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INTRODUZIONE
“The first farmer was the first man,
and all historic nobility rests on possession and use of the land”
Ralph Waldo Emerson (Society and Solitude, 1870)
1.1 Le biomasse vegetali ad uso energetico
Il termine biomassa, nella sua accezione biologica, deve essere inteso
come qualsiasi matrice di origine organica vegetale o animale; ad oggi il suo
significato è stato esteso a numerosi ambiti della nostra quotidianità. Nel
settore energetico infatti, la biomassa vegetale è qualsiasi sostanza organica da
cui è possibile ricavare energia, in quanto liberata dai legami chimici
precedentemente costituiti tramite fotosintesi (Morini et al., 2009).
Per quanto concerne gli aspetti normativi, il termine biomassa viene
riferito, nella Direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell’energia elettrica
prodotta da fonti di energia rinnovabili
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, alla frazione biodegradabile dei
prodotti, rifiuti e residui di origine biologica provenienti dall’agricoltura
(comprendente sostanze vegetali e animali), dalla silvicoltura e dalle industrie
connesse, comprese la pesca e l’acquacoltura, nonché la parte biodegradabile
dei rifiuti industriali e urbani. Questa impostazione consente, ai fini
dell’attività agricola, di identificare la biomassa come qualunque materiale
prodotto da coltivazioni vegetali specificatamente ad uso energetico, dai
sottoprodotti originati dal trattamento esclusivamente meccanico di
coltivazioni agricole non dedicate, generalmente ad uso alimentare, come paglie,
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Nella stessa si identifica con “energia da fonti rinnovabili”, energia eolica, solare, aerotermica,
geotermica, idrotermica e oceanica, idraulica, biomassa, gas di discarica, gas residuati dai processi di
depurazione e biogas (EURLEX)
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stocchi ecc., dagli interventi silvicolturali e di manutenzione forestale, dalle
lavorazioni meccaniche del legno e dei prodotti agricoli, nonché dalle deiezioni
zootecniche (processabili anaerobicamente per la produzione di biogas).
Più nel dettaglio, per quanto riguarda le colture dedicate ad uso energetico,
queste, in letteratura, vengono raggruppate in tre tipologie principali (A.A.V.V.,
2008; Evans, 2007; A.A.V.V., 2004; Venturi e Bonari, 2004; Bonari e Pampana,
2002; ITABIA):
colture oleaginose quali girasole, colza, soia proprie di ambienti temperati,
palma e jatropha di ambienti tropicali e subtropicali, dalle quali, tramite
estrazione, generalmente attraverso trattamenti meccanici e/o chimici,
depurazione, raffinazione ed infine trans-esterificazione
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si ottiene un
combustibile da poter sostituire al tradizionale gasolio minerale. Possibile è
comunque anche l’impiego di olio puro (SVO, “Straight Vegetable Oil”) che
può essere utilizzato in motori diesel modificati. La resa in olio varia a
seconda delle colture; per girasole e colza essa oscilla tra il 35 ed il 45%
circa, i residui di processo costituiscono una minima parte, mentre il
restante 55-65%, rappresentato dal panello, è impiegabile in alimentazione
animale;
colture da carboidrati come canna da zucchero, frumento, barbabietola da
zucchero, sorgo e mais dalle quali, tramite fermentazione alcolica dei
carboidrati in esse contenuti, si ottiene bioetanolo. La produzione richiede
quattro passaggi tecnologici comuni (fig. 1) quali un pretrattamento della
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La trans-esterificazione consiste in una rottura idrolitica delle molecole degli oli vegetali costituiti da
esteri glicerici di acidi grassi ed esterificazione con metanolo ottenendo gli esteri metilici
corrispondenti. Il loro peso molecolare è inferiore e, avendo minore viscosità, il loro l’utilizzo non rende
necessarie sostanziali modifiche a motori termici e caldaie. Il processo consiste nella miscelazione di
una mole di olio (composto prevalentemente da trigliceridi) con tre di metanolo in presenza di un
catalizzatore basico (generalmente idrossido di potassio); con tale procedimento da 1000 kg di olio
raffinato e 100 kg di metanolo si ottengono 1000 kg di biodiesel e 100 kg di glicerolo (ASS.IN.CER.).
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materia prima per ottenere una soluzione zuccherina (idrolisi nel caso di
forme polimere di carboidrati), l'utilizzo di lieviti per la conversione dello
zucchero in etanolo
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, la distillazione dell'etanolo dal substrato di coltura ed,
eventualmente, la deidratazione dell'etanolo. Gli impieghi possibili, oltre
che come carburante, sia puro che in miscela con benzina, sono la
produzione dell’antidetonante etilterbutiletere (ETBE) che ha sostituito il
piombo tetraetile e di altri prodotti chimici.
Figura 1 - Produzione di etanolo a partire da materiali zuccherini/amidacei
colture da biomassa lignocellulosica, caratterizzate da elevata produzione di
sostanza secca, che possono sottostare a differenti processi di
trasformazione, sia termochimici che biologici. Queste si possono
suddividere in colture arboree a breve turno di rotazione (Short Rotation
Forestry) a cui appartengono specie come il pioppo, l’eucalipto, la robinia,
l’acacia, il salice ecc. e colture erbacee annuali (sorgo da fibra, kenaf, canapa
ecc.) o poliennali (miscanto, canna comune, cardo, panico ecc.).
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La produzione di etanolo a partire dal glucosio avviene secondo la reazione C6H12O6 → 2C2H5OH
+ 2CO2; il glucosio viene liberato dagli amidi tramite enzimi idrolitici (amilasi, destrinasi).
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Ad oggi i prerequisiti fondamentali di una coltura energetica sono
l’elevato livello produttivo, la minima richiesta di input colturali, nonché un
buon livello qualitativo, in funzione della destinazione d’uso. In tale direzione
le specie poliennali sembrano essere quelle che meglio rispondono ai criteri
delineati, in quanto riducono drasticamente la necessità di ricorrere alle
lavorazioni del terreno, eccettuato l’anno d’impianto, abbattendo così i rischi
dovuti all’erosione ed incrementando il contenuto in carbonio del terreno;
inoltre mostrano esigenze di diserbo e di difesa notevolmente inferiori rispetto
alle colture annuali, creando ambienti favorevoli allo sviluppo di fauna e
microfauna (Bonari et al., 2004b; Lewandowski et al., 2003; BIOCOLT).
1.2 Processi di conversione energetica della biomassa
In questo paragrafo si è ritenuto utile introdurre le varie tipologie di
conversione in energia della biomassa vegetale, dando maggiore risalto a
processi che riguardano le colture lignocellulosiche, vista la maggiore attinenza
con l’argomento trattato nel presente elaborato.
Figura 2 - Processi di conversione energetica della biomassa (Candolo, 2005 modificato)
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I processi di conversione energetica delle biomasse possono essere
raggruppati in tre grandi categorie (fig. 2): processi fisico-chimici, processi
biologici e processi termochimici (Candolo, 2005).
Dei primi abbiamo già parlato riguardo alle colture oleaginose;
rientrano in questo gruppo i cosiddetti biocombustibili di prima generazione,
ovvero carburanti che sottostanno a processi già ben conosciuti e applicati su
larga scala (Bonari et al., 2009; A.A.V.V., 2008).
I processi di conversione biologici sfruttano microrganismi (batteri,
lieviti, funghi) che, attraverso trasformazioni di natura anerobica, convertono
materiali di vario tipo quali: reflui zootecnici, scarti di lavorazione (vinacce,
acque di vegetazione ecc.), reflui urbani e industriali, colture zuccherine e
colture lignocellulosiche dedicate. Tali processi sono la digestione anaerobica,
condotta da una catena di microrganismi che degradano il substrato in varie
tappe, passando dalla formazione di carboidrati, idrogeno e acido acetico, per
citarne alcuni, prima di giungere alla formazione di metano e anidride
BOX 1
L’ALBERO GENEALOGICO DEI BIOCARBURANTI
Le generazioni umane hanno un’altra scala temporale. Per i biocarburanti
siamo già giunti alla 4
a
generazione in pochi decenni. La prima generazione
poteva contare su colture tradizionalmente alimentari come materie prime.
La seconda generazione si nutrirà da un piatto ben più ampio: la biomassa
lignocellulosica. La terza generazione sarà basata sul miglioramento della
qualità delle materie prime attraverso colture geneticamente modificate per
aumentarne le rese o ridurne il contenuto in componenti “non utili” (lignina).
La quarta generazione non avrà a che fare con organismi superiori, ma con
microrganismi geneticamente modificati in grado di catturare grandi
quantità di CO2 e di trasformarle direttamente in loro rifiuto, nostro
combustibile.
Fonte www.genitronsviluppo.com
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carbonica, componenti principali del biogas
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(A.A.V.V., 2005; Burke, 2001). Il
secondo tipo di trasformazione è la fermentazione alcolica che avviene a
partire da zuccheri semplici o da carboidrati polimeri del tipo (C6H12O6)n, a
seguito di conversione in glucosio tramite idrolisi. In entrambi i casi si parla di
biocarburanti di prima generazione (Evans, 2007; Schlegel, 1996).
Al momento però, il mondo della ricerca e dell’industria ha spostato
l’interesse sui cosiddetti biocarburanti di seconda generazione, derivanti da
biomasse lignocellulosiche (Bonari et al. 2009). Riguardo ai processi che
implicano trasformazione biologica, si sta lavorando alla produzione di etanolo
o di altri composti a più alta densità energetica (butanolo o idrocarburi)
tramite l’impiego di batteri e lieviti, eventualmente geneticamente migliorati
nelle vie metaboliche originarie (Regalbuto, 2009; Stephanopoulos, 2007).
Ad oggi, la produzione, tramite microrganismi, di bioetanolo a partire
da biomassa lignocellulosica è caratterizzata da tre fasi: pretrattamento, idrolisi
e fermentazione (fig. 3). I metodi con cui vengono portati avanti i tre step sono
variabili ed alcuni in corso di sperimentazione; i prerequisiti necessari per un
corretto processo sono: l’efficiente depolimerizzazione della cellulosa e della
emicellulosa in zuccheri solubili, l’efficiente fermentazione del mix di esosi e
pentosi originatisi, la minimizzazione della richiesta energetica attraverso
l’integrazione dei processi e l’impiego della lignina residua (Stephanopoulos,
2007; Hahn-Hägerdal et al., 2006).
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La formazione di metano avviene seguendo due principali vie: riduzione della anidride carbonica
con idrogeno (metanogenesi idrogenotrofa, CO2 + 4 H2 → CH4 + 2 H2O), che contribuisce per un
28% circa dei casi, altra via porta alla formazione di metano a spese del gruppo metilico (CH3COOH
→ CH4 + CO2) dell’acido acetico ed è la via più seguita (72% circa dei casi).
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Figura 3 - Processo di conversione della biomassa lignocellulosica in etanolo
(Hahn-Hägerdal et al., 2006 modificato)
Il pretrattamento della biomassa, di durata variabile da qualche minuto
a diverse ore, è preceduto da una riduzione della dimensione del materiale da
trattare; l’obiettivo primario è quello di incrementarne la dimensione dei pori,
di attaccare il reticolo cristallino della cellulosa e di indebolire il legame di
questa con la lignina. La sua importanza è quindi evidente, in quanto un
efficiente pretrattamento consente la sostanziale riduzione della quantità di
enzimi utilizzati nelle successive fasi e pertanto minori costi. Diversi sono i
metodi sperimentati per questo passaggio, che possono essere modificati
anche in funzione del tipo biomassa impiegata; i più promettenti sembrano
essere l’esposizione a vapore saturo (180-230 °C) detta steam explosion, ad
ammoniaca concentrata (NH3-explosion) e la cottura ad alte temperature con
acidi deboli o diluiti (Himmel et al. 2007; Stephanopoulos, 2007; Hahn-
Hägerdal et al., 2006).
A seguito del pretrattamento si origina una sospensione solida
contenente lignina e cellulosa ed una fase liquida contenente zuccheri pentosi,
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derivati dalla emicellulosa, quali xilosio e arabinosio principalmente, e piccole
molecole organiche, come acidi organici, furani, composti fenolici e inorganici.
Le successive reazioni vedono l’idrolisi della cellulosa a mezzo di enzimi
specifici (endoglucanasi, esoglucanasi, β-glucosidasi o cellobiasi) e la
fermentazione degli zuccheri liberati, in un unico passaggio definito
“simultaneous saccharification fermentation” (SSF), che dura da 3 a 6 giorni circa.
Alla fine del processo si rende necessaria una fase di distillazione dell’etanolo
prodotto (4-4,5%) che, a causa dell’elevata diluizione, sarebbe inutilizzabile
(Himmel et al. 2007; Stephanopoulos, 2007; Hahn-Hägerdal et al., 2006).
Sebbene il mondo della ricerca stia dando un grande contributo allo
sviluppo di tecnologie sempre più avanzate, come la creazione di batteri
(Escherichia coli, Klebsiella oxytoca) e lieviti (Saccharomyces cerevisae) geneticamente
migliorati, ulteriori progressi devono compiersi soprattutto per ciò che
riguarda le fasi di pretrattamento e di idrolisi della cellulosa, così come la
necessità di disporre di enzimi a prezzi contenuti e di sviluppare
microrganismi tolleranti a maggiori percentuali di etanolo. Inoltre, potrebbe
risultare interessante valutare l’impiego di materiale lignocellulosico per la
produzione di biocarburanti alternativi all’etanolo, e valorizzare la biomassa
integralmente, visto che al momento il processo di trasformazione della
biomassa in etanolo ha come materiale di scarto la lignina umida.
(Stephanopoulos, 2007; Service, 2007; Dien, 2003).
Ulteriori processi di trasformazione a cui possono essere sottoposte le
biomasse sono quelli termochimici.
Ad oggi quelli maggiormente studiati sono la combustione diretta, la
pirolisi e la gassificazione. Il primo processo è quello più tradizionale che però,
per essere efficiente, richiede una biomassa con un ridotto contenuto di acqua.