oltre all’impegno dei Paesi emergenti a ridurre le emissioni
inquinanti. Inoltre è stato introdotto il principio di “chi inquina paga” al fine di reperire risorse da dedicare
alla salvaguardia dell’ambiente.
stato
mant
1.2.2
1.2.2
La d
ad op
(lipid
Affin
grupp
meta
e per
Il bio
utiliz
moto
Il pro
tutto
il bio
trovi
prim
rilev
anaer
prima so
tenendo l’eq
2 La digest
2.1 Aspetti g
digestione an
pera di batt
di, carboidr
nché il pro
pi di micro
abolismo. La
r la parte res
ogas così pr
zzato come
ori a combu
ocesso desc
naturale. L
ogas prodot
iamo in alcu
ma osservazi
ò “la produ
robio”. Per
ottratto per
quilibrio de
tione anaer
generali ed
naerobica è
teri che deg
rati, protidi)
cesso abbia
organismi
a digestione
stante da an
Fig
rodotto vien
combustibi
stione intern
critto è un f
Lo sfruttame
tto, è abbast
uni autori de
ione scienti
uzione di ga
r arrivare a
la costruz
l sistema.
robica
evoluzione
è un process
gradano le
) contenute
a luogo è n
interessati
e anaerobic
nidride carbo
gura 1.1 Comp
ne raccolto,
ile per alim
na per prod
fenomeno ch
ento da part
tanza datato
el XVII e X
ifica va attr
as dalla dec
alla prima e
35%
5%
7
zione della
storica
so di conve
sostanze or
nei vegeta
necessario
operino ne
a produce u
onica ed alt
posizione medi
essiccato, c
mentare cald
durre energia
he in natura
te dell’uom
o. Qualche
XVIII secolo
ribuita all’it
composizion
esperienza s
60%
%
a massa ve
ersione bioc
rganiche co
ali e nei sot
che i subst
elle condizi
un gas costit
tri gas.
ia del biogas p
compresso e
daie a gas a
a elettrica.
a avviene sp
mo incentiva
accenno all
o come Shir
taliano Ale
ne di residu
sulle deiezi
%
MET
ANI
CAR
ALTR
CAPITOLO
egetale chi
chimica in a
omplesse pr
ttoprodotti
trati siano
ioni ottima
tuito per il
rodotto
ed immagaz
allo scopo d
pontaneame
ndo il proce
la fermentaz
rley (1677)
essandro Vo
ui vegetali l
ioni animal
TANO
DRIDE
RBONICA
RI GAS
O 1: INTROD
iudendo il
assenza di o
esenti nel s
di origine
idonei ed i
ali di cresc
50-70% da
zzinato e pu
di produrre
ente ed in m
esso e racco
zione anaer
e Defoe (1
olta (1776)
lasciati in a
li occorre a
DUZIONE
ciclo e
ossigeno
substrato
animale.
i diversi
cita e di
a metano
uò essere
calore o
modo del
ogliendo
robica lo
719). La
il quale
ambiente
aspettare
CAPITOLO 1: INTRODUZIONE
8
l’anno 1808 dove Davy ottenne “un gas ricco di carbonio “ dalla decomposizione di
letame bovino in ambiente privo di ossigeno. Per avere degli studi in larga scala
sull’argomento occorre arrivare alla fine del XIX secolo, ed in particolare sui substrati
fermentescibili da utilizzare e sulla qualità dei gas ottenibili nelle diverse condizioni
operative. Sopra tutti in quel periodo va ricordato Imhoff, il cui nome è entrato nella storia
dei trattamenti dei reflui urbani.
Nella prima metà del XX secolo l’interesse per il biogas è venuto meno a causa della facile
reperibilità di materiali fossili ad alto contenuto energetico e quindi l’avanzamento negli
studi e nella sperimentazione non è praticamente avvenuto.
La carenza di carburante durante la seconda guerra mondiale ha di nuovo risuscitato
l’interesse per la digestione anaerobica grazie anche ad una tecnologia efficiente messa a
punto negli anni ’30 da Ismann e Ducellier. Tale tecnologia impiantistica consisteva nella
presenza di più digestori dove il processo era diviso in due fasi: una prima fase aerobica
della durata di 15-20 giorni in cui la produzione di gas era modesta ma si produceva molto
calore ed una seconda fase anaerobica della durata di 40-60 giorni dove avveniva la vera e
propria digestione anaerobica.
Nel primissimo dopoguerra la Germania, in forte crisi energetica, individua nel processo di
digestione anaerobica una valida soluzione per l’approvvigionamento energetico delle
aziende agricole. La principale problematica che ha impedito lo sviluppo di tale progetto è
stata la condizione climatica molto rigida del nord, in questi areali la spesa energetica per
la gestione del digestore risultava elevata e quindi veniva meno la convenienza dell’intero
processo.
Con lo sviluppo economico degli anni ’60 ed il petrolio disponile a basso costo, la
possibilità di utilizzare substrati per l’ottenimento di biogas non è stata più presa in
considerazione poiché non affatto competitiva per le condizioni economiche del tempo.
Quanto appena descritto accadeva nel mondo occidentale. In India ed in Cina, mente
l’Europa godeva del boom economico di metà secolo, gli studi sulla digestione anaerobica
avanzavano e la sperimentazione ha messo a punto un sistema di impiantistica con
digestore interrato a ciclo continuo (Progetto “Global gas plant”). Nel 1977, in questi
Paesi, si stimavano circa quattro milioni di impianti artigianali.
Oggi, per le note motivazioni energetiche ed ambientali, è tornato un grosso interesse per il
processo di produzione di biogas da substrati di natura agricola, inserito in un più ampio
interessamento alle fonti energetiche rinnovabili in generale.
CAPITOLO 1: INTRODUZIONE
9
Dal punto di vista dell’impiantistica si è abbandonato il vecchio sistema discontinuo
operante su residui solidi zootecnici (letame) e si è preso in considerazione soltanto il
digestore a funzionamento continuo. Ciò, da un lato, per i vantaggi obiettivamente
maggiori ottenibili con la produzione continua e costante di gas, dall’atro, per le nuove
possibilità operative createsi con la disponibilità di deiezioni fluide, venute a sostituire, il
larga parte, quelle solide negli allevamenti zootecnici.
1.2.2.2 Substrati avviabili al processo di digestione anaerobica
I substrati utilizzabili per la trasformazione in biogas sono vari e non necessariamente di
produzione zootecnica e/o agricola. Le caratteristiche fondamentali per l’idoneità della
biomassa ad essere avviata alla digestione anaerobica riguardano principalmente il
rapporto C/N ottimale che è compreso tra 20-35 ed una concentrazione della s.s. inferiore
al 50%, o più nello specifico, il mix di substrati introdotti nel digestore non devono
presentare una componente di s.s. maggiore del 20%. Il materiale ligneo cellulosico non è
idoneo alla digestione poiché sostanze come lignina e polifenoli rallentano l’azione
batterica essendo polimeri rispettivamente complessi e antisettici. Questo tipo di materiale,
normalmente con una s.s. maggiore del 50% ed un C/N inferiore a 30, è più indicato per
conversioni di tipo termochimico quali la combustione, la pirolisi e la gassificazione. Nella
fattispecie i materiali che un’azienda zootecnica trova più idoneo utilizzare, sia dal punto
di vista della reperibilità sia da quello tecnico e normativo, sono nel dettaglio:
Liquame suino:
Il contenuto di sostanza secca di questo effluente varia dall’1 al 6 %, a seconda della
tipologia di allevamento di origine. Dal liquame prodotto da un suino da ingrasso del peso
vivo medio di 85 kg si possono ottenere mediamente 0,100 m
3
di biogas al giorno.
Liquame bovino:
Il contenuto di solidi totali oscilla tra l’8 e il 15% e varia oltre che in funzione del tipo di
allevamento anche in base alla quantità di paglia aggiunta nelle stalle. L’effetto di
diluizione è minimo rispetto alle deiezioni suine sia per il metodo di rimozione delle
deiezioni usato, sia perché normalmente le zone calpestate dal bestiame vengono pulite e
risciacquate con basse quantità di acqua. Per quanto riguarda l'adozione di tipologie di
stabulazione che fanno largo uso di pavimentazioni piene (essenzialmente pavimenti in
CAPITOLO 1: INTRODUZIONE
10
cotto, o battuto di cemento) richiedono, per le operazioni di pulizia, l'impiego di
abbondante quantità di acqua per la veicolazione delle deiezioni, con conseguente
produzione di liquami molto diluiti. Diventa, perciò, di fondamentale importanza limitare
ulteriori diluizioni con acque di diversa provenienza (acqua di lavaggio, acqua di
abbeverata, acqua piovana ecc.), in quanto un liquame tal quale o poco diluito consente di
limitare in modo considerevole sia i costi delle opere di stoccaggio e trattamento, sia quelli
necessari per le operazioni di trasporto ed eventuale spandimento sui campi nel caso di
valorizzazione agronomica. Per ottenere liquami tal quali, bisogna utilizzare soluzioni
stabulative idonee, impiegando pavimenti grigliati o fessurati; questi tipi di pavimenti sono
definiti autopulenti in quanto in grado, anche grazie all'azione di calpestamento degli
animali, di farsi attraversare dalle deiezioni deposte. Al di sotto del pavimento fessurato o
grigliato, sono sempre presenti delle strutture per la raccolta delle deiezioni, che possono
essere vere e proprie fosse oppure semplici pavimenti in pendenza confluenti in cunettoni
di scarico in cui il liquame si muove per effetto idraulico o meccanico evitando al massimo
le perdite di ammoniaca in stalla, per una migliore salubrità degli ambienti utilizzati da
animali e uomini. Dal liquame prodotto di una vacca da latte dal peso vivo medio di 500 kg
si possono ottenere mediamente 0,750 m
3
di biogas giornalieri.
Deiezioni avicole:
Tra le varie deiezioni avicole, la pollina di galline ovaiole è quella che, dal punto di vista
delle caratteristiche fisiche, più si presta alla digestione anaerobica perché l’allevamento in
gabbie non prevede l’uso di lettiera. Per contro, dal punto di vista microbiologico, le
deiezioni asportate fresche presentano un contenuto di solidi totali del 18-20% ed alto
contenuto di azoto. Di conseguenza, l’ammoniaca che si libera in presenza di acqua per
idrolisi, può raggiungere alte concentrazioni ed inibire il processo di digestione e dare
luogo a forti emissioni nella fase di stoccaggio del digestato. Inoltre, frequentemente la
pollina contiene materiale inerte che sedimentando può causare problemi operativi e
ridurre il volume utile del digestore.
Residui colturali:
Si tratta di residui provenienti dai raccolti agricoli quali foraggi, frutta e vegetali di scarsa
qualità, percolati da silos e paglia che possono essere addizionati come co-substrati alle
deiezioni animali.