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Nel primo capitolo vengono definiti i concetti di tipicità, qualità e le
caratteristiche dei prodotti tipici, le ragioni della protezione giuridica e
gli effetti della registrazione. Viene analizzato il regolamento 2081/92
con cui l’Unione Europea nel 1992 ha riconosciuto l’esistenza e
l’importanza dei prodotti agroalimentari Dop, Igp, dotandoli dei
marchi collettivi, e il grado di conoscenza di questi marchi da parte
dei consumatori.
A conclusione del capitolo è approfondito il ruolo svolto dai Consorzi
di tutela nella valorizzazione e promozione di molti prodotti tipici
italiani, sono esposti alcuni dati quantitativi sul valore economico
delle produzioni, la composizione del paniere tipico italiano, il
contributo delle diverse categorie merceologiche che lo compongono,
l’impatto socio economico dei prodotti locali, e come questo
patrimonio sia da difendere contro i numerosi tentativi di frode, in
particolare nei mercati extracomunitari.
Il secondo capitolo è dedicato alla definizione dello scenario in cui si
muove la grande distribuzione: l’evoluzione che ha contraddistinto il
settore negli ultimi anni, con la competizione spinta dalla presenza
delle catene distributive francesi, e le alleanze strette tra i vari
distributori.
Particolare attenzione è rivolta allo sviluppo delle azioni di micro
marketing implementate dalle principali catene distributive per
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fidelizzare i clienti, alla gestione della qualità espositiva in punto
vendita, alle funzioni della marca commerciale come fattore di
differenziazione e leva di sviluppo dell’identità per numerose insegne.
Il terzo capitolo si concentra sulla valorizzazione e la
commercializzazione dei prodotti tipici all’interno dei punti vendita,
l’indagine riporta le opinioni degli addetti ai lavori di due insegne
della distribuzione Coalpi Sigma e Iper. Vengono evidenziate le
strategie e gli obiettivi affidati dalle due catene ai prodotti tipici, e i
limiti, le difficoltà, le peculiarità che si incontrano nella
commercializzazione.
L’ultimo capitolo è dedicato all’indagine sui produttori di tipici, in
particolare l’analisi è stata svolta grazie alle informazioni e ai dati che
mi sono stati forniti da un produttore di salumi tipici Piacentini, il
salumificio Val d’Ongina e il Consorzio dei Salumi Tipici Piacentini.
Sono state evidenziate le strategie di marketing applicabili a questi
prodotti, l’importanza dell’ottenimento della Dop per i tre prodotti
della salumeria piacentina come occasione di sviluppo, il peso della
produzione certificata per questa realtà produttiva, sia in termini di
volume, sia per gli obiettivi di remunerazione. Le difficoltà e
opportunità incontrate da un piccolo produttore di tipici piacentini
all’evoluzione del sistema distributivo.
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Sono stati visitati gli ipermercati serviti dal salumificio Val d’Ongina
per comprendere come avviene l’esposizione dei prodotti e con quali
concorrenti e prezzi si confronta.
Il capitolo si chiude con una ricerca che determina la redditività e i
costi derivanti dall’utilizzo delle denominazioni geografiche per i tre
Salumi Piacentini, e le previsioni di crescita nelle vendite per i
prossimi anni.
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CAPITOLO I
Le produzioni tipiche
1.1 Il concetto di tipicità: storia, territorio e qualità
1.1.1 Le nuove tendenze nei consumi agroalimentari
Negli ultimi anni si sono evidenziate nuove tendenze nei consumi
alimentari, soprattutto nelle economie sviluppate. Tali tendenze sono
state provocate da diversi fattori:
- raggiungimento della sazietà alimentare;
- il cambiamento della struttura socio economica;
- la sempre crescente industrializzazione e massificazione del
settore agroalimentare, con una maggiore attenzione alla
produttività a scapito della qualità;
- l’aumento del reddito disponibile e del potere d’acquisto del
consumatore.
Non è difficile capire che la prima e più rilevante spinta verso il
cambiamento del settore agroalimentare provenga dal mercato finale
del consumatore. Oggi, infatti, il consumatore chiede un prodotto che
abbia determinate caratteristiche coerenti con la sua visione della vita.
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In particolare, egli chiede un prodotto alimentare che gli permetta di
conservare la salute, che gli assicuri un aspetto fisico piacevole, che
corrisponda ai suoi gusti e alle sue preferenze, ma nello stesso tempo
incorpori sempre più servizi per ridurre il tempo di preparazione e
facilitare così le occasioni di incontri sociali.
Tali caratteristiche determinano un sensibile aumento dei bisogni che
il prodotto alimentare è chiamato a soddisfare. Oltre alle esigenze
legate ai problemi di natura nutrizionale igienica e sanitaria,
aumentano i bisogni che si inseriscono in un certo sistema di valori
sociali o che hanno una forte base culturale.In altre parole, il
consumatore sceglie il prodotto alimentare prestando maggior
attenzione alla sua qualità.
1.1.2 Il clima di consumo oggi
Il 2003-2004 sono stati anni particolari, si sono caratterizzati per i
consumatori come anni orientati al pessimismo, l’andamento al rialzo
dei prezzi al consumo ha causato una diminuzione del potere
d’acquisto reale dei redditi, si è verificata una difficoltà nel valutare il
trade off denaro/valore ossia la possibilità di comprendere se si sta
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spendendo bene il proprio denaro, e quindi una diminuzione del
piacere di fare acquisti.
Il consumatore si dichiara in difficoltà, nel 2003 il disagio si è
spostato verso tutte le fasce dei responsabili d’acquisto. In questo
scenario anche gli aspetti positivi che pur nelle famiglie sono presenti,
in quanto alcuni “progetti” resistono anche al clima critico, tendono ad
annacquarsi.
Nel campo dell’alimentazione la figura della responsabile degli
acquisti e l’area della spesa sono in maggiore difficoltà (meno i mariti
che controllano altre parti del budget famigliare).
Aumenta l’attenzione ai prezzi cui corrisponde un contenimento dei
consumi in termini quantitativi.
Sul piano qualitativo i consumi reggono: è evidente lo sforzo in atto
da parte delle famiglie di mantenimento degli standard di vita
raggiunti.
Non cessano peraltro i segnali legati all’insicurezza alimentare, i
media tendono a rilanciare amplificare questo macrotema ogni volta
che viene alla luce un problema di salubrità delle produzioni nella
filiera anche se non si raggiungono che saltuariamente crisi acute,
questo allarmismo non fa bene al consumo, l’aspetto della qualità
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intesa come sicurezza, gusto, benessere viene così portata al centro
dell’agenda dei consumatori.
Oggi la qualità conta sempre ed è parola d’ordine non gridata ma
usata, è una grande opportunità: Bio, Dop, Certificazioni, vengono
utilizzati come indicatori della qualità, affiancano il segnale di marca
(e talvolta lo possono anche sostituire), ma cosa intende il
consumatore per questi marchi? E in particolare per le denominazioni
d’origine?
Vedremo nel proseguo che questi indicatori/criteri sono ancora
etichette non hanno il valore di “marca”, non sono dotati di senso
univoco, continuo e coerente come lo è una marca.
1.1.3 Il concetto di qualità
È necessario, a questo punto, spiegare cosa sia la qualità di un bene
alimentare. Non è facile fornire una definizione di tale concetto. Esso,
infatti, si presenta come un attributo composito e complesso, poiché
diversi e in continua evoluzione sono gli elementi che lo
caratterizzano
1
:
1
Il concetto di qualità, in effetti, è relativo e dinamico. Relativo in quanto si riferisce al giudizio
espresso da soggetti con comportamenti economici differenti (consumatori, produttori, e così via).
Dinamico, in quanto subordinato al contesto storico geografico nel quale il giudizio di qualità
viene espresso.
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1) la qualità alimentare intrinseca, scomponibile in tre componenti:
• igenica;
• nutrizionale;
• edonistica (organolettica);
2) la qualità legata a componenti psico-sociali;
3) la qualità legata al contenuto di servizi.
La qualità “intrinseca” si riferisce alla proprietà nutrizionale del
prodotto, in altre parole alla sua capacità di apportare in condizioni di
totale sicurezza, il nutrimento e l’energia necessari al metabolismo
umano, appagando anche a livello sensoriale e psicologico il
consumatore.
Il fattore igienico della qualità intrinseca fa riferimento alle garanzie
offerte al consumatore, relativamente ai possibili effetti sulla salute
connessi al consumo alimentare
2
, mentre le caratteristiche
organolettiche sono soggettive agli obiettivi dell’impresa produttrice
la sicurezza alimentare è un dovere morale un obbligo a cui non ci si
può sottrarre.
2
Dopo gli innumerevoli eventi di cronaca riguardanti il morbo della BSE per le carni bovine, il
metanolo per il vino, le diossine nei prodotti avicoli e per le carni suine, i consumatori hanno
cercato di proteggere la propria salute domandando una maggiore genuinità delle produzioni. Ciò,
nella maggior parte dei casi, si è tradotto nella scelta di prodotti biologici o nella riscoperta dei
prodotti tipici.
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Il secondo aspetto della qualità intrinseca riguarda l’apporto
nutrizionale, e cioè la prerogativa di un alimento a nutrire bene.
L’ultimo aspetto della qualità intrinseca degli alimenti, infine, è quello
“edonistico”, che rappresenta la componente più soggettiva e
variabile. A buona ragione, esso è considerato un lusso, in quanto non
è indispensabile alla sopravvivenza degli individui ed è rilevante solo
quando è stata raggiunta la sazietà alimentare. Questo aspetto, a sua
volta, si compone di due elementi, uno sensoriale misurabile
attraverso le sensazioni (visive, olfattive, tattili), l’altro psicologico
(quando il prodotto evoca nel consumatore una determinata zona di
produzione, o una particolare tecnica produttiva).
La seconda componente della qualità alimentare presenta una natura
psico-sociale e consiste in tutti quegli aspetti di natura immateriale
connessi al consumo alimentare.
L'ultima componente della qualità alimentare è legata al contenuto di
servizi, come informazioni sulle modalità di consumo, notizie del
luogo di produzione, tempo di stagionatura, la velocità e semplicità di
produzione e così via.
Nasce così una nuova realtà dominata dall’esigenza per l’offerta di
assecondare la domanda. Il concetto di qualità diviene più ampio e
tende ad assumere una dimensione soggettiva poiché essa serve a
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specificare un prodotto a seconda del bisogno che è chiamato a
soddisfare e si presenta pertanto ad essere valutata secondo una
pluralità di punti di vista e di criteri. Pertanto la qualità, in questo
senso, può essere definita come l’attitudine di un prodotto, bene o
servizio, a soddisfare i bisogni del consumatore. È soprattutto sotto
quest'ultimo aspetto, in precedenza definito edonistico, che il prodotto
tipico presenta una maggiore qualità rispetto alle altre categorie di
prodotti.
1.1.4 Le caratteristiche principali di un prodotto tipico
Le caratteristiche che ci permettono di individuare un prodotto tipico
sono essenzialmente tre: il territorio, la qualità, la storia.
Non esiste una definizione univoca di prodotto tipico, bensì sono
presenti prodotti con livelli diversi di tipicità.
Pur in presenza del minimo comune denominatore rappresentato dal
legame con il territorio, la differente quantità e qualità delle
caratteristiche legate al prodotto determinano livelli distinti di tipicità.
Si possono identificare due estremi:
- prodotti “molto tipici”;
- prodotti con moderato contenuto di tipicità.